Studi sul Cristianesimo Primitivo

Il Cristo storico, il Gesù della fede ed una "coraggiosa" riflessione del prof Jossa

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view post Posted on 16/1/2011, 17:51     +1   -1

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Dopo alcuni mesi di silenzio, riprendo il filo in questo Topic con il quale avevo inteso tentare di proporre alcune personali riflessioni attorno a dei temi che, nell'ambito della passione che nutro da sempre per la storia delle origini del cristianesimo, mi sono costantemente parsi centrali e propedeuticamente fondanti per una ricerca desiderosa di ricostruire un quadro degli eventi il piu plausibile fra quelli storicamente possibili.
Avendo largamente utilizzato, fin dal titolo stesso del Topic, alcune considerazioni del prof Giorgio Jossa che mi erano parse particolarmente significative e per certi tratti emblematicamente illuminanti, per supportare alcune mie idee su quelli che reputo essere degli snodi assolutamente critici per la migliore definizione del quadro storiografico nel quale la vicenda gesuana si è sviluppata, sono rimasto colpito qualche giorno fa da un breve testo messo in rete dalla Diocesi di Pistoia che pur non presentando necessariamente particolari spunti di originalità (nel senso che i suoi contenuti sono abbastanza comuni a molte precedenti consolidate riflessioni di parte cattolica) mi è sembrato pertinente esempio di come possa essere difficile superare alcuni evidenti ostacoli metodologici (per non dire ideologici) che a mio parere erano argutamente segnalati e biasimati da Jossa, il quale, ironia della sorte, viene citato dall' autore di questo documento in modo diametralmente opposto a quanto da me fatto e con modalità che che mi dembrano francamente non congrue al pensiero dello stesso professore.
L' autore di questa riflessione il cui titolo forte "Il cristianesimo ha tradito Gesù?" riprende giustamente il titolo del libro di Jossa edito da Carocci nel 2008, è Monsignor Giordano Frosini (Serravalle Pistoiese, 4 giugno 1927) presbitero italiano che è stato vicario generale della Diocesi di Pistoia sino al 2008.
Egli si occupa di teologia morale ed ha pubblicato numerosi volumi sulla teologia e sulla politica. È docente di Teologia sistematica nella Facoltà teologica dell'Italia centrale. Collabora a riviste scientifiche, periodici e giornali fra cui Famiglia Cristiana e La Vita, di cui è direttore-responsabile.
(per ulteriori notizie biografiche e bibliografiche su di lui vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Frosini da cui sono tratti anche gli elementi biografici che ho testè indicato)
Il testo in pdf dell' intervento è reperibile qui http://www.diocesipistoia.it/public/Il%20c...dito%20Gesu.pdf
Per comodità di lettura lo ripropongo direttamente a seguire nella sua integrità:

"Insieme all’ateismo, la negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede (quello che ci è
stato insegnato e fa parte da sempre della fede della chiesa) e il Gesù della storia (quello che è
descritto dagli stessi vangeli letti con la massima attenzione) rimane forse il problema fondamentale
che angustia oggi la riflessione teologica e la chiesa stessa. Questa negazione sarebbe una ferita grave
inferta alla fede cristiana. In Italia il problema, specialmente per opera di alcuni pubblicisti e di certi
mezzi di comunicazione sociale è arrivato a livello popolare. Né la teologia in quanto tale né
l’evangelizzazione si possono permettere di ignorarlo. Una questione che ci insegue da lontano (dalla
“vecchia ricerca” si è passati negli anni ’50 alla “nuova ricerca” e successivamente, dagli anni ’80, alla
“terza ricerca”) e che risorge oggi con nuovi argomenti e maggiore “vis polemica”. L’Inchiesta sul
cristianesimo di C. Augias e R. Cacitti porta il significativo sottotitolo: “Come si costruisce una
religione”.
Le parole iniziali di quel testo pongono molto bene l’argomento. Quante cose non ha detto Gesù, che
pure formano l’intelaiatura fondamentale della religione cristiana. Questa non nasce da Gesù, ma dalla
comunità cristiana, in particolare da alcuni suoi rappresentanti, come i quattro evangelisti e
soprattutto da Paolo di Tarso, non da ora e non solo da questi divulgatori, considerato come il vero
fondatore del cristianesimo. Una questione complessa che non possiamo trattare distesamente in questa
sede, ma che merita tutta la nostra attenzione e richiede una adeguata preparazione specialmente da
parte di coloro che hanno nella comunità il carisma e l’ufficio dell’insegnamento. Una delle nuove
frontiere dell’apologetica cristiana.
Si tratta, come si diceva prima, di un colpo micidiale condotto all’intero edificio della religione
cristiana. Costruita, come abbiamo appena sentito, per mani d’uomo e non di qualcuno inviato
direttamente da Dio.
La complessità della materia (ne sono coinvolti i problemi dell’origine dei vangeli canonici, del
valore dei cosiddetti vangeli apocrifi, del pensiero dell’apostolo Paolo, della possibilità o meno di
raggiungere attraverso i documenti da noi posseduti il Gesù della storia, del passaggio dalla religione di
Gesù alla religione su Gesù…) necessita di una lunga e meticolosa trattazione.
E’ innegabile che esista un passaggio dall’atteggiamento della prima comunità cristiana prima della
risurrezione a quello posteriore. Si è detto per questo che il cristianesimo è nato due volte: la prima con
la predicazione e l’opera di Gesù di Nazaret (una testimonianza resa in particolare dai quattro vangeli,
specialmente quelli cosiddetti sinottici), la seconda con la risurrezione del Signore. Già l’apostolo
Pietro, proprio nel discorso della pentecoste si esprimeva in questa maniera. “Sappia dunque con
certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete
crocifisso”. Ora l’oggetto della predicazione apostolica non sarà solo l’insegnamento di Gesù terreno,
ma la stessa persona di Gesù risorto e glorioso. Una discontinuità, non c’è dubbio. Ma l’analisi attenta
dei testi canonici, non soltanto da oggi, dimostra che la discontinuità si inserisce saldamente all’interno
di una continuità sostanziale. Tutta l’esistenza di Gesù che precede la risurrezione è riletta dalla chiesa
delle origini e riletta in forma nuova, alla luce di quanto la pasqua ha portato di nuovo nella mentalità
dei primi cristiani. Di questo passaggio tratta con chiarezza il documento conciliare Dei Verbum,
quando parla dell’origine dei vangeli (cf. n. 19). Il biblista laico Jossa, professore universitario di storia
del cristianesimo, conclude la sua analisi sui quattro vangeli con questa frase: “L’interpretazione della
figura di Gesù di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, che diventerà abbastanza rapidamente
l’interpretazione canonica è interamente fondata sul paradosso che il Cristo della fede della comunità
cristiana è proprio il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli”.
La stessa conclusione vale anche per quanto riguarda l’apporto di Paolo di Tarso allo sviluppo della
chiesa e della predicazione cristiana. Paolo non è l’inventore del cristianesimo, ma il suo
sistematizzatore, il grande teologo che esprime in modo ordinato e approfondito le verità comunicate
dal Gesù terreno, ricevute anche direttamente nella sua personale rivelazione e nate nel confronto con
“le colonne” della chiesa. Lo stesso Paolo dimostra implicitamente almeno che la fede in Gesù Figlio di
Dio, incarnatosi per la nostra salvezza è a lui anteriore: si pensi, per es., all’inno cristologico della
lettera ai Filippesi (2, 4-11), che Paolo ha ascoltato nelle comunità cristiane del tempo che lui
frequentava.
Il predicatore e il catechista di oggi possono stare tranquilli, sicuri che il Cristo della fede è proprio
il Gesù terreno, il Gesù della storia. Una convinzione già espressa nell’espressione di sempre: “Gesù è il
Cristo”. La discontinuità rispetta la continuità."
Giordano Frosini


