Studi sul Cristianesimo Primitivo

Parousia nei padri. Spin-off, Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora

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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 5/5/2011, 03:49     +1   -1




Lino
CITAZIONE
anzi la troviamo ancora ben presente in vari modi in molti Padri della Chiesa vedi la lettera di Barnaba, Papia di Ierapoli, Metodio di Olimpo, Lattanzio, Commodiano, Apollinare di Laodicea, Ireneo di Lione, Giustino, Tertulliano, tanto per citarne alcuni.

I riferimenti a Papia, Metodio, Lattanzio, Commodiano, Apolinnare e Ireneo di Lione mancavano decisamente alla mia collezione di citazioni che ho salvato dopo una lunga ricerca. Sei in grado di reperirmi anche le esatte coordinate delle opere di questi autori dove sia presente il tema dell'imminentismo escatologico? Altra domanda, quando invece ti stai riferendo a Tertulliano e Giustino Martire a quali brani delle loro opere ti stai riferendo esattamente? Ai rispettivi Apologetico XX:2-3;De Spectaculis XXIX-XXX e Dialogo con Trifone XXVIII:2 o altro? Grazie.

Ah, cito anche io uno studio in merito. Da:
Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora

Il Nuovo Testamento costituisce l'unica fonte delle notizie intorno a Gesù. (Il teologo Guardini, Das Bild von Jesus dem Christus, 32)

Il Nuovo Testamento (lat. testamentum, gr. diathéke, ebr. berìth = alleanza), delle cui origini ci occuperemo in seguito, viene presentato quale Sacra Scrittura, Parola di Dio.

Gli aspetti più importanti del Nuovo Testamento sono contenuti nei Sinottici, cioè nei primi tre evangelisti Marco, Matteo e Luca, cui dobbiamo le conoscenze fondamentali intorno alla figura di Gesù. Nel 1774 il teologo di Jena, Johann Jakob Griesbach, li definì «sinottici» per la loro parziale concordanza, la loro synopsis, (in effetti è possibile scorgervi una visione d'insieme), dopo aver ordinato e posto a confronto tutti i passi corrispondenti dei testi di Marco, Matteo e Luca 6.

Non è possibile determinare con precisione il momento della loro nascita, giacché non possediamo gli originali, e nemmeno le datazioni approssimative sono in grado di garantire una certezza totale; gli studiosi sogliono collocare Marco fra il 70 e l'80, Matteo e Luca fra l'80 e il 100, mentre il Vangelo di Giovanni non fu composto prima dell'anno 100, probabilmente già nei primi decenni del II secolo. Poiché Gesù, come si presume, morì intorno al 30, prima che la sua dottrina fosse messa per iscritto trascorsero ben due generazioni: perché tanto indugio?

Perché i Vangeli nacquero tanto tardi? Perché Cristo non scrisse nulla, se voleva i Vangeli? (Friedrich Hebbel in Hebbel als Denker, a cura di B. Münz, 1913, 123)

Questo ritardo nella produzione letteraria della cristianità primitiva si fonda su due motivazioni.

La prima, meno importante, dipende dalla struttura sociale delle più antiche comunità cristiane, costituite da gente semplice, illetterati, che non sarebbero stati in grado di scrivere libri, e anche quando le generazioni successive cominciarono a scrivere, i loro modi espressivi non furono, in principio, di alto livello. Il Nuovo Testamento, in particolare, se si prescinde da taluni passi del Vangelo di Luca, dagli Atti degli Apostoli e da alcune Epistole (Agli ebrei, l'Epistola di Giacomo, la Prima e la Seconda Epistola di Pietro) appare redatto in uno stile che contrasta singolarmente col carattere divino del suo contenuto.

La seconda ragione della tarda stesura dei Vangeli è, invece, importantissima: essa dipende dall'elemento centrale della fede dei primi cristiani, che li induceva a un'aspettazione dell'immediata fine del mondo (non li sfiorò nemmeno il pensiero di una secolare storia della Chiesa!): attendevano da un giorno all'altro il ritorno del loro Signore crocifisso e l'edificazione in terra del promesso Regno di Dio.

L'attesa della prossima fine del mondo non era specificamente cristiana, anzi coincideva nei suoi tratti fondamentali con l'escatologia tardo-giudaica, con la dottrina delle «ultime cose» (gr. eschata), della fine del mondo e della sua palingenesi. L'ordine mondano, caduto sotto il potere del demonio, l'antico Eone ('olam ha-zae), sarebbe stato sostituito improvvisamente da un nuovo ordine mondano, dal nuovo Eone ('olam ha-ba); il tristo presente sarebbe stato cancellato da una catastrofe cosmica, e il Regno di Dio, l'Eone della basileia theou, della malkut Jahve, avrebbe avuto inizio in terra, e non spiritualmente, bensì concretamente e immediatamente sensibile.

Negli ultimi secoli prima di Cristo la fede nella fine imminente è continuamente testimoniata nel Giudaismo 13. I Profeti la preconizzarono insistentemente per la propria generazione o, in ogni caso, per un futuro immediato 14. Gli Esseni profetizzarono la catastrofe del mondo per la generazione presente, in modo del tutto analogo a quanto faranno poi i Vangeli: si presentarono come «l'ultima generazione», ritenendosi «alla fine dei giorni». Anche le Apocalissi tardo-giudaiche annunciavano l'attesa della prossima fine del mondo, i suoi terrori e le sue promesse a partire dal II secolo a.C. 15. Le più significative, i libri di Daniele (il più importante venne redatto intorno al 160 a.C. ed entrò nel corpus biblico), Henoch, Baruch, Esra videro la luce in epoca precedente e successiva alla comparsa di Gesù, quali epigoni, per così dire, della profezia veterotestamentaria.

