Studi sul Cristianesimo Primitivo

Leone X e la favola di Cristo

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Saulnier
view post Posted on 6/4/2010, 15:54     +1   -1




“Quantum nobis ac nostro coetui profuerit ea de Christo fabula, satis est seculis omnibus notum”

Prima di iniziare l’analisi di questa citazione occorre brevemente fare piazza pulita delle numerosissime amenità letterarie che circolano sulla rete concernenti il passaggio in questione.
Il passaggio contenuto nel libro “La favola di Cristo” di Cascioli (recentemente scomparso) su una presunta lettera tra Pietro Bembo e Leone X conservata all’Archivio Vaticano, contenente una versione del passaggio in questione non ha ricevuto, da parte dell’autore, il benché minimo riscontro documentale e pertanto può essere tacciata a ragione di pura invenzione letteraria, priva di qualsiasi valore storico. Cascioli per dare autorevolezza al passaggio potrebbe avere inventato una fonte storica inesistente, un comportamento indubbiamente da censurare.
Ma da censurare è pure il comportamento di chi, pretendendo di dare una lezione al Cascioli, si comporta esattamente allo stesso modo aggiungendo alle invenzioni letterarie la calunnia gratuita.

Citazione tratta da:

http://www.scienzeantiche.it/forum2005/top...837&whichpage=4

dove si è molto discuso sulla questione “la favola di Cristo”:

cit. Waylander
CITAZIONE
Hahahahahahahahaha!!!!! Sei sempre più divertente! Ti confiderò un segreto: qualche tempo fa mi ha chiamato il papa dicendomi che oramai non dormiva più la notte per tema del libro del Cascioli e che era necessario fare qualcosa. Per cui nottetempo ci siamo introdotti negli archivi, abbiamo distrutto tali lettere, spostato gli scaffali e cambiato il metodo di catalogazione degli interi Archivi Segreti in una notte. Visto che c'eravamo abbiamo anche spostato il Graal in una teca meno visibile e nascosto meglio la lancia di Longino. E nessuno se ne è accorto! Siamo stati proprio bravi! Hahahahahahahahahahahahahahaaaaa...... capisco la disperazione a vedere ridicolizzate in questo modo le proprie certezze, ma un minimo di dignità... suvvia!

Comunque, per coloro che fossero un minimo interessati alla storia e non ai quaqquaraqa, ecco come è andata. Questa citazione era originariamente in inglese perchè è tratta dall'opera satirica e anticattolica: "The Pageant of Pope", di John Bale (1495-1563), un ex carmelitano passato al protestantesimo, protetto e foraggiato dalla corte anglicana di Enrico VIII (c.f. Leslie P. Fairfield: John Bale - Mythmaker for the English Reformation; Purdue University Press 1976). Questo è il passaggio in questione: "He addicting himselfe to nicenesse, and takinge ease did pamper his fleshe in diverse vanities and carnal pleasures. At banqueting he delighted greatly in wine and musike: but had no care of preaching the Gospell, nay was rather a cruell persecutour of those that began then, as Luther and other to reveale the light thereof: for on a time when a cardinall Bembus did move a question out of the Gospell, the Pope gave him a very contemptuouse aunswere saiying: All ages can testifie enough howe profitable that fable of Christe hath ben to us and our companie". Come si vede non si parla neppure di una lettera, ma è una frase inventata che l'autore, che mai ha incontrato Leone X, gli mette in bocca per spirito polemico in una satira anticattolica. Non è storia, ma pura e semplice satira, invenzione letteraria dunque. Quest'opera è stata in pratica dimenticata dalla storia per le sue scarse qualità artistiche, e tale frase di Bale finì per secoli nel dimenticatoio sino a che nel XIX secolo un autore bizzarro di nome Robert Taylor rilesse l'opera di Bale e tirò fuori questa frase traducendola in latino. Tanto per far capire chi fosse, questo Taylor era un personaggio alquanto ridicolo che affermava che l'intera Bibbia era stata inventata e scritta da monaci egiziani nel 250 a.C. (Diegesis 1829)! Come si vede siamo ben lontani dalla storia e in pieno pettegolezzo satirico e fantasia para-storica.
Questa frase ha avuto molto successo prima nei circoli anticattolici e massonici inglesi poi è passata nel continente, dove passa di sito in sito e viene ripresentata continuamente con riferimenti diversi a seconda di chi la riporta, ma sempre e invariabilmente sbagliati e inventati, a dimostrazione della inesistente accuratezza scientifica di chi pretende di fare storia ma non è neppure in grado di fare verifiche sulle fonti che usa.

Ora, come fate ancora, umanamente e logicamente, a credere al Cascioli?

Vedi anche

www.tektonics.org/lp/popeleox.html

Ora umanamente e logicamente, non si può credere al Cascioli ma neppure alle fandonie contenute in questo breve post che parla di “inesistente accuratezza scientifica di chi pretende di fare storia ma non è neppure in grado di fare verifiche sulle fonti che usa” e poi ricade esattamente nel medesimo errore. Si combatte la mistificazione e la disinformazione in sostanza con gli stessi mezzi (aggiungendovi calunnie gratuite contro Robert Taylor che, per ovvie ragioni, non è nelle condizioni di potersi difendere). Ora questo autore ‘bizzarro’ e avrebbe tradotto in latino nientemeno che nel XIX secolo la frase di John Bale che sarebbe stata tratta da “Pageant of the Popes” originariamente scritto in inglese. La mendacità di tale affermazione è talmente evidente che sorprende che qualcuno abbia potuto permettersi di utilizzarla senza essere messo in ridicolo.
John Bale scrisse la sua opera originariamente in latino nel 1558 con il titolo “Acta Romanorum Pontificum” e naturalmente in essa vi si ritrova, in latino per l’appunto, il passaggio in questione.
Per delegittimare in maniera completa il reverendo Robert Taylor e poter privare di qualsiasi valenza storica il passaggio su Leone X si ricorre di seguito ai cari metodi della vecchia apologia cristiana (Tertulliano docet), ovvero la calunnia e la menzogna sulle opere di autori che non possono più difendersi perché morti e sepolti da un paio di secoli. Robert Taylor avrebbe affermato che l’intera Bibbia sarebbe stata inventata e scritta da monaci egiziani nientemeno che nel 250 a.C. Questa è davvero grossa! E’ proprio il caso di dire che Taylor era un personaggio ‘alquanto ridicolo’ e che pertanto come risulta evidente ‘siamo ben lontani dalla storia e in pieno pettegolezzo satirico e fantasia para-storica.’
Il problema dei nuovi apologeti è che mentre gli scritti degli autori che Tertulliano ed i suoi numerosi epigoni denigravano sono andati irrimediabilmente perduti, (troppo spesso dunque è impossibile stabilire la veridicità delle loro affermazioni) tale non è il caso per l’autore in questione, Robert Taylor per l’appunto.
Ora aprendo il Diegesis a pag.429 ecco cosa vi troviamo scritto:

www.archive.org/details/diegesis00unkngoog

The version of first translation of the Jewish scriptures into Greek, made by 70 or 72 translators called in proof, the Septuagint is properly the Alexandrian version, as having been made at Alexandria in Egypt, about 250 years b.C.


Taylor ha dunque semplicemente affermato (con ragione) che la versione Greca della Bibbia, comunemente nota come versione dei Settanta è stata redatta ad Alessandria in Egitto, intorno al 250 a.C. e non che l’intera Bibbia sia stata inventate in quegli anni.
Si tratta dunque solamente di una calunnia gratuita per delegittimare l’autore e di conseguenza la possibile autenticità dell’aneddoto, sulla quale in verità vi è moltissimo da dire e sul quale nei prossimi giorni tenteremo di dare una, quantomeno verosimile, interpretazione storica.

