Studi sul Cristianesimo Primitivo

Il Cristo storico, il Gesù della fede ed una "coraggiosa" riflessione del prof Jossa

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view post Posted on 31/7/2010, 17:11     +1   -1

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CITAZIONE
….Che poi si possa tranquillamente e dignitosamente proporre in questa sezione delle riflessioni su quello che io personalmente considero il Gesù mitologico consolidatosi nella cristologia cattolica "post eventum" tentando di sviscerarne le eventuali reali, oggettive coordinate storiche tuttoggi ancora fondamentalmente indecifrate, beh questo..."qualcosa vorrà dire"...

CITAZIONE
...Che poi si torni puntualmente e quasi ossessivamente su questo "giovanni di gamala" di cascioliana memoria, personaggio che ovviamente ha perfino meno probabilita di "aver avuto corpo" di quel Gesù mitologico consolidatosi nella cristologia cattolica "post eventum" , finendo per associare ogni tentativo di interpretazione storiografica del reale Gesù storico a una figura da romanzo mi sembra decisamente potersi considerare alla stessa stregua dell'operazione effettuata (in buona o cattiva fede) da chi da due millenni si intestardisce a proporre la romanzesca versione evangelico/neotestamentaria della vicenda gesuana quale "Fatto Storico sostanzialmente assodato”

Domando: chi è questo Gesù di Nazareth? se non erro sono 2000 anni che ne parlano tutti, ma nessuno, al di la di personalissime convinzioni di tipo fideistico basate anche su "semplici" testi di letteratura religiosa,(convinzioni che nulla tolgono o aggiungono alla definizione storica del problema) ne hai mai potuto stabilire una univoca identita storica.
Quale dei troppi gesù storici è quello giusto, quello che ha dato vita alla sua controfigura romanzesca e agiografica cristallizzatasi dopo molto decenni nelle pagine ondeggianti della variegata letteratura neotestamentaria?...

CITAZIONE
...di fronte al fatto da me rilevato che nonostante gli ultimi centocinquanta anni di ricerca specialistica, condotta da studiosi dalle indiscutibili competenze nei campi piu svariati, che si sono avvalsi delle piu rigorose metodologie scientifiche, non si sia riusciti a delineare una convincente ed univoca definizione di un Cristo Gesù storico, finendo al contrario per moltiplicare in maniera esponenziale il numero di possibili Gesù che altro non sono che dei prototipi storiografici più o meno plausibili e spesso non compatibili gli uni con gli altri...

CITAZIONE
Il punto centrale invece, secondo me, è che bisognerebbe prendere atto con più semplicità e direttamente che lo stato della ricerca specialistica sulla vicenda gesuana non ha prodotto ad oggi (e non è un'accusa ma una dolorosa constatazione) risultati che si possano definire soddisfacenti, se l' obiettivo era quello di mettere a fuoco la reale figura storica di questo uomo.

E questo a mio avviso anche perchè si è voluto, nella quasi totalità dei casi, seguire un approccio metodologico viziato da una sottesa (spesso inconscia) tendenza a lavorare i frammentari dati storici esterni in eccessiva contiguità con i piu forti dati letterari interni (le fonti neotestamentarie) finendo per orientare e quindi deformare quei dati di partenza pervenendo ad una visione globale del fenomeno poco stabile ed inevitabilmente poco convincente.

Una serie di immagini riflesse di un uomo oscuro intrappolato in una camera di specchi deformanti, nella quale ognuno è polemicamente libero di scegliere quella che più trova congeniale.

CITAZIONE
Se non ci si convince una volta per tutte che la rielaborazione letteraria postuma (e quanto postuma...) operata con valenza mistico-spirituale sulla base di quanto una comunità di credenti ha tramandato oralmente quale proiezione soggettiva e di massa di un desiderio incarnato, non può essere utilizzata quale base fondante di una valida ricostruzione storiografica, non si esce da quella camera degli specchi.

Il Cristo della fede, rispettabile fantasma di un gruppo umano accomunato dalla stessa speranza trascendente non è il Cristo della Storia, e voler pervicacemente insistere in un tentativo di sovrapposizione/conciliazione non può che soffocare ogni speranza di scorgere le coordinate immanenti del secondo, che poi è ovviamente il solo reale.

La psicologia religiosa capace di produrre alchimie letterarie di indubitabile interesse, reca con se lo "svantaggio" di riplasmare a volontà del credente la fisiologia storica di qualsiasi personaggio/evento reale.

Non mi sembra un caso che i pochi studiosi (non sempre dilettanti) che nel corso degli ultimi due secoli abbiano tentato un approccio simile o quantomeno una sua parziale esecuzione, abbiano nolenti o volenti, finito per individuare elementi estremamente interessanti che avrebbero potuto (e potrebbero ancora se debitamente rivalutati) contribuire a una profonda virata rispetto al quadro classico, se non fosse che per motivi per me non convincenti, sono stati "opportunamente" e "scientificamente" isolati e/o ignorati.

CITAZIONE
Molto difficile, se non addirittura impossibile, secondo me, conciliare una fede solida con una comunque fortemente sentita esigenza di indagare storicamente l'oggetto primario della propria fede.
Se vi è fede nella trascendenza di Gesù mi appare estremamente complessa una operazione di ricerca che si svincoli da questa premessa di base partendo da un' ipotesi che, seppur in via dubitativa, concepisca un Gesù immanente.

Mi sembra evidente che quella fede nella trascendenza di Gesù comporti ineluttabilmente la morte del concetto di "Gesù storico" per la buona e semplice ragione che in questo caso Gesù non sarebbe nella Storia, ma sarebbe egli stesso la Storia

Mi sono permesso di riportare qui alcune mie personali considerazioni (che nei giorni scorsi ho inserito nelle pagine della sezione MITI E RELIGIONI) in merito alla questione del rapporto fra il Cristo della storia ed il Gesù della fede, a mio avviso centrale nell' ambito della ricerca sulle origini del cristianesimo.

Riflessioni che partono dalla constatazione che, nonostante gli sforzi compiuti da un enorme numero di esegeti, non si sia sostanzialmente giunti a poter definire, per questa via, una dimensione credibile e storicamente “affidabile” per il reale uomo Gesù.

E’ mia convinzione che questo insuccesso sia fondamentalmente dovuto ad una errata impostazione di base, ossia l’aver prediletto un tentativo fondamentalmente retroproiettivo, basato sull’assunto che il Gesù della fede narrato dai testi neotestamentari potesse condurre per complesse destratificazioni successive (pur operate con sempre piu raffinati strumenti storico-critici) alla figura del Cristo della storia.

Questo metodo è stato dettato, secondo me da due motivazioni principali, una di ordine storico l’altra di ordine piu squisitamente logico-pragmatico.

1) L’ imprescindibile forza che il cristianesimo/cattolicesimo vincente e istituzionalizzatosi nel corso dei secoli ha acquisito e mantenuto nell’ ambito della società occidentale, che ha ineluttabilmente orientato e condizionato, in modi differenti secondo le differenti epoche, ogni (o quasi) indagine in merito.

2) L’ evidente sproporzione quantitativa (ma non necessariamente qualitativa) fra i presunti dati storico-biografici contenuti nei testi interni alla tradizione letterario-religiosa cristiana e i dati storici contenuti nelle meno omogenee e più lacunose fonti esterne.

Questi due elementi, combinati assieme, hanno inevitabilmente costituito un potente vettore che ha fortemente contribuito a centralizzare e circoscrivere la quasi totalità dei tentativi di investigazione sull’ ignoto Gesù della storia, in un sistema di riferimento in cui ogni dato, ogni ipotesi, ogni conclusione doveva (e ancora deve) subire il filtro deformante costituito dall’ uomo/dio astratto, anistorico, letterario, sedimentatosi posteriormente nei confusi e spesso contraddittori mosaici narrativi evangelico-neotestamentari.

Peraltro questa impostazione metodologica risulta tanto più sterile e inefficace in quanto il ribaltamento della logica investigativa che parte da una costellazione di eterogenei testi posteriori dalla struttura precipuamente teologico-sacrale, non puo godere neppure di una solida e precisa definizione del contesto sociale, cronologico, geografico, autoriale, nel quale questi stessi testi sarebbero stati elaborati e redatti, dopo una delicatissima fase che si ritiene almeno quarantennale di elaborazione e rielaborazione orale (a mio avviso troppo frettolosamente “passata in giudicato” quale compatto meccanismo di trasmissione che avrebbe “traghettato” in maniera sostanzialmente uniforme un originario Gesù storico verso quel definitivo Gesù della fede che ritroviamo nelle trascrizioni neotestamentarie)

Il risultato scaturito dopo secoli di indagini è a mio avviso, al di la delle apparenze e delle dichiarazioni troppo partigiane e un po autocompiaciute, ancora decisamente e oggettivamente mediocre oltre che fortemente lacunoso;
la retroproiezione operata a partire da quei testi a loro volta lacunosi e contraddittori non poteva che generare una panoplia difforme di prototipi di Gesù storici, spesso “l’un contro l’altro armati”, nessuno dei quali dotato di determinanti vantaggi in termini di verosimiglianza ripetto ad ognuno degli altri.

Come ho gia lasciato intendere in alcuni miei interventi in passato, personalmente propendo per tutt’altra ricostruzione della vicenda gesuana, identificando seppur ovviamente in termini ancora assolutamente ipotetici, un Gesù rivoluzionario politico-religioso personalmente coinvolto nell’ accanita lotta messianista condotta da alcuni settori della società ebraica del tempo contro la presenza/occupazione blasfema dei romani (spalleggiati da una certa “aristocrazia” ebraica collaborazionista e da una variegata stirpe di erodiani).
Questa ricostruzione che in varie e differenti accezioni, si è anche alimentata delle riflessioni di autori importanti come Reimarus, Robert Eisler, Samuel Brandon , pur avendo in questo forum qualche altro sparuto ma determinato sostenitore, viene sostanzialmente bollata dal consensus specialistico che ne ha denunciato spesso in maniera pervicace, la totale inverosimiglianza.
Una ricostruzione che viene considerata frutto di una serie di ingiustificate inferenze sui dati storici di cui siamo in possesso.
Non è comunque mia intenzione in questo intervento tentare una volta di piu di controbattere ed argomentare specificamente in favore ed in difesa di questo modello interpretativo.
Ne faccio parola solo per dire che se quell’ipotesi viene considerata inferenziale, non posso esimermi dal dire che appare fin troppo evidente quanto il tipo di ricostruzione sopra illustrata (e che in generale fa consensus) sia (oltre che altrettanto inferenziale) per converso, mi si passi il termine, chiaramente deferenziale , vale a dire paradossalmente figlia di una forzata rielaborazione al rovescio carica di deferenza per il Gesù della fede.

Non si puo francamente continuare a credere che si possa soddisfacentemente raggiungere il reale Cristo storico attraverso questo discutibile processo di decostruzione di un “personaggio altro” il cui DNA costitutivo soggiace nella rielaborazione mistica di una piccola comunità di ebrei che , per cause forse prettamente psicologiche, SI CONVINSE che un “uomo altro” (il cristo storico) fosse resuscitato dopo che per cause ancora tutte da chiarire gli era stata inflitta una morte violenta.

Non si puo non prendere atto che la magmatica mole di apparenti dati storici contenuti in quei testi che hanno inteso cristallizzare nella parola scritta un lungo processo di conservazione/trasmissione/rielaborazione orale della “irragionevole”, folle pretesa di una comunità che ha creduto che un uomo ad essa particolarmente caro fosse, seppur per breve tempo, tornato fisicamente dalla morte, costituisca quello che si definisce un processo di storicizzazione di teologumeni, cioè la traduzione di affermazioni/convinzioni teologiche in termini storici .

Il “credo quia absurdum” di Tertulliano appare in questa ottica una brillante ed emblematica sintesi teologica di quanto appena espresso.
Ora non ci si può continuare a illudere che in quell’ absurdum teologico, generatosi nell’ambito di una comunità di “irragionevoli credenti nell’irragionevole”, si possa recuperare con ragionevole affidabilità una verità storica altra che, nel frattempo, proprio una profonda teologizzazione dei fatti storici originali avrebbe provveduto a “mistificare”.

Non si può d’altra parte fingere di non vedere quanto articolata debba essere stata anche la fase di pura trasmissione orale, e la problematica complementare connessa al suo diffondersi in comunità lontane e non direttamente “controllate” dalla comunita originaria di Gerusalemme.
Senza dimenticare che sembrerebbe evincersi che la successiva fase di elaborazione/redazione scritta di quella tradizione orale comincerebbe solo dopo che la comunita originaria giudea scomparve e perse ogni sua centralità in seguito ai tragici eventi del 66/70.

Attenzione poi, per quanto concerne il suddetto meccanismo della storicizzazione dei teologumeni, perché proprio una troppo radicale applicazione di questa categoria interpretativa alle fonti testuali cristiane ha aperto il varco che ha condotto spesso alcuni autori a teorizzare una totale astoricità della figura di Gesù, negandole ogni plausibile esistenza storica e facendone un puro prodotto mitologico (o, mi si passi il neologismo, miteologico…) .
Conclusione che, paradossalmente, nella sua radicalità ha finito secondo me per fare gioco ad una certa esegesi di parte che ha preferito scontrarsi con una posizione del genere piuttosto che essere costretta a misurarsi con chi, pur sostenendo la sostanziale astoricità del Gesù della fede, e anzi proprio a causa di questa convinzione, tentava di “mettere il naso” nelle vicende che si celavano dietro quel fantomatico Gesù teologico per riportare alla luce le reali coordinate storiche dell’ uomo che probabimente incarnò le caratteristiche del Messia liberatore antiromano.

Vorrei riportare a margine di queste mie personali (e modestissime) considerazioni un intervento decisamente più autorevole che riveste senza dubbio un particolare interesse in relazione alle tematiche toccate.

Si tratta dell'acuta e "coraggiosa" premessa che il prof Giorgio Jossa anteponeva al suo brillante volume "La verità dei Vangeli. Gesù di Nazareth tra storia e fede" Carocci 1998.
La riporto integralmente perchè credo che meriti una lettura e una riflessione specifica (il libro che consiglio fortemente è a sua volta degno di nota e conferma secondo me il prof Jossa quale studioso di rilevante spessore)

[ grassetto e sottolineato sono miei]

"Il tema della “verità” dei Vangeli (dirò subito perché anche nel titolo ho preferito questa espressione a quella, forse più immediatamente comprensibile ma anche assai più ambigua, della “storicità” dei Vangeli) non è certamente nuovo.
E’ stato invece affrontato un numero infinito di volte. Nella forma, tutto sommato molto simile, di una discussione sulla realtà storica di Gesù o. come più spesso dice, sul Gesù storico (ma anche nel sottotitolo ho preferito evitare un riferimento preciso alla figura storica di Gesù) esso ha costituito anzi alcuni decenni fa l’oggetto privilegiato degli studi neotestamentari.

Vi sono tuttavia almeno due motivi per riprenderlo ancora una volta.

Il primo è che, con poche eccezioni, esso è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti per rivolgersi anche all ‘uomo di cultura curioso di conoscere e comprendere meglio questi testi che, accettati o meno che siano come testi di fede, comunque sono parte integrante del patrimonio spirituale e intellettuale dell’ Occidente Europeo.
In un recente Dizionario di Teologia Biblica il maggiore studioso italiano del Nuovo Testamento, oggi Vescovo di Nardò e Gallipoli, V. Fusco, cominciava in questi termini la sua voce sui Vangeli:

“Che cosa sono i Vangeli? Se proviamo a chiederlo a un ragazzo del catechismo, o anche a un cristiano adulto qualunque, o forse anche a un non praticante, la prima risposta che verrà fuori sarà con ogni probabilità: “La vita di Gesù” “ (1)
Ed è questa anche la risposta, come vedremo assolutamente insoddisfacente, che darebbe quell’ipotetico uomo di cultura di cui parlavo sopra.
E’ infatti un dato di fatto insieme triste ed inquietante, di cui Chiesa cattolica e intellettuali laici portano congiuntamente la responsabilità, che i Vangeli sono in Italia molto poco conosciuti e quasi per nulla compresi. La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata.

Il secondo motivo è anche più grave.
Nei pochi casi in cui questo tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto, esso rivela quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.
E nel far questo si liberano con troppa disinvoltura delle opinioni contrastanti con la propria, spesso accompagnandone il rifiuto con giudizi inaccettabili sulla fede personale dei loro autori. E’ così che non soltanto un razionalista come HS Reimarus, ma anche dei teologi come DF Strauss e R. Bultmann, vengono respinti senza una seria confutazione, o addirittura senza una chiara esposizione dei loro argomenti, con una posizione che appare alquanto discutibile sia sul piano della serietà intellettuale sia su quello del rigore scientifico. (2)
Scopo di questo piccolo libro non è quindi discutere ancora una volta con esegeti e teologi la validità delle più recenti ipotesi scientifiche sui Vangeli, ma esporre in una forma semplice e accessibile la natura e le caratteristiche dei Vangeli quali si sono venute chiarendo negli ultimi due secoli attraverso le critiche anche radicali degli studiosi del Nuovo Testamento, senza la preoccupazione di salvarne a tutti i costi la “storicità” ma cercando invece di comprenderne il particolare tipo di “verità”.

E’ a quanti sono interessati a comprendere questo carattere dei Vangeli che si rivolge in realtà questo libro.