E anche Gesù si trova inserito fra loro, limitandosi a proseguire l'apocalittica tardo-giudaica: sia nel contenuto che nella forma fu influenzato dal libro di Daniele, e ancor più da quello di Henoch, una scrittura piena di miti antico-persiani e greci, che si ritrova ancor oggi nella Bibbia abissina e che viene citata anche nel Nuovo Testamento 16. Non poche parole di Gesù potrebbero apparire citazioni quasi letterali 17.

Ma che cosa predicò Gesù? La promessa che anche sulla terra giungerà il Regno di Dio è la buona novella dei Vangeli. (Jakob Taubes, 50)

I primi cristiani considerarono la promessa dell'imminente Regno di Dio come un tratto caratteristico del messaggio di Gesù: mentre il termine «Chiesa» compare solo due volte in tutti i Vangeli, la locuzione «Regno di Dio», concetto preferito da Gesù, si trova 14 volte in Marco, 30 in Luca e ancor più spesso in Matteo che, per altro, unico fra gli Evangelisti, lo parafrasa con l'espressione «Regno dei cieli», mai usata da Gesù 18. Matteo era un ebreo-cristiano e la sua trascrizione rabbinica cerimoniale dipese dalla soggezione del Giudaismo tardo a pronunciare il nome di Dio 19.

I concetti evangelici di «Regno di Dio» e di «Regno dei cieli» sono, pertanto, equivalenti, e la loro differenza è puramente terminologica, anche se in seguito diverrà sostanziale: infatti si identificò il «Regno di Dio» di Gesù con la Chiesa e questa diventò la guida per il «Regno dei cieli»: «Già ora - scrive Agostino - la Chiesa è il Regno di Cristo e il Regno dei cieli» (Aug. civ. Dei, 20, 9).

E così il rapporto fu esattamente capovolto: venne rimandato all'aldilà ciò che i primi cristiani avevano atteso nell'aldiquà. Infatti, la speranza originaria dei cristiani nel futuro si riferiva a una incombente catastrofe totale mediante la discesa di Dio dal cielo e a una totale trasformazione di tutte le cose terrene, compresi gli uomini. Ma in epoca più antica nessuno aveva mai pensato a un aldilà astratto, a una condizione trascendente di beatitudine, alla vita aeterna, per la quale pregano oggi i cristiani, non senza il fervido desiderio che venga rinviata a tempi lontanissimi.

Né vi pensò, evidentemente, lo stesso Gesù, il quale non sceverò mai il significato esatto del «Regno di Dio» da lui predicato e non ne offrì una descrizione esaustiva ai propri uditori. Ma proprio questo induce a credere ch'egli, al fondo, avesse le medesime concezioni del popolo e si riferisse all'escatologia tardo-giudaica e all'imminente inizio del Regno di Dio in terra, benché tale credenza sia stata in lui liberata fino a un certo punto dagli elementi nazionalistici. Ma anche tale tendenza era già presente nel Giudaismo.

Numerosi teologi, non vincolati da convincimenti dogmatici, sottolineano che Gesù con l'espressione «Regno di Dio» non intendeva un paradiso soprannaturale, ma che - al contrario - lo voleva portare sulla terra, che nella sua esaltazione dei poveri non rimandava consolatoriamente a un aldilà migliore, ma prometteva in eredità la terra, che doveva essere trasformata e ricreata, in modo che non vi regnassero ancora terrore e violenza, fame e sete: in Palestina dovevano regnare i buoni 20.

Questo punto di vista è chiarito nel Nuovo Testamento dalla visione del veggente, che scorge la nuova Gerusalemme discendere dal cielo 21; ma esso traspare, anche se in termini la cui interpretazione non è del tutto sicura, in alcune parole di Gesù, ad esempio quando predice ai discepoli che siederanno su 12 troni e guideranno le 12 tribù d'Israele, promettendo: «Un giorno mangerete e berrete alla mia tavola nel mio regno» (Mt. 19, 28; Lc. 22, 30; cfr. anche Mt. 26, 29.). Gesù insegnò poi la preghiera: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra» (Mt. 6, 10) e una volta disse:

«Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il Regno dei cieli è oggetto di violenza, e i violenti se ne impadroniscono» (Mt. 11, 12).

Tale espressione, per altro particolarmente discussa, significa che Gesù e i Suoi, simili a degli aggressori, si impadroniscono del Regno di Dio sulla terra 22.

