Studi sul Cristianesimo Primitivo

Un problema di virgole? Lc 23,43

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Hannah1
view post Posted on 2/11/2009, 09:39     +1   -1




Salve ragazzi è un po' che non scrivo ma oggi ho bisogno di un chiarimento

Il problema di Luca 23,43
Secondo la maggior parte dei testi Gesù dice al ladrone che oggi sarà con Lui in paradiso.
1 Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso" (La Sacra Bibbia – Conferenza Episcopale Italiana, 1971)

2 Gesù gli rispose: "In verità ti dico: oggi, sarai con me in Paradiso" (Nuovissima Versione dai Testi Originali Edizione Paoline 1986).

3 Gesù gli rispose: - Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso. (Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente - Parola del Signore).

Secondo una versione minoritaria in uso specie presso i TdG, si dice che la corretta interpretazione (non essendoci ovviamente virgole nel testo greco) è la seguente:
'In verità ti dico oggi'; e poi aggiungono, 'Tu sarai con me in Paradiso.'

Non è tanto una questione di lana caprina perché nel primo caso viene ipotizzato che Gesù subito dopo la morte è andato in paradiso (ma ciò contraddirebbe l'ascensione dopo 40 giorni) mentre nel secondo caso Gesù fa oggi una promessa che però si realizzerà in un futuro indefinito.
Grazie

 
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Hard-Rain
view post Posted on 2/11/2009, 13:37     +1   -1




αμην σοι λεγω σημερον μετ'εμου εσηι εν τωι παραδεισωι

Penso sia più legittima la traduzione C.E.I. (e le altre non TDG) alla luce del fatto che avrebbe potuto benissimo dirimere ogni dubbio mettendo οτι tra σημερον e μετ', nel cui caso si sarebbe inteso chiaramente "oggi ti dico che ...", oppure "oggi ti dico: ". Inoltre, avrebbe potuto benissimo mettere σημερον all'inizio del discorso e soprattutto usare un avverbio come νυν (cioè "ti dico ora, adesso", non ti sto dicendo oggi, per tutto il giorno di oggi (azione continuativa)". C'è infatti da dire che, di solito e praticamente sempre, dopo λεγω al massimo si può trovare il pronome che denota la persona a cui si parla (che poi molte volte è anteposto a tale verbo) e segue subito la frase citata, per cui in questo caso σημερον verrebbe a fare parte di ciò che è detto dopo. Abbiamo anche il caso πριν αλεκτορα φωνησαι σημερον απαρνησηι με τρις (Lc. 22,61) dove entrambe le azioni (1) canto del gallo; 2) rinnegamento da parte di Pietro) si devono svolgere nello stesso giorno. Poi, in genere, nei casi potenzialmente ambigui σημερον tende ad anticipare il verbo a cui è collegato, come ad es. in Lc. 19,5 (che non si intende "scendi oggi .... che verrò chissà quando" bensì "scendi, che (= perchè) oggi verrò"). E' vero anche che avrebbe potuto dirimere l'ambiguità anche nell'altro senso: αμην σοι λεγω οτι μετ'εμου εσηι εν τωι παραδεισωι σημερον.

Edited by Hard-Rain - 2/11/2009, 14:17
 
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Serveto
view post Posted on 2/11/2009, 13:56     +1   -1




Cara Hannah,

Il problema dell'ambiguità della punteggiatura di questo passo non è nuova, ed era sentito già nell'antichità poiché troviamo diverse versioni antiche con letture ondivaghe. Tischendorf, ad esempio, nel suo Novum Testamentum Graece, rileva che il Vangelo di Nicodemo e la Discesa all'Ades (testi del VI-V secolo) leggono con la pausa dopo "oggi". Anche Esichio di Gerusalemme, sempre verso la fine del IV secolo, testimonia che vi erano molto che leggevano nella stessa maniera. Lo stessa fa la versione Siriaca Curetoniana del V Secolo che rende il brano: “Amen, io ti dico oggi che con me tu sarai nel Giardino di Eden”.

Oggi la versione tradizionale con la pausa prima di "oggi" è la più accreditata, ma vi è un certo numero di eruditi che preferisce la seconda per motivi che personalmente ritengo più che validi. Insomma, è un problema che non credo si possa risolvere definitivamente per via filologica.

Contrariamente ad Hard Rain tra le versioni che proponi quella che preferisco, perché mi pare più fedele al testo, è quella della Novissima che come la TOB francese considera "oggi" come una specie di inciso, lasciando la sostanziale ambiguità del testo (di fatto sono permesse entrambe le letture) cosa che fa anche il Michaelis.