Sono molte le considerazioni che una riflessione del genere può ingenerare.
Colpisce l'asprezza di fondo e il solito richiamo diretto all'ateismo che, insieme alla negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede e il Gesù della storia, viene etichettato quale " problema fondamentale che angustia oggi la riflessione teologica e la chiesa stessa"
Non si puo non denotare la persistente avvilente incapacità da parte della Chiesa cattolica (o quantomeno di suoi rappresentanti ufficialmente investiti di ruoli istituzionali, didattici e formativi) di percepire anche solo la possibilità che possano coesistere a latere di un' etica religiosa cattolica precostituita e privata, delle strutture etiche altre concepite da un' umanità eventualmente libera di rifiutare quella presunta verita di fede e che voglia e sappia coscientemente costruire un percorso etico assolutamente equivalente, se non potenzialmente superiore.
L'ateismo sprezzantamente richiamato quale una categoria nefasta a causa di un' ineluttabile ed inaccettabile superoggettivazione di un assunto fideistico che non si riesce, come sarebbe giusto ed auspicabile, a contenere nell 'ambito di una comunità che lo sceglie liberamente, ma che si cerca in tutti i modi di imporre, inoculare, nel tessuto sociale generale, con un malinteso senso di "missione divina" che agli occhi di chi non crede a quell 'assunto, risulta a dir poco antipatico.
L' ateismo che a volerla dire tutta, non è di per se neppure una categoria specifica, ma che è una mera speculazione semantica di un gruppo di potere che per elevare illeggittimamente una propria personale (e discutibile) visione del mondo a Verità assoluta, ha bisogno di cristallizzare tutto quello che non rientra in quella Visione/Miraggio in una mistificata e mistificante dimensione negativa e malefica.
Su queste basi non puo meravigliare, e ne va anzi considerata una logica conseguenza, l'acritica pervicacia con la quale si continua ad operare e proporre una discutibile lettura del fatto storiografico.
Riaffermo con forza che la vicenda gesuana e le sue problematiche storico-fattuali, spogliate delle inferenze fideistiche che possono fare capo solo a chi tale fede vuole vedervi, appartiene "banalmente" come qualunque vicenda umana al magmatico flusso della storia ed in quanto tale va approfondita, evitando rigorosamente, nel tentativo di indagarla, di associarle precostituiti e deferenti significati di parte.
Mi pare evidente che un' indagine scientifica che voglia tentare di ricostruire il complesso mosaico della vicenda gesuana debba preventivamente assumere come ipotesi di base che la resurrezione (e quindi la conseguente trascendenza) dell' incognita (Gesù) sia da escludere senza mezzi termini.
L' impostazione che si da al problema costituisce un topos logico dal quale dipenderanno ineluttabilmente i possibili esiti dell' indagine. Ogni cedimento che conceda spazio ad un' ipotesi inclusiva del "dato" trascendente non può che informare/deformare il quadro sogetto all' indagine storiografica, inferendo nei dati analizzati un' indebita significazione che altera (rende altro) il dato stesso e il suo corretto posizionamento nel mosaico generale.
Ovviamente quando parlo dell' inammissibilità della resurrezione come "dato" trascendente, mi riferisco alla stessa quale evento oggettivo, fatto realmente accaduto.
Altra cosa è l'eventuale percezione soggettiva di essa da parte di un singolo o di un gruppo di individui.
Questa che, da verifica delle fonti in nostro possesso, ha buone possibilità di aver avuto luogo e tempo, costituirebbe un dato storico ineludibile, da inserire e del quale tenere la giusta considerazione nel processo di ricostruzione generale.
Insomma, quello che s' impone ad un' indagine storiograficamente congrua è, a mio avviso, la chiara premessa che l'uomo Gesù, del quale stiamo provando a ricostruire la reale identità storica, sia vissuto, sia morto ma che non sia resuscitato se non, eventualmente, attraverso una successiva rielaborazione mistica a sua volta derivante da una spontanea (?) serie di visioni personali, probabilmente indotte da particolari e specifici (ma non unici nel genere) stati (alterati) di coscienza.
E non parlo casualmente di ri-elaborazione in quanto penso che la successiva tradizione orale consolidatasi che poi darà luogo ad una tardiva redazione scritta, costituirebbe una seconda elaborazione su un piano cosciente/razionale di quella prima elaborazione inconscia/irrazionale che aveva probabilmente fatto scaturire le visioni originali del "risorto".
Solo se si rispettano rigorosamente tali premesse di base si puo "contenere" l'indagine nel perimetro di una corretta ricerca storiografica. Nel caso contrario si dovrebbe, per converso, ipotizzare, attraverso l'accettazione della "resurrezione" quale fatto oggettivo, l' inedita e singolare rottura drammatica di quel perimetro ed il conseguente ingresso della trascendenza, fin qui postulata quale pura e particolare forma di estrinsecazione dell' umana interiorita, nel "mondo reale".
Ed ovviamente in questo caso non avrebbe più senso ragionare in termini storiografici canonici, dato che la storia, cosi come l' abbiamo sempre ragionevolmente intesa in termini antropologici , risulterebbe definitivamente inglobata in una realtà superiore (?) di natura teologica. Paradossalmente, ma relisticamente, anche un "ateo" come me dovrebbe accettare, di fronte ad un' evidenza, che la Teologia sarebbe la categoria principe della Storia ed ogni visione puramente antropologica ne costituirebbe una subordinata, interessante ma assolutamente dipendente.
Dio (ma quale?) sarebbe immanenza e bisognerebbe, data la nostra limitata ma comunque indiscutibile capacita raziocinante coniugata all' ancor più importante autocoscienza che ci contraddistingue, rifondare tragicamente le nostre piu profonde impostazioni mentali e reimpostare filosoficamente il nostro stesso approccio alla realtà sensibile che ci circonda e ci pervade.
Ma per quanto è dato sapere non siamo, al momento, in questa situazione. Si parla giustamente di rivelazione divina (e non solo in ambito cristiano) che, come la parola stessa indica, rimanda ad una presunta volontà di una presunta divinità di ri-velare la realtà profonda del mondo sensibile (il suo senso primo ed ultimo, se ce n'è uno), cioè di celare volutamente una realtà gia ignota e sfuggente, rafforzando per motivi insondabili, quel velo che ce ne impedirebbe la piena visione.
Si potrebbe paradossalmente dire che cio che l' uomo tenta di s-velare servendosi delle proprie limitate ma spesso brillanti capacità cognitive, viene prontamente ri-velato da una presunta divinità che, per motivi che non ci è dato conoscere, si adopera perchè non si riesca a stracciare quel velo. Ovviamente un "ateo" come me rivendica il diritto di pensare che, in verità, la conoscibilità e la possibilita di investigare i fenomeni sensibili (ivi compresa la nostra storia passata) non siano soggetti a Ri-velazioni di presunte divinità ma siano liberamente perseguibili in funzione delle singole capacità, laddove quelle fuorvianti Ri-velazioni, fino a prova contraria, fondano la loro raison d'etre in discutibili processi di assolutizzazione di personali convinzioni di specifici gruppi di uomini e donne che, travalicando il confine della legittima adesione individuale, sono giunti e giungono ancora spesso ad invadere lo spazio di libertà altrui nel tentativo arrogante di egemonizzare sulla base di quelle indimostrate credenze la visione generale e particolare del mondo.