L'errore di Gesù

Oggi nessuno studioso serio e intellettualmente onesto pone in discussione la saldissima convinzione intorno all'imminente venuta del Giudizio e della Fine dei Tempi. (Il teologo Heiler, Der Katholizismus, 22)

Non è necessario spendere molte parole per affermare che Gesù s'ingannò sulla prossima fine del mondo. (Il teologo Bultmann, Das Urchristentum, 102)

Anche il Gesù sinottico appare convinto d'essere il Profeta della fine dei tempi; anch'egli contava sulla prossima realizzazione terrena del Regno di Dio, proclamando l'antico richiamo apocalittico: il che risulta evidente proprio nelle fonti più antiche. Benché eviti ogni forma di esaltazione escatologica e qualsiasi precisa profezia sulla fine del mondo, fu però convinto che il tempo mondano presente fosse ormai trascorso e che alcuni dei suoi discepoli non avrebbero «gustato la morte prima d'aver visto il Regno di Dio venuto nella sua potenza» (Mc. 9, 1; 1,15; 13, 30; Mt. 4, 17; 10, 7; 10, 23; 16, 28.), e non sarebbero giunti alla fine della loro missione in Israele «prima che fosse giunto il figlio dell'uomo» (Mt. 10, 23); che il giudizio di Dio si sarebbe compiuto «sopra questa generazione»! (Lc. 11, 51) «In verità vi dico - profetizza - questa generazione non passerà prima che tutto sia avvenuto» (Mc. 13, 30).

Invero, gli Evangelisti, che scrissero mezzo secolo più tardi, attenuarono le profezie di Gesù sulla prossima fine del mondo: già in Marco si trovano indizi in tal senso (caratteristico, in proposito, appare il capitolo 13); Matteo apporta qualche correzione all'immediatezza dell'attesa di Gesù, rinviandone la realizzazione 23; Luca appare ancor più orientato verso la durata della Chiesa nel mondo, sostituendo la credenza di Gesù nella prossima realizzazione dell'attesa, mediante la fede in una storia salvifica prevista da Dio, fatta di periodi di aspettazione e di tempi intermedi, ed eliminando in questo modo lo scandalo della mancata Parusia 24.

Ma le affermazioni sopra citate sono già di per sé eloquenti. Recentemente anche un cattolico ha ammesso che molte parole di Gesù lasciano supporre il suo convincimento circa una fine imminente (Winklhofer, 200). In realtà, anch'egli, come i Profeti, gli Esseni, le Apocalissi giudaiche e Giovanni il Battista, sembra considerare come ultima la propria generazione, profetizzandone la prossima fine con grandissima intensità.

Tutto questo fu chiaramente evidenziato per la prima volta dall'orientalista amburghese Hermann Samuel Reimarus (morto nel 1768) che, per prudenza, non pubblicò mai il manoscritto di 1400 pagine, intitolato Vom Zwecke Jesu und seiner Jünger; solo dopo la sua morte Lessing, nonostante le riserve degli amici Mendelssohn e Nicolai, pubblicò alcuni estratti di quest'opera importantissima nei Wolfenbütteler Fragmente 25. In seguito, la scoperta di Reimarus venne lasciata nell'ombra e dimenticata, fmché non fu definitivamente accolta dal teologo Johannes Weiß e rielaborata soprattutto da Albert Schweitzer fra '800 e '900 26.

Lo sconcerto fu grande, enorme lo sdegno. Infatti, a questo punto erano certe due cose: 1) che Gesù collegava strettamente il concetto del prossimo Regno di Dio, centro del suo insegnamento, alle analoghe concezioni giudaiche correnti in quell'epoca 27; 2) che si era irrimediabilmente sbagliato. Ma a dispetto delle aspre ripulse iniziali dei teologi liberali, le nuove prospettive apparivano convincenti, e oggi vengono quasi universalmente considerate come la rivoluzione copernicana della teologia moderna da tutti i teologi che non siano aprioristicamente vincolati ai dogmi tradizionali 28.

È vero che si danno frasi e parabole di Gesù, le quali paiono alludere al «Regno di Dio» come a qualcosa di già presente, a qualcosa di interiore, a un valore etico già esistente o già incarnato nella figura di Gesù stesso 29. E talora ne annunzia anche un compimento spirituale, cui, per altro, si contrappongono spesso concezioni molto concrete, assolutamente consone alle aspettative dei contemporanei: come quando vuole sedere a tavola nel Regno e vi intende bere e mangiare coi propri seguaci, quando promette posti d'onore o parla di persone monocole o storpie che vi si recheranno 30.

Una concezione più spirituale pare testimoniata specialmente da Lc. 17, 20 sg., ma la traduzione dipende già dall'interpretazione del traduttore: la traduzione di Lutero «Il Regno di Dio è dentro di voi» viene perlopiù rifiutata, dal momento che Gesù parla ai Farisei, che ben difficilmente recano in sé il Regno di Dio.

In generale questi passi (pochi ed estremamente controversi) non inficiano il carattere escatologico del suo messaggio; al contrario, esso viene straordinariamente rinvigorito dal fatto ormai del tutto assodato, che l'intera cristianità primitiva credette in un Regno di Dio ormai prossimo, convinta di una catastrofe universale imminente. Il che sarebbe stato alquanto difficile senza il supporto di un riferimento alla predicazione di Gesù 31.

Anche l'intera cristianità primitiva rimase delusa ...perchè si considerava imminente il ritorno del Signore, come attestano non solo singoli passi delle Epistole di S. Paolo, dei Santi Pietro e Giacomo e dell'Apocalisse, ma anche la produzione letteraria dei Padri apostolici e la vita della primitiva collettività cristiana. (l'arcivescovo Conrad Gröber, 18)

I discepoli di Gesù si attendevano certamente che con la sua morte avrebbe coinciso la concreta fine dei tempi. Il fatto che ciò non si sia verificato reca in sé la radicale delusione del movimento messianico che si richiamava a Gesù, ma certo non la fine della disperazione, la rassegnazione o il ridicolo. (H.J. Schoeps, Paulus, 121)

La loro aspettativa è stata delusa: bisogna ammetterlo senza remore.
(Il teologo Harnack, Das Wesen des Christentums, 108).

