| Che il Vangelo di Matteo sia stato scritto originariamente nella propria lingua dall’apostolo Matteo è stato affermato per primo da Papia, vescovo di Gerapoli, morto intorno al 130 d.C. Egli scrisse una “Esegesi dei detti del Signore”, che è andata perduta, ma di cui Eusebio cita il seguente passo: «Matteo ordinò in lingua ebraica i detti, ma li tradusse ciascuno come meglio poté» (Hist. eccl. III,39,16). Dopo Papia, l’esistenza di un Vangelo in aramaico, o ebraico, scritto dall’apostolo Matteo è stata affermata da: Ireneo (Adv. haer. 1, 26; 3, 1), che parla di un Vangelo pubblicato; da Clemente Alessandrino (Stromata 1, 21); da Tertulliano (Adv. Marc. 4, 2); da Origene (citato da Eusebio, Hist. eccl. 6, 25, 3-4); da Panteno (citato da Eusebio, Hist. eccl. 5, 10, 3); da Eusebio (Hist. eccl. 3, 24, 5-6); da Epifanio (Panarion XXIX,9,4); da Girolamo (De vir. ill. III,1-2). L’esistenza di un originario Vangelo aramaico di Matteo è avvalorata dalla presenza nel Vangelo greco di espressioni o termini che non si spiegano se non ammettendo un’errata traduzione da un originale aramaico. Tali espressioni o termini e la discussione su di essi si trovano in due miei interventi presenti sulla mailing list Chiesa Aperta: “Prove linguistiche del Vangelo aramaico di Matteo” del 18-12-03 e “Altre prove linguistiche del Vangelo aramaico di Matteo” del 29-12-05. L’ipotesi che il Vangelo greco di Matteo sia stato redatto da un esseno convertitosi al cristianesimo nasce dal fatto che in esso sono presenti contenuti di origine essena che non si trovano nel Vangelo di Marco, ma si trovano in quello di Luca; oppure non si trovano né in Marco né in Luca. L’origine essena è dovuta alla loro presenza nei testi di Qumran, a cui talvolta si aggiunge quella nel Libro dei Giubilei, che era tra i testi ritrovati a Qumran. Occorre premettere che Marco ha attinto dal Matteo aramaico, mentre Luca, che ha scritto dopo, può aver attinto o dal Matteo aramaico, o da Marco, o dal Matteo greco. Vediamo i contenuti di origine essena del Vangelo greco di Matteo che non si trovano in Marco, perché ha attinto dal Matteo aramaico, dove non c’erano, ma si trovano in Luca, perché in questi casi ha attinto dal Matteo greco: Mt 7,24-25: chi ascolta e mette in pratica le parole di Gesù «è simile a un uomo saggio che costruì la sua casa sulla roccia» (v. 24); vennero piogge, alluvioni e venti, ma non cadde: «Era fondata infatti sulla roccia» (v. 25). Passi paralleli: Mt 7,24-29 e Lc 6,47-49. Le frasi di Mt 7,24-25 non hanno un parallelo in Marco, ma si ritrovano in Lc 6,47-48. Esse hanno un riferimento esseno. Negli scritti qumranici leggiamo infatti che Dio è roccia (1QH XIX,15; 4Q504 V,19) e che ha stabilito sulla roccia l’edificio dell’eletto (1QH XV,8); Mt 9,34: i farisei dicono che Gesù scaccia i demoni «per mezzo del principe dei demoni». I passi paralleli sono: Mt 9,32-34 e Lc 11,14-15. Non c’è un parallelo in Marco. In Lc 11,15 vi è la stessa espressione di Mt 9,34 «il principe dei demoni». L’idea che vi sia un «principe dei demoni» è di derivazione essena (4Q225 fr. 2,I,9; 4Q544 fr. 2,3; 11Q11 I,4-5; Giub X,11); Mt 11,5: Gesù risponde ai messi di Giovanni Battista che gli chiedevano se era lui quello che doveva venire: «I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risorgono e ai poveri è annunciata la buona novella». Le pericopi parallele sono: Mt 11,2-19 e Lc 7,18-35. Una frase identica a quella di Mt 11,5 non si trova in Marco, ma si trova in Lc 7,22. Vi è un passo qumranico in cui si legge che il Signore «farà rivivere i morti e darà l’annuncio agli umili» (4Q521 fr. 2,II,12). Non vi è alcun altro passo conosciuto oltre ai due evangelici e a quello qumranico in cui siano associate come funzioni messianiche la risurrezione dei morti e l’annuncio della buona novella ai poveri; Mt 12,43: Gesù afferma che «uno spirito impuro» può uscire dall’uomo. Passi paralleli: Mt 12,43-45 e Lc 11,24-26. In Lc 11,24 c’è una frase identica in cui si parla di «spirito impuro». Nei testi esseni si parla di «uno spirito impuro» in 11Q5 (11QPs) XIX,15 e di «demoni impuri» in Giub X,1; Mt 19,28: «Voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo siederà sul suo trono di gloria, sederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele». Nei passi paralleli a Mt 19,16-30 (sul giovane ricco), cioè Mc 10,17-31 e Lc 18,18-30, non si trova questa frase. È da notare che in Marco si trova la pericope di Matteo, ma manca la parte contenente