 
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MsNifelheim
view post Posted on 6/4/2010, 19:55     +1   -1




Ciao, non vorrei essere polemico e visto il poco tempo a disposizione per rispondere probabilmente non potrò più seguire questa discussione. Ad ogni modo nel Diegesis di Robert Taylor possiamo trovare una serie di affermazioni curiose già nell'indice del libro

"The demonstration absolute that the monks of Egypt were the authors of the gospels"
"The monks of Egypt the fabricators of the whole Christian system"

Questa secondo me è favolosa

"Chrishna of the Brahmins, the original Jesus Christ, The absolute identity of Chrishna and Christ "

In realtà Taylor dimostra di essere arrivato già da tempo a risultati che ricordano quelli di Acharya S: "Not a doubt that a similar series of adventures was proof of one and the same hero, and that the Grecian Apollo, the Phoenician Adonis, the Esculapius of Athens, the Osiris of Egypt, the Christ of India (penso che qui intendesse Krishna) were but various name of the self-same deity" (p.18)

Ora, a parte affermazioni gratuite tipo "Per delegittimare in maniera completa il reverendo Robert Taylor e poter privare di qualsiasi valenza storica il passaggio su Leone X si ricorre di seguito ai cari metodi della vecchia apologia cristiana (Tertulliano docet), ovvero la calunnia e la menzogna sulle opere di autori che non possono più difendersi perché morti e sepolti da un paio di secoli", mi verrebbe da dire che alla luce delle conoscenze attuali il buon Taylor abbia toppato alla grande in molte delle sue affermazioni.

Se così non è, ti chiedo di dimostrare in che modo sia ad esempio una calunnia affermare che Taylor prenda abbagli colossali affermando che ci sia identità tra Krishna e Gesù.

CITAZIONE
Il problema dei nuovi apologeti è che mentre gli scritti degli autori che Tertulliano ed i suoi numerosi epigoni denigravano sono andati irrimediabilmente perduti, (troppo spesso dunque è impossibile stabilire la veridicità delle loro affermazioni) tale non è il caso per l’autore in questione, Robert Taylor per l’appunto.

Mi sembra facile stabilire la veridicità di alcune informazioni di Taylor (la mia preferita rimane Krishna = Gesù). Ora lo si può denigrare?



Andrea
 
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Saulnier
view post Posted on 7/4/2010, 09:09     +1   -1




CITAZIONE
Mi sembra facile stabilire la veridicità di alcune informazioni di Taylor (la mia preferita rimane Krishna = Gesù). Ora lo si può denigrare?

Naturalmente sì, se ti va, magari aprendo un 3d apposito ed evitando, se possibile, di raccontare boiate come quella che sarebbe stato Taylor a tradurre per primo in latino al XIX secolo (sic!) la frase di Bale e che egli avrebbe affermato che la Bibbia fu inventata nel 250 a.c. (doppio sic!)

Per verificare l’autenticità della ormai famosa frase che Leone X avrebbe detto a Pietro Bembo non si può prescindere dal particolare contesto storico (l’Umanesimo cinquecentesco) nel quale vissero i personaggi coinvolti nella vicenda per comprendere in quale maniera e se è verosimile che tale aneddoto sia potuto finire alle orecchie di John Bale.
Se fu davvero Bale, il primo a menzionare questo aneddoto, per poter almeno ipotizzare che l’autore protestante inglese non se lo sia semplicemente inventato di sana pianta, occorre individuare un possibile percorso tramite il quale egli abbia potuto venire a conoscenza dell’aneddoto prima di metterlo per iscritto nel 1558 nel suo Acta Romanorum Pontificum, con queste parole:

Proponenti enim semel Cardinali Bembo quiddam ex laeto illo Dei nuncio, dissolute respondebat: quantum nobis ac nostro coetui profuerit ea de Christo fabula, satis est seculis omnibus notum. Sceleratissimus nebulo propalam expressit, se antichristum illum esse quem Paulus peccati hominem ac perditionis filium vocat.

Una volta quando il Cardinal Bembo stava spiegando qualcosa dal lieto messaggio di Dio, egli (Leone X) replicò in maniera dissoluta: E’ sufficientemente noto a tutti da secoli quanto questa favola sul Cristo ci ha giovato a noi e alla nostra compagnia. Questo scelleratissimo buono a nulla dichiarò pubblicamente che egli era l’Anticristo, colui che Paolo chiama un uomo di peccato e il figlio della perdizione.

Nel brano rileviamo che Bale chiama Bembo, Cardinale, fatto che per taluni costituirebbe un elemento probante per affermare l’inaffidabilità dell’aneddoto e la sua invenzione, a scopi denigratori, da parte di Bale. E’ noto infatti che l’umanista Pietro Bembo (1470-1547) fu, insieme al grande latinista e suo amico Jacopo Sadoleto (1477-1547), segretario di Leone X durante quasi tutto il suo pontificato (1513-1521) e fino alla morte del pontefice (1521). Pietro Bembo ricevette la berretta cardinalizia solo nel 1539 da papa Paolo III e pertanto ai tempi di Leone X non era affatto Cardinale.
In realtà, leggendo il brano dell’autore inglese, vediamo che è Bale a chiamare il Bembo Cardinale e non Leone X, la qualcosa potrebbe significare molto semplicemente che quando John Bale venne a conoscenza dell’aneddoto, Bembo era effettivamente Cardinale.
Questo significa che Bale venne a sapere dell’episodio in un periodo successivo al 1539.
Diventa importante adesso comprendere dove si trovasse Bale in quel periodo e in quello immediatamente successivo.
(John Bale, a study in the minor literature of the Reformation di Jesse W. Harris, pag.31-32.)

Per sfuggire alla persecuzione dei vescovi, Bale fuggì con la sua famiglia nella bassa Germania. “And so did I, poor creature” scrisse durante il suo esilio, “with my poor wife and children, at the gathering of this present commentary, fleeing into Germany for the same”. I suoi movimenti durante il suo esilio sono un po’ difficili da seguire.
...
Sebbene Bale ovviamente visitò le città svizzere citate sopra, non è certo che egli vi risiedé regolarmente dal 1543 al 1545. Al contrario, egli probabilmente dimorò durante la maggior parte di questo periodo nelle città della Germania del Nord a ad Antwerp. Nella Bassa Germania, Bale venne in contatto diretto con il Luteranesimo. Lutero stesso era ancora vivo quando Bale approdò nel continente.
...
Altri riformatori del continente con cui Bale probabilmente conferì furono Melanchthon, Gesner e altri. Con questi uomini egli corrispose dopo il suo ritorno a casa.


Bale fu dunque in Europa nel periodo compreso tra il 1540 e il 1547 (quando Bembo era Cardinale), e principalmente in Germania, a contatto con i più famosi riformatori del suo tempo, tra cui Filippo Melantone (1497-1560), ‘il più dotto di Germania e in altri luoghi ancora avendo pochi pari’ come ebbe a dire di lui Girolamo Rorario in una lettera al cardinale Verulano, giudizio tanto più sincero in quanto proveniente da un cattolico nei confronti di un protestante. E proprio su Melantone conviene concentrare la nostra attenzione, poiché nella prefazione del suo Acta Romanorum Pontificum John Bale ringrazia proprio Melantone e Calvino per l’ospitalità concessagli durante il suo esilio.

Ma c’è di più tra il 1543 e il 1545 troviamo a Wittenberg in Germania a studiare presso Melantone, anche il grande riformatore ungherese, Stephanus Kis (1515-1572), detto Szegedinus. Kis fu l’autore del libro “Speculum Pontificum Romanorum”, un’opera non dissimile da quella scritta da Bale sul papato e che fu pubblicata postuma a Basilea nel 1584. In questa opera sorprendentemente ritroviamo l’aneddoto di Leone X, con parole pressoché identiche a quelle utilizzate da Bale.

Proponenti semel Cardinali Bembo quiddam ex laeto illo Dei nuncio, dissolute respondebat: quantum nobis ac nostro coetui profuerit ea de Christo fabula, satis est seculis omnibus notum. Hic sceleratissimus nebulo palam hac voce expressit, se Antichristum illum esse quem Paulus peccati hominem ac perditionis filium vocat. Hic nec coelum, nec inferos post hanc vitam esse credebat.