Il mancato ritorno di Gesù e la continuazione della storia devono aver arrecato difficoltà enormi ai capi cristiani, specie in età apostolica o immediatamente postapostolica, benché, com'è ovvio, ce ne siano state tramandate scarsissime notizie 32. La situazione fu tanto più critica, perché l'aspettazione della Parusia fu la componente essenziale della speranza cristiana nel futuro. I più antichi seguaci di Gesù, in ogni caso, e su questo non sussiste più alcun dubbio, trascorsero i giorni successivi alla sua morte in una tensione febbrile, in attesa del suo ritorno e della fine del mondo in un futuro ormai imminente 33.

E ancora nel II secolo era generale l'idea di un prossimo ritorno di Gesù, come provano tutte le fonti cristiano-antiche, interne o esterne al N.T.:

«Il tempo è prossimo», profetizza più volte l'Apocalisse. «Ecco, io vengo presto e la mia mercede è con me, per rendere a ciascuno secondo la sua opera... E lo spirito e la sposa dicono: "Vieni!" e chi ascolta, dica: "Vieni!"... Colui che afferma queste cose, dice: "Sì, io vengo presto!". Amen, vieni, Signore Gesù!» 34.

Ignazio, vescovo di Antiochia (morto ai tempi di Traiano [98-117]), afferma con assoluta certezza: «Il tempo ultimo è ormai giunto» (Eph. 11, 1). Analogamente nella Prima Epistola di Giovanni si attesta:

«Figlioli, l'ultima ora è giunta, e come avete sentito che giungerà un Anticristo, così sono apparsi già molti Anticristi; e da questo conosciamo che l'ultima ora è giunta» (1 Jh. 2.18).

L'Epistola di Barnaba ammonisce:

«Stiamo attenti negli ultimi giorni! È prossimo il giorno in cui col maligno tutto precipiterà nella rovina. È vicino il Signore con la sua mercede» (Barn. 4, 9; 21, 3. Cfr. anche 10, 11).

«La fine di ogni cosa è vicina» - preannuncia la Prima Epistola di Pietro (1 Ep. di Pietro, 4, 7. Cfr. anche 1, 20). Con riferimento alla Scrittura, l'Epistola agli ebrei annuncia:

«Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire verrà, e non si farà aspettare».

E ripetutamente ribadisce che Gesù ha recato la Buona Novella «alla fine dei giorni», «al termine dei tempi» (Hebr. 10, 37; 1, 2; 9, 26). Negli Atti degli Apostoli anche Pietro predica che il celebre miracolo pentecostale, l'effusione dello spirito, è avvenuto «negli ultimi giorni» 35. L'Epistola di Giacomo esorta:

«Siate dunque pazienti, cari fratelli, fino alla venuta del Signore... Il giudice è alle porte» (Jak. 5, 7; 5,9).

Nella Didaché (10, 6) i cristiani pregano: «Venga la grazia, e trapassi questo mondo... Marana tha» (Did. 10, 6).

Marana tha - «Vieni, o Signore!» - era l'invocazione e la preghiera dei primi cristiani, che mai si stancavano di levare gli occhi al cielo, sulle cui nuvole attendevano Gesù in carne e ossa. Nel Ponto un vescovo annunciò che entro l'anno sarebbe avvenuto il Giudizio Universale, sì che la comunità si disfece di ogni avere, aspettando la fine in preghiera per molte settimane. L'imbarazzo del vescovo non dev'essere stato trascurabile, dal momento che aveva rafforzato la sua profezia con le parole: «Se non accadrà ciò che vi ho detto, d'ora in avanti non crederete nella Scrittura, ma ciascuno farà quel che vorrà». In Siria, un altro vescovo si incamminò verso il deserto con tutta la comunità dei fedeli, bambini compresi, per andare incontro al Signore, che ormai s'appressava: vennero salvati a stento dalla fame e dalla sete... dalla polizia pagana! 36

Ma perché il Cristo non arrivava? Come mai quel futuro tanto splendido ritardava? In molti documenti i fedeli venivano esortati continuamente alla pazienza, i dubbi vieppiù crescenti venivano attenuati, e venivano combattuti lo scherno e le attese deluse 37. Si rinnovava continuamente la promessa: la fine è assai prossima, presto giungerà il Signore! Goethe ha ironizzato su questa credenza nel frammento dell'Ewiger Jude:

«I preti urlavano in lungo e in largo:
ecco, arriva il tempo estremo,
pentiti ormai, schiatta peccaminosa.
Disse l'Ebreo: "non me ne dò pensiero,
da troppo sento parlar dell'Ultimo Giudizio"».

