Studi sul Cristianesimo Primitivo

La conversione interiore negli esseni e in Gesù

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salvo.52
view post Posted on 25/2/2009, 21:13     +1   -1




Nella teologia dell’ebraismo antico erano centrali i riti di espiazione per i peccati commessi. Tali riti sono descritti soprattutto nei capitoli 4 e 5 del Levitico e in alcuni passi di Numeri. Si distinguono quelli dovuti per un peccato personale e quelli dovuti quando peccava l’intero Israele (Lv 4,13-21; Nm 15,22-26). In numerosi passi alla frase «il sacerdote compirà per lui l’espiazione» segue subito la frase «e gli verrà perdonato» (Lv 4,26.31.35; 5,10.13.18.26; 19,22). Questa sequenza ripetuta indica che si credeva che i peccati venissero perdonati da Dio attraverso il rito dell’espiazione. Probabilmente dopo la riforma di Esdra (V sec. a.C.) nel calendario delle feste è entrato, il dieci del settimo mese di ogni anno, il Giorno dell’Espiazione (yom ha-kippurim), che ricordava l’antico rito del capro espiatorio (Lv 16,1-28), per ottenere la remissione per i peccati compiuti da Israele. Secondo il giudaismo rabbinico, per la remissione dei peccati gravi non basta il pentimento, ma occorre il rito del Giorno dell’Espiazione (cfr. Mishnah, Joma, VIII,8).
Certamente ai tempi di Gesù il rito del Giorno dell’Espiazione al tempio di Gerusalemme era annualmente un rito centrale sia per i sadducei che per i farisei. Mentre la posizione degli esseni era diversa. In un passo centrale della Regola della Comunità si legge: «Non diverrà pio grazie alle espiazioni, né sarà purificato dalle acque lustrali, né sarà santificato dai mari o fiumi, né sarà purificato da tutta l’acqua delle abluzioni. Impuro, impuro sarà tutti i giorni che rifiuta i precetti di Dio […]. È attraverso la sottomissione della sua anima a tutte le leggi di Dio che è purificata la sua carne per essere aspersa di acque lustrali ed essere santificata con le acque di contrizione» (1QS III,4-9). E più avanti leggiamo: «Non entri nelle acque per partecipare del puro cibo degli uomini santi, poiché non si sono purificati, a meno che non si convertano dalla loro malvagità» (1QS V,13-14). Sembra chiaro che per gli esseni la purificazione è ottenuta non attraverso i riti di espiazione o attraverso il rito in sé dell’immersione in acqua, ma dal ritorno del peccatore a Dio e dalla sua sottomissione alle leggi di Dio.
I numerosi passi qumranici in cui si prescrive la purificazione attraverso l’acqua e le abluzioni non si riferiscono alla purificazione dai peccati, ma alla eliminazione dell’impurità, la quale impedisce l’accesso al sacro. Nei testi esseni non si dice mai che l’acqua purifica dai peccati.
Oltre a quello citato sopra, vi sono altri passi che ritengo importanti e che riporto, perché possono aver influenzato sia Giovanni Battista che Gesù: «È attraverso lo spirito di santità che lo unisce alla sua verità che è purificato da tutte le sue iniquità. Ed è attraverso lo spirito di rettitudine e di umiltà che il suo peccato è espiato» (1QSa III,7-8). Per gli esseni la remissione dei peccati non è operata non dal rito, ma avviene perché l’uomo si converte attraverso lo spirito che ha ricevuto. In altri due passi si parla del tempo finale: «Al tempo della sua visita […] purificherà Dio con la sua verità tutte le opere dell’uomo, e purgherà così la struttura dell’uomo sradicando ogni spirito di ingiustizia dall’interno della sua carne, e purificandolo con lo spirito di santità da ogni azione empia. Si verserà su di lui, come acque lustrali, lo spirito di verità, [per purificarlo] da tutti gli abomini di falsità e dalla contaminazione dello spirito impuro» (1QS IV,18-22); vi sarà una «purificazione del cuore degli uomini della [comunità …] nei giorni ultimi» (4Q177 II,10). Dunque, gli esseni pensavano che la purificazione del cuore degli uomini operata da Dio con lo spirito di santità sarebbe avvenuta alla fine dei tempi.
Questi ultimi due passi possono contribuire a spiegare il clima di attesa messianica di questa “visita” di Dio, che si respirava in Palestina nel I sec. a.C. e nel I sec. d.C.
È proprio in questo clima che va collocata la figura di Giovanni Battista. Infatti, uno dei contenuti centrali della sua predicazione è collegabile a questi due ultimi passi dell’essenismo: «Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà con Spirito santo» (Mc 1,8; cfr. Mt 3,11; Lc 3,16; Gv 1,33).
Un collegamento di Giovanni Battista al movimento esseno, o meglio una sua derivazione o formazione essena, è assai probabile. È possibile che egli, cresciuto a Qumran (cfr. Lc 3,2), a un certo punto abbia avuto una rivelazione (cfr. Lc 3,2; Gv 1,33) e sia andato a predicare nel deserto e a battezzare. Ma la premessa del suo battesimo nel Giordano era la conversione personale (Mt 3,2.8; Mc 1,4; Lc 3,3.8). Anche questo lo avvicina all’essenismo, secondo cui la conversione deve precedere l’aspersione lustrale (1QS III,2-9; V,13-14). Non solo, ma questa conversione era richiesta «poiché vicino è il regno dei cieli» (Mt 3,2). E questo sembra un altro elemento che gli è stato trasmesso a Qumran.
Scrive su Giovanni battista lo storico ebreo Giuseppe Flavio: «Era Giovanni un uomo retto, il quale invitava i giudei a praticare la virtù, la reciproca giustizia e la pietà verso Dio, e quindi ad accostarsi al battesimo: il battesimo sarebbe stato accetto a Dio non per ottenere il perdono dei peccati ma per la purificazione del corpo, in quanto l’anima era già stata purificata dall’esercizio della giustizia» (Antichità giudaiche XVIII,117). Un confronto tra questo passo di Giuseppe Flavio e quelli qumranici già citati di 1QS III,4-9 e V 13-14) porta a sostenere ulteriormente un’influenza degli esseni su Giovanni Battista. Per Giovanni, dunque, il battesimo era un atto di purificazione del corpo contaminato dai peccati dopo la remissione dei peccati per la quale era necessaria la conversione personale. La cosa fondamentale per lui era la conversione (metanoia) come causa e premessa della purificazione. Ciò è confermato dall’espressione «battesimo di conversione» con cui è indicato il battesimo di Giovanni dagli autori dei Vangeli di Marco e di Luca (Mc 1,4; Lc 3,3) e da Paolo (At 13,24; 19,4).