Due autori che menzionano l’aneddoto su papa Leone X, Bale e Kis, l’uno inglese, l’altro ungherese, si trovano entrambi a Wittemberg a contatto con Filippo Melantone praticamente negli stessi anni. Le coincidenze sono davvero tante.
Inevitabile a questo punto pensare che proprio al Melantone, il più grande discepolo di Lutero, uno dei più grandi eruditi del suo tempo, dobbiamo l’aneddoto della ‘favola di Cristo’.
Per quanto nelle numerosissime opere (epistole comprese) pubblicate da Melantone non vi sia traccia alcuna direttamente correlabile all’episodio su Leone X raccontato da Bale e Kis, in ‘Philippi Melanthonis, Opera quae supersunt omnia, vol. xx’ troviamo menzione di una raccolta di sentenze di Melantone dal titolo “Historiae quaedam recitate inter publicas lectiones” che gli autori della raccolta hanno reperito in un codice manoscritto della Biblioteca Ducalia Guelferhytana.
La descrizione del codice è la seguente:

Hic Codex chartaceus num.21. quatern. Continet 88 folia non num.; fol.1a in med. exhibet nonnisi haec verba: Wericus Vendenhaimer Noribergensis Anno 1557; fol.1b vacat ; fol.2a init. cont. hanc inscriptionem: Historiae quaedam recitatae a praeceptore f Mel. inter publicas lectiones; fol.2b vacat ; fol.3a -87a exhibent 304 historias numeris romanis, qui dicuntur, signatas ; fol.87a 88b 4 carmina continet.

Dunque il manoscritto è stato redatto dal discepolo di Melantone, Werich Vendenheimer nel 1557, e raccoglie una serie di storie di Melantone, raccontate tra le sue lezioni pubbliche.
Ecco sorprendentemente cosa leggiamo al n°48.

XLIII. Papa quondam dixit ad Bembum: O Bembe, nescis, quanta illa fabula de Christo nobis profuerit?

XLL. Un giorno il papa disse a Bembo : O Bembo, non sai, quanto ci ha giovato questa favola di Cristo?

La conferma di quanto sopra ipotizzato.
L’origine dell’aneddoto è da riportarsi al Melantone, un personaggio con uno spessore ben diverso rispetto a John Bale.
La traccia più antica dell’aneddoto risulta dunque questo manoscritto del 1557, che rappresenta naturalmente solo la data in cui Vendenheimer mise per iscritto gli aneddoti del suo maestro.
A questo punto vale la pena analizzare da più vicino la citazione di Melantone.
Osserviamo in primo luogo che tanto Melantone quanto Leone X (non menzionato) nominano Bembo col suo nome senza affibbiargli un’anacronistica carica cardinalizia. Inoltre osserviamo che la terminologia utilizzata da Melantone è differente da quella di Bale e Kis, i quali riportano l’aneddoto pressoché con le stesse parole. Inoltre, leggendo l’aneddoto in Bale e in Kis non si può fare a meno di restare stupiti. Vi vediamo in effetti il Bembo spiegare a Leone X un passaggio tratto dal lieto messaggio di Dio (i Vangeli?), quando questi senza nessun motivo consequenziale esclama la famosa frase:

“E’ sufficientemente noto a tutti da secoli quanto questa favola sul Cristo ci ha giovato a noi e alla nostra compagnia.”

La sequenza logica dell’aneddoto raccontato da Melantone non poteva essere questa. L’impressione è che uno tra Bale e Kis abbia rielaborato con un po’di fantasia e sicuramente a memoria un aneddoto narrato da Melantone nel corso delle sue lezioni, dopodiché l’uno ha copiato l’altro senza citarlo con la consapevolezza che la ‘source’ originaria era Melantone, che probabilmente, come avremo modo di meglio specificare nel seguito, non voleva essere citato.
Ora per chi conosce anche un minimo quel grande umanista e mecenate, ma pessimo cattolico che fu papa Leone X, non deve essere difficile comprendere a cosa precisamente si stesse riferendo il papa con la sua frase. Qualcosa che nulla aveva a che vedere con il lieto messaggio di Dio, ovvero il vergognoso mercato delle indulgenze, la grande macchia della Chiesa Cattolica.
Leone X, non dimentichiamolo, fu il papa che con il suo comportamento sfacciato spianò la strada alla Riforma Protestante. La proverbiale goccia che fece traboccare il caso fu la Bolla che Leone X promulgò il 18 ottobre 1517, i cui contenuti, nonostante la loro evidente importanza storica, risultano sconosciuti ai più e che pure dovrebbero essere studiati nelle scuole.

(Il diario di Bucardo, di Angelo Bianchi, 1854)

E perchè non si dubiti di questa infallibile verità cattolica, apostolica, romana, fra le tante bolle che inzeppano il Bullarium magnum, ne trascegliamo una, che è la più famosa, che comincia ‘Postquam ad apostolatus apicem’ pubblicata da papa Leone X ai 14 Novembre 1517 e che diede origine alla riforma di Lutero; avverto che fu omessa dalle edizioni di Roma, e la ricavo dalla edizione di Lucemburgo 1727 supplemento al tomo X pag. 38. Per Leone trattavasi di trovar denari per sopperire al lusso della sua corte, per dotare una sua sorella, moglie di Franceschetto Cibo, il quale era un figlio bastardo di papa Innocenzo VIII, e per coprire le ingenti spese richieste dalla fabbrica di San Pietro incominciata da Giulio II; ma Leone X, mettendo in circolazione una quantità strabocchevole d'indulgenze, fece come l’imperator d'Austria, che per necessità di pecunia mettendo in circolazione una quantità smodata di carta, ha screditata anche quella che prima vi era. È singolare che il Sarpi, nella sua Storia del Concilio Tridentino, appena accenni la detta bolla, mentre un'analisi della medesima tornava così acconcia a descrivere la fede ed i costumi della Santa Romana Chiesa d'allora. Quanto al Pallavicino, da esperto gesuita, si limita a dirci che Leone X « promulgò nel Cristianesimo alcune indulgenze ed insieme concessioni di mangiar latticini nei giorni obbligati a digiuno, e di eleggersi il confessore per chi concorresse con volontaria limosina a rifabbricare il tempio del Principe degli apostoli ». Eppure nella bolla vi è qualche cosa di più che non sono le uova e i latticini.
Omessi i preamboli col solito Tu et Petrus et super hanc petram etc., ivi è detto che, occorrendo molto denaro per compire la fabbrica di San Pietro, e convenendo che tutto il mondo cristiano contribuisse ad innalzare quel monumento al Principe degli apostoli, egli si era avvisato di conferire la facoltà di distribuire le indulgenze ai fedeli e di raccoglierne i denari a frate Cristoforo da Forlì, prete cardinale di Santa Maria in Ara coeli e generale dei frati Minori, e col suo mezzo a tutti i frati Minori sparsi nelle venti provincie in cui si erano divisa l’Europa. In conseguenza di che il papa concedeva al detto cardinale ed a quelli che fossero delegati da lui in Italia, Francia, Germania, Spagna ecc., la facoltà di concedere, mediante spontanea elemosina o prezzi da stabilirsi secondo i casi, indulgenze pei vivi e pei morti, assoluzione e remissione di tutti i peccati, e segnatamente per tutti i reati di simonia, per l'omicidio volontario, sempreché fosse segreto, con abilità di purgare e dispensare l'omicida dalle irregolarità canoniche io cui egli sarebbe incorso, nel caso che aspirasse agli ordini sacri o a benefizi ecclesiastici; piena assoluzione agli usurai, ai ladri, ai truffatori, a tutti quelli che si fossero arricchiti con mezzi illeciti o che avessero usurpata la roba d'altri, quand'anche si trattasse di beni pii, o destinati a dotare fanciulle povere o a celebrare messe o divini uffizi, raccomandando però di fare una stima approssimativa di questi valori fraudati onde imporre al penitente un'analoga contribuzione pecuniaria: dispensa per promovere agli ordini sacri o per aderire a dignità o benefizi ecclesiastici a quelli che non avessero ancora l' età voluta dai canoni; talché anche un fanciullo poteva essere promosso all'episcopato, come era già successo molte volte: dispensa pei matrimoni nei gradi proibiti; dispensa ed assoluzione per quelli che si fossero resi colpevoli di fornicazione od anche d'incesto, purché non fosse pubblico e scandaloso: facoltà di comporre e di ottenere una piena assolutoria, pagando una somma da convenirsi, a quelli che si fossero impadroniti di beni di chiese o di monasteri. (Si può dunque rubare cristianamente e cattolicamente, purché chi vuole essere ladro in regola, ottenga una dispensa dal papa e faccia a mezzo con lui.) Facoltà di rompere i contratti, di sciogliere i giuramenti, di assolvere dallo spergiuro, facoltà di seppellire quelli che muoiono senza confessione, abbenchè da lungo tempo non frequentassero i sacramenti, e bastare che qualcheduno testimoniasse che il defunto prima di morire aveva fatto un segno di contrizione: facoltà di assolvere dalle scomuniche e dai casi riservati, e di celebrare la messa e i divini uffìzi i in tempo e in luogo sottoposto all'interdetto, eccettuato però il giorno di Pasqua. Questa eccezione di un giorno così solenne, nel quale è assolutamente vietato di celebrare i divini uffizi, neppure pagando dei denari, è degna dell'acume di un papa. Se qualche pio cristiano la trovasse anche empia, noi non sapremmo che dire, e ci rimetteremmo alla sapienza dei teologi.
Oltre al permettere l'uso delle uova e dei latticini in quaresima; e di eleggersi quel confessore che trovasse di manica più larga, la bolla liberaleggia moltissime altre indulgenze e privilegi, sempre però da comperarsi a denari sonanti.
Ripetiamo la frase denari sonanti, perché su questo proposito la bolla di Leone X non fa reticenze; ma annoverando le facoltà da lui date al cardinale da Forlì, e che questi potrà trasmettere a suoi delegati, dice netto e schietto che gli conferisce anco quella di limitare e tassare la somma di denari da pagarsi per ottenere l'indulgenza in discorso e le altre già premesse, come anco per eleggersi un confessore di proprio comodo, o per concedere l'uso di un altare portatile a nobili, preti e persone graduate ecc. ecc.
...
Ecco dunque una bolla che, mercé una pattuita somma di denari, largisce l'indulgenza ai simoniaci, agli omicidi, ai ladri , ai truffatori, agli usurai, a chiunque si fosse arricchito per disoneste vie, ai fornicatori, agl'incestuosi; che per denari libera le anime dal purgatorio e concede ogni qualità di grazie e dispense. Ben ci duole che, per essere brevi, non abbiamo potuto presentarla ai nostri lettori nella originale sua ingenuità, respirante una così fatta evangelica unzione da convenire non che i Luterani, ma financo gli Ebrei ed i Turchi.


