| Barabba fu il soprannome del profeta crocifisso da Ponzio Pilato? Io credo di sì.
Ben noto è il passaggio dell’In Flaccum del filosofo giudeo Filone Alessandrino. Siamo nell’anno 38 A.D., pochissimi anni dopo la crocifissione di Cristo, ad Alessandria, patria di Filone, una città in cui l’odio per la popolazione giudaica non aveva pari nel resto del mondo. Prima di prendere possesso del suo regno, Agrippa vi si recò per fare visita ad Alessandro l’alabarca (il fratello di Filone) che lo aveva aiutato sostenendolo economicamente non molto tempo prima.
La popolazione di Alessandria, che aveva in odio i Giudei e quindi anche Agrippa, pretendente al trono di Giudea, organizzò al Gymnasium, non distante dal quartiere giudeo, una farsa, una mascherata per ricordare ad Agrippa quanto inconsistenti fossero le sue pretese di regalità.
La popolazione non giudea di Alessandria, per deridere Agrippa, organizzò una parodia regale che somiglia in maniera sorprendente alla scena della Passione.
Non è difficile immaginare come molte persone della popolazione di Alessandria, giudei e non, siano stati testimoni oculari della crocifissione del Nazareno e che questa, per la sua importanza, rimase ben impressa nella loro memoria.
Numerosi eruditi si sono avveduti delle curiose similitudini tra la scena descritta da Filone e quella dei Vangeli, già Grotius nel 1641 nel suo commentario al nuovo testamento aveva rilevato le analogie tra la mascherata del Gymnasium e la scena della passione. Per comprendere di cosa stiamo parlando: In Flaccum (36-39) secondo la traduzione dell’abate Pelletier:
Vi era in Alessandria un tale chiamato Karabas che era malato di follia, non di quella follia selvaggia e furiosa poiché quest’ultima è pericolosa per coloro che ne soffrono e per coloro che li avvicinano; ma di una follia benigna e più dolce. Questo individuo, che errava giorno e notte nudo per le strade, senza cercare di evitare il caldo e il freddo, era lo zimbello della gioventù e dei giovani sfaccendati. Spingendo tutti insieme questo disgraziato fino al Gymnasium essi lo fecero salire sopra un palco ben alto perché tutti potessero vederlo. A guisa di diadema gli misero sul capo una foglia di papiro e sul resto del corpo, come mantello, un ruvido tappeto; poi un tale, vedendo un giunco di papiro lungo la strada, lo strappò e glielo mise in mano a guisa di scettro. Dopo averlo così decorato con le insegne della regalità e atteggiato a re, come al teatro nelle farse, alcuni giovani con dei bastoni in spalla, a guisa di lancieri, formarono intorno a lui la guardia del corpo. In seguito altri venivano, chi per salutarlo, chi per farsi rendere giustizia, chi per consultarlo sugli affari pubblici. Poi dalla folla che si era riunita tutta intorno, si alzò uno strano grido, il nome di Marin* è, si dice, il titolo che si dà al sovrano in Siria, poiché essi sapevano che Agrippa era di razza siriana e che era di una parte importante della Siria che andava a prendere il regno.
*In effetti MRN (Maran) è la trascrizione greca del titolo aramaico utilizzato per rivolgersi al sovrano. Vedi anche la prima lettera ai Corinzi (16,22) Maran atha: il Signore viene!
Parodia della crocifissione di Cristo?
Confrontiamo il brano con la Passione nel Vangelo di Matteo. Mt: 27,26-29: Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: «Salve, re dei Giudei!»
Affianchiamo ora il brano di Filone al Vangelo apocrifo di Pietro, le similitudini diventano impressionanti.
Ed essi preso il Signore, gli davano spintoni, correndo e dicevano: “Trasciniamo via il Figlio di Dio*, ora che abbiamo potere su di lui!” Poi gli misero addosso della porpora e lo fecero sedere sul seggio del tribunale, dicendo: “Giudica con equità, re di Israele!” E uno di essi portata una corona di spine, la pose sul capo del Signore. E altri standogli attorno, gli sputavano in viso, altri lo schiaffeggiavano sulle guance, altri lo colpivano con una canna, e alcuni lo flagellavano, dicendo: “Rendiamo onore, con questi omaggi, al figlio di Dio”
*I Romani chiamano ripetutamente in tono canzonatorio Gesù, Figlio di Dio, dimostrando di conoscere perfettamente l’etimologia del suo soprannome, Barabba.
Quello che colpisce di più nel vangelo di Pietro è questo riferimento esplicito al giudizio, che trova un riscontro preciso nella parodia alessandrina e che ha ottime probabilità di essere molto antico, come possiamo comprendere da una frase che ritroviamo nella prima Apologia di Giustino (XV) al II secolo.
E infatti come il profeta aveva predetto, essi lo tormentarono e lo misero su un trono dicendogli: “Giudicaci”.
Il passaggio relativo alla derisione sul giudizio da parte dei soldati romani “Giudica con equità, re di Israele”, conosciuto anche da Giustino, è scomparso dai vangeli canonici.