Mi sembra evidente che quanto detto possa spiegare lo spirito di fondo della riflessione di Giordano Frosini che partendo proprio da basi apologetiche (da lui stesso dichiarate) mantiene la pretesa di indicare vie maestre da percorrere nella corretta identificazione del Gesù della Storia, lasciando trasparire un malcelato fastidio per il fatto che "in Italia il problema ( la negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede che ci è stato insegnato e fa parte da sempre della fede della chiesa e il Gesù della storia), specialmente per opera di alcuni pubblicisti e di certi mezzi di comunicazione sociale è arrivato a livello popolare"
Questa visione, secondo me distorta e pregiudiziale lo porta a denigrare sostanzialmente la ricerca storica del passato e a considerare iniziative come quelle di Augias/Cacitti non come delle interessanti e comunque stimolanti tentativi di porgere al grande pubblico le complesse tematiche sottese alla reale vicenda storica gesuana ma quali pericolosi epigoni di quella nefasta tradizione di ricerca storica "che risorge oggi con nuovi argomenti e maggiore vis polemica”.
Tutto questo, mi sembra di capire, nell' ottica dell 'autore, a detrimento di una verità rivelata che l' "Apologetica Cristiana" si deve di difendere nei modi opportuni (anche a costo, chiedo io, di ritornare, qualora fosse possibile, ad una più comoda strategia del silenzio?)
Quanto segue nell 'intervento dell 'autore è frutto di questo palese malessere e trova la sua massima espressione in un tentativo vago ma fermo di confermare a chi lo legge, ed in particolare agli operatori interni ("Il predicatore e il catechista") che "il Cristo della fede è proprio il Gesù terreno, il Gesù della storia. Una convinzione già espressa nell’espressione di sempre: “Gesù è il Cristo”. La discontinuità rispetta la continuità."
A sostegno del quale peraltro cita (senza riferimenti chiari) addirittura "il biblista laico Jossa, professore universitario di storia
del cristianesimo, che conclude la sua analisi sui quattro vangeli con questa frase: “L’interpretazione della figura di Gesù di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, che diventerà abbastanza rapidamente l’interpretazione canonica è interamente fondata sul paradosso che il Cristo della fede della comunità cristiana è proprio il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli”.