La Bolla è datata 15 Ottobre 1517 ed il testo in latino (con traduzione in tedesco) è consultabile qui:

http://books.google.it/books?id=eHYNAAAAYAAJ&pg=RA1-PA425&dq

Nessuna meraviglia che un tale papa possa avere riferito al suo segretario e grande umanista Pietro Bembo la famosa frase sulla ‘fabula de Christo’, il che naturalmente non significa che l’abbia effettivamente detta.
Dopo questo lungo ma necessario excursus, torniamo alla nostra ‘favola di Cristo’
L’aneddoto in Melantone era dunque evidentemente correlato all’indegno mercato che Leone X aveva fatto delle indulgenze, ma cosa dire della frase immediatamente precedente il passaggio e in cui vediamo Bembo spiegare qualcosa riguardanti il Vangelo? Tale frase, citata forse a memoria da Bale o Kis, era forse riferita ad un altro contesto?
E’ quello che io credo ed è quanto è possibile appurare nell’opera “De papa romano libri decem” di Sibrandus Lubbertus, pubblicata nel 1594 dove ritroviamo l’aneddoto in quella che poteva essere in effetti la sua costruzione originaria in Melantone. Vi leggiamo:

Idem Papa prosternit se quidem ante imaginem Christi, sed omnem doctrinam de Christho habet pro fabula. Leo decimus cum admiraretur pecuniam ex indulgentiis collectam, dixit ad Bembum, O Bembe, quantum nobis profuit fabula de Christo. Idem, cum Bembus aliquem locum ex novo testamento ad eum consolandum adduceret, dixit, Appage istas nugas de Christo.

Quello stesso papa si prosternava in verità davanti all’immagine di Cristo, ma riteneva una favola tutta la dottrina sul Cristo. Leone Decimo quando ammirò il denaro raccolto con le indulgenze, disse a Bembo, “O Bembo, quanto ci ha giovato la favola di Cristo”. Allo stesso modo, quando Bembo citò per consolarlo un certo passo del nuovo testamento, egli disse “Falla finita con queste sciocchezze sul Cristo”.

Notiamo il lessico utilizzato da Lubbertus, quasi identico a quello del passaggio di Melantone, che costituisce la fonte primaria dell’aneddoto. La sequenza logica del passaggio inoltre è decisamente più coerente rispetto a quella che ritroviamo in Kis e Bale. Quando Bembo cita un passaggio del Nuovo Testamento per consolarlo (in punto di morte?) Leone X non gli risponde con la ‘fabula de Christo’ ma con l’altrettanto scioccante ma molto più logica ‘Appage istas nugas de Christo’.

Giunti a questo punto, ovvero appurato che è al Melantone e non al Bale che va attribuita la paternità dell’aneddoto su Leone X, il problema risulta solamente spostato.
Ovvero, in quale maniera questa storia su Leone X può esser giunta alle orecchie del Melantone?
 
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Saulnier
view post Posted on 7/4/2010, 18:06     +1   -1




Concentriamo a questo punto l’attenzione sui protagonisti dell’aneddoto, Leone X e Pietro Bembo. E’ evidente che l’unica persona che può aver riferito per prima questa storia non può essere che il grande umanista veneziano, Pietro Bembo, a meno di non ipotizzare che una terza persona molto vicina ad entrambi, abbia potuto intendere il colloquio tra i due, ad esempio Jacopo Sadoleto, l’altro segretario di Leone X e amico fraterno di Bembo, dall’infanzia fino alla morte.
Qual era l’atteggiamento di Bembo nei confronti del papa Leone X?

(Un decennio della vita di Pietro Bembo (1521-1531), Vittorio Cian, 1885.)

Il 10 di giugno dell’anno 1524 egli scriveva al Cardinale Innocenzo Cibò, legato pontificio a Bologna: “Avvennero poco dappoi (cioè dopo la partenza del Bembo da Roma) molte altre cose tristi: la morte di leone, la vacanza del Pontificato e la pienezza poi di lui, che vie peggior fu che la vacanza non era stata”. Affermando che il pontificato di Adriano era stato ancora peggiore della vacanza della Santa Sede che l’aveva preceduto, il Bembo gettava un’oltraggiosa calunnia sul non grande ma buono e pio pontefice fiammingo. Egli doveva sapere troppo bene, che l’intervallo corso tra la morte di Leone X (1 dicembre 1521) e l’ingresso di Adriano in Roma (29 agosto 1523) aveva segnato una delle pagine più tristi che la storia italiana di quel tempo ricordi. Ma un tale giudizio, per quanto ingiustamente esagerato, non ci deve recare meraviglia, perché vi sono molte ragioni abbastanza note che ci permettono di spiegarlo e, fino ad un certo punto, giustificarlo. Anzitutto il Bembo era pur sempre l’umanista, il cortegiano che aveva vissuto i suoi più begli anni fra lo splendore delle corti gaie e festose ed aveva preso parte non piccola in quel pontificato di Leone X, che fu detto a ragione il chiassoso baccanale delle arti e dello spirito pagano. Il giudizio che il Bembo così crudamente esprimeva del papato di Adriano VI, la più strana ed inaspettata reazione a quello del suo predecessore, trovava perfetto riscontro nella maggior parte dei letterati, degli artisti, degli spiriti colti d’allora, come anche nel popolo di Roma e d’Italia.

Bembo fu un umanista prima che un religioso, e con lo spirito di un’umanista guardava il pontificato di Leone X, con il quale, se ci fosse del vero in alcuni aneddoti che circolarono su di lui, condivideva qualcosa di più che le cosiddette tendenze gentilesche.
In "Notae in Jacobi Gaffarelli Curiositates (Amburgo 1676) di Gregorius Michaelis" leggiamo che una volta il Bembo, essendo stato informato che Sadoleto era in procinto di scrivere una spiegazione dell’Epistola ai Romani, gli avrebbe detto “Omitte has nugas; non enim decent gravem virum tales ineptiae” ovvero “Lascia perdere queste sciocchezze; esse male si addicono ad una persona seria”.
Le ‘nugas’ di Bembo sono in perfetta sintonia con le ‘nugas de Christo’ di Leone X nell’aneddoto riportato da Lubbertus.
Ancora il Cian sui rapporti tra il Bembo e i letterati del tempo.