(1) V. Fusco Vangeli in Nuovo Dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 1988 p 1610

(2) Un esempio di questo tipo è a mio parere, nonostante la completezza e serietà dell’indagine, il volume, sull’argomento stesso di questo libro, del gesuita francese X Leon Dufour, I Vangeli e la storia di Gesù , Milano 1968. Non a caso infatti, fin dalla prefazione, l’ intenzione dell’autore di rispondere alla domanda, posta del tutto correttamente: “come, in realtà, raggiungiamo noi Gesù attraverso i quattro Vangeli?” viene riformulata subito dopo come volontà di “stabilire nella sua totale oggettività ciò che fu l’esistenza di Gesù di Nazareth”. E non a caso, subito prima, si individuano gli studiosi da rifiutare categoricamente in quegli autori, come un “Bultmann ed altri dopo di lui” che “ non contenti di minimizzare i risultati di una sana critica, negano ogni valore alla storia di Gesù”
Scopo del libro è palesemente ridare alla fede dei primi testimoni la sua concreta base storica, senza “adottare i pregiudizi che hanno compromesso i risultati di una ricerca che voleva essere scientifica”. Ma è proprio questa continuità che può apparire a volte problematica perché questi “pregiudizi” non sono forse del tutto infondati.
Diverso è senza dubbio il caso del recentissimo libro di G. Stanton col titolo quasi identico al mio,
La verità del Vangelo, Cinisello Balsamo 1998: un’esposizione completa ed equilibrata di tutti i principali problemi della tradizione evangelica.
Mosso dall’intento principale di contestare i tentativi di Thiede e O’Callaghan di garantire maggiore attendibilità storica alla narrazione dei Vangeli mediante un più alta datazione del Vangelo di Matteo (riportando il papiro del Magdalen College di Oxford fino alla metà del primo secolo) e di quello di Marco (identificando nel frammento qumranico in greco 7Q5 Mc 6, 52-53) esso riconosce infatti in maniera esplicita che le “tradizioni su Gesù furono conservate principalmente al servizio delle “verità del vangelo” piuttosto che della “verità storica” (p 86)
“Non abbiamo infatti nei nei Vangeli testimonianze storiche precise; in essi abbiamo quattro immagini diverse di Gesù lasciateci dagli evangelisti che intesero presentare la sua storia al fine di proclamarne il significato” (p 247)
E tuttavia alla fine anche questo libro mostra molto più la preoccupazione di indicare le vie più sicure (letterarie come archeologiche) per raggiungere la verità storica su Gesù che non quella di comprendere la natura particolare (che è teologica prima ancora che storica) della verità dei Vangeli.
Non soltanto infatti è a questa “prova storica”, fondata oltre tutto su una sopravvalutazione del carattere biografico dei Vangeli, che è dedicata la maggior parte dell’ indagine, ma a conclusione del libro scrive l ‘autore:
“Ho cercato di dimostrare che abbiamo molte testimonianze sulla vita di Gesù sia interne che esterne ai vangeli del Nuovo Testamento: molto più numerose di quelle che abbiamo per un qualsiasi altro maestro-profeta ebraico del I secolo” (p 241)
“La “verità del vangelo” […] dipende dalla generale attendibilità delle immagini di Gesù fornite dagli evangelisti” (p 247)

E in tal modo questa “verità del Vangelo” rischia di essere ricondotta nuovamente alla verità storica."
 
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view post Posted on 1/8/2010, 12:01     +1   -1
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Ringrazio Jeh per questo splendido post .

Tempo fa, alla zio ot :B): avevo iniziato a proporre qualcosa di simile in

https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=42572667



Per quanto riguarda Jossa , non ho dubbi che gli Accademici , qui in Italia, siano in ostaggio del Vaticano & C.


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view post Posted on 3/8/2010, 01:06     +1   -1

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CITAZIONE (barionu @ 1/8/2010, 13:01)
Ringrazio Jeh per questo splendido post .

Tempo fa, alla zio ot :B): avevo iniziato a proporre qualcosa di simile in

https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=42572667



Per quanto riguarda Jossa , non ho dubbi che gli Accademici , qui in Italia, siano in ostaggio del Vaticano & C.


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Caro Zio ot ti ringrazio per l' attenzione prestatami e per il lusinghiero giudizio.
La verita è che la questione del rapporto fra il Cristo della storia ed il Gesù della fede è di enorme complessità e la storia stessa del suo sviluppo è un potente indicatore di come si sia giunti nel corso dei secoli ad una visione delle origini del Cristianesimo che sotto il profilo storico non è, a mio parere, assolutamente soddisfacente.

Ho voluto riportare la riflessione del prof Jossa in quanto mi è sembrata mettere in rilievo con la giusta enfasi (e naturalmente con la sua personale autorevolezza) questa debolezza intrinseca dello stato della ricerca.
Credo che i giudizi espressi in tempi peraltro estremamente recenti rendano chiara l 'idea che anche nel campo degli specialisti più accreditati vi siano studiosi che avvertono, e anche in maniera non marginale, che una certa tendenza a ricondurre costantemente la ricerca storica sul Cristo Storico al meglio conosciuto Gesù della fede,

"E in tal modo questa “verità del Vangelo” rischia di essere ricondotta nuovamente alla verità storica"

si sia rivelata assolutamente deludente ed in ogni caso non abbia aggiunto nulla di fondamentale alla conoscenza del reale personaggio che si cela dietro quella complessa e alterata icona metafisica.

Faccio notare peraltro che il prof Jossa sembra puntare la sua critica soprattutto sul panorama specialistico italiano,

Il primo è che, con poche eccezioni, esso è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti per rivolgersi anche all ‘uomo di cultura curioso di conoscere

ma in realtà si evince chiaramente dal seguito del suo intervento che il suo giudizio è a ben più largo spettro, e non è un caso che, a testimonianza di quella che egli vede quale una chiara autoreferenzialità della ricerca incapace di uscire dallo schema asfittico sopra descritto, egli citi l' opera meno recente di un gesuita francese e il più recente lavoro di uno studioso neozelandese che per decenni ha lavorato all'Università di Cambridge (fino alla morte sopraggiunta l'anno scorso all'età di 69 anni)

Ora io scivevo fra l'altro:

Molto difficile, se non addirittura impossibile, secondo me, conciliare una fede solida con una comunque fortemente sentita esigenza di indagare storicamente l'oggetto primario della propria fede.
Se vi è fede nella trascendenza di Gesù mi appare estremamente complessa una operazione di ricerca che si svincoli da questa premessa di base partendo da un' ipotesi che, seppur in via dubitativa, concepisca un Gesù immanente.

Mi sembra evidente che quella fede nella trascendenza di Gesù comporti ineluttabilmente la morte del concetto di "Gesù storico" per la buona e semplice ragione che in questo caso Gesù non sarebbe nella Storia, ma sarebbe egli stesso la Storia


Ebbene devo insistere su questo punto che mi sembra fondamentale:

Può uno studioso "credente" esercitare un obiettivo tentativo di analisi storica di un fenomeno complesso quale quello delle origini del cristianesimo e delle reali "fatture" dell' uomo che ne sarebbe stato "primo motore"?

Può cioè un uomo, pur dotato di profonda conoscenza dei rigorosi metodi di ricerca storico-critica, tentare una significativa (e significante) ricomposizione delle frammentarie e magmatiche fonti "storiche" connesse a questi eventi, quando lo stesso uomo parta da una "non superficiale", "non marginale" intima convinzione che quel "primo motore" sia entità "sovrastorica", "ultrastorica" o in ultima analisi "la Storia" egli/esso stesso?

Come può quella legittima (se ci riferiamo alla libertà di cui ogni uomo gode di credere a ciò che vuole) e pregnante convinzione interiore, fondante nella sua vita privata (e nel dipanarsi del suo relazionarsi con l'altro da sè) non diventare una seria pregiudiziale nel momento in cui egli dovesse trasportare il proprio "io pensante" su un piano di indagine "oggettiva" ed "oggettivante" su un fenomeno storico che per sua stessa natura richiederebbe la sospensione ferma di ogni "empatia emotivo-affettiva" rispetto al soggetto trattato?

Come può, in altre parole, un uomo di siffatta sensibilità, indagare su un piano storico-razionale un fenomeno storico che per motivi complessi ha "trasceso" fin dalla sua genesi un piano "puramente umano" per assurgere ad una dimesione metafisica che ne ha forse deformato per sempe i lineamenti originari?

E' questo un problema che attiene metaforicamente al classico principio di indeterminazione di un oggetto osservato a causa del disturbo ("rumore") dell' osservatore. E si potrebbe giustamente argomentare che, nel nostro caso di specie, questa difficoltà sorge ineluttabilmente anche quando l'osservatore sia qualcuno che non abbia una sovrastruttura (o infrastruttura) di tipo onestamente fideistica.
Il problema è, a mio avviso, che data la particolare natura della fede, che "aggiunge" una percezione di tipo irrazionalistico all' osservatore credente, lo studio di un sistema storico-razionale subisce (o quanto meno è fortemente indiziato di subire) nel caso di quest'ultimo una "distorsione percettiva" supplementare e drammaticamente condizionante.
E' un po' come se da una parte si trovasse un osservatore e dall' altra un osservatore "osservante"...

Ecco Zio Ot, quando tu dici:

"non ho dubbi che gli Accademici , qui in Italia, siano in ostaggio del Vaticano & C."

metti in luce un qualcosa che mi trova d'accordo, perchè mi pare evidente che la strumentalizzazione storicamente praticata dalle istituzioni ecclesiastiche facenti capo alla centralità vaticana, abbia sicuramente "pro domo sua" prima letteralmente impedito poi drammaticamente orientato e condizionato ogni forma di libera indagine tesa a recuperare una conoscenza ed una coscienza storica dei fatti accaduti duemila anni fa.

Ma il mio intento primario, con l'intervento proposto, anche e soprattutto tramite la citazione della riflessione del prof Jossa era quello di puntare maggiormente i riflettori su un tipo di pregiudiziale più sottile ma non meno dannosa ai fini di una efficace ricerca storica, di cui sono più colpevolmente ostaggio quegli intellettuali laici di cui giustamente Jossa dice:

E’ infatti un dato di fatto insieme triste ed inquietante, di cui Chiesa cattolica e intellettuali laici portano congiuntamente la responsabilità, che i Vangeli sono in Italia molto poco conosciuti e quasi per nulla compresi. La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata

Più colpevolmente perchè secondo me, a fronte di una Chiesa Cattolica che in fin dei conti tenta disperatamente di sopravvivere ai tempi, anche difendendo e sostenendo strenuamente una bizzarra impostazione storiografica che appare anacronisticamente teologizzante, e fa probabilmente il suo dovere reiterando ad libitum uno schema ermeneutico assoluto che ha scelto nella "notte dei tempi", grave è l'atteggiamento di tutti quegli intellettuali laici che dovrebbero scorgere l'URGENZA culturale e sociale di riportare la discussione storica sulle origini del Cristianesimo su un piano decisamente diverso, realmente piu scientifico, scevro dai condizionamenti metodologici che ancora essa subisce.
Non è francamente accettabile che la storia del Cristianesimo e del suo presunto fondatore siano ancora oggi soggette a pesanti commistioni con materie anti-storiche quali la Telogia sistematica o la Teologia Dogmatica.
Non c'è da stupirsi poi se, come Jossa denuncia, quando (nei pochi casi) un tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto, esso abbia rivelato

quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.

Per quanto mi riguarda, penso sia principio ineludibile quello che porti a considerare qualsiasi sistema di credenze (religiose e non) come un qualcosa che pur agendo sulla storia generale dell'umanità, ne faccia parte integrante, e che non debba pertanto essere innalzato (esaltato) a fatto storicamente autonomo, autoreferenziale, o peggio ancora sovrastorico.
Cio che un uomo o un miliardo di uomini "credono" non può e non deve assurgere a epifenomeno assolutizzante.
Un sistema di credenze religiose in modo particolare andrebbe sempre e comunque "letto" come la risultanza ed il prodotto della naturale ricerca filosofico-esistenziale che l'uomo nell'ambito di un determinato contesto sociale elabora in maniera più o meno sistematica.
Ma non si può accettare il fatto che questi pur legittimi prodotti culturali (e cultuali) giustifichino attraverso un ambiguo processo di teologizzazione della storia, una lettura storiografica in chiave teocratica, che in alcuni casi ha auspicato o è materialmente sfociata in una drammatica teocratizzazione delle società umane.

A mio avviso una visione teologica che non si limiti alla sfera privata di ogni individuo (che è libero di credere a cio che vuole consapevole però che quella libertà non contiene necessariamente la garanzia che l'oggeto del suo credere sia anche "storicamente vero") ma che tenti prepotentemente di accedere e permeare un intero tessuto sociale, le cui trame siano costituite (come sempre è stato e sempre sarà) anche da individui impermeabili a tali logiche, non può che spingere ad una teocratizzazione della società, impedendone o frenandone le naturali prerogative di sviluppo della "Dinamica delle diversità" che pur non essendo modello perfetto, resta il più "umano" dei modelli proponibili.
Il più confacente, in ogni caso, pur nelle sue oggettive limitazioni, alla storia della "limitata" razza umana.

In questa ottica deteologizzata che ovviamente auspico e preconizzo, il Cristianesimo teologico o cristologico, nato in un determinato contesto storico, sulla base di un' idea di uomo/dio risorto dalla morte, muore agli occhi della "modernità" nello stesso paradosso che è la sua ragione d'essere.
Perchè in un differente e mutato contesto storico, il miracoloso Gesù che risorge dalla morte è francamente e STORICAMENTE un "uomo che non sta in piedi"

E il Cristo storico?
Attende che un bel giorno qualcuno, spogliandolo di queste disumane vesti divine, lo "reicarni", quale che sia stato il suo destino, nella Storia...

buona notte
Jehoudda
 
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Hard-Rain
view post Posted on 3/8/2010, 07:10     +1   -1




QUOTE
Può uno studioso "credente" esercitare un obiettivo tentativo di analisi storica di un fenomeno complesso quale quello delle origini del cristianesimo e delle reali "fatture" dell' uomo che ne sarebbe stato "primo motore"?

Io non so se possa o non possa ma lo stesso criterio lo si dovrebbe allora applicare anche a quelli che non credono, a quelli che sono mossi da pregiudizi anticlericali, a quelli che hano fede in altre religioni, ecc... Che cosa facciamo? Nessuno dovrebbe dunque fare ricerca storica su Gesù per non correre il rischio di non essere obbiettivo? Soltanto gli ebrei atei sarebbero degni di fare ricerca storica sulla Bibbia ebraica in quanto non credenti? Mi domando allora chi sia nella posizione ideale - se esiste - per fare ricerca: forse nessuno?

Ecco, l'unica cosa che so è che per fare ricerca storica seria bisogna studiare, conoscere le lingue antiche, almeno il greco antico, aver poi letto non solo i testi cristiani ma essersi confrontati con la cultura del tempo, altrimenti si fanno solo discorsi degni del bar. E so anche che non sono molti ad avere in loro stessi tutti questi requisti. Questo so.
 
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view post Posted on 3/8/2010, 14:46     +1   -1
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Scusa Rain , ma ora cosa c' entrano le " chiacchiere al bar " ?

Jeh ha presentato un' analisi dettagliata et esaustiva sulla situazione degli studi sul " Cristo Storico "

in Italia .

per quanto riguarda la conoscenza delle lingue antiche e degli Archetipi siamo d' accordo, ma non mi sembra quello un presupposto conclusivo :

da questa impostazione il problema è trarne poi le dovute conclusioni , ed infatti lì che gli Accademici , in Italia ,
si genuflettono con un zitti e mosca ...


zio ot :mf_bookread.gif:
 
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Hard-Rain
view post Posted on 3/8/2010, 15:37     +1   -1




QUOTE
Jeh ha presentato un' analisi dettagliata et esaustiva sulla situazione degli studi sul " Cristo Storico "

Ha osservato, in un certo senso giustamente, che la fede può essere un ostacolo alla ricerca sul Gesù storico, anzi, tra le righe, intendo che quasi sicuramente "è" un ostacolo che impedisce un giudizio imparziale su Gesù.

Ho aggiunto che allora anche l'anticlericalismo o l'ateismo possono essere parimenti un ostacolo in quanto, allo stesso modo, uno potrebbe essere spinto dalla foga di voler dimostrare l'opposto della divinità di Gesù o dall'intento di danneggiare la Chiesa o altro, cioè uno si lascerebbe guidare dal fine che vuole perseguire piuttosto che dai dati nudi e crudi.
 
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view post Posted on 5/8/2010, 23:47     +1   -1

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La ringrazio per i commenti, meno lusinghieri, ma non per questo meno stimolanti.

Replico in ordine sparso sui punti che mi sembrano più rilevanti (mi scuso anticipatamente per la lunghezza della risposta ma come è evidente il tema è di grande complessità e richiede a mio avviso una adeguata argomentazione)

La mia riflessione attiene alla questione dell' impostazione di base della ricerca sul Cristo storico ed alla (a mio avviso) ambigua e discutibile stretta relazione con il Gesù della fede oggetto ( o più propriamente soggetto) principe della Cristologia (o piu propriamente "teologia cristologica")

Rimando ovviamente, per non eccedere nelle ripetizioni, ai miei due post precedenti chi voglia analizzare le idee che ho esposto in merito.

Ho tentato di mettere in luce quello che a me appare l’evidente errore metodologico di questa "relazione cognitiva rovesciata" e le conseguenti insoddisfacenti risultanze, anche attraverso una testimonianza specifica e assai incisiva di uno studioso autorevole quale il prof Jossa.

Il tentativo di effettuare una analisi del genere anche e soprattutto avvalendomi dell' interessante (e secondo me corretto) giudizio di un' autorità del campo, identifica il mio discorso quale (e non potrebbe essere altrimenti) modesta e personalissima trascrizione in sintesi della percezione che da semplice appassionato della materia mi sono fatto dello stato della ricerca.