il riferimento esseno, che dunque non c’era nel Vangelo aramaico da cui ha attinto Marco. La seconda parte di Mt 19,28 si ritrova uguale in Lc 22,30: «Siederete su troni a giudicare le dodici tribù d’Israele». Leggiamo in un passo qumranico che «per mezzo dei suoi eletti giudicherà Dio tutte le nazioni» (4QpHab V,4); e in un altro che Qahat, figlio di Levi, dice ai suoi figli: «Vi alzerete per giudicare in giudizio» (4Q542 fr. 1,II,5). E si parla di «nuova creazione» anche in un passo qumranico, 1QS IV,25. La presenza nella pericope del Vangelo di Matteo in greco di un’intera lunga frase aggiunta avente un riferimento chiaramente esseno, frase che non c’è nella corrispondente pericope di Marco, indica che il redattore del Vangelo greco di Matteo fu assai probabilmente un esseno-cristiano. Vi sono poi nel Vangelo greco di Matteo due passi che hanno un contenuto esseno che non è presente nelle pericopi parallele né di Marco, perché non lo ha trovato nel Matteo aramaico, né di Luca, perché non lo ha trovato nel testo da cui in questi casi ha attinto, il Vangelo di Matteo aramaico o il Vangelo di Marco. È significativo che in Marco si trova la pericope di Matteo, ma non si trova la locuzione contenente un riferimento esseno, che perciò verosimilmente non c’era nel Vangelo aramaico da cui ha attinto Marco. La presenza nella pericope del Vangelo di Matteo in greco di una locuzione aggiunta avente un riferimento chiaramente esseno, che non c’è nella corrispondente pericope di Marco, rende assai probabile che il redattore del Vangelo greco di Matteo sia stato un esseno-cristiano. I due passi sono: Mt 10,1: Cristo diede ai dodici «il potere di scacciare gli spiriti impuri». Le pericopi parallele (sulla scelta dei dodici) sono: Mt 10,1-4; Mc 3,13-19; Lc 6,12-16. Né nel brano di Marco né in quello di Luca si parla di «spiriti impuri». Di «uno spirito impuro» si legge in 11Q5 (11QPs) XIX,15 e di «demoni impuri» in Giub X,1; Mt 26,28: Gesù afferma durante l’ultima cena: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti in remissione dei peccati». In nessuno dei passi paralleli a Mt 26,26-30 sull’istituzione dell’eucaristia (Mc 14,22-26; Lc 22,15-20; 1 Cor 11,23-25) è messa in bocca a Gesù la frase «in remissione dei peccati». I passi qumranici sull’espiazione dei peccati degli uomini da parte del Messia si trovano nel Documento di Damasco, dove si legge che il Messia «espierà per i loro peccati» (CD-A XIV,18-19), e in 4Q541, dove si legge che il Messia «espierà per tutti i figli della sua generazione» (4Q541 fr. 9,I,2). Vi è un altro passo, Mt 19,10-12, il cui contenuto di origine essena non è presente nella pericope parallela di Marco, che non lo ha trovato nel Vangelo aramaico, e che non ha un parallelo in Luca: Mt 19,10-12: dopo la proibizione del ripudio della moglie fatta da Gesù, i discepoli dicono che «non conviene sposarsi» (v. 10) e Gesù risponde che questo discorso non è per tutti, «ma per coloro ai quali è dato» (v. 11) e che «vi sono eunuchi che si resero tali da sé per il regno dei cieli» (v. 12). Le pericopi parallele sono: Mt 19,1-12 e Mc 10,1-12. I tre versetti di Mt 19,10-12 non si trovano in Marco. Dunque, verosimilmente non c’erano nel Vangelo aramaico e sono stati aggiunti dal redattore del Vangelo di Matteo in greco. Questa aggiunta è molto significativa, perché contiene un riferimento evidente agli esseni non sposati (vi erano anche esseni sposati), che vivevano sia a Qumran che a Gerusalemme e in altre città e che ai tempi di Gesù costituivano l’unica categoria di giudei che volontariamente non si sposavano (cfr. Filone Alessandrino, Apologia pro Iudaeis (testo pervenutoci da Eusebio, Praeparatio Evangelica VIII,11,1-18), 14-17; Giuseppe Flavio, Bellum iudaicum II,120; Plinio il Vecchio, Naturalis historia V,15,73). Se nella pericope del testo greco del Vangelo di Matteo c’è una lunga aggiunta, tre versetti con un contenuto di chiara origine essena, che non ci sono nella corrispondente pericope di Marco, è assai probabile che il redattore del Vangelo di Matteo in greco sia stato un esseno-cristiano. Vi sono poi tre passi contenenti un riferimento esseno che non hanno un parallelo in Marco, ma hanno un parallelo in Luca, nel quale però manca il contenuto esseno. Verosimilmente, questo contenuto non c’era nel Matteo aramaico, da cui in questi casi ha attinto Luca. Essi sono i seguenti: Mt 5,3: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli». La locuzione «poveri