Poiché la remissione dei peccati, per i farisei e i sadducei, avveniva attraverso i riti dei sacrifici e del Giorno dell’Espiazione compiuti nel tempio, Giovanni Battista è in aperto contrasto con loro e questo contrasto traspare chiaramente da alcuni passi evangelici (Mt 3,7-9; Lc 3,7-8; 7,29-30; Gv 1,19-25). Nei passi paralleli di Mt 3,7-9 e Lc 3,7-8 il Battista dice a farisei e sadducei che, essendo il giudizio di Dio imminente, occorre convertirsi e non illudersi che l’appartenenza alla discendenza di Abramo, cioè l’appartenenza religiosa, possa essere invocata come un merito o un alibi di fronte a Dio.
La predicazione di Giovanni Battista e la sua concezione che è la conversione interiore, e non l’immersione nell’acqua o l’aspersione del sangue da parte del sacerdote al tempio, che produce la remissione dei peccati, viene condivisa da Gesù, il quale inizierà la sua predicazione con lo stesso invito del Battista: «Convertitevi, poiché è vicino il regno dei cieli» (Mt 4,17; cfr. Mc 1,15). Egli afferma di essere venuto a chiamare «i peccatori alla conversione» (Lc 5,32), che «c’è gioia in cielo per un peccatore che si converte» (Lc 15,7.10), che la conversione serve alla salvezza (Lc 13,3.5) e che nel suo nome dev’essere predicata «a tutte le genti la conversione per la remissione dei peccati» (Lc 24,47). Quest’ultimo passo (quando è tradotto correttamente in modo letterale) indica in modo chiaro che la conversione è la condizione per la remissione dei peccati. Identico concetto è espresso nel discorso di Pietro al tempio (At 3,19). Lo stesso Pietro aveva detto che il battesimo dev’essere preceduto dalla conversione (At 2,38). I discepoli inviati da Gesù predicano la conversione (Mc 6,12). E saranno poi gli stessi fedeli circoncisi di Gerusalemme a dire che «anche ai pagani Dio ha concesso la conversione perché abbiano la vita» (At 11,18). Così Paolo, nella seconda Lettera ai Corinzi, parlerà di una «conversione per la salvezza» (2 Cor 7,10). E dirà poi, nel suo discorso all’Areopago, che la conversione è richiesta da Dio (At 17,30).
Quando Gesù va a ricevere il battesimo di Giovanni, accade un fatto straordinario che segnerà la sua vita e darà inizio alla sua missione: i cieli si aprono, lo Spirito di Dio discende su di lui in forma di colomba e una voce dai cieli lo proclama figlio amato (Mt 3,16-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; Gv 1,32-34). È verosimile pensare che questa esperienza sconvolgente vissuta durante il battesimo di Giovanni abbia confermato fortemente in Gesù la sua convinzione che la cosa fondamentale è la conversione del cuore, il cambiamento di mentalità, il rinnovamento interiore. Mentre per i sadducei e i farisei la remissione dei peccati avviene attraverso un rito; per gli esseni, per Giovanni Battista e per Gesù avviene attraverso la conversione. Ciò conferma come non si possa mettere in luce il Gesù storico se si prescinde da un suo rapporto con l’essenismo e con Giovanni Battista.
Da ciò nascono alcune critiche che Gesù rivolge agli aspetti cultuali e rituali del giudaismo del suo tempo: egli afferma che è ciò che viene dal cuore, non ciò che viene dall’esterno, a contaminare l’uomo (Mt 15,17-20; Mc 7,18-23); dichiara «beati i puri di cuore» (Mt 5,8); critica un ritualismo che non si accompagni ad opere frutto di conversione (Mt 15,1-9; 23,23-24; Lc 11,41-42) o alla pulizia interiore (Mt 23,25-28; Lc 11,38-41).
L’appello di Gesù alla conversione interiore non è un appello a eliminare ogni forma di culto. Il suo rovesciamento dei banchi dei cambiavalute al tempio non è un’opposizione al culto del tempio, ma un richiamo alla sacertà del luogo offuscata dalla disonestà dei cambiavalute. La sua concezione che il rispetto per la vita viene prima del rispetto dei precetti del sabato è simile a quella del fariseo Hillel e del giudaismo rabbinico, secondo cui «in caso di pericolo di vita si deve profanare il sabato» (Talmud babilonese, Joma, 85b). E Gesù è per il resto un ebreo osservante: si reca a Gerusalemme per la festa della Pasqua (Lc 2,41; Gv 2,13.23) e per la festa delle Capanne (Gv 7,2.10); non critica i sacrifici fatti al tempio (Mt 5,23-24; 8,4; Mc 1,44; Lc 5,14); frequenta la sinagoga il sabato (Mc 6,2; Lc 6,6; 13,10); dice che si deve pagare la decima (Mt 23,23; Lc 11,42); compie la preghiera mattutina (Mc 1,35) e quella serale (Mt 14,23; Mc 6,46; Lc 6,12); usa le frange prescritte nell’abito (Mt 9,20; 14,36; Mc 6,56; Lc 8,44).
Ma l’idea della remissione dei peccati da parte di Dio attraverso la conversione interiore e non attraverso i riti di espiazione doveva avere per Gesù una grande importanza. Egli pensava e affermava che occorre un cambiamento di mentalità e un pentimento, più che un rito; che la lotta contro il male e il peccato non si vince eseguendo un rito, ma si vince lottando contro il proprio egoismo.
Questa idea non è antireligiosa o areligiosa, perché lo stesso Gesù, come abbiamo visto, non lo è. Questa idea mi sembra anzi “interreligiosa”, perché un cambio di mentalità e una lotta contro il proprio egoismo è alla base anche di molte religioni non cristiane (in particolare il buddhismo, l’induismo, l’islamismo), così come il pentimento per le cattive azioni è richiesto in molte religioni. L’importanza dell’interiorità nei confronti dell’esteriorità traccia, a mio avviso, un Gesù “interreligioso” che è un Gesù attualissimo, perché è un Gesù il cui messaggio non divide, ma unisce.