Le mie considerazioni di ordine metodologico erano peraltro primariamente rivolte a ricercatori/storici professionisti e titolati, per i quali, cela va sans dire, do per scontata la conoscenza/padronanza profonda degli strumenti linguistici e critici necessari che lei giustamente rimette in gioco.

Il prof Jossa con le sue riflessioni indicava come un ‘uomo di cultura curioso di conoscere e comprendere meglio questi testi (mi sento tale) non abbia, a causa di questa asfittica impostazione degli studi, soprattutto in Italia (ma non solo in Italia), potuto avvalersi di un valido quadro storico della questione
Con la conseguenza che:

La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata.

Jossa sostiene giustamente che

con poche eccezioni, esso ["Il tema della “verità” dei Vangeli ] è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti

e attacca anche quelle poche eccezioni sostenendo che anche nei pochi casi in cui questo tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto

esso rivela quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.

Nel condividere a pieno questo intrigante e coraggioso atto d’accusa ho voluto tentare di identificare le ragioni profonde che hanno spinto la comunita scientifica laica a percorrere con una prevalente uniformità questo cliché ermeneutico che ha inevitabilmente generato l’impasse denunciata anche dal prof Jossa.

E ho creduto opportuno in tal senso, voler precisare che, congiuntamente alle evidenti ragioni di tipo storico-politico (l’orientamento robusto che la Chiesa cattolica ha sempre potuto praticare in funzione del grande peso di cui ha sempre goduto come struttura istituzionale nelle strutture sociali “laiche”) si possono identificare anche motivazioni più sottili e personali connesse alla psicologia del singolo ricercatore che trovandosi di fronte ad una questione storica di particolare complessità e delicatezza (non tutti i problemi storici presentano oltre alle variabili/incognite classiche della piu svariata fattura, la “singolarità” di un rapporto così centrale e sfuggente tra dato immanente e assunto trascendente)

In questa ottica ho tentato di evidenziare come, l ‘osservazione conoscitiva di un sistema di riferimenti di tale portata possa risultare particolarmente (e maggiormente) “sensibile” alle specifiche connotazioni emotive dell’osservatore, non esimendo da questo fenomeno di distorsione percettiva l’osservatore “non credente”, ma ritenendo in linea generale che le sovrastrutture (o infrastrutture) tipiche del soggetto con fede trascendente finiscano inevitabilmente per “inquinare” diversamente e più significativamente il sistema studiato.

Peraltro tendo a distinguere la volontaria e cosciente necessità di chi, parte integrante della Chiesa Cattolica, teologizza con la convinzione che cosi facendo stia storicizzando, e l’involontario riflesso di chi, appartenendo al mondo laico, tenta onestamente di storicizzare senza accorgersi di cadere spesso nella “trappola” della teologizzazione (o quanto meno nel mancato riconoscimento di elementi pseudo-storici che sono storicizzazioni di teologumeni)

Quando dunque lei osserva e domanda:

Nessuno dovrebbe dunque fare ricerca storica su Gesù per non correre il rischio di non essere obbiettivo?
….Mi domando allora chi sia nella posizione ideale - se esiste - per fare ricerca: forse nessuno?


Le rispondo che la mia è una riflessione di ordine marcatamente epistemologico e non vuole assolutamente definire chi può e chi non può fare ricerca. (non è un mio diritto)
Al contrario io ritengo che tutti coloro che ne hanno i requisiti minimi richiesti abbiano diritto ad esercitare la loro ricerca. (ognuno secondo le proprie specifiche culturali)
Ciò non impedisce a chiunque ne sia fruitore di poter esprimere una propria personale idea sui risultati raggiunti ed in special modo sulle metodologie utilizzate per conseguirli.
L’obiettività dei riscontri e dell’ impostazione di base e non quella selettiva dei ricercatori in base alle loro credenze.

Io non so se possa o non possa ma lo stesso criterio lo si dovrebbe allora applicare anche a quelli che non credono, a quelli che sono mossi da pregiudizi anticlericali, a quelli che hanno fede in altre religioni, ecc...

Ho aggiunto che allora anche l'anticlericalismo o l'ateismo possono essere parimenti un ostacolo in quanto, allo stesso modo, uno potrebbe essere spinto dalla foga di voler dimostrare l'opposto della divinità di Gesù o dall'intento di danneggiare la Chiesa o altro, cioè uno si lascerebbe guidare dal fine che vuole perseguire piuttosto che dai dati nudi e crudi.

Per quelli che non credono e per quelli che hanno fede in altre religioni le ho detto…
Non trovo particolarmente rilevante il problema di “quelli che sono mossi da pregiudizi anticlericali”
Non capisco neanche cosa intenda precisamente per “pregiudizi anticlericali”.
Si può emettere o avere un giudizio negativo sulla Chiesa Cattolica, corretto o sbagliato, giustificato o meno, per molteplici specifici motivi, ma in ogni caso è ovvio che questo non può e non deve condizionare una ricerca storica.

D’altra parte conosco credenti che in funzione di certi comportamenti della loro Chiesa hanno sentito una forte esigenza di distacco da essa (alcuni l’hanno drasticamente abbandonata) ma non per questo hanno smesso di credere al loro Dio. Come dire che l’oggetto (il soggetto) della loro fede non appartiene ad una Chiesa istituzionalizzata ma alla sensibilità di ogni singolo credente. E pur avendo abbandonato la Chiesa ritengono ancora che il Cristo storico sia il Gesù della loro fede (a rigore ritengono che sia la Chiesa che stia “tradendo” quel Gesù).
Chi dovesse avere “pregiudizi anticlericali” palesemente immotivati ed irragionevoli, per partito preso o assolutamente disancorati da una qualsivoglia forma di pensiero, mi risulterebbe persona priva di quei requisiti minimi richiesti per svolgere una ricerca degna di tal nome (professionista o dilettante che fosse.)

Jossa direbbe (dice) che la “storicità dei Vangeli” non risolve il problema della “verità” dei Vangeli.
Cioè che la storicità dei Vangeli non comporta automaticamente la storicità dei contenuti ivi narrati.
E questa mi sembra una verità logica di non poco conto.

Non credo si possa “dimostrare storicamente l’opposto della divinità di Gesù”, su un piano storico-razionale. La divinità di Gesù non è un fatto storico, chi volesse dimostrare “l’opposto della divinità di Gesù” avrebbe deciso di muoversi sul piano del Gesù della fede, quindi farebbe teologia e non storia.

La definizione dei “dati nudi e crudi” è proprio uno dei problemi piu delicati che si pone e che pongo con la mia riflessione.
E dovremmo quindi intenderci su cosa debba intendersi per “dati nudi e crudi”.
Se lei intende “dati nudi e crudi” in un’ ottica di ricerca storica (Cristo storico), mi pare evidente che chi consapevolmente (la Chiesa e i ricercatori più parziali ad essa legati) o chi meno/non consapevolmente (tutti gli altri, credenti e non), tenda a partire o a dare particolare rilevanza al Gesù della fede, si esponga al rischio di considerare quali “dati nudi e crudi” anche molti “dati puramente teologici”, teologicamente “veri” ma non necessariamente storicamente reali.

E’ dato storicamente accertato (nudo e crudo) che qualcuno scrisse dei Vangeli (quando, dove e chi non è ancora perfettamente chiaro)

E’ dato storicamente accertato (nudo e crudo) che qualcuno scrisse nei Vangeli noti che un certo Gesù morì sotto Ponzio Pilato e risorse dopo tre giorni.

Non è dato storicamente accertato (nudo e crudo) che il Cristo storico sia realmente morto sotto Pilato,
Non è certamente dato storico, ma teologico (non nudo e crudo), il fatto che resuscitò dalla morte

Credo purtroppo che una corretta ed univoca definizione dei “dati nudi e crudi” nella ricerca del Cristo storico sia quasi impossibile se non ci si accorda prima sulla metodologia d’approccio al problema.
Se si continua, per esempio a considerare come dato nudo e crudo che Gesù, come effettivamente “narrato” dalle fonti neotestamentarie “apparve” ai suoi discepoli, facendone conseguire che Gesù (intanto morto) realmente apparve ai suoi discepoli (fatto narrato= dato nudo e crudo =fatto storico) mentre ovviamente io credo sia decisamente più corretto sostenere che in una costruzione narrativa sovrastrutturalmente concepita quale resoconto mistico di una comunità, si trova evidenza che uno sparuto gruppo di discepoli probabilmente ebbero delle visioni di un leader carismatico che era stato appena giustiziato, ebbene se i criteri di definizione dei “dati nudi e crudi” dovessero essere così lontani, non vedo come si possa sperare, pur partendo dai “dati nudi e crudi” di trovare dei riscontri compatibili.

Dispiace dirlo in maniera cosi cruda, ma viene inevitabile pensare che un analogo episodio proveniente dalla tradizione religiosa di qualsiasi altro gruppo umano della nostra civiltà (fossero gli aborigeni australiani, gli antichi Inca o isolati eschimesi) sarebbe tranquillamente archiviato come immaginifico prodotto culturale della mitologia di quel gruppo.
Il tanto sbandierato abbandono del vecchio approccio positivista alla storia delle religioni (delle credenze religiose) si è forse drammaticamente reso necessario ed irrinunciabile quando si è voluto evitare che il Gesù della fede, uomo/dio/risorto dalla morte rischiasse di essere repertoriato fra quelli che sono giustamente considerati prodotti della Storia dell’ immaginario religioso umano?

A me pare quindi fin troppo evidente la necessità che gli storici epistemologicamente avveduti riportino lo studio di questa affascinante tradizione religiosa giudaico-cristiana nel confacente quadro della storia delle credenze religiose umane, privandola, ripeto da un punto di vista storico, di quello statuto di Religione della storia che ha graniticamente assunto nel corso dei suoi duemila anni di vita.

Restituendo così uno dei tanti sistemi di credenze al suo solo legittimo “proprietario”, il libero credente…
E recuperando eventualmente la possibilità di discernere e ritrovare il vero Cristo della storia.

Quello che comunque a me sembra evidente è che continui a costituire una pregiudiziale in termini cognitivi (su un piano di ricerca storica) il considerare fondante la “metafisica gesuana" cristallizzatasi nei testi posteriori, la quale quindi non viene sentita e valutata come accessoria e susseguente problema storico-religioso ma quale base di partenza primordiale, piattaforma ermeneutica sulla quale “ricostruire” la figura dell’ uomo che avrebbe incarnato divinamente quel radicale ed imprevisto pensiero metafisico.
Bisognerebbe invece, secondo me, accettare quale premessa di base che la materia costitutiva di quel pensiero sia al di la della sua intrinseca complessità (problema ermeneutico generale) non storicamente e direttamente riconducibile in maniera oggettivamente certa alla persona che si sta indagando (e al sue specifico agire nella Storia) ma sia, come ho tentato di argomentare, a sua volta frutto di un lungo processo ermeneutico di vasto respiro (tradizione orale, delocalizzazione delle tradizioni orali, elaborazione scritta non uniforme nello spazio e nel tempo delle stesse, rielaborazioni successive durante una lunga fase di consolidamento delle scritture operate in un clima di drammatici conflitti di natura sempre più teologica e quindi sempre meno sensibile al recupero di “informazioni reali”)

Su queste basi non posso che ribadire la mia posizione:

a mio avviso, dalla finalizzazione di questo processo, e quindi dal Gesù della fede pervenutoci, non si può sperare di ritornare, quale che siano gli strumenti critici utilizzati, al Cristo storico originario.

Epistemologicamente l’artata inferenza del trascendente nell’immanente (e la sua accettazione fideistica) stravolge il concetto di “storia” astraendo l’essenza dal “fatto in sé” per proiettarne in una dimensione metastorica una fantomatica irrilevante spiritualizzazione che scissa dalla sua materia originaria finisce per diventare nella sua incommensurabile “perfezione” un irraggiungibile simulacro metafisico.

La teologica forzosa separazione dell’essenza dalla materia e la sua collocazione mistica in un’irrealtà cronotopologicamente metafisica, non può che sbiadire il senso quotidiano dell’ umana esistenza, generando inevitabilmente tensioni escatologiche verso un presunto ma (storicamente) inesistente “senso ultimo”
In un mondo alternativo in cui la storia non è più composizione infinita di infiniti possibili sbocchi ma un imbuto che ineluttabilmente trascina tutto e tutti verso una singolarità che è ultimo punto di contatto immateriale fra “vana fisica” e “perfetta metafisica”, un mondo dequantificato, dequalificato e de-ontologizzato.

Mi viene spontaneo ipotizzare a questo punto che per quanto concerne la vicenda del cristo storico, abbia potuto paradossalmente agire, in un contesto storico in cui l’atavica attesa messianica stava provocando una serie di frustranti e dolorose disillusioni, e una conseguente deriva verso una concezione astrattamente escatologica (componente latente e preesistente nell’ attesa messianica) sempre più spinta, un colpo di coda di un Cristo che, davanti alla perdurante assenza dell’agognato intervento divino, decida consapevolmente di catalizzare quella estrema escatologizzazione dell’ Attesa.
La prima elaborazione cristologica potrebbe essere stata dunque, non tanto il tentativo di divinizzare un uomo, quanto al contrario il riflesso di una volontà/necessità di incarnare in un uomo (redentore del popolo d’Israele) quell’ idea di Dio “che purtroppo non interviene” e che più di qualcuno cominciava a sentire lontano, astratto, indifferente al doloroso, tragico destino del suo popolo.
Una radicale “forzatura” di un gruppo di messianisti ebrei che decide di non attendere più e senza ripudiare il proprio Dio, ma esaltandone la sua promessa, lo scuote dalla sua dimensione, lo rimaterializza nella storia presente e si lancia alla “riconquista del Regno”

Solo il fallimento, ripetuto, di questa nuova azione "post-messianica", e la contestuale conseguente liquefazione di questa speranza incarnata, darà spazio, tempo e motivazione ad un’ ulteriore rielaborazione che svestendo la figura di quel Cristo e dei suoi seguaci dalle originali spoglie giudaiche e delle connesse reali motivazioni, e attraverso una progressiva deumanizzazione, ma mantenendo ed esaltando la componente escatologica, ne farà la base di quello che poi in ambito altro diventerà il Gesù della fede, il Dio della Teologia cattolica.
Ma questa, ovviamente, è solo una mia ipotetica speculazione.

Grazie per l’attenzione
Buonanotte
jehoudda
 
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Saulnier
view post Posted on 6/8/2010, 10:37     +1   -1




Grazie jehoudda! Davvero un bell’intervento.

CITAZIONE (jehoudda @ 6/8/2010, 00:47)
Bisognerebbe invece, secondo me, accettare quale premessa di base che la materia costitutiva di quel pensiero sia al di la della sua intrinseca complessità (problema ermeneutico generale) non storicamente e direttamente riconducibile in maniera oggettivamente certa alla persona che si sta indagando (e al sue specifico agire nella Storia) ma sia, come ho tentato di argomentare, a sua volta frutto di un lungo processo ermeneutico di vasto respiro (tradizione orale, delocalizzazione delle tradizioni orali, elaborazione scritta non uniforme nello spazio e nel tempo delle stesse, rielaborazioni successive durante una lunga fase di consolidamento delle scritture operate in un clima di drammatici conflitti di natura sempre più teologica e quindi sempre meno sensibile al recupero di “informazioni reali”)

Ti chiedo:

ritieni gli sviluppi cronologici condivisi dal consensus (morte di Cristo intorno all’anno 30 e redazioni degli scritti neotestamentari comprese tra gli anni 50 e 100) compatibile con quel complesso instaurarsi di fenomeni da te evocati?
 
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PAS60
view post Posted on 6/8/2010, 17:05     +1   -1




CITAZIONE (jehoudda,3/8/2010]

Ora io scivevo fra l'altro:

<i>Molto difficile, se non addirittura impossibile, secondo me, conciliare una fede solida con una comunque fortemente sentita esigenza di indagare storicamente l'oggetto primario della propria fede.
Se vi è fede nella trascendenza di Gesù mi appare estremamente complessa una operazione di ricerca che si svincoli da questa premessa di base partendo da un' ipotesi che, seppur in via dubitativa, concepisca un Gesù immanente.

Mi sembra evidente che quella fede nella trascendenza di Gesù comporti ineluttabilmente la morte del concetto di "Gesù storico" per la buona e semplice ragione che in questo caso Gesù non sarebbe nella Storia, ma sarebbe egli stesso la Storia</i>

Ebbene devo insistere su questo punto che mi sembra fondamentale:

Può uno studioso "credente" esercitare un obiettivo tentativo di analisi storica di un fenomeno complesso quale quello delle origini del cristianesimo e delle reali "fatture" dell' uomo che ne sarebbe stato "primo motore"?

Può cioè un uomo, pur dotato di profonda conoscenza dei rigorosi metodi di ricerca storico-critica, tentare una significativa (e significante) ricomposizione delle frammentarie e magmatiche fonti "storiche" connesse a questi eventi, quando lo stesso uomo parta da una "non superficiale", "non marginale" intima convinzione che quel "primo motore" sia entità "sovrastorica", "ultrastorica" o in ultima analisi "la Storia" egli/esso stesso?

Come può quella legittima (se ci riferiamo alla libertà di cui ogni uomo gode di credere a ciò che vuole) e pregnante convinzione interiore, fondante nella sua vita privata (e nel dipanarsi del suo relazionarsi con l'altro da sè) non diventare una seria pregiudiziale nel momento in cui egli dovesse trasportare il proprio "io pensante" su un piano di indagine "oggettiva" ed "oggettivante" su un fenomeno storico che per sua stessa natura richiederebbe la sospensione ferma di ogni "empatia emotivo-affettiva" rispetto al soggetto trattato?