Citazione che oltre ad essere colpevolmente avulsa da contesto di appartenenza, mi appare maldestra poichè a volerla leggere attentamente, soprattutto in quel precisare da parte di Jossa che l'equivalenza fra il Cristo della fede della comunità cristiana ed il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli sia interamente fondato su un paradosso espressamente voluto dall' interpretazione canonica succesiva, pare sollecitare indicazioni decisamente antitetiche a quelle che Frosini vuole cogliervi.

D'altra parte e per amor del vero colgo l 'occasione di riportare quanto realmente riportato nel sito di Giorgio Jossa a proposito del suo volume Il Cristianesimo ha tradito Gesù?, Roma, Carocci, 2008.

http://www.giorgiojossa.it/index_file/Ilcr...atradioGesu.htm

"I vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono una interpretazione di fede della persona di Gesù. E la formazione del canone del Nuovo Testamento è frutto di una scelta teologica della Chiesa. Ma il Gesù storico non corrisponde semplicemente al Cristo dei vangeli canonici. Gesù non era un cristiano, ma un giudeo. Non può essere quindi realmente compreso se non all'interno della tradizione giudaica. L'immagine di Gesù trasmessa dai vangeli apocrifi (di Tommaso, di Pietro, di Giuda) non può avere la stessa attendibilità di quella dei vangeli canonici? In realtà elementi di conflitto di Gesù col giudaismo del suo tempo ci sono stati. E i vangeli canonici non perdono il legame col Gesù storico. Per tutti e quattro gli evangelisti il Cristo della fede è proprio il Gesù terreno. Riconoscendosi in questi vangeli la Chiesa ha fatto una scelta non storica, ma teologica, ritenendo che la loro interpretazione rispecchiasse nella maniera più autentica la figura e l'insegnamento di Gesù."

Credo ci siano pochi commenti da fare, se non che è comprensibile che quando ci si arrocca su posizioni dichiaratamente apologetiche nei riguardi di una lettura dogmatica e fideistica di eventi umani, tanto più quanto l'oggetto di quei dogmi e di quella fede abbiano una "azzardata consistenza metafisica", diventa inevitabile operare (spesso anche con e per "buona fede") dei rimodellamenti forzosi e forzati di una miriade di aspetti che presi nella loro essenza originale rischierebbero di minare seriamente le basi più importanti delle proprie convinzioni.
O che, per utilizzare le parole stesse di Frosini, risulterebbero "un colpo micidiale condotto all’intero edificio della religione cristiana. Costruita, come abbiamo appena sentito, per mani d’uomo e non di qualcuno inviato direttamente da Dio"

Buona serata
jehoudda
 
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In linea con quanto sostenuto in questo topic e a margine di alcune considerazioni intercorse negli ultimi giorni sul lavoro su Gesù di Klaus Berger (vedi qui https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=53564452 ).

Nel mio post precedente sostenevo:

