Studi sul Cristianesimo Primitivo

Ain Karem

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Saulnier
view post Posted on 20/8/2009, 17:13 by: Saulnier     +1   -1





Il passo seguente è una comunicazione fatta dal domenicano Jean Marta, canonico del Santo Sepolcro a Barnabé Meistermann tratta dal suo libro “La Patrie de Saint-Jean Baptiste” (Parigi, 1904) purtroppo non disponibile on line.
La traduzione dal francese è la mia.

“Nell’anno 1253, il celebre scrivano copto Asad Ibn el Assal intraprese la redazione di una versione critica, in lingua araba, dei quattro vangeli. A questo scopo, come egli stesso racconta, egli si servì di un esemplare greco, di molti esemplari di due versioni copte, (la memphitica e la saidica), oltre che di un gran numero di antichi manoscritti delle cinque versioni arabe più stimate alla sua epoca.
Una di queste versioni arabe, ci dice ancora Ibn el Assal, era stata fatta dal dottore damasceno Taufilos Ibn Taufil, vescovo del Cairo e tre altre, secondo le versioni siriache: una da Diser Ibn es Sirri, l’altra dal celebre scrivano Aboul Garage Ibn et Taieb e la terza da un anonimo.
Sappiamo inoltre, grazie ad un'altra fonte, che Ibn el Assal utilizzò molti esemplari di una quinta versione araba, fatta da un anonimo secondo il testo greco.
Ora, nel 1884 ho avuto la buona fortuna di trovare nel convento di San Giorgio dei Copti, a Gerusalemme, un esemplare completo del lavoro di Ibn el Assal. Si tratta di una copia fatta l’anno 1075 dei Martiri, corrispondente all’anno 1359 della nostra era. Oltre al testo integrale dei quattro Vangeli, questo prezioso manoscritto contiene l’introduzione generale e la prefazione particolare ad ogni Vangelo, con le note in copto e in arabo, attraverso le quali egli ci fa conoscere le differenti lezioni dei suoi manoscritti.
Tra le numerose varianti che sono sfuggite all’attenzione di Tischendorf (Novum Testamentum Grasce, editio octava critica major) la recensione di Ibn el Assal ne contiene una che costituisce un argomento tanto prezioso quanto inatteso, in favore della tradizione che, da tempo, ha venerato Ain-Karim come la patria del santo precursore Giovanni Battista.
Dopo aver riprodotto il versetto 39 del primo capitolo del Vangelo di San Luca, conformemente al testo originale (“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna”) Ibn el Assal avverte con una nota marginale che la versione saidica e i manoscritti arabi portano le parole Ain-Karem al posto dell’espressione ‘la montagna’, ‘in montana’.
L’antica lezione che il celebre scrivano ci ha conservato nella sua versione critica è pienamente confermata da un atro manoscritto arabo, che io ho parimenti trovato presso i Copti di Gerusalemme, e che è stato copiato dal monaco Thomas es Saiegh l’anno 1042 dei Martiri, cioè nel 1326. E’ una versione fatta secondo il testo originale greco, come assicura il copista.
Nel Vangelo di San Luca, I, 39, si legge, non più in margine, ma nel testo stesso:
In quei giorni Maria si mise in viaggio in fretta verso Ain Karem, città di Giuda”.
Confrontando molti passaggi del manoscritto di Saiegh con la versione di Ibn el Assal, mi sono potuto convincere che il primo appartiene alla famiglia di manoscritti arabi citati da Ibn el Assal in favore di Ain-Karem, e che essi risalgono tutti ad una stessa versione araba, tradotta dal greco, a mio parere nel X secolo.
I Copti possiedono un altro vangelo in arabo, copiato nel secolo ultimo, da un manoscritto di cui io non conosco l’epoca, esso porta come il precedente la variante Ain-Karem in luogo di ‘in montana’.
Presso gli Abissini, ho trovato una versione etiope, copiata alla stessa epoca, in cui le parole ‘in montana’ sono sostituite da Aina Karm. Questi monaci mi hanno detto che in Abissinia, in molti esemplari di antiche versioni etiopi, la patria di Zaccaria, visitata dalla Santissima Vergine, è designata con il nome di Aina Karm.
Si può concludere da ciò che sin da subito i Cristiani di Egitto erano pienamente convinti che Ain Karem fosse la patria di Giovanni Battista, poiché già al X secolo, come sembra, essi si sono permessi di inserire questo nome nel testo stesso del Santo Vangelo. Questa credenza così ferma non può che essere l’eco di una tradizione comune e solida in vigore presso i loro vicini di Siria e Palestina.”