Come può, in altre parole, un uomo di siffatta sensibilità, indagare su un piano storico-razionale un fenomeno storico che per motivi complessi ha "trasceso" fin dalla sua genesi un piano "puramente umano" per assurgere ad una dimesione metafisica che ne ha forse deformato per sempe i lineamenti originari?

E' questo un problema che attiene metaforicamente al classico principio di indeterminazione di un oggetto osservato a causa del disturbo ("rumore") dell' osservatore. E si potrebbe giustamente argomentare che, nel nostro caso di specie, questa difficoltà sorge ineluttabilmente anche quando l'osservatore sia qualcuno che non abbia una sovrastruttura (o infrastruttura) di tipo onestamente fideistica.
Il problema è, a mio avviso, che data la particolare natura della fede @ che "aggiunge" una percezione di tipo irrazionalistico all' osservatore credente, lo studio di un sistema storico-razionale subisce (o quanto meno è fortemente indiziato di subire) nel caso di quest'ultimo una "distorsione percettiva" supplementare e drammaticamente condizionante.
E' un po' come se da una parte si trovasse un osservatore e dall' altra un osservatore "osservante"...
[/QUOTE)
[QUOTE=jehoudda,6/8/2010]In questa ottica ho tentato di evidenziare come, l ‘osservazione conoscitiva di un sistema di riferimenti di tale portata possa risultare particolarmente (e maggiormente) “sensibile” alle specifiche connotazioni emotive dell’osservatore, non esimendo da questo fenomeno di distorsione percettiva l’osservatore “non credente”, ma ritenendo in linea generale che le sovrastrutture (o infrastrutture) tipiche del soggetto con fede trascendente finiscano inevitabilmente per “inquinare” diversamente e più significativamente il sistema studiato.

Scusami se mi permetto di entrare in questa discussione anche se non ho le competenze adeguate, ma vorrei porre il problema da un punto di vista pratico:
secondo te, ai tempi di Gesù, quando non era mai stata fatta alcuna biografia di persona comune, popolana, come era possibile che delle persone senza nemmeno conoscere perfettamente la lingua e assolutamente non edotti - come quelli che erano considerati scrittori - avrebbero potuto accingersi in un'opera del genere se non avessero avuto una spinta particolare, per esempio avevano riconosciuto in Gesù il Messia, o erano stati curiosi seguento le voci della gente e poi si erano convertiti a Lui, oppure lo hanno visto risuscitato vivo? Come si può pensare che uno storico dell'epoca, non attratto da Gesù, avesse scritto la biografia di un uomo del popolo? E avrebbe avuto valore la storia scritta senza spinta emozionale, per esempio per soldi?
Come ti voglio far notare , è nella natura che non è possibile un porsi autenticamente neutrale, che ne pensi? Sono stato chiaro?

Premetto che sono cristiano e ti faccio un esempio di oggi in Italia (un esempio analogo in qualche modo per quanto per noi vi è sempre una differenza incolmabile tra Gesù e qualunque altro uomo, come sai): c'è stata una signora stigmatizzata, una tale Natuzza di una frazione di Mileto in Calabria, che è morta meno di un anno fa. Finora, oltre a libriccini chiamiamoli devozionali ad uso persone che l'hanno conosciuta o che comunque si sono fidati di lei, è appena uscito un solo libro che si vende normalmente nelle librerie e di cui ho appena letto la recensione oltre che l'intervista all'autore sulla rivista Jesus di agosto.
Chi è l'autore? Potrebbe sembrare un'opera apologetica; in effetti l'autore è stato in qualche modo convertito da lei. Cioè: secondo te chi si mette a ricercare e divulgare oggi, che è ben più facile che al tempo di Gesù, la biografia di una signora qualunque di un paesino sperduto del Vibonese, se non fosse attratto dal misticismo o se volesse al contrario dimostrare che è tutta una montatura?
Chi potrebbe scrivere la sua storia a prescindere dalle sue esperienze mistiche? E chi la leggerebbe? ecc...

Scusami per lo sproloquio, volevo sotanto porti la preoccupazione di coniugare il discorso metodologico che hai fatto con la naturale spinta che c'è in chi si dedica in particolare a personaggi "speciali".

Ciao da Pasquale

Edited by PAS60 - 6/8/2010, 19:45
 
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view post Posted on 8/8/2010, 18:10     +1   -1

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Saulnier Inviato il: 6/8/2010, 11:37
Grazie jehoudda! Davvero un bell’intervento.
CITAZIONE (jehoudda @ 6/8/2010, 00:47)Bisognerebbe invece, secondo me, accettare quale premessa di base che la materia costitutiva di quel pensiero sia al di la della sua intrinseca complessità (problema ermeneutico generale) non storicamente e direttamente riconducibile in maniera oggettivamente certa alla persona che si sta indagando (e al sue specifico agire nella Storia) ma sia, come ho tentato di argomentare, a sua volta frutto di un lungo processo ermeneutico di vasto respiro (tradizione orale, delocalizzazione delle tradizioni orali, elaborazione scritta non uniforme nello spazio e nel tempo delle stesse, rielaborazioni successive durante una lunga fase di consolidamento delle scritture operate in un clima di drammatici conflitti di natura sempre più teologica e quindi sempre meno sensibile al recupero di “informazioni reali”)

Ti chiedo:

ritieni gli sviluppi cronologici condivisi dal consensus (morte di Cristo intorno all’anno 30 e redazioni degli scritti neotestamentari comprese tra gli anni 50 e 100) compatibile con quel complesso instaurarsi di fenomeni da te evocati
?

Caro Saulnier
ti ringrazio per l'apprezzamento che ricambio per il lavoro estremamente coraggioso ed originale che stai portando avanti sia su questo forum che su quello altrettanto intrigante di consulenza Ebraica.
concordo in modo particolare con le parole che Negev ha speso per te per sottolineare che, si condividano o meno i tuoi contenuti (io li trovo condivisibili), presenti sempre le tue riflessioni con indiscutibile correttezza e invidiabile serenità.

Cio detto, rilevo che mi poni una domanda di una "certa portata".
si tratta di una delle questioni più "rognose" di questa incredibile storia...
ovviamente la domanda mi sembra pertinente visto i contenuti che ho tentato di esprimere in questa discussione
Ho riflettuto in questi due giorni sulla maniera in cui poter esprimere quella che è la mia "sensazione" più generale (non mi sento di definirla una convinzione, sarebbe tecnicamente esagerato e metodologicamente inopportuno)

La mia sensazione è che sia più plausibile situare la morte di Cristo attorno al 35/36, e no, non ritengo gli sviluppi cronologici condivisi dal consensus in merito alla cronologia delle redazioni degli scritti neotestamentari necessariamente compatibile con quel complesso instaurarsi di fenomeni da me evocati.
Credo che il modello generale condiviso dal consensus specialistico sia poco convincente, e che potrebbe essere rimesso in questione.
Ci sarebbe ovviamente da discutere per pagine e pagine per tentare di motivare questo punto di vista e capirai che non è agevole farlo appropriatamente su due piedi. Potremmo certamente sviluppare un confronto, se vuoi, su questa questione estremamente delicata e drammaticamente centrale per la comprensione delle profonde dinamiche che hanno plasmato la storia delle origini del cristianesimo.
Potremmo al limite aprire un 3d specifico nel quale esporre le nostre reciproche perplessità (intanto mi farebbe piacere conoscere anche il tuo più generale punto di vista) e condividere il discorso con tutti gli altri utenti che si sentissero (a prescindere dalle posizioni espresse ovviamente) interessati.

Mi sento per ora di dire quanto segue:

La riflessione da me fatta sulla questione metodologica del rovesciamento della prospettiva di indagine (o quanto meno di un uso eccessivo di questa linea) che ha teso e tende, di fronte alla innegabile "povertà" di dati "nudi e crudi" diretti e storicamente affidabili sulla figura reale e storica del Cristo, a cercare di ricostruire a rebours quella figura e le azioni storiche che lo hanno visto protagonista partendo da una "violenta" e, secondo me, spesso fuorviante decostruzione di un personaggio "successivo" che è la radicale e complessa rivisitazione e rielaborazione in chiave "teologica" di quella figura, se da un lato ha, come dicevo, portato ad una messe di risultati mediocri ed insoddisfacenti (ma questo ci può stare), dall'altro non ha saputo globalmente farsi carico dell' inaridimento ermeneutico a cui fatalmente andava incontro (e questo mi sembra più criticabile su un piano epistemologico)
Complici anche una certa autoreferenzialità tipica del mondo scientifico e, quello che un po rozzamente definirei un narcisistico autocompiacimento nell'errore, la comunità degli specialisti internazionali si è voluta fondamentalmente incaponire su un approccio palesemente incapace di produrre risultati di un certo spessore, e ha finito per generare una serie di varianti tecnico-interpretative all'interno dello stesso modello ermeneutico, che si sono rivelate spesso più nocive del "male" che volevano curare.
Una sorta di implosione di un modello esegetico che ha tentato di autorigenerarsi (autoripararsi) sulla base di appendici speculative sempre più complesse e contorte, ma tutte (o quasi) innestate su un "corpo" la cui vitalità era (ed è) secondo me estremamente flebile.

Hanno certamente influito anche gli enormi interessi (culturali e non solo) in gioco e probabilmente una crescente "mancanza di richiesta di mercato" (l' uomo medio che non è mai stato particolarmente sensibile a questo tipo di problematiche, si è distaccato sempre più da una questione che peraltro diventava anno dopo anno sempre meno alla portata, sempre più confinata in una ristretta cerchia di "iniziati" poco propensi a condividere i loro progressi rendendone intellegibili i contenuti. Fenomeno questo che, me lo si lasci dire, non è dispiaciuto affatto a certi ambiti...)

In relazione alla specifica e centrale questione della datazione delle fonti neotestamentarie, questo modello deficitario ha secondo me prodotto una serie di necessarie ma strumentali "forzature" speculative che tento di enumerare (chiedo scusa per la disorganicità e per la relativa approssimazione nell'esposizione, ma si tratta solo di rendere un' idea, poi eventualmente da circostanziare meglio, di alcune delle questioni che a me appaiono emblematiche):

1) Massimo contenimento del periodo definito di pura tradizione orale atto a giustificare una più diretta consequenzialità logico-storica fra il Cristo storico e i resoconti "su di lui" redatti dagli sconosciuti autori degli stessi. Con conseguente (apparente) azione di moderazione degli effetti "teologizzanti" che sono davvero evidenti e che su scala temporale più lunga sarebbero più difficili da "ignorare".
In realtà questa si dimostra un' arma a doppio taglio in quanto lo schiacciamento di questa fase esclusivamente (?) orale sembra difficilmente in grado di giustificare una così complessa ed articolata serie di elaborazioni teologiche

2) Datazione attualmente accettata basata su interpretazioni di elementi interni a mio avviso molto labili e controverse
(ad esempio la datazione all'anno 70 di Marco basata su un possibile riferimento alla distruzione del Tempio di Gerusalemme avvenuta in quell'anno e contenuta in 13,14-24, il brano noto come "piccola apocalisse".)

3) Utilizzo a supporto di fonti patristiche molto posteriori e decisamente poco chiare (uso della curiosa testimonianza indiretta di Papia via Eusebio di Cesarea,
difficoltà esegetiche su Giustino e Ireneo ecc)

4) Astrusa e per me poco convincente ipotesi della teoria delle due fonti soprattutto in relazione alla postulata esistenza di una speculativa Fonte Q a tutt' oggi ancora priva di qualsivoglia pur minimo riscontro documentale diretto (classico esempio di modello teorico che "risolve" un problema in cui però le variabili di base sono già state parzialmente "orientate")
Ho giustamente l'impressione che la fonte Q e tutte le elaborazioni che la concepiscono siano l'ingegnoso tentativo di soluzione ai problemi insiti nell'impostazione di "scavo dall'alto" di una tradizione che nel suo livello più esterno si presenti troppo "sofisticata" rispetto ai livelli più profondi (con il risultato che inevitabilmente si finisca per proiettare sui livelli più profondi una caratterizzazione ed una fisiologia che non necessariamente gli appartengono)

5) Utilizzo a supporto molto discutibile di una serie di testimonianze papirologiche che nella sostanza si rivelano molto meno determinanti di quanto si voglia far credere. A parte la problematicità del piccolissimo P52 la cui datazione alta è oggi lontana dal godere il consensus generale (più di uno specialista non esclude che il tanto sbandierato 125-150 potrebbe scivolare anche 50/75 anni dopo) , restano intesi quali databili con una relativa sicurezza ad un periodo che si attesta fra il 200 e il 250 circa una piccolissima manciata di esemplari (meno di dieci se non erro)
E fra questi testimoni, se no erro, il primo frammento contenente parti del secondo Marco, che il consensus generale considera oggi il primo dei vangeli con datazioni attestata al 65/70, risulterebbe Il papiro di Chester Beatty P45 datato al 200-250 A.D., (Marco (IV, da 36 a IX, 31; XI, da 27 a XII, 28)

6) sottovalutazione del "silenzio" che Flavio Giuseppe sembra mantenere nei confronti di una setta che oltre ad avere presumibilmente fondato una comunità importante a Roma già dagli anni 50 del primo secolo (Pietro e Paolo) possiederebbe dal 65/70 un vangelo (Marco) che sicuramente deve aver avuto in loco un minimo di risonanza. Flavio Giuseppe che avrebbe scritto in Antichità Giudaiche il TF e che visse a Roma quasi trent'anni dal 71 al 100 non darà mai un pur piccolo riscontro di questa setta, pur avendo inserito quel TF nelle sue Antichità, e questo mi sembra davvero poco chiaro.
Mi lascia a dir poco perplesso questo strano "viaggiare in parallelo senza mai incontrarsi" di FG e dei cristiani...

7) sottovalutazione delle analoghe situazioni riferentesi alla lettera di Plinio a Traiano e alle opere di Svetonio e Tacito

8) sottovalutazione del problema posto dalla "variabile storica" Marcione anche e soprattutto in relazione al corpus paolino e all' ipotesi di trasmissione di un suo personale (?) vangelo in un periodo in cui i testi canonici sarebbero già in circolazione da sei/sette decenni.

Mi fermo qui pur considerando l'elenco non esaustivo.
Come detto la questione è di estrema rilevanza e particolare complessità.

Vorrei però aggiungere una piccola nota a margine di tipo metodologico:

come avevo detto in un post precedente:

Attenzione poi, per quanto concerne il suddetto meccanismo della storicizzazione dei teologumeni, perché proprio una troppo radicale applicazione di questa categoria interpretativa alle fonti testuali cristiane ha aperto il varco che ha condotto spesso alcuni autori a teorizzare una totale astoricità della figura di Gesù, negandole ogni plausibile esistenza storica e facendone un puro prodotto mitologico (o, mi si passi il neologismo, miteologico…) .
Conclusione che, paradossalmente, nella sua radicalità ha finito secondo me per fare gioco ad una certa esegesi di parte che ha preferito scontrarsi con una posizione del genere piuttosto che essere costretta a misurarsi con chi, pur sostenendo la sostanziale astoricità del Gesù della fede, e anzi proprio a causa di questa convinzione, tentava di “mettere il naso” nelle vicende che si celavano dietro quel fantomatico Gesù teologico per riportare alla luce le reali coordinate storiche dell’ uomo che probabimente incarnò le caratteristiche del Messia liberatore antiromano.


alcuni dei punti da me addotti in critica dell' attuale datazione delle narrazioni neotestamentarie sono stati e sono frequentemente abusati e controabusati(soprattutto in rete) in un ottica tesa a dimostrare la totale inesistenza di un Cristo storico.
E' mia convinzione che si tratti di una deriva errrata della vecchia scuola mitista (che pure secondo me aveva espresso in passato anche cose molto interessanti)
Una linea interpretativa che sembra diventata oggi particolarmente sterile e che tende paradossalmente a confondere (come la linea cattolica) il cristo storico con il Gesù della fede (che in altro post, servendomi di un neologismo, io ho definito miteologico)


Sono comunque al momento su una posizione che esprimerei così:

non vedo ad oggi motivi scientificamente inoppugnabili che possano far considerare definitivo e definitivamente acquisito l'attuale consolidato inquadramento cronologico delle fonti neotestamentarie;
penso altresì che non vi siano ragioni ostative insormontabili per considerare (o riconsiderare) anche modelli totalmente diversi, che rivalutando una idea di sviluppo progressivo più lento di una elaborazione/rielaborazione/trasfigurazione cristologica degli originari eventi storici(anche in sintonia con molti dei punti sopra espressi) più "importante" di quanto oggi non si ammetta, riconducano la datazione di una primitiva redazione scritta (più simile a quella pervenutaci) delle fonti neotestamentarie ad un periodo che vada opportunamente ricollocato nella prima metà del secondo secolo.



CITAZIONE
PAS60 Inviato il: 6/8/2010, 18:05
Scusami se mi permetto di entrare in questa discussione anche se non ho le competenze adeguate, ma vorrei porre il problema da un punto di vista pratico:
secondo te, ai tempi di Gesù, quando non era mai stata fatta alcuna biografia di persona comune, popolana, come era possibile che delle persone senza nemmeno conoscere perfettamente la lingua e assolutamente non edotti - come quelli che erano considerati scrittori - avrebbero potuto accingersi in un'opera del genere se non avessero avuto una spinta particolare, per esempio avevano riconosciuto in Gesù il Messia, o erano stati curiosi seguento le voci della gente e poi si erano convertiti a Lui, oppure lo hanno visto risuscitato vivo? Come si può pensare che uno storico dell'epoca, non attratto da Gesù, avesse scritto la biografia di un uomo del popolo? E avrebbe avuto valore la storia scritta senza spinta emozionale, per esempio per soldi?
Come ti voglio far notare , è nella natura che non è possibile un porsi autenticamente neutrale, che ne pensi? Sono stato chiaro?