CITAZIONE
"Riaffermo con forza che la vicenda gesuana e le sue problematiche storico-fattuali, spogliate delle inferenze fideistiche che possono fare capo solo a chi tale fede vuole vedervi, appartiene "banalmente" come qualunque vicenda umana al magmatico flusso della storia ed in quanto tale va approfondita, evitando rigorosamente, nel tentativo di indagarla, di associarle precostituiti e deferenti significati di parte.
Mi pare evidente che un' indagine scientifica che voglia tentare di ricostruire il complesso mosaico della vicenda gesuana debba preventivamente assumere come ipotesi di base che la resurrezione (e quindi la conseguente trascendenza) dell' incognita (Gesù) sia da escludere senza mezzi termini.
L' impostazione che si da al problema costituisce un topos logico dal quale dipenderanno ineluttabilmente i possibili esiti dell' indagine. Ogni cedimento che conceda spazio ad un' ipotesi inclusiva del "dato" trascendente non può che informare/deformare il quadro sogetto all' indagine storiografica, inferendo nei dati analizzati un' indebita significazione che altera (rende altro) il dato stesso e il suo corretto posizionamento nel mosaico generale.
Ovviamente quando parlo dell' inammissibilità della resurrezione come "dato" trascendente, mi riferisco alla stessa quale evento oggettivo, fatto realmente accaduto.
Altra cosa è l'eventuale percezione soggettiva di essa da parte di un singolo o di un gruppo di individui.
Questa che, da verifica delle fonti in nostro possesso, ha buone possibilità di aver avuto luogo e tempo, costituirebbe un dato storico ineludibile, da inserire e del quale tenere la giusta considerazione nel processo di ricostruzione generale.
Insomma, quello che s' impone ad un' indagine storiograficamente congrua è, a mio avviso, la chiara premessa che l'uomo Gesù, del quale stiamo provando a ricostruire la reale identità storica, sia vissuto, sia morto ma che non sia resuscitato se non, eventualmente, attraverso una successiva rielaborazione mistica a sua volta derivante da una spontanea (?) serie di visioni personali, probabilmente indotte da particolari e specifici (ma non unici nel genere) stati (alterati) di coscienza."

Mi sembra perfino banale sottolineare che queste mie convinzioni non sono certamente originali ed inedite.
Al contrario. Appartengono a (e derivano da) una preesistente tradizione di pensiero storiografico che, per bocca e penna di ben altre intelligenze e ben altre competenze (rispetto alla mia), hanno potuto essere prima concepite, poi meritoriamente e largamente diffuse.
Purtroppo, nonostante costituiscano a mio avviso la parte più brillante della secolare ricerca sulle origini del cristianesimo quale fenomeno storico ancor prima che strettamente religioso, sono state spesso ignorate o nei casi più fortunati (quelli che forse, considerata l' assoluto valore dei suoi autori, non hanno proprio essere ignorati) hanno suscitato reazioni scomposte , in qualche caso indegne di quella che dovrebbe essere una corretta,serena ed intellettualmente onesta valutazione culturale.

Uno di questi casi, forse uno dei più eclatanti, è rappresentato da quella splendida intelligenza che rispose al nome di Charles Guignebert.
Il professore Charles Guignebert, [1867-1939] che fra l'altro fu titolare della prima cattedra istituita alla Sorbona di histoire du christianisme (1919-1937) dopo aver prodotto nel corso di una vita dedicata a questa materia una rilevante serie di scritti, pubblicò nel 1933 un' opera "Jesus" (per i tipi di La Renaissance du Livre nella collana "Bibliotheque de Syntese Historique" diretta da Henri Berr), un volume di 692 pagine dense come poche.

Mi preme in questo caso riportare, dalla copia originale che possiedo, proprio la prima parte dell' avant propos di Henri Berr (la traduzione è mia)

JESUS ET L'HISTOIRE

Nessuno, se non erriamo, leggerà questo libro, su un soggetto particolarmente delicato, senza riconoscere la serena oggettività dell' autore. Ci si rende conto, fin dall'inizio del volume (nell'istruttivo racconto delle diverse fasi attraverso le quali è passato lo studio delle origini del cristianesimo, delle difficoltà che esso ha incontrato, dei progressi che ha fatto, dei punti oscuri e delle lacune che sussistono) che è impossibile di possedere più completamente e di dominare maggiormente una letteratura francamente massacrante. Da questo potente sforzo di conoscenza e di riflessione si dispiega un grande ed autorevole sviluppo. Si tratta del frutto di tutta un avita di lavoro e di insegnamento, il traguardo di una considerevole opera di storico.
Ch. Guignebert, in effetti si comporta da storico puro. Egli diffida tanto della prevenzione fideista, quanto del pregiudizio razionalista. "Lo storico non sa ne crede nulla in anticipo, se non che egli non deve credere a niente e che egli no saniente. Egli cerca." (pag 501). Eglicerca la "veritè d'histoire" e "ripone speranza solo nei testi" (pag 382)
Ecco, lo studio dei testi, penetrante e veramente esemplare, al quale si consacra Guignebert presenta un doppio interesse: proprio laddove, in un certo senso, è negativo, esso appare positivo, in un altro senso. E lo vediamo immediatamente.
Gli scritti pagani ed ebrei non contengono quasi nulla su Gesù: sonole testimonianze cristiane che bisogna utilizzare. Ma la critica evidenzia che, nel loro complesso, queste fonti, nelle quali si è costretto a scavare, sono tendenziose ed ingenuamente deformanti: prima di utilzzarle personalmente il nostro collaboratore mette in evidenza l'orientamento "cristologico" prodotto dallo stato d'animo dei discepoli, dei primi credenti e poi dei fondatori del cristianesimo.
Il fenomeno soggettivo delle apparizioni di Gesù dopo la sua morte ha generato un "totale cambiamento di prospettiva" che ha indotto una risalita dalla Resurrezione alla Natività. Attraverso un "riflesso" del suo destino, come ci dice ingegnosamente Guignebert, la divinizzazione di Gesù imponeva una Vita miracolosa, delel parole messainiche.
Così la fede ha tessuto, a rebours, una trama sulla quale hanno ricamato la speculazione postapostolica e l'apologetica cristiana. Contro le "obiezioni degli increduli" e le "gimcane degli avversari" una convinzione irremovibile ha creato ingenuamente le sue "prove", "quello che doveva avvenire era avvenuto, quello che doveva esser detto era stato detto". Niente è più curioso del lavoro di costruzione collettiva, d'esaltazione, di maggiorazione (è il termine usato da Guignebert), che cominciato nella tradizione orale, si è sviluppato fino a verso l'anno 50 (almeno) per poi proseguire nella successione dei testi. Ma "non c'è niente in questo lavoro che possa sorprendere uno storico delle religioni" (pag 662). e la storia delle religioni trova il suo giovamento a studiarlo. La ricerca scientifica condotta da più di un secolo di esegesi liberale riesce a spiegare precisamente le origini della fede cristiana. Ciò che risulta critica negativa per la biografia di Gesù, finisce per essere contribuzione positiva alla storia del cristianesimo. Con i Vangeli e l'apologetica noi non siamo, dice Guignebert "nel piano della storia" (pag 527) Bisogna intendere: della storia degli avvenimenti reali. Siamo su un altro piano, che è quello della storia delle credenze, fondata sullo studio della mentalità religiosa.
Quando Guignebert oppone al disegno dei Vangeli, ai metodi dell'agiografia, all'apologetica e alla dogmatica confessionale, in breve a tutta la "cristologia", la realtà della storia, alla tendenza amplificatrice l'umile verità dei fatti occorsi, è lo storico che si sforza di definire la vita e l'insegnamento di gesù che parla; è colui che constata il "deserto della nostra informazione" (paf 51), " i buchi neri della nostra conoscenza" (pag 213),. La fede nel Cristo ha cancellato i dettagli della sua vita terrestre, per meglio costruire una personalità mitica (pag 42, 46, 116): "Gesù è stato sacrificato al Cristo" (pag 26)
E tuttavia si può provare a ritrovare la realtà. [...]


