Purtroppo sono in molti ad essere incapaci di capire che non necessariamente ogni riga della Bibbia ha la stessa teologia ed escatologia, ed è così che costoro risponderebbero ingenuamente a chi facesse notare che in Luca v'è un premio per le anime dopo la morte (Lc 16,19-31) che l'escatologia del Pentateuco o del Qohelet è diversa, come se questo significasse qualcosa. Putroppo davanti a risposte simili possono solo cadere le braccia, si può constatare che stiamo discutendo su due piani diversi, e lasciare spazio alla carità.
Il problema del discutere con questa gente è che non ha una mentalità adatta al lavoro dell'antichista, e il loro modo di discutere consiste solo nell'incollare pezzi di erudizione altrui che trovano su qualche Cd-rom, del tutto incapaci di contestualizzarli e capirli. Erudizione
ad usum Delphini.Per Hard-Rain
CITAZIONE
Se poi l'essere già in paradiso subito dopo la morte e non alla risurrezione globale di tutti i morti o in altro momento sia teologicamente corretto ovvero non lo sia, lo lascio disquisire ai teologi. Io noto però che per lo stesso Luca pare non costituire un problema l'ammettere che appena morti si vada in paradiso oppure all'inferno, come nell'esempio del ricco cattivo e del povero Lazzaro di cui in Lc. 16:19-31, dove entrambi i personaggi sembrano essere, subito dopo la loro morte, risp. all'inferno e in paradiso.
Quanto alla distinzione tra un giudizio particolare e un giudizio universale, nonché resurrezione, immaginati come fossero una impossibile successione temporale, personalmente sono d'accordo con G. Ravasi quando scrive:
”L’anima, nella tradizione cristiana, è stata sempre concepita come una realtà personale distinta, ma intimamente vincolala alla corporeità con la quale dà origine alla creatura umana. Anche nella morte non si assiste a una totale cancellazione di questo rapporto con la materia corporale, ma a una sua trasformazione, di difficile determinazione e descrizione. Il nesso è, infatti, trasferito su un altro piano ove cadono spazio e tempo e ci si inoltra nell’oltrevita, nell’eternità e nell’infinito, ove non c’è più né “prima” né “poi”. Certo, noi che siamo ancora nell’aldiquà misuriamo tutto secondo queste scansioni successive. Abbiamo perciò bisogno di parlare di un giudizio particolare personale ed individuale - ove si vagliano le scelte morali di ogni persona, dotata da Dio della qualità della libertà e, quindi, della responsabilità – al quale segue in molti casi un “tempo” di purificazione ed espiazione (purgatorio) per “poi” accedere al giudizio finale quando tutta l’umanità entrerà nel nuovo ordine delle cose.
In realtà questa successione è frutto del nostro computo temporale. Oltre la vita terrena c’è l’istante eterno e infinito in cui tutta la creazione è accolta e trasfigurata, giudicata e salvata, purificata e liberata.” (G. Ravasi, Breve storia dell’anima, Milano, 2003, Arnoldo Mondadori, p. 204)
Il purgatorio è dunque quell’istante in cui l’anima, a faccia a faccia con la perfezione divina, vede paragonata la propria imperfezione con la suprema bontà del creatore, e capisce quale sia stata la misura dei suoi peccati, facendo sì che questa sua contrizione davanti alla fiamma dell’Amore divino la purifichi.
K, Rahner, il maggior teologo cattolico del XX secolo, scriveva infatti:
“Espressioni come “l’anima continua a vivere dopo la morte”, “dopo la sua separazione dal corpo” e quelle che parlano della “risurrezione del corpo”
non indicano necessariamente realtà diverse, ma solo soltanto modelli di rappresentazione diversi per indicare la medesima cosa, e cioè la definitività della storia dell’uomo portata a termine” (K. Rahner, Su una nuova teologia della morte, in Nuovi Saggi, vol. V, Roma, Paoline, 1968.