Premetto che sono cristiano e ti faccio un esempio di oggi in Italia (un esempio analogo in qualche modo per quanto per noi vi è sempre una differenza incolmabile tra Gesù e qualunque altro uomo, come sai): c'è stata una signora stigmatizzata, una tale Natuzza di una frazione di Mileto in Calabria, che è morta meno di un anno fa. Finora, oltre a libriccini chiamiamoli devozionali ad uso persone che l'hanno conosciuta o che comunque si sono fidati di lei, è appena uscito un solo libro che si vende normalmente nelle librerie e di cui ho appena letto la recensione oltre che l'intervista all'autore sulla rivista Jesus di agosto.
Chi è l'autore? Potrebbe sembrare un'opera apologetica; in effetti l'autore è stato in qualche modo convertito da lei. Cioè: secondo te chi si mette a ricercare e divulgare oggi, che è ben più facile che al tempo di Gesù, la biografia di una signora qualunque di un paesino sperduto del Vibonese, se non fosse attratto dal misticismo o se volesse al contrario dimostrare che è tutta una montatura?
Chi potrebbe scrivere la sua storia a prescindere dalle sue esperienze mistiche? E chi la leggerebbe? ecc...

Scusami per lo sproloquio, volevo sotanto porti la preoccupazione di coniugare il discorso metodologico che hai fatto con la naturale spinta che c'è in chi si dedica in particolare a personaggi "speciali".

Ciao da Pasquale

Caro Pasquale non hai nulla di cui scusarti e anzi ti ringrazio per la grande cordialità con la quale esprimi le tue idee.
Non credo che per esprimersi liberamente come tu ed io facciamo, da amatori in uno spazio di amatori, sia richiesto "avere o meno le competenze adeguate"
(quali sarebbero poi le competenze adeguate per un amatore o per chiunque volesse in ambito non specialistico tentare semplicemente di esprimere un suo modesto parere?)
ciò detto parto dalla tua ultima riflessione:

"volevo sotanto porti la preoccupazione di coniugare il discorso metodologico che hai fatto con la naturale spinta che c'è in chi si dedica in particolare a personaggi "speciali" "

vedi, quanto mi proponi non è semplice in quanto, se capisco bene il tuo messaggio, si tratterebbe di coniugare un discorso metodologico teso a dimostrare (o quanto meno ad evidenziare) che la vera natura storica di un personaggio poi assunto come personaggio "speciale", anzi "il più speciale" di tutti, in quanto Dio incarnato, da una enorme fetta dell' umanità,(con una visione di fede che non posso che rispettare massimamente quale personale e libero sentimento) sia decisamente diversa da quella rielaborazione successiva,
con le differenti e particolari motivazioni che spingono alcuni "biografi convertiti" a narrare la vita di taluni personaggi "speciali" nel quadro di una loro personale, emotiva partecipazione e condivisione della "natura speciale" di detti personaggi.

Comprendo il tuo punto di vista dichiaratamente cristiano ma ti prego di comprendere anche la mia; personalmente ritengo che la persona che "abbia dato vita" al Gesù che tu in una rispettabile assunzione di fede ritieni essere il tuo massimo riferimento storico e spirituale, sia stato sicuramente una persona "speciale" ma di tutt'altra natura (tutta ancora da riscoprire) che quella incarnatasi poi nella trascendente visione della Chiesa Cattolica (qui intendo chiesa non come istituzione ma come insieme di tutti i credenti)

si tratta quindi di un tentativo di leggere la storia in maniera razionale, se vuoi, riconducendone i contenuti su un piano in cui la trascendenza e la libera adesione ad essa, siano solo alcuni degli elementi che contribuiscano insieme a tanti altri alla definizione degli eventi umani, senza che ne siano una "Necessità esterna"

e perdonami, il tuo intervento sembra emblematicamente confermare, nella sua, ripeto, totale legittimità, quanto possa risultare importante (condizionante?) la proiezione delle proprie convinzioni interiori nell' analisi di un fatto storico.

Certo sono d'accordo con te quando dici

è nella natura che non è possibile un porsi autenticamente neutrale


ma mi permetto di farti notare che di fronte a questa innegabile evidenza (la storia in una visione antropologica non è neutrale) si tratta di sforzarsi, quando si voglia ricostruire una vicenda storica nella maniera più prossima a quei "fatti nudi e crudi" di cui parlavamo, di mettere da parte le proprie personali assunzioni filosofico/religiose (quali che esse siano) perchè le stesse non diventino una insormontabile pregiudiziale al raggiungimento della verità storica (che ovviamente esiste a prescindere e deve venir fuori pur potendo poi eventualmente convivere o meno con la propria Verità personale, che se è forte e matura abbastanza, troverà il modo di affrontarne coraggiosamente il confronto, quale che ne sia poi l'esito finale)
Proprio a tal proposito vorrei riportare il giudizio di quel Graham Stanton citato dal prof Jossa (la citazione è tratta dalla edizione francese "Parole d'evangile?" Cerf 1997 del volume "Gospel Truth? New light on Jesus and the gospels" 1995
Si legge a pag 167:

"Anche quando piena attenzione sia stata accordata ai diversi tipi di testimonianze esterne ai Vangeli, sono i Vangeli stessi che ci forniscono i dati storici essenziali sulla vita di Gesù. Detto questo, io non accordo ai Vangeli un ruolo privilegiato semplicemente perchè essi fanno parte del Nuovo Testamento. In quanto cristiano, ma non in quanto storico, gli riconosco certamente un posto privilegiato in ragione del loro ruolo di documenti fondatori della fede cristiana.
In qualita di storico devo esaminare la loro testimonianza in maniera critica, come qualunque altra testimonianza.
In questo capitolo, esaminerò in che modo lo storico può utilizzare questi "scritti di fede" in maniera effettiva."


sembra un giudizio equilibrato eppure...se letto con attenzione cela più insidie psicologiche e metodologiche di quanto possa apparire ad una prima lettura.

c'è poi una considerazione nel tuo messaggio che mi ha fatto molto riflettere:

"secondo te, ai tempi di Gesù, quando non era mai stata fatta alcuna biografia di persona comune, popolana, come era possibile che delle persone senza nemmeno conoscere perfettamente la lingua e assolutamente non edotti - come quelli che erano considerati scrittori - avrebbero potuto accingersi in un'opera del genere se non avessero avuto una spinta particolare, per esempio avevano riconosciuto in Gesù il Messia, o erano stati curiosi seguento le voci della gente e poi si erano convertiti a Lui, oppure lo hanno visto risuscitato vivo? Come si può pensare che uno storico dell'epoca, non attratto da Gesù, avesse scritto la biografia di un uomo del popolo? E avrebbe avuto valore la storia scritta senza spinta emozionale, per esempio per soldi?"

ecco questo tuo pensiero mi da lo spunto per la seguente riflessione:

quanto dici mi sembra profondamente condivisibile, infatti mi sembra chiaro che la struttura redazionale dei racconti neotestamentari, lungi dal costituire la distaccata biografia di un uomo "storicamente eccezionale" per quei tempi riverbera piuttosto la narrazione sorta in seno ad una piccola comunità di uomini e donne che per motivi molto personali lo "sentirono" quale essere/entità "speciale".
Mi viene da aggiungere fra l'altro che, forse, quando ci si meraviglia tanto della scarsità di riscontri dell'epoca esterni alle fonti cristiane, si cade vittima di un errato meccanismo di proiezione della dimensione che oggi si riconosce a Gesù (il Gesù della fede), su di un'epoca nella quale probabilmente la vicenda di questo "Gesù della fede" non dovette necessariamente avere risonanza tale da giustificare significative e circostanziate attenzioni da parte del mondo pagano (e questo per almeno due o tre secoli) La distorsione scaturirebbe insomma da una sopravvalutazione del peso che la vicenda cristiana (sia quella del reale Cristo storico, sia quella teologicamente "deformata" del successivo Gesù della fede) dovette avere agli occhi dell' antichità contemporanea e immediatamente posteriore,
Un discutibile meccanismo di eccessiva ed ingiustificata retroproiezione cristocentrica sulla storia globale di quel tempo, che ancora per molto tempo, non dovette sentire una particolare ed incisiva presenza del movimento gesuano.
Quando poi nei secoli successivi questo accadde, quasi nessuno, fuori dal movimento stesso, e forse anche all'interno del movimento, aveva onestamente chiare nozioni di quale fosse stata la reale origine di quel movimento diventato così "arrembante".

saluto entrambi con molta cordialità
jehoudda




 
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view post Posted on 16/8/2010, 21:45     +1   -1

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Scrivevo nei giorni scorsi in questa discussione (stralcio qualche passaggio):


Ho voluto riportare la riflessione del prof Jossa in quanto mi è sembrata mettere in rilievo con la giusta enfasi (e naturalmente con la sua personale autorevolezza) questa debolezza intrinseca dello stato della ricerca.
Credo che i giudizi espressi in tempi peraltro estremamente recenti rendano chiara l 'idea che anche nel campo degli specialisti più accreditati vi siano studiosi che avvertono, e anche in maniera non marginale, che una certa tendenza a ricondurre costantemente la ricerca storica sul Cristo Storico al meglio conosciuto Gesù della fede,
si sia rivelata assolutamente deludente ed in ogni caso non abbia aggiunto nulla di fondamentale alla conoscenza del reale personaggio che si cela dietro quella complessa e alterata icona metafisica.

Faccio notare peraltro che il prof Jossa sembra puntare la sua critica soprattutto sul panorama specialistico italiano,

Il primo è che, con poche eccezioni, esso è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti per rivolgersi anche all ‘uomo di cultura curioso di conoscere

ma in realtà si evince chiaramente dal seguito del suo intervento che il suo giudizio è a ben più largo spettro, e non è un caso che, a testimonianza di quella che egli vede quale una chiara autoreferenzialità della ricerca incapace di uscire dallo schema asfittico sopra descritto, egli citi l' opera meno recente di un gesuita francese e il più recente lavoro di uno studioso neozelandese che per decenni ha lavorato all'Università di Cambridge (fino alla morte sopraggiunta l'anno scorso all'età di 69 anni)

Il prof Jossa con le sue riflessioni indicava come un ‘uomo di cultura curioso di conoscere e comprendere meglio questi testi (mi sento tale) non abbia, a causa di questa asfittica impostazione degli studi, soprattutto in Italia (ma non solo in Italia), potuto avvalersi di un valido quadro storico della questione
Con la conseguenza che:


La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata.

ecco perchè, ripeto, Jossa sostiene giustamente che

con poche eccezioni, esso ["Il tema della “verità” dei Vangeli ] è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti

e attacca anche quelle poche eccezioni sostenendo che anche nei pochi casi in cui questo tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto

esso rivela quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.

E’ infatti un dato di fatto insieme triste ed inquietante, di cui Chiesa cattolica e intellettuali laici portano congiuntamente la responsabilità, che i Vangeli sono in Italia molto poco conosciuti e quasi per nulla compresi. La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata

Il prof Jossa, in particolare, concludeva l'analisi del volume del reputato studioso accademico di Cambridge, Graham Stanton, sostenendo che, dopo aver un po' "tradito" le intenzioni iniziali orienta la sua esposizione

E in tal modo questa “verità del Vangelo” rischia di essere ricondotta nuovamente alla verità storica."

Sto seguendo in parallelo con grande interesse la discussione che nella sezione Paleografia, Papirologia, Critica Testuale ed Esegesi del NT l'utente chimofafà ha aperto sotto il titolo Gv 1,18 Gesù e Dio

https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=49761487

soprattutto in merito alle questioni metodologiche e criteriologiche discusse con lino85 negli ultimissimi post.
Non nascondo che condivido molte delle idee avanzate da chimofafà e
credo che alcune delle riflessioni che ho prodotto in questa discussione possano "convergere" su certi punti specifici con alcune sue conclusioni.
Mi farebbe piacere un suo personale intervento in questa discussione che ho inteso dedicare proprio alla delicata questione del rapporto fra quelli che io chiamo il Cristo della storia e il Gesù della fede (con una voluta non casuale inversione rispetto alla nomenclatura più classica...)
In ogni caso mi riprometto di riprendere anche qui alcune delle sue riflessioni dalle quali sono stato maggiormente colpito.


Ciò detto, e sempre in relazione a quanto riportavo in citazione di una valutazione così definita e forte del prof Jossa, mi sembra istruttivo citare in extenso un interessantissimo ed emblematico articolo pubblicato dall’Osservatore romano dell’11-12 febbraio 2008.che, riprendeva ampi stralci dell'intervento tenuto l'8 febbraio a Barcellona dall'arcivescovo segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede S.Ecc.mons.Angelo Amato, alle Giornate per le questioni pastorali del Centro Sacerdotale Montalegre.

(Per chi volesse qualche notizia in più sull' Arcivescovo Angelo Amato si veda questo articolo di di Sandro Magister tratto da Repubblica del 2.1.2003)

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/6898

Credo che questa autorevole riflessione sia molto pertinente ai contenuti che ho cercato di introdurre in questa mia discussione e toccando molti degli elementi da me riportati può essere utile a stimolare ulteriori riflessioni.
Io stesso mi riservo, in seconda battuta, di esprimere alcuni commenti che questo intervento mi ha ispirato.

Per correttezza segnalo che l'origine di questo testo è qui

www.gliscritti.it/approf/2008/papers/amato280308.htm

(ho rispettato l'enfasi in grassetto sul testo così come riportata dal sito di provenienza)


La questione cristologica odierna
di Angelo Amato


Gesù Cristo costituisce l'identità cristiana allo stato nascente e la cristologia è la riflessione credente su questo Dna del cristianesimo. In concreto il compito della cristologia è quello di riannunciare e rimotivare oggi la fede nel mistero dell'incarnazione salvifica, espressa nel simbolo niceno-costantinopolitano del 381. (... )

Diversamente dalla teologia ortodossa, ancorata sostanzialmente alla cristologia dei Padri della Chiesa e dei primi sette concili ecumenici, e diversamente dalla teologia protestante, con l'approccio tipico della cristologia della croce, la cristologia cattolica presenta una sua originalità metodologica che ha un triplice riferimento: ascolto fondante della Sacra Scrittura, come anima di ogni discorso teologico; riferimento obbligatorio alla tradizione della Chiesa (Padri, grandi teologi, liturgia, spiritualità) e dialogo con la cultura. La cristologia cattolica, quindi, avrebbe una costante contenutistica, nel riproporre e nel rimotivare il nucleo essenziale della cristologia (incarnazione e redenzione), e una variabile metodologica, data dal dialogo con i vari contesti culturali: secolarizzazione, pluralismo religioso, postmodernità, relativismo, indifferentismo.

Se, teoricamente parlando, l'impostazione cattolica sembra la più adeguata e completa, perché compone in modo armonico le istanze di fedeltà alla tradizione della Chiesa e di adesione al testo biblico con le istanze e le sfide provenienti dalla cultura contemporanea, in realtà i risultati non sembrano del tutto soddisfacenti.

Spesso la cristologia appare riduttiva, minimalista, insufficiente, perché non accoglie il Mistero rivelato nella sua integralità. E ciò deriva da una certa concezione razionalista della fede e della rivelazione, da un umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo, dall'assolutizzazione arbitraria del metodo storico-critico. Insomma, non rare volte i teologi abbandonano ciò che è specificamente cristiano, come il valore definitivo e universale della rivelazione di Cristo, la sua condizione di Figlio del Dio vivo, la sua presenza reale nella Chiesa, l'universalità del suo sacrificio redentore. Si tratta di una situazione critica, di una vera e propria emergenza, non certo fisiologica, quanto piuttosto patologica, che interessa tutta la Chiesa e che necessita di una pronta terapia di risanamento.

Una ricerca debole su Gesù

Non abbiamo una valutazione negativa della ricerca storico-critica. Riconosciamo che a essa si deve una maggiore conoscenza del testo biblico e del contesto sociale e religioso della Palestina del primo secolo dell'era cristiana. Non possiamo, però, fare a meno di constatare che essa ha spesso frantumato l'immagine di Gesù in una moltitudine di interpretazioni spesso contraddittorie e non rare volte tendenti a sminuirne la portata universalmente salvifica del suo evento.

Certo, anche l'arte ci ha trasmesso una galleria ricchissima di ritratti: il Cristo trasfigurato delle icone bizantine non è il Cristo morto di Mantegna e il severo Giudice michelangiolesco della Cappella Sistina non è il Cristo umanissimo e sfigurato di Rouault. Ma in queste immagini emergeva, in fondo, una precisa identità: quella del Figlio di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo. La creatività artistica rispettava sostanzialmente i canoni biblici, offrendo, pur nella diversità delle interpretazioni, i lineamenti essenziali per un immediato riconoscimento del volto di Cristo.

Lo stesso si dica per le grandi presentazioni letterarie di Gesù: diverse nei punti di vista, ma convergenti nelle linee di fondo. Il Cristo «epifania di Dio» di Fiodor Dostoevskij è diverso dal Cristo «figlio dell'uomo» di Miguel de Unamuno, così come il «Cristo della santa Agonia» di Georges Bernanos non coincide con il Cristo «rivoluzionario dell'amore» di Giovanni Papini o con «l’eterno compagno dell'uomo» del Shusaku Endo. Narrazioni letterarie differenti, ma lo stesso Cristo della tradizione biblica ed ecclesiale.