Fra i moltissimi letterati coi quali il Bembo ebbe specialmente in questi anni, lunga consuetudine di lettere e di amicizia o, più propriamente di quella sodalitas literaria che in nessun altro tempo come il Rinascimento ebbe tanto sviluppo, spiccano alcune nobili figure di umanisti stranieri, che ebbero una parte assai notevole nel movimento religioso e filosofico di quell’età: primo fra tutti Erasmo da Rotterdam, conosciuto dal Bembo durante il suo soggiorno a Roma, poi l’Agricola, il Budeo, il Longolio già da noi ricordato insieme col celebre Melantone. Senza voler menomamente entrare nella questione tutt’altro che facile, intorno alla vera attitudine assunta dal Bembo di fronte al movimento religioso del suo tempo ci limitiamo a constatare l’importanza di tali relazioni e a ricordare quello che abbiamo altra volta occasione di dire, cioè che codeste relazioni avevano più che altro un carattere letterario e muovevano naturalmente da comunanza di studi e di coltura.

E poi Cantù, Gli eretici di Italia, Vol.1, 1865.

Se non che, mentre in Germania fu partito de’ principi, in Francia partito de’ nobili, in Italia fu principalmente partito de’ letterati. Dopo che la protesta fu formulata in Germania, la estesa reputazione de’ dotti italiani fece che i novatori forestieri ne sollecitassero l’adesione, e cercassero qui divulgare le loro scritture, mentre la vivacità degli ingegni nostrali inuzzoliva delle nuove predicazioni. Alcuni di qua si tenevano in corrispondenza coi dotti tedeschi; e i cardinali Bembo e Sadoleto coll’erudito Melantone, il principale apostolo di Lutero, amante la pace e mediatore, ma senza iniziativa.

Arriviamo qui ad un punto cruciale della nostra analisi. Il Cian ci parla di comunanza di studi e di coltura che giustificavano questi intensi rapporti, soprattutto epistolari, tra cattolici e protestanti. Questo è senz’altro vero ma è altrettanto vero che ci fu dell’altro. Certamente fino alla Dieta di Ratisbona (1541) e prima della rottura sancita con il Concilio di Trento le parti moderate di entrambi gli schieramenti (cattolici e protestanti) cercarono una mediazione e un accordo. Tra i cattolici moderati e disponibili ad una riforma della Chiesa Cattolica vi furono per l’appunto il Bembo ed il Sadoleto, mentre tra i protestanti, Filippo Melantone, era considerato oltre che un grandissimo erudito una persona calma e disponibile al dialogo.

Ma è plausibile che in uno di questi carteggi il Bembo (o magari il Sadoleto) possano aver riferito al Melantone dell’aneddoto su Leone X?

La risposta a questa domanda, secondo me non può che essere negativa. I due cardinali non avrebbero mai messo per iscritto una storia del genere. Con quale fine poi?
Già Sadoleto in una lettera del 15 luglio 1537, aveva scritto a Melantone, convinto della possibilità di dialogo tra le chiese cristiane e desideroso di costruire un rapporto con il più disponibile tra i riformatori luterani al dialogo con i cattolici. La lettera presentava toni a dir poco elogiativi nei confronti del Melantone, iniziava con
Dilectissimo tanquam fratri, Ph. Melanchtoni sacrarum litterarum Professori e si chiudeva con un mieloso Vale mi doctissime Melanchthon, et nos tui amantissimos dilige.

Melantone rese nota questa lettera ai suoi più fedeli amici.

Mitto tibi exemplum epistolae Sadoleti, quam nuper adeo ad me missit, quam non ostendes, nisi fidis amicis. Nam spargi in vulgos nolo. Est venustissime scripta et cautissime.

Tanto bastò perché la lettera ben presto fosse denunciata dagli ambienti più conservatori del Vaticano come un vero e proprio atto di tradimento e lo stesso Sadoleto dovette difendersi strenuamente dall’accusa di essere passato dall’altra parte della barricata.
Questo solo per comprendere quanto poco verosimile sia che un aneddoto come quello su Leone X potesse figurare nei carteggi tra il Bembo e il Sadoleto e il Melantone senza che notizia se ne fosse sparsa.
Il Bembo poteva aver riferito quell’episodio solo di persona, oralmente, a qualcuno a lui legato da affinità letterarie ma che allo stesso tempo si trovava dall’altra parte della barricata.
Un umanista protestante in qualche modo anche legato a Filippo Melantone.
Georgius Sabino.
Il Sabino nato nel 1508, seguì i suoi studi a Wittenberg e ben presto fu amato dal Melantone in virtù del suo straordinario talento letterario. La stima di Melantone per Sabino fu tale che la figlia prediletta del più grande discepolo di Lutero, Anna Melantone, gli fu concessa in sposa nel 1536.
L’amicizia tra i due non finì nemmeno con la morte prematura, nel 1545, di Anna, probabilmente la più grande disgrazia che ebbe a sconvolgere la vita di Filippo Melantone.
Prima del matrimonio però, nel 1533, Sabino volle visitare l’Italia e fu in quel periodo che egli conobbe i più grandi umanisti dell’epoca, tra i quali proprio Pietro Bembo con il quale si legò in intensa amicizia, tanto da dedicargli numerosi carmi. Il Bembo apprezzava moltissimo il Sabino, oltre che per il suo latino anche per il ruolo da lui svolto nel tentativo di ricomposizione del mondo cristiano fino alla Dieta di Ratisbona come testimoniano le sue lettere che vanno dal 1533 al 1545.
Facile immaginare come proprio durante il suo soggiorno presso di lui, il Sabino possa aver ascoltato dall’amico Bembo, quei numerosi aneddoti che circolarono negli anni successivi, soprattutto in ambiente protestante, sul veneziano, compreso il più famoso su Leone X e la favola di Cristo.
Impossibile inoltre credere che tali aneddoti non siano giunti alle orecchie del Melantone, suocero del Sabino. Sulla riservatezza del Melantone l’umanista tedesco evidentemente poteva contare in maniera indiscutibile.
Per il ruolo delicato svolto dal Sabino in quegli anni (Dieta di Ratisbona), sono evidenti i motivi per i quali non solo la fonte, ma gli aneddoti stessi cominciarono a circolare solo dopo la morte del Bembo, nel 1547.
Che le cose possano essere andate effettivamente così, cioè che fu opera del Sabino questa ‘fuga di notizie’ su vari episodi della vita del Bembo ce lo conferma un altro aneddoto che vede protagonisti proprio il Sabino ed il Bembo e che ci viene raccontato da Melchior Adam in "Vitae Germanorum Theologorum, 1620."

In questo aneddoto leggiamo che Melantone mandò il Sabino dal Bembo con una lettera di presentazione. Bembo invitò il Sabino a cena e durante il convivio fece al Sabino tre domande, ovvero: quale fosse il salario del Melantone, quale il numero dei suoi ascoltatori ed infine quale fosse la sua opinione sulla vita eterna e sulla resurrezione dei morti.
Alla prima domanda egli rispose che il Melantone riceveva 300 fiorini all’anno. Al che Bembo esclamò “Ah ingrata Germania, pagare così poco un uomo così grande!”. Alla seconda domanda Sabino rispose che solitamente Melantone aveva 1500 ascoltatori. Al che il Bembo: “Non ci posso credere, non conosco Università d’Europa, all’infuori di Parigi, in cui un professore abbia così tanti studenti”. Melantone in verità aveva di frequente anche 2500 ascoltatori. Alla terza domanda Sabino ripose che dalle opere del Melantone era evidente che egli credesse ad entrambi gli articoli. Da cui la risposta scioccante del Bembo: “Haberem virum prudentem, si hoc non crederet”.
Ancora una volta vediamo il Bembo manifestare una opinione non dissimile da quella del suo amatissimo papa...

Ora chi altri se non il Sabino stesso può aver messo in circolazione questo aneddoto?
 