Una tradizione comune e solida fa di Ain Karem la patria di Giovanni Battista.
Una tradizione basata sulle parole stesse di alcune varianti del Vangelo di Luca I, 39:
“In quei giorni Maria si mise in viaggio in fretta verso Ain Karem, città di Giuda”.

Ma dove si trova Ain Karem?

Il sito

http://198.62.75.4/www1/ofm//san/TSkarimMN_it.html

riporta numerose notizie su un piccolo villaggio nei pressi di Gerusalemme, nella regione montuosa della Giudea, che sarebbe, secondo la tradizione cattolica da identificarsi con l’Ain Karem patria di Giovanni Battista.
Resta da chiedersi quali sono le fonti che hanno permesso di localizzare Ain Karem, patria di Giovanni, con il villaggio nei pressi di Gerusalemme.

L'arcidiacono Teodosio nel VI secolo non nomina Ain Karem ma ci fornisce questa breve informazione che costituirà la base dell’identificazione del sito con il villaggio presso Gerusalemme :

"Da Gerusalemme fino dove abitava santa Elisabetta, madre di Giovanni Battista, 5 miglia"

Il villaggio identificato dalla tradizione cattolica si trova effettivamente a questa distanza all’incirca da Gerusalemme, in una zona montuosa.
Ma il riferimento più circostanziato è senz’altro quello di Epifanio l’Agiopolita (IX-XI secolo) il quale ci informa:

"Presso la Città Santa, a occidente, si trovano due grotte che contengono le reliquie dei Santi Innocenti uccisi da Erode. A circa sei miglia da lì vi è il Karmelion Oros (il monte Karmelion) che era di proprietà della famiglia del precursore.”

Epifanio l’Agiopolita, commette un errore nel nominare la patria di Giovanni, chiamandola Karmelion invece di Ain Karem, ma pochi dubbi sussistono sul fatto che il monaco intendesse con queste parole riferirsi proprio all’Ain Karem della tradizione. Tuttavia l’errore di Epifanio è grave poiché rende inintellegibile l’etimologia delle parole che identificano il luogo di nascita di Giovanni, etimologia che è fondamentale per poter collocare geograficamente la montagna alla quale intendeva riferirsi lo scriba.
Ma Ain Karem è anche nominata in un documento apocrifo poco conosciuto.
Si tratta de “La vita di Giovanni Battista” di Serapion, vescovo di una città egiziana, durante il patriarcato di Theophilus, (Alessandria, 385-412 d.C).
L’apocrifo sarebbe dunque da collocarsi alla fine del IV secolo d.C.
Mingana, nella sua traduzione presentata in Woodbrooke studies, Christian documents in Syriac, Arabic and Garshuni, vol.1, consultabile on line qui

http://www.archive.org/stream/woodbrookest...age/n3/mode/2up

ci dice comunque che “senza entrare nei dettagli, ritengo comunque che il testo sembra contenere, frasi che sono state interpolate da autori o copisti che devono aver vissuto in una data più tarda rispetto a quella di Serapion”.

Il testo è stato ricostruito sulla base di due manoscritti, incompleti ma complementari (Myngana Sir.22 e Myngana Sir.183) redatti in Garshuni (arabo in caratteri siriaci).

Nell’apocrifo di Serapion Ain Karem è il luogo dove Elisabetta si rifugia con Giovanni per evitare le persecuzioni di Erode.

“Elisabetta andò via con suo figlio, e si recò nella regione selvaggia di Ain Karim”.