La contemporanea ricerca sul Gesù storico, invece, sembra aver smarrito il volto autentico del Signore, riducendolo a una oscura figura del passato, del quale niente si potrebbe affermare con certezza, se non che fu, al massimo, un moralista, un rivoluzionario o un predicatore. Diversamente da tutti gli altri grandi personaggi dell'antichità - Buddha, Socrate, Confucio, Giulio Cesare e così via - dei quali non si contesta quasi niente, nei confronti di Gesù c'è un vero e proprio accanimento investigativo, che spesso giunge, se non a negarne la stessa esistenza storica, certamente a dissolverne il significato e il valore, gettando l'ombra del dubbio su tutto quanto egli ha detto e fatto e che la Chiesa ha trasmesso e vissuto con fedeltà nel suoi duemila anni di esistenza. È una vera e propria galleria del falso, in cui Gesù si perde in un groviglio di miti e leggende, in base a millantate scoperte di nuove fonti o di sconvolgenti interpretazioni finalmente «vere» del fondatore del Cristianesimo.

Concordiamo con quanto Klaus Berger, docente di teologia del Nuovo Testamento nella facoltà di teologia evangelica dell'università di Heidelberg e uno dei più noti esegeti di lingua tedesca, afferma nel suo recente libro dedicato a Gesù:
“Alcuni studiosi hanno ricavato la loro immagine di Gesù esclusivamente da una parte dei primi tre vangeli - quelli di Matteo, Luca, Marco - senza prendere atto del vangelo di Giovanni. Hanno poi contestato l'autenticità di molte altre parole di Gesù. Senza tanti indugi hanno dichiarato leggenda testi che avrebbero potuto mettere in imbarazzo gli illuminati contemporanei, attribuendo alla comunità formatasi dopo la Pasqua la responsabilità del fatto che Gesù sia diventato una specie di Dio. Questo ha ridimensionato Gesù - lo ha reso una persona qualunque, che ha detto e fatto meno di quanto riporta il Nuovo Testamento. I racconti su Gesù vennero privati del loro sale, diventando insulsi e scipiti. E la stessa persona di Gesù si rimpicciolì» (Gesù, Brescia, Queriniana, 2006, pagine 9-10). Questa riduzione ermeneutica di Gesù finisce per spegnere ogni interesse per lui e per i suoi ideali. È stato ridotto a ombra colui che si è definito luce del mondo. Come si può seguire e amare un tale fantasma?

Una storia da conoscere

Tutto ciò, però, non è una novità. Per gli studiosi della ricerca storica su Gesù si tratta di un film già visto. Oggi, infatti, sembra essere ritornati agli inizi della Leben-Jesu-Forschung del secolo XVIII-XIX, quando, in piena euforia razionalistica, Hermann Samuel Reimarus († 1768) rigettò come fraudolenta l’immagine neotestamentaria di Gesù, morto e risorto, vero Dio e vero uomo.

Ebbe così inizio il cosiddetto “ritorno all’autentico Gesù della storia”, con le numerose vite razionalistiche soprattutto protestanti, come quella, a esempio, di Heinrich E.G.Paulus, che accetta i miracoli di Gesù, ma spiegandoli in modo razionale: le guarigioni miracolose sarebbero dovute alla semplice forza psicologica di Gesù. Alle vite razionalistiche fecero seguito quelle fantastiche, in cui non la ragione ma la fantasia era la chiave interpretativa di Gesù: si inventano personaggi, si narrano episodi mai registrati dai vangeli – Gesù che piange per la morte di Socrate-, si preferiscono gli apocrifi ai vangeli canonici. Queste vite fantastiche, a esempio, spiegano i miracoli ricorrendo alla Reiseapotheke – una specie di farmacia da viaggio – che Gesù portava sempre con sé. A ciò fece seguito l’interpretazione mitica di David Friedrich Strauss, quella scettica di Bruno Bauer – che negò la stessa esistenza storica di Gesù – quella estetica di Ernst Renan, quella liberale di Adolf von Harnack, quella modernista di Alfred Loisy.

In questo caleidoscopio interpretativo, c’era una precomprensione di fondo: il rifiuto aprioristico del soprannaturale, il dubbio metodico sulla validità testimoniale delle fonti neotestamentarie e il riconoscimento solo del messaggio moralistico di Gesù. L’odierna pubblicistica – film, documentari, romanzi, pubblicazioni di nuovi apocrifi, il Jesus Seminar – sembra riproporre lo stesso clima creato dalla teoria della frode di Reimarus, che riteneva il cristianesimo frutto dell’inganno dei primi discepoli. Ritorna, quindi, di attualità il giudizio del famoso studioso protestante Joachim Jeremias, grande interprete del Nuovo Testamento, che nel 1973 definì tale teoria “stolta e dilettantistica”.

Vangeli come “biografia”

Fortunatamente, altri approcci non ideologici hanno tolto la figura di Cristo dal vicolo cieco del pregiudizio razionalistico e del minimalismo storico, per immetterla sulla strada maestra della ricerca scientifica più solida e non condizionata aprioristicamente. Si tratta di un secolo di sviluppi originali e positivi, che hanno dato risultati convincenti.

Infatti, al razionalismo liberale si opposero con tutta la forza della loro competenza e del loro prestigio gli esponenti della cosiddetta teologia dialettica, che, con Rudolf Bultmann, più che puntare sul Gesù della storia fecero leva sul Cristo del kèrygma. Volendo, però, riconoscere anche il dato storico, sono stati numerosi gli studiosi tra i quali il già citato Jeremias ma anche Ernst Käsemann, Günther Bornkamm, Heinz Conzelmann che rivalutarono in modo sostanziale il Gesù della storia come importante per la fede, dal momento che la comunità cristiana primitiva non intendeva far sfumare nel mito la storia e la persona del suo maestro.

In questa linea di rivalutazione della affidabilità storica dei Vangeli, si inseriscono studiosi come Charles Harold Dodd. con la sua insuperabile analisi dei fondamenti storici del quarto vangelo; gli esponenti della scuola scandinava, con il loro studio sui mezzi e i controlli della trasmissione della tradizione orale e scritta ai tempi di Gesù.

La fase più recente di questa questione, chiamata Third quest dopo la prima razionalistica e la seconda bultmanniana e postbultmanniana -sottolinea, su ineccepibili basi archeologiche, papirologiche e storico-documentarie come la valorizzazione di nuove fonti non fittizie ma autentiche: Qumran, Nag Hammadi, letteratura intertestamentaria ed ellenistica - la validità storica dei Vangeli, offrendo al riguardo una adeguata criteriologia. In questa linea si pone l'ottimo volume Gesù, la risposta agli enigmi di Armand Puig I Tàrrech (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007).

A tutto ciò si deve aggiungere anche una nutrita schiera di studiosi. che, lavorando sulla letteratura comparata, hanno dato anche una risposta convincente alla vexata quaestio se i Vangeli ci consegnino una vita di Gesù o siano semplicemente frutto dell'esperienza religiosa della prima comunità cristiana. Purtroppo, un atteggiamento scettico, da parte sia della letteratura accademica sia della formazione catechistica, tende a sottovalutare o a rifiutare del tutto la finalità biografica dei Vangeli.

In realtà, a cominciare da Clyde Weber Votaw, che poneva i Vangeli nell'ambito della letteratura biografica greco-romana, e proseguendo con Graham N. Stanton, Charles H. Talbert, Philip Shuler (che motiva il carattere biografico del Vangelo di Matteo), Hubert Cancik (che mostra la struttura storiografica di Marco), e Klaus Berger, si arriva alla sintesi di Richard Burridge, che, mediante la sua analisi comparata delle biografie ellenistiche greco-romane, incluso il Mosè di Filone d'Alessandria, riafferma il carattere biografico dei Vangeli.

Burridge mostra come il vero genere letterario dei Vangeli sia il bìos. Come le biografie del tempo (bìoi), infatti, anche i Vangeli hanno una lunghezza relativamente breve; hanno un solo protagonista (Gesù Cristo, e lui solo; gli altri, inclusa sua madre o lo stesso Pietro, hanno spazio minimo); si concentrano, diversamente dalle moderne biografie, sul periodo più significativo del personaggio biografato: nel nostro caso sul ministero pubblico di Gesù e sul mistero pasquale, con un breve accenno alla sua nascita.

Possiamo allora riassumere i risultati più attendibili della ricerca sulla vita di Gesù in tre affermazioni. I dati scientificamente più accreditati sono concordi nel testimoniare la validità storica dei Vangeli. Gli studiosi rivalutano anche l'affidabilità storica del Vangelo di Giovanni, rilevando la sua grande aderenza socio-culturale, con i suoi numerosi topoi, oggi archeologicamente confermati. Uno studio spassionato, privo di pregiudizi razionalistici, porta a concludere che i Vangeli fanno parte del genere letterario bìos: ciò significa che le narrazioni evangeliche sono altamente interessate a riportare le gesta di Gesù più che a testimoniare solo la fede dei primi cristiani.

I Vangeli si concentrano sulla persona, sul messaggio, sugli atteggiamenti, sulle opere di Gesù, insomma sulla sua vita nel suo momento più decisivo. L'esperienza cristiana, invece, ci è stata trasmessa soprattutto dal resto del Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli, dalle diverse Lettere, dall’Apocalisse. La Chiesa antica non avrebbe prodotto i Vangeli come bìoi se non fosse stata interessata alla persona di Gesù. Il fatto che gli evangelisti abbiano scelto di esprimersi mediante il genere letterario Vangelo, indica che c’è una concreta esistenza storica alla radice della loro testimonianza: se la carne – conclude Burridge – fosse stata irrilevante per l’evangelista o se il rivelatore non avesse assunto in nessun modo una piena esistenza umana, perché l’evangelista avrebbe scritto un Vangelo? Validità storica dei Vangeli e loro qualità biografica restituiscono alla teologia una base insostituibile per la sua elaborazione cristologica. (...)

Armonia tra storia e fede

Il volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger si inserisce in questo contesto. Seguendo la ruota del tempo, si pone nello sviluppo più armonico della ricerca storico-critica contemporanea. Il volume contiene due importanti premesse per lo studio della cristologia cattolica: una premessa metodologica e una contenutistica.
Metodologicamente parlando, il Papa segue la linea interpretativa che riconosce sia il valore storico-documentario e biografico delle fonti bibliche sia l’armonia tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, individuando, inoltre, una cristologia prepasquale, testimoniata durante la sua esistenza terrena dallo stesso Gesù.

Una preparazione a questo volume il Santo Padre l’aveva fornita in Unterwegs Zu Christus (2003), in cui l’allora cardinale Ratzinger lamentava tre limiti nella cristologia contemporanea. Anzitutto una inquietante decristologizzazione che riduce Gesù a semplice personaggio umanitario piuttosto accomodante, che nulla esige e tutto approva. In secondo luogo, il rifiuto della presenza del soprannaturale nella storia che conduce a una interpretazione sedicente scientifica, ma in realtà ideologica, della sua figura. In terzo luogo, una malintesa attualizzazione che diventa criterio arbitrario di individuazione dell’autenticità o meno delle parole e della azioni di Gesù, tralasciando elementi centrali del mistero di Cristo per evidenziare solo quanto si presuppone sia attuale. (...)

In Gesù di Nazaret, il Papa rilegge la “storia” nella sua completezza e cioè nella sua duplice valenza di avvenimento spazio-temporale (Historie) e di evento salvifico (Geschichte). (...) L’originalità del cristianesimo risiede proprio nell’affermazione che la storia umana ha ospitato l’evento Cristo, dono di amore del Padre a tutta l’umanità, il Verbo fatto carne da adorare, il Redentore da amare, il Giudice escatologico da temere. Con ciò si afferma che la globalità del suo evento e ogni singolo suo “mistero” è storia di salvezza di Dio Trinità per l’uomo.

In Cristo, la storia umana è diventata evento salvifico. Non quindi sola fides, perché fides sine historia è infondata. Né, tanto meno, sola historia, perché historia sine fide è insufficiente per cogliere la verità del dono di Dio in Cristo. Pertanto historia et fides sono inscindibilmente unite e costituiscono i pilastri della verità del Cristianesimo, che è salvezza nella storia e nella fede. (...)

La seconda premessa, quella contenutistica, costituisce il motivo dominante dell’opera ed è la presentazione di Gesù come il nuovo Mosè profetizzato dalle Scritture. (...) Benedetto XVI vede realizzata in Gesù, pienamente e senza limiti, la promessa del nuovo profeta e del mediatore della nuova alleanza. È questa la chiave per la retta comprensione di Gesù, il cui insegnamento con autorità non proviene da un apprendistato umano ricevuto in una scuola, quanto piuttosto dall’immediato contatto con il Padre, che egli vede faccia a faccia e del quale è la Parola: “La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la “cristologia” è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù”. (...)

Una correzione di rotta

Se si è dato grande spazio al volume di Benedetto XVI, lo si è fatto nella precisa convinzione che l’opera costituisca un vero turning point della cristologia cattolica contemporanea e, di conseguenza, un importante indicatore nella ricerca, nell’insegnamento e nella catechesi. Il Gesù di Nazaret ratzingeriano è quello consegnatoci dalla tradizione bimillenaria della Chiesa, non come frutto della creatività della comunità cristiana primitiva, né come riduttiva ricostruzione virtuale della ricerca storico-critica contemporanea, ma come manifestazione autentica e veritiera della persona, delle parole, degli atteggiamenti e delle opere di Gesù di Nazaret. La comunità cristiana non ha inventato, sfigurato o trasfigurato Gesù di Nazaret. Lo ha semplicemente testimoniato e coerentemente annunciato. Per questo il volume del Papa da solo contiene implicitamente un insieme di orientamenti contenutistici e bibliografici non solo per un aggiornamento di nozioni, ma soprattutto per una significativa correzione di rotta dell’odierna navigazione della cristologia cattolica.


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view post Posted on 17/8/2010, 20:19     +1   -1

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Segnalo un' altra interessante riflessione che tocca da vicino i temi focali di questa discussione.
Si tratta di un contributo del prof Pesce dal titolo Jacques Dupont e il Gesù storico tratta dalsuo sito (la data non mi appare chiaramente indicata ma è sicuramente successiva al 2008)

http://www.mauropesce.net/index.php?option...d=109&Itemid=84

il brano è particolarmente interessante
mi permetto di estrarne un solo piccolo passaggio che si collega specificamente ad una considerazione metodologica che ho fortemente perorato in questa discussione. (enfasi in grassetto/sottolineato mia)

...La prima contrapposizione è tra fede e ricerca storica, la seconda tra credente e non credente. La prima riguarda metodi e atteggiamenti in astratto, spersonalizzati, la seconda riguarda persone concrete. A me sembra che il passaggio da risultato storico a atto di fede possa avvenire all'interno di una medesima persona. La ricerca storica sconcerta sia il credente sia il non credente se fino a quel punto essi hanno proceduto soltanto con un metodo storico che non presuppone mai la fede né alla base né durante il procedimento di analisi storica. Sconcerta lo storico sic et simpliciter. Ma esiste anche una seconda questione: perché mai il risultato della ricerca storica dovrebbe essere sconcertante?

...La risposta a questa domanda viene probabilmente da ciò che Dupont aveva poco prima affermato e che riproduce un topos della riflessione teologica cattolica del XX secolo:«Certo, Gesù appare allo storico come uomo reale, profondamente inserito nel suo tempo e nel suo ambiente sociologico, culturale e religioso. Ma è anche un uomo che sorprende [qui il punto] e che non si lascia incasellare in nessuna categoria prestabilita: profeta, taumaturgo, maestro di sapienza...» (ivi pp.12-13). Ora è proprio questo che uno storico può difficilmente accettare: che l'uomo Gesù non possa essere compreso storicamente secondo categorie storiche esocio-antropologiche. Perché Gesù non potrebbe essere considerato un leader carismatico? I motivi per non considerarlo tale saranno di carattere storico e sarà giusto rifiutare questa categoria per ricorrere invece ad altra più convincente. La singolarità ed originalità di un individuo, così come di un gruppo o di una creazione artistica sono indubitabili, ma non ci impediscono difar ricorso a categorie comuni.
A meno che io non reintroduca nella ricerca storica il presupposto di fede e mi convinca, in base al mio amore per Gesù e in base alla mia fede, della sua assoluta novità, la quale tuttavia non sarà allora più accertata storicamente, ma presupposta


Il fatto è che questa interpretazione non è così sicura anche per un altro motivo.Dupont, infatti, scrive anche: «Ispirata dalla fede, questa ricerca storica mirerà a ben altro che ad una semplice ricostruzione aneddotica dei fatti.Vorrà raggiungere ciò che costituisce la specificità di Gesù di Nazaret, ciò che ha fatto nascere nei suoi discepoli quella prima forma di fede nella sua persona alla quale la luce di pasqua permetterà di fiorire pienamente» (ivi p.12). Sembrerebbe, perciò che lo storico credente debba guardare ai fatti pensando che il Gesù storico sfoci in quello della fede. Sembrerebbe che egli debba piegare la ricerca storica ad una dimostrazione della continuità, perché è dominato dalla preoccupazione di individuarla. Ora è proprio questo che non è corretto dal punto di vita del procedimento storico: non si possono interpretare i fatti del passato alla luce di quello che è avvenuto dopo. Il dopo non è la chiave di lettura del prima.
Maurice Sachot ha a mio avviso denunciato abbastanza bene questo procedimento apparentemente storico, ma in realtà teologico, che consiste nel fare una storia a ritroso, all'indietro.Rispetto al metodo di una storia delle origini cristiane, mi sembra opportuno ricordare quanto egli scriveva in un libro che appartiene al recente rinnovamento storiografico sulla nascita del cristianesimo:
«Intendiamo [...]sottolineare come la storia delle origini del cristianesimo non si sia [...]emancipata dalla nozione di "tradizione", la cui essenza sta nell'attribuire all'origine la forma attuale della credenza. Sposando tale prospettiva si tende a riportare al momento originario tutto quanto è venuto costruendosi inseguito. E se si ammette uno sviluppo del dogma e delle istituzioni, ciò ne modifica unicamente la formulazione, non il nòcciolo. La storia si riduce cosìall'esplicitazione progressiva di un contenuto interamente dato all'origine,esplicitazione concepita come un continuo rigoglio, come la crescita di un bell'albero già inscritta nelle potenzialità del seme [...]».
Contro questa prospettiva,Sachot affermava:
«Il cristianesimo non preesisteva al processo attraverso cui è scaturito».
Queste frasi di Sachot denunciano un meccanismo storiograficamente scorretto: quello che legge il prima alla luce del poi.
Ma non si adattano completamente alpensiero di Jacques Dupont. Sachot, infatti, parla di una «esplicitazione progressiva di un contenuto interamente dato all'origine». Ma non è questo che Dupont sostiene. Per lui, tra il Gesù terreno e il Cristo della fede non c'è un'evoluzione progressiva. All'origine, nel Gesù terreno, non si dà il tutto del cristo della fede. Tra prima e dopo pasqua c'è una discontinuità radicale che solo la fede può colmare, ma che tuttavia, secondo Dupont suppone anche una continuità. La critica di Sachot non può quindi essere applicata totalmente a Dupont, ma solo per quanto riguarda la denuncia di un procedimento storico scorretto: l'interpretazione del prima alla luce del dopo
.


il seguito del brano del prof Pesce è altrettanto interessante e ne consiglio la lettura a tutti coloro che considerano, come me, estremamente importante questo delicato rapporto (metodologico, ermeneutico e quindi contenutistico) fra il Cristo (Gesù ?) della storia e il Gesù (Cristo ?) della fede, nell'ottica di un tentativo di ricostruzione prioritariamente storiografico.