Shalom

Edited by Serveto - 2/11/2009, 22:04
 
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Hard-Rain
view post Posted on 2/11/2009, 14:04     +1   -1




Regole grammaticali assolute non esistono in questo caso. Tutto si basa sulle preferenze dell'autore e sul contesto. A me σημερον λεγω pare un pleonasmo, nel senso che è ovvio che è oggi che sto parlando, non ieri o domani. Diverso sarebbe se avesse voluto creare un parallelo: oggi ti dico che al tempo X sarai in paradiso (quando verrà il figlio dell'uomo, tra un anno oppure chissà quando, specificando però il tempo). Certo è che nelle formule di citazione si trova quasi nulla tra λεγω e la frase citata, eccetto il dativo che specifica il ricevente dell'azione del "dire" o, eventualmente, ma non è questo il caso, οτι.
 
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Hannah1
view post Posted on 2/11/2009, 16:19     +1   -1




Grazie, sembra che la questione sia molto complessa. A maggior ragione se si pensa che Gesù si trovava sulla croce e, quindi, anche chi ne ha raccolto la testimonianza, non si trovava certo in un luogo comodo. E' probabile che chi ha riportato questo verso volesse innanzitutto comunicare che il secondo ladrone si era salvato e, quindi, sottolineare la misericordia di Gesù.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 2/11/2009, 16:24     +1   -1




Credo che ci sia ben poco di storico in quelle parole... Comunque... io non c'ero.
 
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view post Posted on 3/11/2009, 00:21     +1   -1
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CITAZIONE
Oggi la versione tradizionale con la pausa prima di "oggi" è la più accreditata, ma vi è un certo numero di eruditi che preferisce la seconda per motivi che personalmente ritengo più che validi.

COnosciamo gli indizi a favore della lettura che fanno i più, quali sarebbero invece gli indizi a favore dell'interpretazione della TNM?
 
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view post Posted on 3/11/2009, 00:57     +1   -1
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Notate soprattutto che Hard è passato in poche settimane dalle traslitterazioni impazzite a scrivere non solo con i font giusti ma anche con lo iota ascritto, come nella migliore tradizione dei manoscritti prima della minuscola :o: :o:
 
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Hard-Rain
view post Posted on 3/11/2009, 08:36     +1   -1




Sì, non so ancora come fare con lo iota sottoscritto così lo appendo a fine parola: ma attenzione, perchè poi nei papiri grosso modo dal I secolo d.C. in poi si usava non scriverlo più del tutto... :)

Comunque sia, a parte questo, dopo λεγω, φημι e verbi similari, ben difficilmente si trova qualcosa, prima della citazione che non sia banalmente un οτι, o la persona a cui si parla (o entrambi). Trovare un avverbio lì interposto non è molto diffuso e comunque è sempre oggetto di discussione se appartenga alla formula introduttiva della citazione della frase o se invece appartenga a ciò che viene detto o citato. Generalmente, viene fatto quando non c'è possibilità di ambiguità: Epitteto per esempio, in un passaggio, mette il soggetto di cui viene citata la frase - o il pensiero - sotto forma di discorso diretto subito dopo λεγει, ma lo fa in quanto la costruzione è sintatticamente inattaccabile, subito dopo tale soggetto (un nome di persona), attacca con un vocativo, non c'è possibilità alcuna di inglobare sintatticamente il soggetto nella frase citata e nessuna ambiguità potenziale viene a crearsi; inoltre la presenza di τι nella stessa formula introduttiva di citazione lascia intuire che si tratti di una formula interrogativa ("Ma cosa dice Zeus?" - segue la frase citata attribuita al dio Zeus).

Per questo ed altri motivi, personalmente e molto modestamente, penso che la trad. CEI (et sim.) in questo caso sia la più probabile e ovvia: se poi quella mattina Luca si è svegliato storto e ha deciso di infilare lì una parola assolutamente inutile e pleonastica (sto dicendo ... oggi. E quando mai "sto dicendo"?) in una posizione desueta, questo potrebbe sempre essere.

Se poi l'essere già in paradiso subito dopo la morte e non alla risurrezione globale di tutti i morti o in altro momento sia teologicamente corretto ovvero non lo sia, lo lascio disquisire ai teologi. Io noto però che per lo stesso Luca pare non costituire un problema l'ammettere che appena morti si vada in paradiso oppure all'inferno, come nell'esempio del ricco cattivo e del povero Lazzaro di cui in Lc. 16:19-31, dove entrambi i personaggi sembrano essere, subito dopo la loro morte, risp. all'inferno e in paradiso. Ma Luca, se non ricordo male, non ha la grandiosa immagine delle pecore e delle capre del giudizio universale, caratteristica del vangelo di Matteo. Forse a questo stadio primitivo le varie scuole cristiane (Matteo, Paolo, Giovanni, ....) avevano opinioni diverse anche su temi così teologicamente delicati. Oppure "paradiso" e "inferno" sono luoghi temporanei di riposo delle anime prima di un giudizio finale ulteriore.