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Saulnier
view post Posted on 10/4/2010, 19:03     +1   -1




(Storia dei popoli italiani: dall’anno 300 dell’era volgare sino all’anno 1789, Carlo Botta)

Era Leone X uomo di vita larga anzi che scrupolosa, inclinato alle cose terrene piuttostochè alle ecclesiastiche, e promovitore di molta libertà di pensiero, e rilassamento di costumi: per certo il mondo non avea corte più amabile della sua, ma al punto stesso vi si contavan per nulla alcune cose, che quivi meglio che altrove dovean tenersi per venerevoli, e sante. Leone vi trasse i più eccellenti letterati, e gli artefici meglio famosi con la sua autorità proteggendoli, con le sue parole incoraggiandoli, con la sua liberalità sostenendoli: giammai tanta sapienza fu vista con tanto gusto assembrata.
...
Non può negarsi il secolo di Leone X partecipasse molto del romano, ma di quello dei giorni d’Augusto. Egli ha influito moltissimo, e si può dire operatore di quella gentilezza di modi per cui vanno distinte le odierne generazioni: questo secolo che Leone X formò in gran parte da per se stesso ci ha spogliato della rude scorza che ci avvolgeva uscendo dalla media età. Noi gli siamo debitori del moderno incivilimento, siccome continuatore dell’opera cominciata dal gran triumvirato di Dante, Petrarca e Boccaccio.


Che Leone X parlando della favola di Cristo non avesse in mente proprio le parole del Boccaccio!
E’ del 1511 in effetti l’edizione veneta della Genealogia deorum gentilium, nella quale il Boccaccio, parlando dei significati reconditi che, nei racconti mitologici, si celano sotto la scorza delle favole destinate al volgo, azzarda un paragone blasfemo: l’ascensione di Cristo al padre suo comparata a quella di Perseo al Cielo dopo l’uccisione di Gorgone.

Praeterea posset et analogice dici per fabula Christi ascensum ad patre mundi principe superato figurari.

Una favola insomma!
 
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view post Posted on 11/4/2010, 02:19     +1   -1
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Saulnier
view post Posted on 11/4/2010, 10:37     +1   -1




Ancora negli ultimi decenni del 1500, la triste fine di coloro che ebbero la sventura di condividere l’opinione di Leone X, senza avere la buona sorta di essere al contempo pontefici: Matthew Hammont, bruciato vivo a Norwich nel 1579, martire del fanatismo religioso cristiano.
Riteneva il Nuovo Testamento una favola, una umana invenzione ed il Cristo un uomo ed un peccatore.
Di lui ci parla John Locke, più di un secolo dopo in risposta ad una lettera di Philip van Limborch che gli chiedeva lumi sull’eretico inglese.

Quod à me petiisti, quaerendo apud veterem historicum tandem inveni. En tibi igitur Hammonti crimen et vivicomburium.
Matthaeus Hammont aratrorum faber ex vico Hetharset tribus miliaribus a Norwico distante reus factus coram episcopo Norwicensi accusatus, quod negaverat Christum salvatorem nostrum. Comparenti in judicio obiectum est, quod sequentes propositiones haereticas publicasset, nempe quod N. Testamentum et evangelium Cristi pura stultitia erat, inventum humanum et mera fabula. Quod homo in gratiam restituitur sola misericordia divina sine ope sanguinis, mortis et passionis Christi. Insuper quod Christus non est Deus nec salvator mundi, sed merus homo, peccator, et idolum abominandum, et quod omnes qui illum colunt sunt idolatrae abominandi. Item quod Christus non resurrexit a morte ad vitam potestate suae divinitatis, neque in coelum ascendit. Item quod spiritus sanctus non est Deus, nec quidem omnino est. Item quod baptismus in ecclesia Dei non est necessarius, nec usus sacramenti corporis et sanguinis Christi. Propter quas haereses condemnatus est in consistorio, episcopo sententiam pronuntiante 13 die Aprilis 1579, et deinde traditus vicecomiti Norwicensi. Et quia verba blasphemiae (non recitanda) locutus fuerat contra Reginam aliosque e concilio Reginae sanctiore, condemnatus est a judice Norwicensi Windamo et praetore Norwicensi Robert Wood, ut ei amputarentur auricolae, quod factum est in foro Norwicensi 13 Maii et postea 12 eiusdem mensis vivicomborium passus est in fossa castelli Norwicensis.


La regina, per le parole blasfeme pronunciate contro di lei e contro il consiglio si era ‘accontentata’ di fargli mozzare le orecchie, ma la Santa Chiesa non poteva perdonare: vivicomborium.
William Burton, ministro anglicano che assistette alla sua esecuzione ebbe a scrivere di lui (Blasphemy: verbal offense against the sacred, from Moses to Salman Rushdie, di Leonard Williams Levy)

Ho conosciuto alcuni eretici Ariani, le cui vite erano state le più rigorosa tra gli uomini, le cui lingue erano state allenate Scrittura dopo Scrittura, le cui ginocchia si erano indurite nella preghiera, e le cui facce erano devote alla tristezza e le cui bocche piene di preghiere a Dio, mentre nel frattempo, essi negavano strenuamente la divinità del Figlio di Dio…Tali furono Hammond, Lewes e Cole eretici di sventurata memoria recentemente giustiziati a Norwich.
 
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Saulnier
view post Posted on 17/4/2010, 16:25     +1   -1




Errata corrige.
La prima menzione dell'aneddoto su Leone X in John Bale, non è negli Acta Romanorum Pontificum (1558) bensì in Scriptorum illustrium maioris Brytanniae, quam nunc Angliam et Scotiam vocant: catalogus a lapheto per 3618 annos, usque ad annum hunc Domini 1557, pubblicato nel settembre 1557. Per la precisione in Centuria Octava (pag. 636) l'aneddoto viene riportato da Bale esattamente con le stesse parole che utilizzerà poi negli Acta.
Sorprende quanto poco noto sia questo dato, in quanto facilmente reperibile dalla lettura degli Acta.
Infatti nella prefazione John Bale ci dice:

Quanquam superiores nostras de vitis romanorum pontificum editionem, brytannicorum scriptorum catalogo adiunctam illustrissimi electoris comitis palatini D. Othonis Henrici auspici satis munitam viderem, etc.

Sebbene abbia visto che la mia prima edizione delle vite dei pontefici romani allegata al mio libro chiamato Catalogo degli Scrittori Britannici fu protetta sufficientemente da Enrico Ottone Conte Palatino, etc.

Nondimeno resto convinto che paternità dell'aneddoto non vada attribuita a John Bale, ma che, come dimostrato, esso abbia radici molto più profonde.
A conferma di questo fatto vorrei citare una dei più antichi probabili riferimenti al suddetto aneddoto da parte cattolica.

Controversiae de mortis Christi efficacia inter Catholicos et Calvinistas, di Johann Paul Windeck, 1603.

Hac clarissima nostrae doctrinae professione evanescunt malitiosae et diabolicae calumniae effrontis scurrae Lutheri. Nam citra omnem ingenui animi pudorem, sola mentiendi libidine incitatus, haec portenta de nobis confinxit, et coram toto mundo traduxit: Christum pro solo peccato Originali mortuu esse: Papistas Christum pro fabula habere, etc.

Con questa chiarissima esposizione della nostra dottrina svaniscono le calunnie maliziose e diaboliche dello sfrontato buffone Lutero. Infatti, al di là di ogni pudore d'animo nobile, incitato dalla sola libidine di mentire, costruì queste invenzioni su di noi e le diffuse pubblicamente in tutto il mondo, ovvero che il Cristo morì a causa del solo peccato originale, che i Papisti considerano il Cristo una favola, etc.

Secondo Lutero i Papisti consideravano Cristo una favola.
Un'affermazione molto interessante.
Sapendo che la 'source' dell'epigramma su Leone X potrebbe essere Melantone, il più grande discepolo di Lutero, la frase assume tutta la sua importanza.
La genericità dell'accusa (nessuna menzione di Leone X e neppure di Bembo) non deve sorprendere. Lutero morì nel 1546 un anno prima di Bembo. Il riformatore protestante non poteva nominare i personaggi implicati senza tradire la fiducia di Melantone, ma non seppe trattenersi dal portare questa terribile accusa contro la parte avversa.