Voglio precisare, quella che sembrerebbe una semplice curiosità (ma che a ben vedere è a mio avviso un indicatore emblematico dell' "approccio" editoriale italiano ad un certo tipo di lavori...):
il volume di Maurice Sachot che il prof Pesce cita a stralci in questo suo articolo è riportato correttamente in nota nella sua edizione italiana come

M.Sachot, La predicazione di Cristo. Genesi di una religione, Torino. Einaudi, 1999

io possiedo l'edizione originale francese e noto con un certo stupore che il titolo (sicuramente scelto o quanto meno vidimato dall' autore e, non a caso, più appropriato e "pungente") è

L'invention du Christ. Genèse d'une religion
editions Odile Jacob 1998

Quella "semplice" trasformazione di "invention" in "predicazione" dice forse più di tante parole...

Riporto peraltro perchè mi sembra indicativo dello spirito generale dell 'opera, quanto presente in quarta di copertina dell' edizione originale:

"Come un figlio di carpentiere, chiamato Gesù, ha un giorno lasciato il laboratorio per annunciare "la venuta imminente del Regno di Dio"? Come hanno potuto molti dei suoi seguaci vedere sul viso di quest'uomo crocifisso i tratti del Messia? Per quali vie questo riconoscimento ha preso corpo per imporsi, dopo tre secoli, come religione dell'Impero? Quali processi hanno dunque permesso l'emergere e la riuscita del cristianesimo?
Per gli storici come per gli esegeti, sembra acquisito che, fin dall' inizio, Gesù era Cristo, e che il cristianesimo era una religione. Ora bisogna arrendersi all'evidenza: Gesù è diventato Cristo, e il cristianesimo è diventato religione.
La storia delle origini cristiane, da sempre scritta al rovescio, necessita di essere interamente rivisitata.
Mettendo in luce le mediazioni interne che hanno contribuito alla formazione del movimento cristiano e alle sue metamorfosi, questa nuova storia offre della genesi del cristianesimo una spiegazione che rimette in questione la nostra stessa nozione di religione."


"Maurice Sachot dopo aver insegnato le lingue patristiche alla Faculté de theologie catholique, insegna le sciences de l' education all' Université des sciences humaines di Strasburgo"

Per chi fosse interessato a questo lavoro segnalo che l'edizione francese è visibile in anteprima google qui

http://books.google.it/books?id=3_BUA4o5qv...epage&q&f=false

L'edizione italiana è referenziata, ma non è purtroppo visibile in lettura

http://books.google.it/books?id=hZEmPQAACA...ved=0CCgQ6AEwAA

grazie per l'attenzione
jehoudda
 
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PAS60
view post Posted on 19/8/2010, 12:59     +1   -1




CITAZIONE (jehoudda @ 17/8/2010, 21:19)
Segnalo un' altra interessante riflessione che tocca da vicino i temi focali di questa discussione.
Si tratta di un contributo del prof Pesce dal titolo Jacques Dupont e il Gesù storico tratta dalsuo sito (la data non mi appare chiaramente indicata ma è sicuramente successiva al 2008)

www.mauropesce.net/index.php?option...d=109&Itemid=84

il brano è particolarmente interessante
mi permetto di estrarne un solo piccolo passaggio che si collega specificamente ad una considerazione metodologica che ho fortemente perorato in questa discussione. (enfasi in grassetto/sottolineato mia)


[color=blue]Il fatto è che questa interpretazione non è così sicura anche per un altro motivo.Dupont, infatti, scrive anche: «Ispirata dalla fede, questa ricerca storica mirerà a ben altro che ad una semplice ricostruzione aneddotica dei fatti.Vorrà raggiungere ciò che costituisce la specificità di Gesù di Nazaret, ciò che ha fatto nascere nei suoi discepoli quella prima forma di fede nella sua persona alla quale la luce di pasqua permetterà di fiorire pienamente» (ivi p.12). Sembrerebbe, perciò che lo storico credente debba guardare ai fatti pensando che il Gesù storico sfoci in quello della fede. Sembrerebbe che egli debba piegare la ricerca storica ad una dimostrazione della continuità, perché è dominato dalla preoccupazione di individuarla. Ora è proprio questo che non è corretto dal punto di vita del procedimento storico: non si possono interpretare i fatti del passato alla luce di quello che è avvenuto dopo. Il dopo non è la chiave di lettura del prima.
Maurice Sachot ha a mio avviso denunciato abbastanza bene questo procedimento apparentemente storico, ma in realtà teologico, che consiste nel fare una storia a ritroso, all'indietro.Rispetto al metodo di una storia delle origini cristiane, mi sembra opportuno ricordare quanto egli scriveva in un libro che appartiene al recente rinnovamento storiografico sulla nascita del cristianesimo:
«Intendiamo [...]sottolineare come la storia delle origini del cristianesimo non si sia [...]emancipata dalla nozione di "tradizione", la cui essenza sta nell'attribuire all'origine la forma attuale della credenza. Sposando tale prospettiva si tende a riportare al momento originario tutto quanto è venuto costruendosi inseguito. E se si ammette uno sviluppo del dogma e delle istituzioni, ciò ne modifica unicamente la formulazione, non il nòcciolo. La storia si riduce cosìall'esplicitazione progressiva di un contenuto interamente dato all'origine,esplicitazione concepita come un continuo rigoglio, come la crescita di un bell'albero già inscritta nelle potenzialità del seme [...]».

Ciao Jehoudda.
Ritorno anch’io sul problema giusto per far cogliere altri aspetti della problematica; per chiarezza sistematizzo un po’ il mio discorso partendo dal generale per andare al particolare:
1) Ogni scelta nostra prende valore fondamentalmente dal futuro; se ho scelto un buon lavoro, un percorso di studio che saprò completare o/e che potrà avere successo, un <i>partenaire
col quale condividerò tanti anni lo saprò soltanto col tempo; ogni azione può essere valutata penso anche da un punto di vista laico soprattutto dai frutti che darà e per noi credenti sarà lo sguardo/giudizio di Dio/Gesù che getterà una luce definitiva e piena su ciò che abbiamo fatto!
2) Tanti piccoli fatti non hanno valore né storico né di cronaca se e fintanto non …succeda qualcosa di non messo in conto, che renda significativo ciò che prima non lo era:
Un dolore passeggero, una parola fuori posto o non corretta a livello di lettere, o un atteggiamento del corpo per esempio non vengono presi in considerazione normalmente, ma quando si viene a sapere che si ha una patologia si rilegge/valorizza tutto ciò che era successo e che si riteneva non dover nemmeno dire ad alcuno, ecc.
3) Come ti ho riportato nello scorso post l’esempio attuale della biografia della stigmatizzata Natuzza Evolo, morta l’anno scorso, ora ti porto un esempio attuale che riguarda proprio la mia città e fatti che stanno succedendo qui: questa città fu consacrata solennemente al SS. Cuore di Gesù un po’ più di 50 anni fa alla presenza dell’arcivescovo, con grande concorso di popolo e l’atto di consacrazione fu letto dallo stesso sindaco della città per cui si trattò di un evento civico-religioso abbastanza importante; pur tuttavia non ci sono a quanto so documenti ufficiali di tale consacrazione né libri sulla storia della città che ne parlino (almeno non sono famosi), tuttavia ancora molti testimoni ne parlano e ci sono ancora le fotografie dell’evento. Ora è successo che proprio in questa città, negli ultimi decenni c’è stata una signora che ha vissuto come una mistica consigliando, guarendo, pregando e facendo pregare e tra le altre cose ha istillato un spiritualità del Cuore di Gesù (anche e soprattutto a persone di altre città che andavano a visitarla) e ha lasciato dei beni perché vengano costruite delle opere di carità e anche una cappella intitolata al SS. Cuore di Gesù; oggi è normale a questo punto che chi si interessa di questo caso valorizzi la consacrazione della città che avvenne negli anni cinquanta ( quasi per dimostrare che questo evento sia un frutto della consacrazione, ma questa è appunto una valutazione eventualmente teologica) eppure un domani, qualora si perdessero le fotografie e muoiano i testimoni, chi ci assicurerà che non si dirà che la consacrazione è stata inventata per valorizzare l’esperienza mistica successiva? Invece è tutto vero! Hai capito dove voglio andare a parare, qual è la mia preoccupazione?
4) Passando a Gesù ti voglio dire di valutare di più il fatto che tanti discorsi suoi, tante piccole cose vere non avrebbero avuto alcun seguito, nemmeno a livello di cronaca fino a quando egli non è risuscitato dai morti oltre al fatto che egli stesso aveva chiesto agli apostoli di non parlare di tanti fatti prima della risurrezione, in particolare della sua trasfigurazione e Luca conferma che “in quei giorni non raccontarono a nessuno ciò che avevano visto” (Lc 9,36 partim). E’ chiaro perciò che è molto plausibile che soltanto dopo la risurrezione siano stati riletti e riconsiderati tanti atti e fatti di Gesù di Nazareth, la sua intimità con Dio, i suoi insegnamenti e penso si possa dire che soltanto dopo la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste si siano potute divulgare ed accettare, alla luce sovrannaturale dello Spirito, la pretesa di Gesù di farsi Dio (Gv 10,33), la pretesa di essere il suo Figlio diletto, l’erede (parabola dei vignaiuoli omicidi: Mt 21,33-46, Mc 12,1-12, Lc 29,9-19), la sua pretesa inaudita di identificarsi con lo sposo del suo popolo, cioè con Yhwh stesso, tutte pretese che altrimenti sarebbero state volutamente ignorate dai suoi amici.
Non ho alcuna competenza per fare considerazioni in senso proprio a livello storico e metodologico ma, come hai capito, parlo più in base all’esperienza che poi è ciò che, a livello puramente umano, fa riesaminare con prospettiva più larga ciò che si è fatto nel passato.
Spero che questo mio interesse possa comunque trovare in te una persona che, a conoscenza di tutte le premesse a livello storico e metodologico, possa pure valorizzare al meglio questa mia preoccupazione che si perda parte della verità.
Ciao.
 
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view post Posted on 19/8/2010, 22:01     +1   -1

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Buonasera,

sempre a proposito delle questioni sollevate dal prof Pesce nell' articolo che ho citato ieri (ed in via più generale sulle metodologie di approccio storiografico alla vicenda gesuana) segnalo anche un altro articolo apparso sul suo sito:

Come studiare la nascita del cristianesimo? Alcuni punti di vista

http://webcache.googleusercontent.com/sear...t&ct=clnk&gl=it

particolarmente collegato alle questioni trattate in questa discussione il terzo paragrafo di questo articolo

3. La storia a ritroso e le origini della cristologia

nel quale si legge fra l'altro:

"Come ho già altre volte osservato, non di rado, i tentativi di spiegare le origini del cristianesimo si propongono di ricostruire la preistoria di una nascita. Hanno più o meno chiaramente in mente cosa sia il cristianesimo e cercano di mostrare come quella grandezza storico-religiosa già nata in una certa epoca che loro identificano come cristianesimo, si sia formata pezzo per pezzo, fase per fase. Vogliono ad esempio rintracciare il formarsi della teologia, del dogma e delle strutture ecclesiastiche che esistono in un certo momento. Così facendo, essi assumono come punto di riferimento un cristianesimo unitario come si configura in un certo momento storico e in una determinata area geografico-ecclesiastica. Ne ricostruiscono poi a ritroso le fasi di formazione. In queste sintesi, le diversi correnti e i diversi gruppi originari di seguaci di Gesù appaiono come se fossero fasi o tappe della configurazione successiva e, di conseguenza, vi figurano solo per singoli brandelli staccati dal loro contesto.
Tutto ciò che non è parte di quel presunto processo formativo, viene tralasciato. Alcune di queste sintesi finiscono così per cancellare addirittura la fisionomia delle origini cristiane..."


Poi dopo aver ricordato il giudizio di Maurice Sachot riportato nel post precedente,
il prof Pesce aggiunge:

"Della debolezza metodologica indicata da Sachot mi sembrano soffrire anche gli studi che cercano di ritrovare già in Gesù le origini della cristologia cristiana della fine del II secolo e in fondo di Nicea. L’opera di Romano Penna, I ritratti originali di Gesù Il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria in due volumi - il primo dedicato a Gli inizi, il secondo a Gli sviluppi è un'opera poderosa per impegno e mole, certamente una delle più significative dell'esegesi italiana del XX secolo. L'opera si presenta come «cristologia neotestamentaria», cioè come uno di quei lavori che vogliono ricostruire quali siano state le diverse interpretazioni che gli scritti contenuti nel Nuovo Testamento hanno dato della figura di Gesù. Penna, tuttavia, per certi aspetti, cerca anche di rintracciare nel Gesù storico le origini della cristologia della chiesa primitiva. È, questa, una prospettiva nella quale Penna si trova in buona compagnia da quando, ormai da quasi mezzo secolo, si cercò di trovare un ponte tra il Gesù storico e il Gesù della fede, tentando di trovare in certi atteggiamenti di Gesù e in certe sue parole degli agganci legittimi per gli sviluppi e le trasformazioni successive operate dall’interpretazione protocristiana.
Io credo che, per certi aspetti, questo modo di procedere, pur volendo rimanere sul piano storico, sia anch’esso precondizionato da una scelta teologica che rischia di vanificarne la correttezza dell’analisi. La debolezza metodologica sta a mio avviso nel fatto che, per cercare gli agganci nel Gesù storico e nella cristologia protocristiana, è necessario leggere ciò che è avvenuto prima alla luce di ciò che è avvenuto dopo. Con ciò si rovescia l’ordine della storia. Il fatto che ciò che è avvenuto dopo possa trovare una qualche giustificazione in ciò che Gesù disse o fece non significa che i suoi atti e le sue parole mirassero realmente alle future affermazioni della chiesa primitiva. Le opere che tendono a ritrovare nel Gesù storico gli agganci della cristologia post-gesuana scelgono solo alcuni elementi e segmenti dell’attività di Gesù inserendoli in un contesto teologico che non è quello gesuano. Omettono poi interi settori della cristologia protocristiana, si pensi ad esempio alla cristologia dell’Ascensione di Isaia o del Vangelo di Tommaso, perché non fanno parte del canone neotestamentario."


Mi sembra di poter dire che queste riflessioni del prof Pesce siano particolarmente acute e contribuiscano a rafforzare una parte delle considerazioni che mi hanno motivato ad aprire questa discussione.
Apprezzo molto nel prof Pesce, al di la delle indiscutibili competenze, la grande apertura mentale ed una spiccata onestà intellettuale, caratteristiche secondo me fondamentali per uno storico.
Pur non condividendo poi la sua visione "finale" del fenomeno storico (che peraltro come si deve nel caso di una ricerca storica degna di tal nome, può essere soggetta a ripensamenti continui e su questo il professore sembra assolutamente d'accordo) trovo illuminante nel suo discorso metodologico la capacità, nonostante anni di consolidata ricerca personale, di rimettere (e rimettersi) sempre in discussione i parametri generali e specifici di tale ricerca, dando spazio culturale e tecnico alle più diverse opzioni.
E' ovvio che la mia visione "finale" della vicenda gesuana, che ho in altri casi su questo forum evidenziato, non è altrettanto "equilibrata" e risulta (ad oggi) una lettura difficilmente accettabile nel quadro generale delle attuali conoscenze.
Ma io, che ovviamente non sono uno storico nè tanto meno un esegeta, mi concedo quelle che definirei delle "libertà ermeneutiche" che però, come nel caso di alcuni altri appassionati dilettanti presenti in questo ed altri spazi interattivi, non vogliono essere delle mere provocazioni ideali/ideologiche ma sono piuttosto il risultato e l'espressione di una "sensazione di fondo" consolidatasi in anni di letture, riflessioni e studio amatoriale.
Sono d'altra parte convinto (oggi, domani potrei rivenire su altra posizione) che le problematiche di natura metodologica e criteriologica esposte in questi post non siano delle questioni di poco conto.
In buona sostanza credo che le difficoltà evidenziate dagli ottimi Jossa e Pesce in merito ad una palese forzatura/distorsione che la ricerca sul Gesù storico ha subito (e ancora subisce) nella sua stessa impostazione di base potrebbe aver generato una deformazione delle risultanze (dei contenuti) perfino più rilevante di quanto questi due competenti studiosi indichino.
Tendo cioè a condividere pienamente l' idea che urga ridisegnare il metodo e i criteri di ricerca, ma radicalizzo questa posizione (in questo ripeto la mia posizione è senza dubbio molto meno equilibrata e quindi tanto più "criticabile") dal momento che ritengo che se si pervenisse a ribaltare quella struttura metodologica, che in qualche modo è diventata contenuto, si potrebbero aprire orizzonti totalmente rivoluzionari, che ieri ed oggi apparivano e appaiono implausibili o comunque impercorribili.