Allorché la crisi divenne più acuta, quando sempre più fitti si fecero i dubbi e il malcontento dei cristiani s'accrebbe, quando cominciarono a stancarsi delle promesse della Chiesa, dicendo:

«L'abbiamo sentito dire al tempo dei nostri padri, ed ecco, siamo diventati vecchi, e nulla di tutto ciò si è realizzato» (Clem. 23,3)

oppure:

«Ma dov'è il ritorno promesso? Da quando i padri si sono addormentati, tutto è restato com'era fin dal principio della creazione» (2 Petr. 3, 4),

a quel punto la nascente Chiesa cattolica spiegò la mancata Parusia con le parole del Salmo, col quale ancor oggi vien consolata l'umanità credente, cioè sostenendo che per il Signore mille anni sono come un giorno (ibid. 3, 8 sgg.). Si cominciò allora ad affermare addirittura che tutto il tempo intercorrente fra la creazione e la fine del mondo era per Dio soltanto un giorno; l'indugio, poi, non ad altro era dovuto se non alla magnanimità del Signore 38.

Le parole attribuite all'apostolo Giovanni, secondo le quali non morirebbe, ma esperimenterebbe ancor vivo la Parusia, dopo la sua morte vennero confutate con la chiosa che Gesù non aveva detto che non sarebbe morto, bensì «Se è mia volontà ch'egli rimanga fino al mio ritorno... 39.

Questo metodo non era nuovo: infatti, già per gli Esseni, che vissero nell'attesa della prossima fine, il ritardo venne giustificato, sostenendo che «i misteri di Dio sono mirabili»,

«la fine ultima si procrastina da un giorno all'altro, e ancora manca qualcosa al compimento di tutto ciò che i profeti hanno detto... Se indugia, aspetta, ché di certo arriva, e non potrà mancare» 40.

E come accadrà poi ai cristiani, già agli Esseni il ritardo venne spiegato, rimandando a terrifici stadi intermedi, che avrebbero dovuto aver luogo, come il «dominio di Belial» o «l'età ultima dell'empietà» 41.

Intorno al 150 Giustino, l'apologeta più importante del II secolo, esorta gli ebrei con queste parole:

«Vi resta ancora poco tempo per unirvi a noi; dopo il ritorno di Cristo non avranno più alcun valore né il vostro pentimento né il vostro pianto» (Justin. Tryph. 28, 2).

Anche per lui il ritardo della fine non è che la manifestazione della bontà di Dio, il quale vuol far ancora crescere la Chiesa, prima di annichilire il mondo (Justin. Apol. 2, 6-7). E il Santo ha anche un'altra spiegazione dell'indugio: forse - dice - non sono ancora nati uomini, che devono essere salvati (ibid. 1, 28). Le argomentazioni più assurde dovevano rendere plausibile per i cristiani la Parusia mancata, ma parecchi di loro abbandonarono la fede in un Signore poco puntuale (Tert. patient. 2).

Eppure ancora intorno al 200, nel Canone Muratori, documento importante della comunità cristiana di Roma, si afferma che «siamo ormai alla fine dei tempi» 42. Contemporaneamente la medesima promessa si ritrova in Tertulliano:

«Quale spettacolo - scrive - è per noi il ritorno del Signore! Fin da prima della creazione del mondo noi siamo stati destinati da Dio alla fine dei tempi» (Tert. spect. 30; cultu fem. 2, 9).

Egli racconta persino

«che in Giudea per quaranta giorni, all'alba, dal cielo pendette una città, le cui mura scomparvero con l'avanzare della luce del giorno; eppure non esiste alcuna città nelle vicinanze» (Tert. adv. Marc. 3, 24).

Insomma, anche questo eminente rappresentante della Patristica pensò a una Gerusalemme Celeste, che discendeva letteralmente dal cielo! E ancora nel III secolo il Padre della Chiesa Cipriano sostenne con estrema decisione l'imminente ritorno del Signore (Cypr. Demetr. 3. Anche 4. Fortunat., 2).

In che modo la fatidica attesa fu sempre rinviata

A questo punto si insegnava già a pregare «per il rinvio della fine», e contemporaneamente «anche per gli imperatori, per coloro che ricoprono uffici imperiali ed esercitano la pienezza del potere» (Tert. apol. 39). Già da allora il potere attirava i vescovi, e poiché esso non pioveva dall'alto, ci si accostò a quello romano. I cristiani, ai quali fino ai primi del II secolo era proibita ogni forma di attività pubblica, (Herm. sim. 4, 5) cominciarono a gareggiare coi pagani nell'agricoltura, nel commercio, nella navigazione e nell'artigianato, (Tert. apol 42) e a poco a poco trovarono che l'esistenza terrena era abbastanza tollerabile; ritennero il mondo, prima del tutto ripudiato, disprezzato e persino odiato 43, ben degno del suo Creatore, paragonandolo a una dimora ben costruita, anzi ancora in via di costruzione; quello stesso mondo, di cui da tempo immemorabile era stata profetizzata la fine 44. Se i primissimi cristiani terrorizzarono generazioni di pagani col ritorno del Cristo e con l'imminente Giudizio, intorno al 200, per la prima volta li minacciarono... col loro numero (Tert. apol 37).

E allorché gli imperatori elevarono il Cattolicesimo a religione di Stato, l'attesa del Regno di Dio in terra divenne superflua. I vescovi della Chiesa se la passavano magnificamente, e non era più il caso di parlare della fine del mondo: tutto il contrario! Per ben due secoli avevano bramato il ritorno di Gesù e la fine del mondo, ma nel IV secolo i Padri della Chiesa esclamavano:

«Possa tutto ciò non accadere ai nostri giorni! Perché terribile è il ritorno del Signore!» 45.