Salvatore Capo

 
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view post Posted on 18/7/2010, 20:03     +1   -1
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una visione di Gesù davvero bellissima, un Gesù Ebreo osservante che richiama tutti i sacrifici materiali, alla pura conversione del cuore, quindi al sacrificio spiriatuale e personale che non ha un valore quantificabile innanzi a qualsiasi animale sacrificato, un Gesù punto di unificazione, un Gesù Maestro che non abolisce la legge ma le dà compimento, un Gesù Ebreo che ama la legge di HaShem.
 
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view post Posted on 18/7/2010, 20:13     +1   -1
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אריאל פינטור

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CITAZIONE
Nella teologia dell’ebraismo antico erano centrali i riti di espiazione per i peccati commessi.

Non per ogni tipo di peccato, solo per i peccati involontari.

CITAZIONE
I numerosi passi qumranici in cui si prescrive la purificazione attraverso l’acqua e le abluzioni non si riferiscono alla purificazione dai peccati, ma alla eliminazione dell’impurità, la quale impedisce l’accesso al sacro.

esatto, questo vale anche nell'Ebraismo tradizionale. Il concetto di peccato non ha nulla a che vedere con quello di putità o impurità.

CITAZIONE
È attraverso la sottomissione della sua anima a tutte le leggi di Dio che è purificata la sua carne per essere aspersa di acque lustrali ed essere santificata con le acque di contrizione» (1QS III,4-9). E più avanti leggiamo: «Non entri nelle acque per partecipare del puro cibo degli uomini santi, poiché non si sono purificati, a meno che non si convertano dalla loro malvagità»

Il pentimento è regola fondamentale anche nell'Ebraismo. Senza la Teshuvà (letteralmente : ritorno), cioè il pentimento sincero dell'uomo, non vi è sacrificio o offerta che serva.
 
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