So bene, per fare un esempio concreto, che il prof Pesce ha espresso giudizi molto precisi e decisi come questo:

"Di Brandon ho scritto decine di pagine di critica aspra per dimostrare che la sua idea di un Gesù rivoluzionario politico-militare è esegeticamente infondata"

(questo giudizio è tratto dalla acuta e piccata risposta che aveva dato alla incredibile "stroncatura" di Cantalamessa, che più che una critica nei contenuti si
configurava quale attacco personale e difesa aprioristica di posizioni teologiche.
La si trova qui:
www.storicamente.org/02pesce_cantalamessa.htm )

Io penso invece che Brandon (e non solo lui) avesse aperto a delle possibili riletture alternative che possono sicuramente essere criticate e criticabili, ma non sono poi così sicuro che questa legittima conclusione del prof Pesce (e del generale consensus ) non sia stata parzialmente "viziata" proprio da una valutazione che si articola all' interno di una impostazione metodologica fortemente "orientata" (sarebbe forse piu giusto semanticamente dire "orientante") che in quanto tale rende inaccettabili e incongruenti gli assunti e le conclusioni di quella ricostruzione.

Si tratta in fin dei conti di comprendere il senso profondo di quel "esegeticamente infondata" che il bravissimo prof Pesce utilizza.
Si tratta di stabilire se ciò che correttamente (dopo una appropriata analisi) si definisca "esegeticamente infondato" sia anche "storicamente infondabile", cioè soppesare con estrema pazienza se l'esegesi (interpretazione) delle specifiche fonti vagliate e i criteri utilizzati non abbiano potuto concorrere a "deformare" l'esito della verifica "informandola" eccessivamente e rendendo "inverosimile" una lettura dei fatti accaduti parecchi decenni prima.

Ho letto (e continuo ovviamente a leggere) molte critiche importanti e competenti mosse al lavoro di Brandon e ho rilevato che quasi tutte sono formalmente ineccepibili all' interno del sistema di coordinate documentali che utilizzano. Senonchè il punto è proprio che se per vagliare la verosimiglianza di fondo e la congruenza dei suoi elementi costitutivi si "filtra" il lavoro di Brandon attraverso le strutture narrative prodotte dall' interno di una comunità teologica (cristologica) e sviluppatesi in un arco di tempo mediamente lungo che ne ha anche fortemente differito spazialmente la elaborazione, si ricade nella stessa contraddizione perfettamente sintetizzata dal prof Pesce e che mi preme ripetere:

Io credo che, per certi aspetti, questo modo di procedere, pur volendo rimanere sul piano storico, sia anch’esso precondizionato da una scelta teologica che rischia di vanificarne la correttezza dell’analisi. La debolezza metodologica sta a mio avviso nel fatto che, per cercare gli agganci nel Gesù storico e nella cristologia protocristiana, è necessario leggere ciò che è avvenuto prima alla luce di ciò che è avvenuto dopo. Con ciò si rovescia l’ordine della storia. Il fatto che ciò che è avvenuto dopo possa trovare una qualche giustificazione in ciò che Gesù disse o fece non significa che i suoi atti e le sue parole mirassero realmente alle future affermazioni della chiesa primitiva. Le opere che tendono a ritrovare nel Gesù storico gli agganci della cristologia post-gesuana scelgono solo alcuni elementi e segmenti dell’attività di Gesù inserendoli in un contesto teologico che non è quello gesuano

Forse il principale limite analitico del tentativo ermeneutico di Brandon risiede proprio nell'aver tentato di fondare ed ancorare un Gesù storico diverso (che l'autore probailmente "intravedeva" in una visione più globale, oserei dire più personale ed intuitiva e quindi giocoforza meno "solida") all'interno di uno scenario storiografico "classico", cioè troppo dipendente dalla tradizione documentale neotestamentaria (e cristiano-cattolica in generale) la quale essendo, per le ragioni ampiamente esposte, il frutto di una costruzione (elaborazione/rielaborazione) di natura eminentemente teologica (ed in questo tanto più "umana"...) non permette, a causa della sua peculiare (e comprensibile/giustificata) raison d'etre, di "collocare" quel tipo di presunta figura storica senza che se ne avvertano stridenti ed irresolvibili incompatibilità.

Ricordo che fin da quando, molti anni fa, lessi per la prima volta questo lavoro ebbi la sensazione che Brandon si fosse attenuto (comprensibilmente per uno storico) nell'elaborazione delle sue tesi ad un principio che definirei di "prudenza".
Il problema è che quella giustificata e giustificabile "prudenza" se da un lato ne ha permesso la diffusione e la discussione in ambiti di primo livello, oltre che un accettabile "equilibrio espositivo", dall'altro ne ha, secondo me, minato significativamente la portata e la capacità di incidere a fondo un preesistente schema interpretativo che in ogni caso le sue ipotesi andavano, cosa di cui l'autore doveva essere ben consapevole, violentemente a "sfidare".

Purtroppo quella prudenza intellettuale, che ripeto, si può comprendere anche sotto un profilo strettamente deontologico,e una sua formazione culturale classica che lo ha indotto , in fase di analisi, ad utilizzare, forse troppo generosamente, elementi appartenenti alla posteriore rielaborazione fideistica neotestamentaria, si è rivelata un' arma a doppio taglio, dando la possibililità ai suoi moltissimi detrattori di "anestetizzare" molte delle sue risultanze con un adeguato "gioco di sponda", che come ripeto, date le premesse dell'autore, non si può neanche considerare metodologicamente scorretto.

D'altra parte però a me sembra evidente che alla "intellettualmente onesta prudenza brandoniana" (e non solo brandoniana) abbia fatto da contrappeso meno prudente (e forse meno intellettualmente onesto?) una ricerca che per sua intrinseco sviluppo storico si è attestata fondamentalmente su una posizione di presuntuosa/pretestuosa convinzione che il dato cristologico metastorico racchiudesse in sè, un po miracolosamente oserei dire, una autonoma cogenza storica.

A me sembra evidente quindi che qualora pure il cristo (Gesù?) storico fosse stato (come io continuo a pensare) una delle molteplici (e non uniformi) figure di aspiranti liberatori politico/religiosi del popolo di Israele (o per lo meno un uomo che abbia significativamente intersecato quella "speranza") , non sarebbe in alcun modo possibile sperare di ricostruirne la "storia fattuale" procedendo a ritroso dalla multiforme (e discontinua) rielaborazione che una determinata comunità di individui (o più comunità distinte in parallelo) produsse "costruendo" una "identità" totalmente differente. (e quando dico "costruendo" alludo, almeno per le prime fasi, non ad un processo "intellettuale" che potrebbe far pensare a consapevoli e volontarie artefazioni, quanto piuttosto ad un processo squisitamente "emozionale", la cui "genuinità" però non ingenera necessariamente una oggettiva "aderenza" aì reali eventi soggiacenti)

Non vorrei essere brutale ma una comunità di individui che nell'immediato susseguirsi della morte del suo leader carismatico ne attesti, quale plausibile elaborazione del dolore, una impossibile resurrezione fisica e una ancora più impossibile conseguente identificazione metafisica, che poi consegnerà attraverso una tradizione orale alle generazioni seguenti che la "sanciranno" con la parola scritta, non appare, sotto un profilo strettamente storico, garante irreprensibile di quanto trasmesso.

Peraltro, pur senza voler abusare di categorie logiche ed antropologiche, mi sembra opportuno sottolineare che ciò che è "storicamente impossibile" non è necessariamente "storicamente incredibile" nei termini in cui la storia della civiltà umana è ricchissima di esempi di gruppi umani che hanno storicamente creduto ad "eventi" storicamente impossibili .
Fatto questo che , ovviamente, non ha reso (e non rende) necessariamente possibile (reale) l'oggetto di quella convinta (e reale) credenza.

Si è poi spesso sovrestimata la cosiderazione, sovente prodotta in termini di obiezione a chi tentasse di decodificare eventi umani del passato, secondo la quale bisogna sempre contestualizzare una valutazione al periodo e alla forma mentis dei protagonisti dell'epoca evitando di proiettare "categorie di pensiero" attuali su gruppi umani che ne possedevano di totalmente (?) diverse.
Fermo restando la validità generale di questo principio, non ne farei un uso estremizzato che per certi versi potrebbe condurre ad un paradosso di inconoscibilità storica.
In ogni caso il fatto di utilizzare (nel senso di conoscere) le categorie mentali del gruppo antropologico in analisi, fondamentale per la comprensione delle modalità di interpretazione della realtà da parte di quel gruppo umano nel suo contesto, non deve e non può trasformare quella/e specifica/specifiche interpretazione/i in un fatto storico in sè.
La realtà storica generale e particolare non può strettamente coincidere con una delle molteplici interpretazioni "a caldo" che gli individui che l'hanno vissuta "sulla pelle e nello spirito" ci hanno lasciato.
Soprattutto quando appare evidente che la visione dei fatti rapportata è costruita con una forte valenza "ideologica" e con una comprensibilmente scarsa volontà di fare "resoconto storico", almeno per come lo intendiamo oggi (e su questo bisognerebbe aprire una specifica discussione)

Tanto più che si può facilmente dimostrare che nell'ambito di una certa epoca, in uno stesso luogo, qualunque società umana ha presentato al suo interno dinamiche di pensiero (e quindi di azione) estremamente eterogenee, tanto più quanto tale struttura sociale sia stata, per scelta o per imposizione, contintuamente soggetta ad interazioni importanti con altri "sistemi sociali" esterni al proprio.

In tutta le epoche vi sono stati individui/gruppi portati a visioni/interpretazioni di tipo mistico-trascendentale ed individui/gruppi più "pragmatici" che oltre ad essere impermeabili a quelle concezioni, hanno magari spesso saputo strumentalizzarne pro domo sua quelle altrui proprensioni.

Anche nell' ambito della società ebraica dei tempi del Gesù storico, non mancavano certamente fra i componenti di quella società individui che fossero immuni (o sensibilmente meno condizionati) da queste tendenze e che al contrario orientavano con estremo "cinismo" il proprio agire nella quotidianità dell 'epoca (l'estremo realismo di Flavio giuseppe e della sua condotta ne è forse uno degli esempi più emblematici)
Per la grande etereogeneità dell' approccio "religioso" in seno alla società ebraica del tempo di Gesù, esiste ormai una importante consapevolezza (basti pensare alla mistica isolazionista essena in contrapposizione alla "flessibile" concezione dell' aristocrazia sacerdotale del Tempio che spesso fece prevalere prosaiche logiche di potere arrivando a tratti a comportamenti di vero e proprio collaborazionismo con l'occupante Romano )

Purtroppo per motivi che possiamo ben comprendere questa naturale ricchezza e difformità di visioni sociali, religiose, politiche, economiche ecc caratterizzanti la società ebraica in cui visse d operò il Cristo della storia non sono, se non in misura davvero marginale e comunque fortemente filtrata, deducibili ed estraibili dal corpus documentale che una inizialmente minuta componente di quella società, avrebbe contribuito in nome di una personalissima visione mistica a tramandare.

La consacrazione/sacralizzazione sociale che poi questa complessa elaborazione teologica ha saputo conquistarsi, dopo essersi sufficientemente consolodata ed attestata, il suo "innesto politico" nella struttura decadente dell' Impero, avrebbe ovviamente ulteriormente "impoverito" (attraverso una lunga fase di monopolistica trasmissione culturale inevitabilmente autoreferenziale e fortemente autoconservativa) tutte le "tradizioni storiche" estranee alla propria, in parte attraverso una "selettiva omissione della memoria", in parte attraverso un intelligente ed articolato processo di fagocitazione/snaturamento/appropriazione delle "tradizioni culturali pagane".

E su queste basi, in attesa di elementi oggettivamente nuovi (bisogna insistere...con passione), e in assenza di una svolta innovativa dell' approccio investigativo non posso che fare mio il pensiero del prof Pesce:

Il fatto che ciò che è avvenuto dopo possa trovare una qualche giustificazione in ciò che Gesù disse o fece non significa che i suoi atti e le sue parole mirassero realmente alle future affermazioni della chiesa primitiva.

Jehoudda

Ps
Vedo solo ora il post inserito da PAS60 e ne sto leggendo attentamente il contenuto.
Intanto, Pasquale, ti ringrazio per la riflessione e mi riprometto di risponderti presto, per comunicarti le mie personali sensazioni su quanto mi scrivi.
Per adesso non posso esimermi dal rimarcare, al di la delle fondamentali ed evidenti differenze di vedute, l'estremo garbo e la particolare sensibilità che le tue parole denotano.
 
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PAS60
view post Posted on 23/8/2010, 14:23     +1   -1




CITAZIONE (jehoudda @ 19/8/2010, 23:01)
Buonasera,

sempre a proposito delle questioni sollevate dal prof Pesce nell' articolo che ho citato ieri (ed in via più generale sulle metodologie di approccio storiografico alla vicenda gesuana) segnalo anche un altro articolo apparso sul suo sito:

Come studiare la nascita del cristianesimo? Alcuni punti di vista

http://webcache.googleusercontent.com/sear...t&ct=clnk&gl=it

particolarmente collegato alle questioni trattate in questa discussione il terzo paragrafo di questo articolo

3. La storia a ritroso e le origini della cristologia

Jehoudda, leggendo il secondo articolo del prof. Pesce di cui hai postato il link, ho riflettuto su una frase finale che può rappresentare una differenza di visione storica sul rapporto tra il Gesù storico e il cristianesimo. Forse questo mio contributo, benché molto molto semplice al limite del semplicistico, può comunque far cogliere a chi lo legge (ovviamente potrebbe anche essere banale) alcune possibili incomprensioni.
La frase è questa:”Jossa sembra mettere tra parentesi la differenza tra Gesù e il cristianesimo successivo. Ma è proprio questa distanza, questa discontinuità che costituisce il problema storico per eccellenza della storia del cristianesimo primitivo”. Questa frase mi ha fatto venire subito in mente una frase evangelica, quando Gesù, parlando soprattutto di se stesso, che stava dando la vita per il mondo, spiega:”In verità, in verità vi dico: se il chicco di frumento, caduto a terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12,24). Tu mi dirai forse che allora non ho colto che per Pesce non è assolutamente certo che ci sia continuità tra l’insegnamento e il sacrificio di Gesù da un lato e la vita della Chiesa dall'altro.
Ora vorrei osservare: Chi l’ha detto che c’è continuità evidente tra il seme e il frutto (al limite tra il frutto e il seme in esso contenuto)? Forse che un persona anche fantasiosa può pensare che un seme produca una pianta o un albero che dia poi un certo frutto– se non lo sappia già per esperienza? In questo caso poi della frase di Gesù dovremmo dire che certo non è evidente o razionale pensare che da un solo chicco se ne possono ricavare tanti. Voglio dire che tra il seme, l’albero e il frutto vi è sicuramente una coerenza interna che non si esplicita secondo me in una continuità per chi guarda dall’esterno.
Finanche la semplice differenza tra come ero da bambino e come sono adesso è incolmabile per chi mi ha conosciuto solo a tratti e che perciò non mi riconosce.
A questo punto poi un po’ in continuazione del post passato vorrei focalizzare l’attenzione su almeno due gravi limitazioni (che mi vengono in mente e comunque per esperienza non per miei approfondimenti) alla ricostruzione dei fatti nel senso che rendono impossibile una rilettura dei fatti seguendo semplicemente lo svolgimento cronologico: - da un lato se anche si conosce tutto di una persona o di un ambiente in un certo momento con tutte le possibilità da quelle economiche a quelle meteorologiche, possibili terremoti, nevicate, alluvioni o frane, da quelle relative alle infestazioni di animali a quelle dei virus e batteri (per dire!!), come si fa a dedurre da tutte queste potenzialità (cioè dal passato) dove quella persona per esempio abiterà, quale lingua o lingue avrà di fatto parlato, se ad un’epoca sarà morta o viva o malata o guarita, quale lavoro o lavori farà o avrà fatto, quanti (per non dire quali) partner anche sessuali avrà avuto successivamente e addirittura di quale sesso?; - dall’altro c’è come una legge del degrado per cui a volte le cose cambiano improvvisamente ed è difficilissimo farle tornare diciamo a come erano qualche attimo prima: oggi sono famosi i film sulla fine del mondo e quindi si capisce bene che voglio dire, ma basta una malattia, uno choc anche collettivo (e non per forza una glaciazione!!)che si arriva ad una situazione totalmente imprevista in pochissimo tempo e questo rende perciò impossibile una previsione plausibile di fatti a partire dalle conoscenze di un certo momento passato.
Questo per dirti che penso sia ovvio che per uno storico è impossibile certificare la coerenza dei rapporti e l’eventuale intrinseca continuità nel tempo di un soggetto se non ha seguito tutte le fasi e forse non basta neppure perché comunque a volte la continuità non la si coglie estrinsecamente e chi studia un'evoluzione non può che rimandere nel vago.

Ciao e a risentirti.
Pasquale

 
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17 replies since 31/7/2010, 17:11   1770 views
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