di spirito» non si trova nel passo parallelo (Lc 6,20) attinto dal Matteo aramaico. Essa si trova due volte negli scritti di Qumran, nella Regola della Guerra (1QM XIV,7) e negli Inni (1QH VI,3); Mt 5,8: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Le pericopi parallele (sulle beatitudini) sono: Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23. Questa frase non si trova nella pericope di Luca. Dunque, sembra sia stata aggiunta di sana pianta dal redattore del Vangelo greco di Matteo. Essa ha un riferimento esseno in 4Q525 fr. 2,II,1: «[Beato chi dice la verità] con cuore puro»; Mt 5,43: «Avete inteso che fu detto: Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico». I brani paralleli sono Mt 5,43-48 e Lc 6,27-36. Ma in Luca non si afferma che è stato detto di odiare il nemico. E in realtà ciò non è affermato in nessun passo dell’Antico Testamento, ma si trova solo in alcuni passi qumranici: 1QS I,10; IV,17; IX,21-22; 4Q380 fr. 1,II,5; 1QH VI,10. Perciò, è molto probabile che si tratti di un’aggiunta del redattore del Vangelo greco di Matteo all’originario Vangelo aramaico. Infine, vi sono due passi che hanno un chiaro riferimento esseno, ma non hanno paralleli né in Marco né in Luca. Essi sono: Mt 18,15-17: «Se il tuo fratello pecca contro di te, và, riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolterà avrai riacquistato il tuo fratello. Se non ascolterà, prendi con te una o due persone, affinché sulla parola di due o tre testimoni sia risolta ogni cosa. Se non li ascolterà, deferiscilo alla chiesa (ekklesia = assemblea)». Questo passo non ha paralleli né in Marco né in Luca. Ma ha un chiarissimo riferimento esseno, perché la procedura di correzione fraterna qui delineata era in vigore presso gli esseni. Secondo il Documento di Damasco, ogni accusa raccontata di fronte agli anziani doveva essere preceduta da un rimprovero di fronte a testimoni (CD-A IX,2-8). E nella Regola della Comunità leggiamo: «Ciascuno rimproveri il suo vicino riguardo la verità, l’umiltà e l’amore misericordioso per l’uomo. Nessuno parli al suo fratello con ira o mormorando, con dura [cervice, o con invidioso] spirito maligno, e non lo lodi [nell’ostinazione] del suo cuore, ma piuttosto lo rimproveri durante il giorno per non incorrere nel peccato a causa sua. E inoltre nessuno porti una parola contro il suo vicino di fronte ai Molti a meno che non si tratti di un rimprovero di fronte a testimoni» (1QS V,24 - VI,1). In questo passo sembrano presenti le stesse tre fasi del passo di Mt 18,15-17 (rimprovero personale, di fronte a testimoni, di fronte all’assemblea). Com’è noto, la riunione dei Molti era l’assemblea della Comunità; e molto probabilmente quando il Documento di Damasco parla di accusa raccontata agli anziani (CD-A IX,4) si riferisce al racconto fatto davanti all’assemblea. L’accusa davanti all’assemblea doveva essere preceduta da un rimprovero davanti a testimoni; ed è questa la procedura, di origine essena, di cui parla Mt 18,15-17; Mt 27,19: durante l’interrogatorio di Pilato a Gesù la moglie di Pilato gli manda a dire: «Nulla vi sia fra te e questo giusto». Le pericopi parallele sono: Mt 27,15-26; Mc 15,6-15; Lc 23,13-25; Gv 18,39 – 19,16. Né in Marco, né in Luca, né in Giovanni si trova questo episodio. L’attribuzione del titolo di «giusto» a Gesù, che si ritrova in diversi altri passi del Nuovo Testamento (Lc 23,47; At 3,14; 7,52; 22,14; Gc 5,6; 1 Gv 2,1.29; 3,7), è di origine essena: in un passo qumranico si parla del «Messia di Giustizia» (4Q252 V,3); e il Messia in CD-A VI,10-11 è «colui che insegna la giustizia» e in 1Q28b V,21 «verrà per giudicare con giustizia». Il fatto che nessuno nella Chiesa dei primi secoli, e in particolare nessuno degli autori che affermano l’esistenza del Vangelo di Matteo aramaico (Papia, Ireneo, Clemente Alessandrino, Tertulliano, Origene, Panteno, Eusebio, Epifanio, Girolamo), abbia mai osservato o contestato che il testo del Vangelo di Matteo greco, che loro conoscevano, era diverso dal testo del Vangelo aramaico, che almeno Papia conosceva, non significa che il redattore del Vangelo greco non abbia apportato aggiunte e modifiche a quello aramaico, ma solo che le aggiunte e le modifiche apportate dal redattore del Matteo greco erano considerate perfettamente ortodosse, cioè che la teologia esseno-cristiana era parte integrante e costitutiva del cristianesimo delle origini.
Salvatore Capo
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