La Chiesa Cattolica, nel suo Catechismo, ammette una specie di "doppio grado di giudizio", uno particolare (che avviene subito dopo la morte) e uno finale (scuola matteana): La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [Cf ⇒ 2Tm 1,9-10 ]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf ⇒ Lc 16,22 ] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Cf ⇒ Lc 23,43 ] così come altri testi del Nuovo Testamento [Cf ⇒ 2Cor 5,8; ⇒ Fil 1,23; ⇒ Eb 9,27; ⇒ Eb 12,23 ] parlano di una sorte ultima dell'anima [Cf ⇒ Mt 16,26 ] che può essere diversa per le une e per le altre." (Cat., 1021).

E ancora, dice: "Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre." (Cat., 1022).

fonte: http://www.vatican.va/archive/ITA0014/__P2K.HTM

Sebbene partito da considerazioni soltanto linguistiche e, in paricolare, sintattiche e stilistiche, non mi pare di aver concluso qualcosa di "teologicamente scorretto". Tanto più che è proprio Luca a riportare la parabola del ricco e di Lazzaro. Fin dal momento della sua morte all'uomo si aprono tre scenari: (1) purificazione; (2) ingresso nella beatitudine del cielo (= paradiso, quello di cui parla Gesù col ladrone, suppongo); (3) dannazione eterna.

Corollario. Quindi, sulla base del principio 1022 del Catechismo, non crediamo tanto di fare i furbi, pensando: "Intanto muoio. Poi si vedrà chissà quando se sarò dannato per sempre... chissà quando Cristo giudicherà... nel frattempo godiamoci l'essere morto senza troppi problemi". Perchè subito, appena morti, saremo sottoposti al giudizio "particolare": δια τουτο υμιν λεγω γρεγορειτε.

Edited by Hard-Rain - 3/11/2009, 15:05
 
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Hannah1
view post Posted on 3/11/2009, 12:17     +1   -1




Grazie Hard, anche per il corollario. Come dico io, un po' di ecologia personale per tutti, non solo per l'ambiente, non sarebbe male. Certo di là la spazzatura non si può portare ;)
E credo che i primi risultati si vedano già subito la morte fisica.
 
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view post Posted on 3/11/2009, 12:17     +1   -1
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Purtroppo sono in molti ad essere incapaci di capire che non necessariamente ogni riga della Bibbia ha la stessa teologia ed escatologia, ed è così che costoro risponderebbero ingenuamente a chi facesse notare che in Luca v'è un premio per le anime dopo la morte (Lc 16,19-31) che l'escatologia del Pentateuco o del Qohelet è diversa, come se questo significasse qualcosa. Putroppo davanti a risposte simili possono solo cadere le braccia, si può constatare che stiamo discutendo su due piani diversi, e lasciare spazio alla carità.
Il problema del discutere con questa gente è che non ha una mentalità adatta al lavoro dell'antichista, e il loro modo di discutere consiste solo nell'incollare pezzi di erudizione altrui che trovano su qualche Cd-rom, del tutto incapaci di contestualizzarli e capirli. Erudizione ad usum Delphini.

Per Hard-Rain

CITAZIONE
Se poi l'essere già in paradiso subito dopo la morte e non alla risurrezione globale di tutti i morti o in altro momento sia teologicamente corretto ovvero non lo sia, lo lascio disquisire ai teologi. Io noto però che per lo stesso Luca pare non costituire un problema l'ammettere che appena morti si vada in paradiso oppure all'inferno, come nell'esempio del ricco cattivo e del povero Lazzaro di cui in Lc. 16:19-31, dove entrambi i personaggi sembrano essere, subito dopo la loro morte, risp. all'inferno e in paradiso.

Quanto alla distinzione tra un giudizio particolare e un giudizio universale, nonché resurrezione, immaginati come fossero una impossibile successione temporale, personalmente sono d'accordo con G. Ravasi quando scrive:


”L’anima, nella tradizione cristiana, è stata sempre concepita come una realtà personale distinta, ma intimamente vincolala alla corporeità con la quale dà origine alla creatura umana. Anche nella morte non si assiste a una totale cancellazione di questo rapporto con la materia corporale, ma a una sua trasformazione, di difficile determinazione e descrizione. Il nesso è, infatti, trasferito su un altro piano ove cadono spazio e tempo e ci si inoltra nell’oltrevita, nell’eternità e nell’infinito, ove non c’è più né “prima” né “poi”. Certo, noi che siamo ancora nell’aldiquà misuriamo tutto secondo queste scansioni successive. Abbiamo perciò bisogno di parlare di un giudizio particolare personale ed individuale - ove si vagliano le scelte morali di ogni persona, dotata da Dio della qualità della libertà e, quindi, della responsabilità – al quale segue in molti casi un “tempo” di purificazione ed espiazione (purgatorio) per “poi” accedere al giudizio finale quando tutta l’umanità entrerà nel nuovo ordine delle cose. In realtà questa successione è frutto del nostro computo temporale. Oltre la vita terrena c’è l’istante eterno e infinito in cui tutta la creazione è accolta e trasfigurata, giudicata e salvata, purificata e liberata.” (G. Ravasi, Breve storia dell’anima, Milano, 2003, Arnoldo Mondadori, p. 204)

Il purgatorio è dunque quell’istante in cui l’anima, a faccia a faccia con la perfezione divina, vede paragonata la propria imperfezione con la suprema bontà del creatore, e capisce quale sia stata la misura dei suoi peccati, facendo sì che questa sua contrizione davanti alla fiamma dell’Amore divino la purifichi.

K, Rahner, il maggior teologo cattolico del XX secolo, scriveva infatti:

“Espressioni come “l’anima continua a vivere dopo la morte”, “dopo la sua separazione dal corpo” e quelle che parlano della “risurrezione del corpo” non indicano necessariamente realtà diverse, ma solo soltanto modelli di rappresentazione diversi per indicare la medesima cosa, e cioè la definitività della storia dell’uomo portata a termine” (K. Rahner, Su una nuova teologia della morte, in Nuovi Saggi, vol. V, Roma, Paoline, 1968.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 3/11/2009, 12:22     +1   -1




Prima di morire, però, godiamoci anche le parole che il filosofo (pagano) Epitteto fa dire al suo Trasea (credo sia proprio Trasea Peto, il senatore che si oppose a Nerone attorno al 66 d.C.):

Θρασεας ειωθει λεγειν σημερον αναιρεθηναι θελω μαλλον η αυριον φυγαδευθηναι (Διατρ., 1,1,26).
 
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view post Posted on 3/11/2009, 14:02     +1   -1

Habitué

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Una simile domanda la feci tempo addietro pure io.
Se allora la questione "virgola" risulta irrisolvibile, è solo ed esclusivamente il criterio teologico a "scegliere" tra una traduzione-interpretazione e l'altra?
Insomma solita questione traduzione-interpretazione?
Chi legge il greco dunque è libero di leggere "quello che più gli fa comodo" ?
Claudio

 
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Hard-Rain
view post Posted on 3/11/2009, 14:13     +1   -1




QUOTE
Chi legge il greco dunque è libero di leggere "quello che più gli fa comodo" ?

L'ambiguità di fondo è presente anche in italiano, dipende da come uno parla e da cosa la gente era abituata ed è abituata a sentirsi dire. Per la mia modesta esperienza di greco, la traduzione CEI mi pare - in questa circostanza - migliore e io avrei capito così. Anche alla luce poi delle riflessioni ulteriori sulla vita dopo la morte fatto dallo stesso Luca.

A parte questo, l'italiano stesso non è meno ambiguo del greco o di altre lingue, se uno non sta attento. Per esempio l'altro giorno io stesso in un mio post scritto nella nostra bella lingua italiana asolutamente non ambigua (secondo noi) avevo scritto:

"Ross sosteneva che il manoscritto fosse stato fatto realizzare addirittura da Poggio Bracciolini, in epoca rinascimentale, con lo scopo di trarne illecitamente profitto."

Intendevo dire che (1) fu Bracciolini, secondo Ross, a trarre illecitamente profitto o cercare di trarne, oppure (2) che Ross trasse profitto dalle sue tesi? In generale, entrambe le soluzioni sono possibili. In realtà chi mi conosce sa bene che volevo intendere il senso (1) e non il (2).

Edited by Hard-Rain - 3/11/2009, 14:34
 
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Theodoros
view post Posted on 3/11/2009, 15:24     +1   -1





CITAZIONE
Il purgatorio è dunque quell’istante in cui l’anima, a faccia a faccia con la perfezione divina, vede paragonata la propria imperfezione con la suprema bontà del creatore, e capisce quale sia stata la misura dei suoi peccati, facendo sì che questa sua contrizione davanti alla fiamma dell’Amore divino la purifichi.

Mi rendo conto che siamo in buona parte offtopic, ma se questa formulazione fosse teologicamente accettabile dal magistero (e credo proprio che non lo sia), sarebbe sufficientemente ortodossa da dirimere la vexata quaestio del purgatorio nei rapporti con la chiesa ortodossa.

 
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