 
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view post Posted on 11/5/2010, 12:45     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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CITAZIONE (Saulnier @ 6/4/2010, 16:54)
“Quantum nobis ac nostro coetui profuerit ea de Christo fabula, satis est seculis omnibus notum”

Prima di iniziare l’analisi di questa citazione occorre brevemente fare piazza pulita delle numerosissime amenità letterarie che circolano sulla rete concernenti il passaggio in questione.
Il passaggio contenuto nel libro “La favola di Cristo” di Cascioli (recentemente scomparso) su una presunta lettera tra Pietro Bembo e Leone X conservata all’Archivio Vaticano, contenente una versione del passaggio in questione non ha ricevuto, da parte dell’autore, il benché minimo riscontro documentale e pertanto può essere tacciata a ragione di pura invenzione letteraria, priva di qualsiasi valore storico. Cascioli per dare autorevolezza al passaggio potrebbe avere inventato una fonte storica inesistente, un comportamento indubbiamente da censurare.
Ma da censurare è pure il comportamento di chi, pretendendo di dare una lezione al Cascioli, si comporta esattamente allo stesso modo aggiungendo alle invenzioni letterarie la calunnia gratuita...

Eppure dovrebbe essere sufficientemente chiara la differenza tra la pretesa di scrivere un libro che dimostra in maniera inconfutabile che Gesù non è mai esistito, e quindi dovrebbe essere soggetto a determinati criteri scientifici, e una discussione su un forum dove oramai la caratteristica era quella di urlarsi contro (e mi sfugge perchè tu voglia farlo così poco simpaticamente qui) e per la quale era sufficiente una ricerchina su google, senza pretesa alcuna di effettiva scientificità, come del resto era evidente dai toni. E a quella si limitava il post.
Che Bale scrisse in latino lo so bene avendo avuto il piacere di sfogliare la cinquecentina latina del Bale e di averla anche fotografata. Che il Taylor sia personaggio poco affidabile dal punto di vista storico è cosa nota e non ha senso perderci tempo, non a caso è una delle fonti preferite dei miticisti, Acharya S in testa. Che il Taylor avesse (ri)tradotto la frase in latino era un'ipotesi del tutto arbitraria per provare a spiegare le varie versioni di tale frase e il suo recente successo in ambito anglosassone.
Ben poco di quel post manterrei se dovessi fare un'esposizione minimamente seria per non dire scientifica. Ma il livello del forum era quello che era.
Tuttavia la sostanza non cambia. Che il Bale non si sia inventato la frase una mattina per caso è alquanto ovvio, essa si inserisce nelle polemiche infracristiane dell'epoca. E qui la tua ricerca, a parte la scarsa simpatia dimostrata, si fa interessante e lodevole. Da parte mia avevo ipotizzato che tale frase avesse avuto origine nelle esistenti polemiche anticlericali italiane e romane precedenti addirittura Leone X e da qui avessero trovato posto nella polemica protestante. Il punto è chiarire cosa significa tale frase per chi la riporta. Bale non è ateo, non si sogna di negare l'esistenza storica di Cristo, ovvero l'Incarnazione, ciò che gli preme è dimostrare, come il resto della propaganda protestante, che il papa è l'anticristo e il cattolicesimo un'apostasia dal vero cristianesimo. Per Bale tale frase non indica che Leone X svela un segreto custodito da secoli dal papato, ovvero che Gesù non è mai esistito, ma che Leone X è un ateo, con le accuse di libertinaggio, sodomia ecc, che seguivano generalmente tale accusa, peraltro vaga, nel XVI secolo. Leone X è un ateo che nega in privato le verità dell'Incarnazione, non la storicità dell'uomo Gesù, che nega, da pagano rinascimentale quale era accusato di essere, quelle verità che già i pagani negavano quando, come riporta appunto Tertulliano, parlano di Cristo, ovvero della sua resurrezione e dei suoi miracoli, come di una favola, ma con tale espressione non intendono la sua mera esistenza fisica. A Bale questo non passa neppure per l'anticamera del cervello e tantomeno è la tesi che vuole sostenere, semmai è il contrario, il papa è un ateo folle e apostata dalla vera fede, l'anticristo che nega l'evidente verità del cristianesimo e questa frase lo dimostrerebbe. Citare la frase riportata dal Bale all'interno di una teoria miticista significa non solo estrapolarla dal suo contesto ma distorcerla sino a farle dire il contrario di quello che intende.
E' assai difficile inoltre che tale frase sia stata effettivamente pronunciata, Leone X era certo un papa rinascimentale, con il vezzo di chiamare Dio Giove e una fascinazione per l'arte e la cultura classici, se vogliamo con anche una certa debolezza per i piaceri mondani, tuttavia non risulta un suo effettivo ateismo tale da giustificare una negazione così aperta e plateale delle verità fondamentali della fede. La frase a mio avviso nasce invece dalle polemiche anticlericali presenti nel rinascimento italiano e mpoi nel protestantesimo tedesco e ne rappresenta una sorta di riassunto sotto forma di aneddoto, ben spendibile nella propaganda anche scritta che proprio dalla recente invenzione della stampa a caratteri mobili prese un momento straordinario. Insomma, se Leone X con ogni probabilità non ha mai pronunciato tale frase (e tu stesso devi fermarti dinanzi alle ipotesi di passaparola tra conoscenti) egli tuttavia, secondo quello che i protestanti pensavano di lui, avrebbe potuto benissimo farlo e quindi per la propaganda protestante tale frase diviene del tutto verosimile - solo il Bayle nel suo Dizionario, se la memoria non mi inganna, la mette in dubbio - e ne fa un cavallo di battaglia contro il papato, ma ancora una volta per dimostrare l'apostasia del cattolicesimo dalla vera fede, non certo per dimostrare la non storicità di Gesù.
 
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Saulnier
view post Posted on 14/5/2010, 17:12     +1   -1




CITAZIONE
Eppure dovrebbe essere sufficientemente chiara la differenza tra la pretesa di scrivere un libro che dimostra in maniera inconfutabile che Gesù non è mai esistito, e quindi dovrebbe essere soggetto a determinati criteri scientifici, e una discussione su un forum dove oramai la caratteristica era quella di urlarsi contro (e mi sfugge perchè tu voglia farlo così poco simpaticamente qui) e per la quale era sufficiente una ricerchina su google, senza pretesa alcuna di effettiva scientificità, come del resto era evidente dai toni. E a quella si limitava il post.

Naturalmente hai ragione, un libro dovrebbe essere soggetto a criteri scientifici che non è possibile pretendere in un forum dove si discute e dove è molto più facile commettere degli errori (sono consapevole di averne commessi anch’io numerosi nelle mie analisi).

CITAZIONE
Ben poco di quel post manterrei se dovessi fare un'esposizione minimamente seria per non dire scientifica. Ma il livello del forum era quello che era.

Questo è apprezzabile. Quello che mi dava fastidio in quel post ormai datato era l’evidente malafede di alcune affermazioni. Naturalmente non da parte tua, ma da parte di chi quelle affermazioni le aveva concepite (tu probabilmente non hai fatto altro che riprenderle senza verificarne l’attendibilità, un peccato forse veniale in un forum) ed in particolare le calunnie contro John Taylor e mi riferisco naturalmente ad Holding:

www.tektonics.org/lp/popeleox.html

A prescindere dall’attendibilità storica di John Taylor, mettergli bocca cosa che non ha mai detto travisando completamente il senso delle sue affermazioni è assolutamente inaccettabile.

CITAZIONE
Tuttavia la sostanza non cambia. Che il Bale non si sia inventato la frase una mattina per caso è alquanto ovvio, essa si inserisce nelle polemiche infracristiane dell'epoca

Sarà anche ovvio, tuttavia c’è un certo consensus nel considerare questa frase proprio un’invenzione di John Bale (vedi per ultimo il libro del 2006 di Elizabeth Knowles “What they didn't say: a book of misquotations” ) e anche:

http://fr.wikiquote.org/wiki/L%C3%A9on_X

Gli Acta Romanorum Pontificum del 1558 sono universalmente considerati la ‘source’ più antica dell’aneddoto, ma questa informazione non corrisponde a verità. Infatti oltre alla citazione di Melantone lo stesso John Bale aveva pubblicato l’aneddoto già nel 1557 nel libro “Scriptorum illustrium maioris Brytanniae, quam nunc Angliam et Scotiam vocant: catalogus a lapheto per 3618 annos, usque ad annum hunc Domini 1557” che io stesso ho avuto il piacere di sfogliare.
Comunque penso di avere dimostrato che, se di falso si tratta (non sapimus), non è John Bale il colpevole.