Anzi, il vescovo di corte Eusebio di Cesarea, padre della storia della chiesa, a questo punto discreditò il vescovo Papias, morto martirizzato intorno al 150 e uno dei «padri apostolici», definendolo persona completamente imbecille, proprio a causa della sua intensa fede escatologica (Euseb. h.e. 3, 39, 11 sgg.).

Insomma, tutto rimase come prima: nessuna nuova era, nessun capovolgimento di tutte le condizioni vigenti; guerre, ambizione, ingiustizia sociale fiorivano come prima, e non a dispetto della Chiesa, ma spesso col suo contributo: in fondo, la Chiesa fu, forse, l'unica vera novità.

È ovvia la ragione per cui proprio il Cattolicesimo combatté aspramente l'attesa escatologica del Signore (Cfr., ad es., Adam, 90 sgg.): se non si fosse pervenuti alla creazione della Chiesa e del Papato, la fede delle prime generazioni di cristiani si sarebbe adempiuta. Nel Syllabus lamentabili Pio X, nel 1907, riprovò e condannò la scoperta fondamentale della ricerca neotestamentaria, e sarà dimostrato in seguito come già l'esegesi ecclesiastica del III e del IV secolo aveva occultato o stravolto citazioni bibliche evidentissime. Gesù disse agli Apostoli:

«Se sarete perseguitati in una città, fuggite in un'altra; perché in verità vi dico: Non giungerete alla fine delle città d'Israele, che il figlio dell'uomo sarà tornato» (Mt. 10, 23).

Ora, i Padri della Chiesa nell'età delle persecuzioni citavano, certo, la prima metà di questa frase, il consenso alla fuga (perlopiù, del resto, per applicare anche a se stessi quel permesso, che Gesù aveva concesso soltanto agli Apostoli), ma non ne riportavano mai la seconda parte, nella quale Gesù aveva promesso agli Apostoli che sarebbe stato di ritorno durante la loro esistenza terrena. Queste parole, per essi evidentemente spinose e incomprensibili, furono sistematicamente sottaciute e ignorate proprio da Tertulliano, Clemente, Origene, Pietro di Alessandria e Atanasio: e non mi riferisco solo alla loro eventuale esegesi, ma alla citazione stessa del passo evangelico! 46

Se Gesù, in previsione della fine imminente, dice agli Apostoli di affrettarsi per le città d'Israele senza abiti superflui e senza provviste, bene, allora non resta che aggirare la frase mediante una qualche interpretazione allegorizzante. Clemente Alessandrino vide in tale peregrinazione il viaggio dell'anima in cielo, ed Eusebio di Cesarea l'esortazione a una vita filosoficamente sgombra da bisogni superflui 47. Laddove il N.T. parla di «ultimi tempi», ecco che si sostenne trattarsi della «fine del popolo ebreo» (Euseb. dem. ev. 8, 1, 48), oppure si tentò di intendere la definizione di «ultimi tempi» non in senso cronologico, ma in riferimento alla storia della salvazione. L'attesa dei primi cristiani di un Signore che discende dalle nubi del cielo venne giudicata infantile, e si insegnò che la seconda venuta di Cristo non era un avvenimento concreto e visibile, ma un accadimento interiore e spirituale 48.

Ma i Padri della Chiesa intervennero anche sui testi neotestamentari; e così nella fatidica profezia paolina della realizzazione prossima dell'attesa - «ché il mondo, nella sua forma attuale, va incontro alla fine» (1 Cor. 7, 31) - ad opera di Tertulliano, Rufino, il vescovo Ilario Pictaviense e altri il presente, eccessivamente impegnativo e compromettente, diventò un futuro: «andrà incontro alla fine» (transibit) 49. Sulla falsariga di codesta tendenza accadde talvolta che venne falsificato anche il Pater Noster, sostituendo l'invocazione «venga il tuo regno» con la preghiera «venga il tuo spirito» 50. Agostino, poi, fu il primo a identificare il Regno di Dio con la Chiesa, capovolgendo radicalmente la primitiva fede cristiana (August. civ. Dei, 20, 9).

La più antica fede cristiana venne allegorizzata, spiritualizzata e modificata, giacché la storia ne aveva dimostrato l'erroneità; la Chiesa negò recisamente la prossima discesa del Signore propria della cristianità primitiva, sostituendovi quella che opportunamente venne definita «eternal life school», cioè se stessa e il Regno dei Cieli (Selby, 36).

Soltanto con questa metamorfosi, mediante la sostituzione dell'idea del Regno di Dio con il concetto di Chiesa e con il crescente sacramentalismo, il Cristianesimo venne salvato e la Chiesa fu consolidata; cioè, mediante un'opera di falsificazione, che rimane tale anche se spesso venne perpetrata in ottima fede, concludendosi poi in maniera del tutto congrua. L'eccitazione con cui si guardò ansiosamente al ritorno del Cristo andò via via spegnendosi, la fede originaria andò vieppiù impallidendo: il corso concreto della storia l'aveva condotta ad absurdum. Cristo non fu più atteso nell'immediato, egli fu presente nei Sacramenti, e ai fedeli fu garantita la salute individuale dell'anima, l'immortalità, il che andò guadagnando una crescente importanza 51. Al posto del Salvatore aspettato, si fece largo il Redentore già presente, in luogo del bramato spettacolo della fine, un dramma delle anime. Invece dell'attesa imminente si insegnò l'attesa procrastinata, perché, in effetti, l'attesa della fine non fu mai del tutto abbandonata, dato che ciò avrebbe urtato troppo apertamente contro l'intera tradizione cristiana delle origini. E il ritorno di Cristo venne rinviato a tempi indeterminati.