Mi sembra poi istruttivo lasciare la parola a Guignebert stesso citando il brano conclusivo di questo suo intrigante (e secondo me ancora per certi tratti assolutamente attualissimo) lavoro e quelle che sono le riflessioni conclusive:
(idem pag 661-663)

"Non sappiamo cosa sia avvenuto del corpo di Gesù dopo la sua morte; la stassa tradizione sinottica non lo sapeva e la storia della sepoltura che ci racconta non è che una deduzione apologetica. Nella sua forma originale, la fede nella Resurrezione è scaturita da una reazione, nella coscienza di Pietro e dei suoi compagni, dalla loro fiducia in Gesù, per un certo tempo depressa dal colpo inatteso dell' arresto e del supplizio del Maestro. Questa reazione è stata condizionata da un certo milieu che ne ha determinato le conclusioni che essa ha fondato e ne ha assicurato il successo.
L' organizzazione progressiva della leggenda è stata un' operazione complessa, nella quale si sono combinate delle precisazioni reclamate dall' apologetica, delle deduzioni di logica nella linea di una fede amplificatrice, dei perfezionamenti dovuti a ragionamenti già teologici. Il tutto fuoriuscito, a stadi differenti, da ambiti diversi, che hanno rispettivamente lasciato il loro marchio sui dettagli che hanno fornito. Niente in questo lavoro può sorprendere uno storico delle religioni: nè la costituzione della fede nella Resurrezione, nè la sua trasposizione in leggenda si distinguono dalle categorie alui note.
L' originalità principale dell' insieme risiede nelle modalità particolari della sua costruzione, che è operata a rebours, partendo dal fenomeno soggettivo delle apparizioni.
Se la fede nella Resurrezione non si fosse stabilita ed organizzata, non ci sarebbe stato il cristianesimo. E' per questo che Wellhausen ha ragione nel dire che, senza la sua morte, Gesù non avrebbe alcun posto nella storia. La predicazione degli Apostoli è precisamente quella della morte e della resurrezione di Gesù .
Tutta la soteriologia, tutta la dottrina essenziale del cristianesimo riposa sulla credenza nella Resurrezione e si potrebbe mettere come epigrafe, alla prima pagina di ogni esposizione di dogmatica ortodossa, la confessione di Paolo (1 Cor 15,14):
"Se Cristo non è resuscitato, vuota è la nostra predicazione, e vuota anche è la vostra fede"
Dal punto di vista strettamente storico, voglio dire per quel che concerne la fondazione, lo sviluppo, e l'espansione della religione cristiana, l' importanza della fede nella Resurrezione non è affatto trascurabile.
E' attraverso di essa che la fede fede in Gesù e nella sua missione è divenuta il principio costitutivo di una nuova religione, che, separatasi dal giudaismo, poi oppostasi ad esso, ha potuto pensare di conquistare il mondo. E' essa che ha aperto la porta del cristianesimo alle influenze sincretiste, grazie alle quali, il Messia ebreo, inintellegibile e indifferente ai Greci, è diventato il Signore, il Salvatore, il Figlio di dio, il Maestro sovrano del cosmo, Colui davanti al quale il creato tutto intero piega le ginocchia. Tutta la preparazione seminata attraverso il mondo orientale ha operato in suo favore; essa ha supportato ed alimentato la dottrina fondata sulla convinzione dei testimoni apostolici; essa gli ha aperto la via del trionfo. Il cristianesimo l'ha seguita vittoriosamente.
Non è sicuro che il dogma della Resurrezione, dopo che gli è stato per così tanto tempo utile, non sia diventato, ai giorni nostri, un peso eccessivo da sostenere."