Probabilmente perché troppo da vicino ricordava l’Apocalisse, la delirante profezia del Cristo crocifisso dal Pilato, il suo manifesto di guerra. Chi era questo Giudice oggetto della derisione dei soldati romani dopo il fallimento della sua missione?
Apocalisse, XVI:”Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, poiché così hai giudicato. Essi hanno versato il sangue di santi e di profeti, tu hai dato loro sangue da bere: ne sono ben degni!”. Udii una voce che veniva dall'altare e diceva: “Sì, Signore, Dio onnipotente; veri e giusti sono i tuoi giudizi!”
Anche lo scherno, il dileggio crudele dei soldati romani per quanto rivoltanti acquistano un significato dopo la lettura di queste parole. Cosa voleva realmente lo Yeshua Barabba dei Giudeo-cristiani? Chi doveva essere giudicato da questo profeta visionario?
Chi doveva bere il proprio sangue e finire pigiato nel tino della collera furiosa del Dio Onnipotente?
Se le cose stanno effettivamente così come ha potuto Barabbas a trasformarsi in Karabas?
Nessun manoscritto delle opere storiche di Filone che ci sono state trasmesse (vedi Smallwood, 1961) è anteriore al X secolo, ma soprattutto tutti i manoscritti derivano da un archetipo unico, ricopiato da scribi cristiani tra il IV ed il X secolo. Una verità già riconosciuta nel 1896 da Cohn e Wendland (Philonis Alexandrini Opera quae supersunt) e che mette anche Filone nelle stesse condizioni di Tacito, Svetonio e Giuseppe Flavio.
Omnibus codicibus enumerati set descriptis nunc de auctoritate et dignitate singulorum codicum et generum et de ratione qua in recensendo Philone singuli adhibendi sint nonnulla dicamus. Codices omnes ex uno archetypo derivatos esse pro certo affirmari potest. Arguunt hoc quidem multi loci in omnibus libris manuscriptis aperte corrupti vel interpolati.
Archetipo unico e passaggi corrotti o interpolati (corrupti vel interpolati).
Avremmo dunque a che fare con un’interpolazione?
Io non lo credo.
Se in scrittura onciale la confusione tra la B e la K appare molto improbabile, altrettanto non può affermarsi per la minuscola greca* dove le due lettere possono essere facilmente confuse (e in molti casi lo sono effettivamente state). Il vescovo di Creta Andreas Hyerosolimitanus (VII-VIII secolo), come riportato in nota nella Patrologia Graeca di Migne (Vol.190, Epiphanius Monachus) chiama Barpanther, Karpanther confondendo la B con la K, esattamente come Barabas/Karabas.
*Paleografia greca e latina di Edward Maunde Thompson (pag.47): La deformazione graduale delle pure onciali antiche con questo progressivo sviluppo di caratteri più corsivi, condusse necessariamente alla formazione delle lettere minuscole. Col cominciare del VI secolo, moltissime lettere di quelle che vennero chiamate di forma minuscola, si erano già individualmente sviluppate. Per esempio, le tre lettere B, H e K, che nella loro forma capitale od onciale erano affatto distinte, avevano in quel tempo assunto forme non molto dissimili, e che da un lettore trascurato potevano esser confuse.
Sapendo che i manoscritti di Filone derivano da un archetipo unico (se l'errore è nell'archetipo cercare differenti lezioni testuali nei manoscritti che ci sono pervenuti non ha senso) possiamo affermare che la paleografia greca rende possibile il passaggio da Barabas a Karabas.
In effetti, già nell’edizione di Cohn e Wendland, Philonis Alexandrini Opera quae supersunt, vol.6, In Flaccum, in nota su Karabas Cohn riporta: “Kαραβας, Βαραβας vel Βαραββας, fortasse recte”.
Sui vari modi in cui il nome Barabba si ritrova nella tradizione evangelica manoscritta (con o senza doppia β, con o senza doppia ρ) vedere il Novum Testamentum graece di Constantin von Tischendorf, note su Mt27,16.
Origene in Comm. In Mattheum, tomo XIV, nomina più volte il sedizioso rilasciato da Pilato Βαραβας con una sola β.
Anche il profeta Βαρκαββαν nei manoscritti della Historia Ecclesiastica è scritto con o senza la doppia β.
Sono convinto che è stato proprio questo errore di un copista che ha salvato l’intero testo dall’epurazione completa, in un periodo in cui (tra il VI e il X secolo) più nessuno ormai osava identificare il sedizioso Barabba con il Nazareno crocifisso da Ponzio Pilato.
Perché?
Perché a questa epurazione non è scampata la Legatio ad Caium dove avremmo potuto conoscere qualche dettaglio in più sulla farsa alessandrina, ma una lacuna dolosa ci priva dell’ ulteriore resoconto (sulla lacuna vedi in particolare Smallwood e Cohn):
Agrippa si era arrestato nella nostra città (Alessandria) al momento di raggiungere la Siria per prendere possesso del regno con cui egli era stato gratificato [lacuna]
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