Ormai dovrebbe essere chiaro: gli Apostoli e la Comunità primitiva, che s'attendevano la fine da un giorno all'altro, non pensarono di scrivere qualcosa intorno a Gesù in vista «delle generazioni future»: chi è quotidianamente immerso nella meditazione intorno alla fine del mondo, non si mette a scrivere libri 52.



Riferimenti Bibliografici:

6 J.J. Griesbach, Synopsis Evangeliorum Matthaei, Marci et Lucae, 1774-76, 17972, 18093, 1822.
13 Riferimenti in proposito in Stauffer, Jerusalem u. Rom, 74 sg. Cfr. anche Bultmann, Geschichte u. Eschatologie, 30 sgg.
14 Gressmann, Der Messias, 14, 74 sgg.; Zehren, 303.
15 Grande abbondanza di riferimenti in Bousset, Religionen des Judentums, 321 sgg.
16 Judas V, 14 con riferimento a Henoch 1, 9.
17 Così R. Otto, Reich Gottes und Menschensohn, 143 sgg., 31 sgg. Cfr. anche Wechssler, 129 sgg.; A. Schweitzer, Die Mystik des apostels Paulus, 58; Werner, Der protestantische Weg, I, 100, 103, 106.
18 Wellhausen, Evangelium Matthaei, 4.
19 Ev. Heb., Fragni. 11; Schneider, Geistesgeschichte I, 38 e 57; Knopf, Einführung, 254; Dibelius, Jesus, 57; Leipoldt, War Jesus Jude?,60 sg. e 63; Idem, Das Gotteserlebnis Jesu, 11 sg.; Goguel, 385 sgg.; Weinel, Biblische Theologie, 20,9.
20 Cfr., ad es., B. Schneider, Geistesgeschichte I, 42; Bornkamm, Jesus von Nazareth, 70 a proposito di Luca 6, 20 e Matteo 5, 3. Id. Studien zur Antike u. Urchristentum, 79; Goguel, 385; Asmussen, 33; Weinel, Die Stellung des Urchristentums, 8 sgg.; Id., Biblische Theologie, 50 sg.; Knopf, Einführung, 255, 204; Pfleiderer, I 339; Wetter, Der Sohn Gottes, 109.
21 Apocal. 21, 10. Cfr. anche ibidem 19, 11 sgg.; in proposito Bietenhard, 14.
22 Cfr. Preisker, Das Ethos des Urchristentums, 22.
23 Grässer, 76 sgg., 157 sgg., 169, 178 sgg., 199 e passim. Cfr. anche la periodizzazione in Selby, 21 sgg.
24 Conzelmann, Die Mitte der Zeit, 80 sgg.; Haenchen, Die Apostelgeschichte, 87 sgg., 114 sg.; Bultmann, Geschichte u. Eschatologie, 44 sg,
25 Sulla rivalutazione di Reimarus cfr. A. Schweitzer, Vom Reimarus zu Wrede, 14 sgg.; Klausner, Jesus von Nazareth, 99 sgg.
27 Cfr., oltre le indicazioni fornite sopra, anche Dalman, Die Worte Jesu 1, 75 sgg;. Volz, 165 sgg.
28 Cit. da Heiler, Der Katholizismus, 3. Holmström offre una dettagliata panoramica. Cfr. anche Werner, Die Entstehung, 36 sgg,; Id., Der protestantische Weg I, 104; Buri, Das Problem der ausgebliebenen Parusie, 98 sgg.; Cullmann, Parusieverzögerung u. Urchristentum, 1 sgg.; Grässer, 3, 74 sg., 216; Heiler, Urkirche u. Ostkirche, 37; Id., Der Katholizismus, 21 sgg., 3; Knopf, 256 in riferimento a Marco 9, 1; 13, 30; 14, 62; 14, 26 e Luca 10, 17; Hauck, 161. Loewenich, Die Geschichte der Kirche, 22; Bomkamm, Jesus von Nazareth, 185, nota 40; Weinel, Biblische Theologie, 41; Bultmann, Das Urchristentum, 102; A. Schweitzer, Die Mystik des Apostels Paulus, 60. Sull'errore escatologico di Gesù cfr. anche, per esempio, Soden, Urchristentum u. Geschichte I, 63; Braun, Spätjüdisch-häretischer II, 63 in riferimento a Lc. 11, 20, Mt. 12, 28 e Mc. 1, 15. Cfr. anche II, 49; Schoeps, Die großen Religionsstifter, 77; Tillich, II, 143; Jaspers, 22; Schlatter, Das christliche Dogma, 347, 588; Wilamowitz, II, 529; Nestle, Krisis, 517; Blüher, 118; Zbindem, 34. Secondo molti teologi, come Schweitzer, Werner, Buro e altri, l'attesa della prossima fine del mondo fu fin dal principio addirittura il motivo autentico della comparsa in pubblico di Gesù. Werner, Entstehung, 68 in riferimento a Mc. 1, 14; Id., Der protestantische Weg, I, 104, 110; Buri, Die Bedeutung der neutestamentlichen Eschatologie; Id., Das Problem der ausgeblieben Parusie, 97 sgg. Cfr. anche Strege, 13 sgg., 146 sgg. Scappatoie apologetiche ad esempio in F. von Hügel, in Essays and adresses in the philosophy of religion, 1926, 21; C.H. Dodd 53 sg. Cfr. anche gli inutili sforzi apologetici in Michaelis, Der Herr verzieht nicht die Verheißung, 36 sgg. Oppure i tentativi di mediazione in Althaus, Die letzten Dinge, 271 sgg.; Meinertz, I, 61. Vedi invece anche M. Barth, 321, nota 209.