Questa ultima frase, sintesi impeccabile del pensiero di uno studioso di grande spessore, chiude l'ultimo capitolo dal titolo
"La mort de Jesus et la foi de Paque" ed è seguita dalla breve "Conclusion" all' intero libro che, senza giri di parole, e quasi con un velo di tristezza, riassume quanto l'autore attraverso i suoi decennali sforzi riteneva aver compreso della vicenda gesuana:
(idem pag 664-665)

"Gli eventi ultimi che Gesù attendeva non sono venuti; il Regno che annunciava non si è manifestato ed il profeta è morto in croce, invece di contemplaresulla collina di Sion il Grande Miracolo atteso. Egli si è dunque sbagliato. La logica avrebbe voluto che il suo nome e la sua opera cadessero nell' oblio, come quello di tanti altri che, in Israele, hanno creduto di essere qualcuno. Non ne mancavano in quei tempi. Che poteva sussistere di un tentativo che sprofondava nel disastro, dopo una durata certamente molto corta, e che non era riuscito a commuovere in profondità le genti della Palestina?
Ma quest' uomo che non aveva saputo o voluto parlare al popolo il linguaggio efficace; questo profeta che, tutt'al più aveva sollevato tra i lavoratori di Galilea una curiosità simpatica e forse, qualche volta, una fuggitiva speranza, aveva toccato il cuore di qualche discepolo al punto di avvincerli anche dopo la sua morte. E' il loro amore e la loro fiducia che, restituendolo alla vita, gli hanno assicurato un avvenire. A dire il vero non è quello a cui egli aveva pensato. Di lui stesso non è sopravvissuto che il ricordo della sua esistenza e il riflesso della sua azione sui suoi familiari: è stato ridotto a giustificare dei fatti che non aveva affatto previsto, ad autentificare delle istituzioni che avrebbe, senza alcun dubbio, trovate singolari, quanto meno. E a partire dal giorno della sua Resurrezione, la sua persona ha cominciato a subire una trasformazione che lo ha allontanato ogni giorno di più dalla realtà. La leggenda divina che l'evoluzione della fede ha reso necessaria e che l'ha seguita nelle sue amplificazioni, fino ad identificare il Nazareno a Dio, ha molto rapidamente ricoperto e sommerso i poveri resti di verità umana, che la memoria dei discepoli galilei aveva potuto conservare: essi non presentavano più alcun interesse per dei fedeli che non volevano più conoscere che il Salvatore crocofisso, il Cristo glorificato, il Signore vicario di Dio nel mondo. Della sua opera niente, o quasi, resterà: come avrebbe essa potuto sopravvivere alla prodigiosa trasposizione della sua persona?
Sicuramente, se ne può ritrovare qualche frammento nel maestoso edificio della dottrina cristiana, ma essi hanno perduto il loro senso perdendo il loro posto originale; essi si sono subordinati ad un piano che non era quello del Nazareno.
Per quanto incontestabile sia il fallimento dei sogni di Gesù, dei sogni nei quali si esprimeva la grande attesa dei Poveri d'Israele, non appare meno vero che la vita del profeta galileo marca il punto di partenza, accidentale se vogliamo, ma comunque il punto di partenza reale del movimento religioso dal quale il cristianesimo è sorto. L'umile piccola sorgente, che insinua tra le pietre un esile filo d'acqua, non annuncia ne prevede il grande fiume che si fa rimontare fino ad essa. tuttavia essa è la sua origine e la sua condizione prima.
Ciò detto, la verità resta che la religione cristiana non è la religione che riempiva tutto l'essere di Gesù, che non l'ha ne prevista ne voluta. E', dice giustamente Wellhausen (Einleitung in die drei ersten Evangelien Berlin 1911 pag150), l'entusiasmo che ha generato il cristianesimo; ma è l'entusiasmo dei suoi discepoli: non è quello di Gesù."


Non posso, avendo letto questo ed altri lavori di Guignebert, sostenere di sposare la sua ricostruzione finale della figura gesuana, ma non esito ad affermare che ne condivido pienamente i presupposti di base, il suo approccio metodologico, la rigorosa applicazione di un'indagine storiografica che non puo esimersi dal soppesare e debitamente inquadrare gli elementi palesemente (o molto plausibilmente) anistorici che "inquinano" il campo della ricerca.

La posizione di Guignebert, perfettamente espressa nei brani sopra riportati, lo inseriscono sicuramente a pieno titolo nel novero di quegli studiosi di cui Klaus Berger dice:

"Alcuni studiosi hanno ricavato la loro immagine di Gesù esclusivamente da una parte dei primi tre vangeli - quelli di Matteo, Luca, Marco - senza prendere atto del vangelo di Giovanni. Hanno poi contestato l'autenticità di molte altre parole di Gesù. Senza tanti indugi hanno dichiarato leggenda testi che avrebbero potuto mettere in imbarazzo gli illuminati contemporanei, attribuendo alla comunità formatasi dopo la Pasqua la responsabilità del fatto che Gesù sia diventato una specie di Dio. Questo ha ridimensionato Gesù - lo ha reso una persona qualunque, che ha detto e fatto meno di quanto riporta il Nuovo Testamento. I racconti su Gesù vennero privati del loro sale, diventando insulsi e scipiti. E la stessa persona di Gesù si rimpicciolì" (Gesù, Brescia, Queriniana, 2006, pagine 9-10).