CITAZIONE
Il punto è chiarire cosa significa tale frase per chi la riporta. Bale non è ateo, non si sogna di negare l'esistenza storica di Cristo, ovvero l'Incarnazione, ciò che gli preme è dimostrare, come il resto della propaganda protestante, che il papa è l'anticristo e il cattolicesimo un'apostasia dal vero cristianesimo. Per Bale tale frase non indica che Leone X svela un segreto custodito da secoli dal papato, ovvero che Gesù non è mai esistito, ma che Leone X è un ateo, con le accuse di libertinaggio, sodomia ecc, che seguivano generalmente tale accusa, peraltro vaga, nel XVI secolo

Questo è giustissimo oltre che ovvio, non ho mai voluto far intendere il contrario.

CITAZIONE
A Bale questo non passa neppure per l'anticamera del cervello e tantomeno è la tesi che vuole sostenere, semmai è il contrario, il papa è un ateo folle e apostata dalla vera fede, l'anticristo che nega l'evidente verità del cristianesimo e questa frase lo dimostrerebbe.

Idem.

CITAZIONE
Citare la frase riportata dal Bale all'interno di una teoria miticista significa non solo estrapolarla dal suo contesto ma distorcerla sino a farle dire il contrario di quello che intende.

Non ho mai citato la frase all’interno di una teoria miticista. Distorcere la frase facendole dire il contrario di quello che intende? Ma da dove si evince? Qui si sta discutendo sull’attendibilità o meno dell’attribuzione della famosa frase sulla ‘fabula de Christo’ a papa Leone X e di nient’altro. Quello che ho sottolineato sin dall’inizio è che non si può estrapolare questa frase dal suo contesto: l’umanesimo cinquecentesco e la riforma protestante. Se avessimo la matematica certezza che Leone X ebbe davvero a pronunciare quella frase, ne dovremmo forse concludere che Gesù fu un mito? Naturalmente no, potremmo solamente inferire quali furono le vere attitudini di Leone X e di alcuni umanisti dell’epoca sulla religione cristiana.

La frase di Leone X sulla fabula di Cristo si inserisce in un contesto di controversie di carattere religioso molto più ampio, controversie che ebbero come fulcro proprio l’equivoco al quale inevitabilmente tale espressione andava a prestarsi, in un periodo in cui il rogo era il dazio da pagare se si decideva di manifestare liberamente la propria opinione sulla religione cristiana.

Le polemiche, non a caso, raggiunsero il loro culmine proprio negli anni immediatamente successivi alla morte di Leone X ed il protagonista assoluto fu il più grande ed il più ambiguo umanista del 1500: Erasmo da Rotterdam.

Continua...
 
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view post Posted on 19/5/2010, 13:03     +1   -1
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CITAZIONE (Saulnier @ 14/5/2010, 18:12)
CITAZIONE
Ben poco di quel post manterrei se dovessi fare un'esposizione minimamente seria per non dire scientifica. Ma il livello del forum era quello che era.

Questo è apprezzabile. Quello che mi dava fastidio in quel post ormai datato era l’evidente malafede di alcune affermazioni. Naturalmente non da parte tua, ma da parte di chi quelle affermazioni le aveva concepite (tu probabilmente non hai fatto altro che riprenderle senza verificarne l’attendibilità, un peccato forse veniale in un forum) ed in particolare le calunnie contro John Taylor e mi riferisco naturalmente ad Holding:

...
A prescindere dall’attendibilità storica di John Taylor, mettergli bocca cosa che non ha mai detto travisando completamente il senso delle sue affermazioni è assolutamente inaccettabile.

si era agli inizi della polemica e le info erano scarsine, anche per Holding, che poi, come è noto non è sempre affidabile. Ad esempio anche nel suo libro Shattering the Christ myth ripete che tale citazione non è presente nell'Enciclopedia Britannica, come affermato da molti su internet, ma io tale citazione di Leone X l'ho invece trovata, anche se non alla voce Leo X e non alla pagina indicata.

CITAZIONE
CITAZIONE
Tuttavia la sostanza non cambia. Che il Bale non si sia inventato la frase una mattina per caso è alquanto ovvio, essa si inserisce nelle polemiche infracristiane dell'epoca

Sarà anche ovvio, tuttavia c’è un certo consensus nel considerare questa frase proprio un’invenzione di John Bale (vedi per ultimo il libro del 2006 di Elizabeth Knowles “What they didn't say: a book of misquotations” ) e anche:

...

Gli Acta Romanorum Pontificum del 1558 sono universalmente considerati la ‘source’ più antica dell’aneddoto, ma questa informazione non corrisponde a verità. Infatti oltre alla citazione di Melantone lo stesso John Bale aveva pubblicato l’aneddoto già nel 1557 nel libro “Scriptorum illustrium maioris Brytanniae, quam nunc Angliam et Scotiam vocant: catalogus a lapheto per 3618 annos, usque ad annum hunc Domini 1557” che io stesso ho avuto il piacere di sfogliare.
Comunque penso di avere dimostrato che, se di falso si tratta (non sapimus), non è John Bale il colpevole.

questo probabilemnte è dovuto alla biografia del Roscoe e al Dizionario del Bayle. Del resto Bale era detto "bilious" non a caso ma per la ferocia e anche la scurrilità dei suoi attacchi, per cui la cosa è ritenuta in linea con il personaggio. Insomma... il colpevole perfetto!

CITAZIONE
CITAZIONE
Citare la frase riportata dal Bale all'interno di una teoria miticista significa non solo estrapolarla dal suo contesto ma distorcerla sino a farle dire il contrario di quello che intende.

Non ho mai citato la frase all’interno di una teoria miticista.

ma infatti io mi riferivo a Cascioli di inizio topic, pensavo fosse chiaro. Così come a tutti quegli autori miticisti che riportano tale frase. A te non avevo proprio pensato.

CITAZIONE
Distorcere la frase facendole dire il contrario di quello che intende? Ma da dove si evince?

dalla lettura dei libri dei suddetti autori

CITAZIONE
Qui si sta discutendo sull’attendibilità o meno dell’attribuzione della famosa frase sulla ‘fabula de Christo’ a papa Leone X e di nient’altro.

se ne discute perchè tale frase è inserita in un contesto miticista (non da te), altrimenti non ci perderemmo molto tempo. Chissenefrega se un papa di secoli fa ha detto oppure no una stupidaggine o una facezia, ne avranno dette a miliardate nel corso dei secoli, come ogni gruppo umano. E' diventata significativa perchè utilizzata in maniera strumentale. Riportarla al suo contesto significa destrumentalizzarla. Solo questo volevo sottolineare. Nulla più.

CITAZIONE
Quello che ho sottolineato sin dall’inizio è che non si può estrapolare questa frase dal suo contesto: l’umanesimo cinquecentesco e la riforma protestante. Se avessimo la matematica certezza che Leone X ebbe davvero a pronunciare quella frase, ne dovremmo forse concludere che Gesù fu un mito? Naturalmente no, potremmo solamente inferire quali furono le vere attitudini di Leone X e di alcuni umanisti dell’epoca sulla religione cristiana.

concordo

CITAZIONE
La frase di Leone X sulla fabula di Cristo si inserisce in un contesto di controversie di carattere religioso molto più ampio, controversie che ebbero come fulcro proprio l’equivoco al quale inevitabilmente tale espressione andava a prestarsi, in un periodo in cui il rogo era il dazio da pagare se si decideva di manifestare liberamente la propria opinione sulla religione cristiana.

a proposito di ambiguità, hai mai affrontato Etienne Dolet e le sue opere? In diversi siti ho trovato che il Dolet, assieme al Vanini, sarebbe il primo negatore della realtà storica di Gesù e per questo mandato al rogo. Ma io non ho trovato nulla nelle sue opere in tal senso (ma ovviamente potrebbe essermi sfuggito, non ho avuto molto tempo da dedicarci), anzi Dolet di Gesù si occupa pochissimo, e nulla ho trovato neppure nelle sue biografie. E ovviamente nessuno che fa una simile affermazione riporta i riferimenti precisi. Tu ne sai qualcosa di più?
Sarebbe interessante vedere se la teoria miticista risale effettivamente al rinascimento o se sia invece, come generalmente si ritiene, il prodotto delle polemiche religiose e antireligiose dei secoli XVII e XVIII e che trovano nel Dupuis il primo effettivo ideatore-diffusore.
 
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10 replies since 6/4/2010, 15:54   7654 views
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