29 Cfr. in particolare Lc. 17, 20 sg. Inoltre: Mc. 4, 30 sgg.; Mt. 13, 31 sgg.; Lc. 10, 18 sgg.; Mt. 12, 28 e 13, 24 sgg. e 13, 47 sgg. In proposito v., ad esempio, Werner, Um die Frage der Entstehung des christlichen Dogmas, 63 sgg.
30 Lc. 22, 30; Mc.8,11 e 19, 28; Mc. 9, 43 sgg.
31 Oltre agli autori citati nella nota 6, p. 22, cfr. anche Grässer, 216.
32 Cfr. in particolare Nigg, Das ewige Reich, 61 sgg.
33 Cfr. Kümmel, Kirchebegriff, und Geschichtsbewußtsein, 15 e Die Eschatologie der Evangelien, 239. Werner, Die Entstehung, 75 e Der protestantische Weg, I, 109; 113. Dibelius, Botschaft und Geschichte, I, 142. Hauck, 161. Loewenich, Die Geschichte der Kirche, 22. Hirsch, Die Auferstehungsgeschichten, 40. Schoeps, Paulus, 121 sgg.
34 Apc. 1, 3; 22, 10. 12, 17, 20.
35 Atti 2, 17. Cfr. anche Gioele 3, 1 sgg. Inoltre Werner, Der protestantische Weg I, 136, particolarmente la nota 20, pag. 926.
36 Hippol. in Danielem 4,18, 1 sg. e l9, 1 sgg.
37 Jak 5,7sgg.; Hebr. 10, 36 sgg.; 2 Petr. 3, 1; Clem. 11 sg.; Herm., vis. 3, 8, 9; sim. 10, 4, 4.
38 Ibidem; Orig. in Matth.; Comm ser. 111. Cfr. anche 1 Clem. 23, 3 sgg.; 2 Clem. 11, 12; Justin., Tryph. 39.
39 Jh. 21, 22; Knopf, Dasnachapostoliche Zeitalter, 399 sg.; Nigg, Das ewige Reich, 66.
40 Dsh 7, 7 sgg. Inoltre Braun, Spätjüdisch-häretischer, I, 53 e II, 50. Cfr. anche Molin, 91 sg.; 152 sgg. K. Ellinger, 191 sgg. K. Schubert, 38 sgg., particolarmente 88 sgg.
41 Dsd 1, 18; Dsh, 5, 7 sg. Inoltre, K. Schubert, 90 sgg. I Rabbini parleranno, in seguito, delle «doglie dell'età messianica». Quanto peggio vanno le cose, tanto più s'accosta il prezioso momento!
42 Cit. in Leipoldt, Geschichte des neutestamentlichen Kanons, I, 47.
43 Ad es. 2 Clem. 6, 3 sgg. Cfr. anche p. 335.
44 Tert. adv. Marc. 1, 14; Min. Felix 18; Method. symp. 2, 1.
45 Cirill. di Gerusalemme, cat. 15, 4 sg. e 18, 21. Cfr. anche Lact. div. inst 7, 25; Hippolyt. in Danielem 4, 12, 2.
46 Così Werner, Die Entstehung, 72, nota 112. Ivi anche i riferimenti probanti.
47 Mt. 10, 5; Clem. Al. paed, 3, 39, 1; Euseb. dem. ev. 3, 4, 33; Theoph. 5, 21.
48 Nigg, Das ewige Reich, 74.
49 Tert. resur. carnis, 32. Hilarius Pictav. de trin. 10, 42.
50 Le attestazioni in W. Baucr, Das Leben Jesu, 402. Cfr. anche Heiler, Der Katholizismus, 20. Wcllhausen, Evangelium Lucae, 55 sg. Grässer, 95 sgg.
51 Cfr. Bultmann, Geschichte u. Eschatologie, 60 sgg. Taubes, 71 sg.
52 Dibelius, Formgeschichte, 9; anche Botschaft u. Geschichte I, 221 e 306 sg.; Die Botchaft von Jesus Christus, 120 sg. E ancora Overbeck, 74; Hänchen, Apostelgeschichte, 87; Goodspeed, A history of early Christian literature, 1 sgg.





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view post Posted on 5/5/2011, 09:35     +1   -1
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Ciò che invece io contesto è uno sproloquio di cutpaste in pieno stile "ginnasta del mouse" per usare una felice espressione di Polymetis, di un partigiano le cui teorie (basate su autori ottocenteschi e al più di inizio xx secolo) sono state destituite di ogni fondamento da decenni.
Per questo genere di ricerca abbiamo la sezione trash, insieme a Giovanni di Gamala e Dan Brown
 
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