La stessa storia è presente anche nel protovangelo di Giacomo (XXII, 3) ma Ain Karem non è nominata:

“Anche Elisabetta, avendo udito che si cercava Giovanni, lo prese e salì sulla montagna, guardandosi attorno dove nasconderlo, ma non c’era un luogo di rifugio.”

Faccio notare che ancora una volta lo stesso luogo è indicato alternativamente con le parole “la montagna” ed “Ain Karem” come nel versetto di Luca I, 39, in precedenza citato.
Ma l’apocrifo di Serapion è particolarmente importante perché a mio avviso l’autore di questo scritto, sa che Giovanni Battista e Gesù costituiscono un unico personaggio nella Storia e che la patria di questo personaggio fu Gamala.
Perché?

L’apocrifo di Serapion riporta:

“In quei giorni ella (Maria) si alzò e si recò nella regione montuosa, nella città di Giuda ed entrò nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta”

L’autore dell’apocrifo, evidentemente non traduce l’ eis polin Iouda di Lc, I,39 con “in una città di Giudea” bensì con “nella città di Giuda”. Cosa ha voluto intendere lo scriba? Una citta chiamata Giuda o la città di un personaggio di nome Giuda? Su questa questione si sono già spesi litri di inchiostro anche in questo forum tuttavia mi preme riportare di sguito il pensiero di Hard Rain.

Cit. Hard Rain

CITAZIONE
Vorrei fare ulteriori considerazioni riguardanti Lc. 1:39.

Non si può stabilire così asetticamente estrapolando la frase dal suo contesto se qui si intendesse dire "una città di Giuda" o "la città di Giuda".

Questo vale in generale, perchè il contesto è sempre determinante per stabilire il carattere dell'articolo, non avendosi una corrispondenza 1:1 con l'articolo italiano o inglese, a maggior ragione vale qui che abbiamo una preposizione: eis polin Iouda.

Vi sono diversi passaggi del Nuovo Testamento in cui gli articoli sono omessi, eppure il senso è determinato. Un caso eclatante è 1 Pietro 1:5, tous en dunamei theou frouroumenous dia pisteôs eis sôtêrian hetoimên apokalufthênai en kairôi eschatôi.

Dopo le preposizioni en, dia ed ancora en, non abbiamo alcun articolo. Eppure la frase viene intesa e tradotta: "dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi" e non certo "da una potenza di Dio mediante una fede siete custoditi, per una salvezza che sarà prontamente rivelata in certi ultimi tempi."

Ma questo è lecito perchè è noto e presupposto il concetto di Dio, di salvezza, di fede, di ultimi tempi e poi l'autore ne parla nel corso della lettera. Nel caso di Giuda, il testo non dice nulla su chi sia questo Giuda, non abbiamo niente dal contesto che ci lasci intendere che esistesse "la città di Giuda", non si può supporre un uso anaforico e neppure cataforico dell'espressione. E' la prima ed unica occorrenza di una simile espressione.

Quanto scritto da Hard Rain è assolutamente condivisibile. Quello che mi sembra assolutamente evidente dal contesto del Vangelo di Luca è che il suo autore, voleva in effetti che il goy al quale il suo Vangelo era destinato intendesse “eis polin Iouda” come “in una città della Giudea” perché tale è il suo significato più ovvio deducibile dal contesto.
Ma la natività di Gesù-Giovanni nel Vangelo di Luca è un racconto allegorico, pieno di giochi parole ed espressioni a doppio senso. La storia si mescola all’allegoria astrologica ed è più volte quest’ultima ad avere la meglio.
Quello che voglio dire è che l’autore del Vangelo conosce la verità, ma la rende inintelligibile al non iniziato attraverso espressioni con doppio significato. Processo per nulla nuovo in ambito religioso dove il sacerdote, già da millenni prima dell’era cristiana, ha tratto vantaggio nel mantenere il popolo nell’ignoranza e nella superstizione.
Per la stessa ragione nel vangelo Gesù e Giovanni sono apparentemente personaggi distinti, come pure Zaccaria-Giuseppe ed Elisabetta-Maria.