La valutazione di Berger è a mio avviso assolutamente errata nella forma e nei contenuti.

Resta vero che, purtroppo, come dicevo in apertura di questo post, molti validissimi e coraggiosi tentativi ermeneutici prodotti da studiosi di grande spessore, hanno ingenerato nella comunità di ricerca internazionale (che è fatta di laici e clericali, non dimentichiamolo) reazioni incredibilmente scomposte che non hanno aiutato codesti autori a sviluppare il loro percorso di ricerca e contestualmente hanno spesso inciso non poco sulla possibilita che le loro opere potessero, come era giusto che fosse, stimolare a pieno titolo le libere dinamiche di una libera ricerca.

Nel caso di Guignebert, studioso laico e per due decenni professore di Storia del Cristianesimo alla Sorbona di Parigi, nel 1933 e pochi mesi dopo la pubblicazione del suo "Jesus" scattò l'impietosa, incredibile ed acritica messa all' Indice della sua Opera Omnia

DECRETUM DAMMANTUR « OPERA OMNIA » CAROLI GUIGNEBERT PROFESSORIS IN UNIVERSITATE
PARISIENSI «À LA SORBONNE ».
Feria IV, die 12 Iulii 1933
In generali consessu Supremae Sacrae Congregationis Sancti Officii,
Emi ac Revmi Domini Cardinales, rebus fidei et morum tutandis praepositi,
audito R R . D D . Consultorum voto, damnarunt atque in Indicem librorum
prohibitorum inserenda mandarunt Opera omnia CAROLI GUIGNEBERT»
Et sequenti Feria V, die 13 eiusdem mensis et anni, Ssmus D. N". D.
Pius divina Providentia Pp. X I , in solita audientia R. P. D. Adsessori
Sancti Omen impertita, relatam Sibi Emorum Patrum resolutionem approbavit,
confirmavit et publicandam iussit.
Datum Bomae, ex Aedibus Sancti Officii, die 14 Iulii 1933.
A. Subrizi, Supremae S. Congr. S. Officii Notarius.

questo provvedimento della Suprema Sacra Congregatio S. Officii è estratto da documento ufficiale
ACTA APOSTOLICAE SEDIS COMMENTARIUM OFFICIALE
ANNUS X X V '.- VOLUMEN X XV
R O M A E
TYPIS POLYGLOTTIS VATICANIS
R O M A E TYPIS POLYGLOTTIS VATICANIS 1933

cosultabile sul sito ufficiale del Vaticano http://www.vatican.va/archive/aas/document...D%20-%20ocr.pdf

Una bibliografia molto sommaria dei lavori di Charles Guignebert

"Manuel d'histoire ancienne du christianisme " Paris, A. Picard et fils 1906
"Modernisme et tradition catholique en France " Paris Collection de la Grande revue 1908
"La Primautè de Pierre et la venue de Pierre à Roma" Parigi 1909
"L'evolution Des Dogmes" Flammarion 1910
"Le probleme de Jesus" Flammarion 1914
"La vie cachée de Jesus" Flammarion, bibliotheque de culture generale 1924
"Jesus" La renaissance du livre 1933
"Le monde juif vers le temps de Jésus" Paris Albin Michel 1935
"Le Christ" Albin Michel 1943

Nessuna delle opere di Guignebert è purtroppo consultabile in anteprima su Google libri
(per un motivo che non capisco)
Alcune, non le principali, sono invece scaricabili in edizione originale francese su INTERNET TEXT ARCHIVE alla pagina
www.archive.org/search.php?query=guignebert
Sono spesso reperibili in rete su siti di vendita libri usati a prezzi assolutamente non proibitivi. (sia le edizioni originali francesi che le loro edizioni inglesi)

Esistono, ma sono decisamente meno economiche le edizioni italiane del "Jesus" del 1933 pubblicato da Einaudi con il titolo "Gesù" nel 1943, 1950, 1965, 1972
Esiste pure
- una traduzione italiana di "Le Christianisme antique" per i tipi di Ubaldini Roma 1973 "Il Cristianesimo antico"
- una traduzione italiana di "Le Christ" proposta da Utet nel 1961

Consiglio a tutti coloro che, come me, sono amatori appassionati della materia, di confrontarsi con la solida (e, nonostante il tempo trascorso, ancora attuale) ricerca condotta da questo straordinario studioso.

buona serata a tutti
jehoudda


 
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JohannesWeiss
view post Posted on 30/1/2011, 03:03     +1   -1




Sottoscrivo pienamente la raccomandazione fatta da Jehoudda dell'opera di Charles Guignebert.
Io ho avuto la fortuna di trovare il suo Gesù tradotto da Einaudi in una bancarella di libri usati a Bologna.
E' veramente un libro importante e anche imponente, che merita d'essere letto ancor oggi (anche se, a causa della quantità di scoperte e di progressi scientifici che sono avvenuti nel frattempo, è inevitabilmente "datato").
E la stessa considerazione penso che meritino anche i lavori di Alfred Loisy.
Dato poi che siamo in tema di "vintage", aggiungo che prossimamente dovrei cominciare la lettura di una monografia su Giovanni il Battista di Maurice Goguel: JAu seuil de l'Evangile: Jean-Baptiste, Paris, Payot, 1928.
 
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17 replies since 31/7/2010, 17:11   1771 views
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