Ancora leggiamo nell’apocrifo di Serapion:

“E lei (Elisabetta) disse “Io ho fiducia nel bacio che Maria, Sua (di Gesù) madre, mi diede, perché quando la salutai il bambino sussultò di gioia nel mio grembo ed io sentii i due bambini abbracciarsi l’un l’altro nei nostri grembi”

I due bambini riescono ad abbracciarsi solo perché si trovano nello stesso grembo, quello di Elisabetta-Maria, non c’è altro modo.
I due bambini Gesù-Giovanni non fanno che uno.

Ancora:

“Immediatamente dopo Gabriele, il capo degli angeli, scese dai cieli tenendo un abito e una cintura di cuoio e gli disse: “O Zaccaria, prendi questi e mettili su tuo figlio. Dio glieli ha mandati dal Cielo. Questo abito è quello di Elijah e questa cintura quella di Elisha. E il Santo Zaccaria li prese dall’angelo, pregò su di essi, li diede a suo figlio e gli allacciò l’abito che era di peli di cammello con la cintura di cuoio”.
...
“Ed Elisabetta aggiunse “Io andai e misi su mio figlio un abito di peli di cammello e una cintura di cuoio in modo che la montagna del deserto sacro potesse essere abitata”

Giovanni Battista non può andare sulla montagna, ad Ain Karim senza l’abito di cammello allacciato con una cintura di cuoio, perché non saprebbe dove recarsi. Il cammello è il Gamel, cammello in ebraico, ed Ain Karem è Gamala la città con il profilo a forma di cammello.

Ma cosa significa Ain Karem?
L’Ein Karem in ebraico è la fonte della vigna.
Di quale vigna si tratta?
La Vigna del Signore, il popolo di Israele.
Isaia 5:5-7.

"Ebbene, ora vi farò conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: le toglierò la siepe e vi pascoleranno le bestie; abbatterò il suo muro di cinta e sarà calpestata. Ne farò un deserto; non sarà più né potata né zappata, vi cresceranno i rovi e le spine; darò ordine alle nuvole che non vi lascino cadere pioggia. Infatti la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele, e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d’angoscia!”

Chi trasforma l’acqua in vino alle nozze di Kana, Gesù o Giovanni Battista?
Chi è la fonte della Vigna, Gesù o Giovanni?

Nell’apocrifo di Serapion vediamo Gesù muoversi su una nube insieme a sua madre (Maria-Salomé).

“Ed essi (Gesù e Maria-Salomé) salirono sulla nuvola che volò con loro fino alle regioni selvagge di Ain Karem (Fonte della Vigna).”

Non posso fare a meno di paragonare questo brano con Apocalisse XIV,13-20

“Io guardai ancora ed ecco una nube bianca e sulla nube uno stava seduto, simile a un Figlio d'uomo; aveva sul capo una corona d'oro e in mano una falce affilata.Un altro angelo uscì dal tempio, gridando a gran voce a colui che era seduto sulla nube: "Getta la tua falce e mieti; è giunta l'ora di mietere, perché la messe della terra è matura". Allora colui che era seduto sulla nuvola gettò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta.
Allora colui che era seduto sulla nuvola gettò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta.
Allora un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, anch'egli tenendo una falce affilata. Un altro angelo, che ha potere sul fuoco, uscì dall'altare e gridò a gran voce a quello che aveva la falce affilata: "Getta la tua falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature". L'angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l'uva nel grande tino dell'ira di Dio. Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì sangue fino al morso dei cavalli, per una distanza di duecento miglia.”


Gesù-Giovanni doveva essere la fonte della Vigna, colui che doveva ripiantare la Vigna del Signore, il suo popolo prediletto in Israele, il Messia che doveva liberare la sua terra dall’occupazione straniera.
Il vino, dolce per Israele, doveva trasformarsi infine nel sangue dell’oppressore romano.

Saulnier
 
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14 replies since 20/8/2009, 17:13   1203 views
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