A mio modo di vedere non è possibile utilizzare la storia per confermare o negare alcuni avvenimenti della vita di Gesù, ovvero la nascita verginale, i miracoli, la resurrezione di Lazzaro, la resurrezione della figlia di Giairo, della vedova di Nain e la sua... Non e' possibile perché non è un ambito indagabile dalla storia ne dalla fisica, ma dalla metafisica. Come il miracolo del sole di Fatima nel 1917, a cui assistettero 70 000 persone le quali videro la Sacra Famiglia in cielo.. Altroché se è testimoniato quel miracolo, eppure anch'esso non si può chiamare fatto storico (benché pensare ad un'allucinazione collettiva di 70 000 persone e' ridicolo secondo me).
Possiamo dire con serenità che lastoria ha confermato senza dubbi sostanziali la sua nascita verso il 4 a.C., la sua infanzia a Nazareth (e i miticicisti che ritenevano la città non esistente all'epoca l'hanno fatta fuori dal vaso secondo me), il battesimo a opera di Giovanni il Battista, la costituzione di un gruppo di discepoli, l'insegnamento nei villaggi e nelle campagne della Galilea, la predicazione del Regno di Dio, il viaggio a Gerusalemme culminato con i disordini al Tempio, la cena finale con i discepoli, la cattura, l'interrogatorio e la messa a morte da parte di Ponzio Pilato, cui seguono prima una fuga e poi la ricostituzione del gruppo di discepoli, convinti del ritorno di Gesù per fondare il Regno.
Ora, il punto cardine e' questo: COSA ha spinto i discepoli a farsi martirizzare per GESÙ? Quale è stata la spinta propulsiva? Cosa avevano da guadagnare nel farlo?
Partiamo da un punto: secondo me la ricerca storica e' stata viziata da alcuni pregiudizi alla base, come la presunta non storicità del Vangelo di Giovanni, per il solo fatto che presentava una cristologia alta (e perché mai GESÙ non potrebbe aver detto cose come "io sono la via, la verità e la vita" oppure "in verità vi dico prima di Abramo io sono"?), quando nessuno dei Vangeli aveva - nemmeno quello di Giovanni sia chiaro - presunzione di completezza, senza contare che Marco e Luca sono evangelisti che scrivono a distanza di molti anni dai fatti e non hanno mai conosciuto Gesù, al contrario di Matteo e Giovanni? Semplicemente i vari Vangeli si completano a vicenda, come un mosaico. Quello che alcuni evangelisti non hanno menzionato e' stato menzionato da altri.
L'affidabilità storica del Vangelo giovanneo e' esplicitata dagli eventi dell'ultima cena, ad esempio.
L’ultima cena tra Gesù i suoi discepoli e' uno di quegli eventi di cui parlavo prima che non è oggetto di discussione tra gli studiosi, si accetta la sua storicità ma solitamente ci si divide sul fatto se sia stata o meno un banchetto pasquale. Questo perché i sinottici sembrano apparentemente affermare che Gesù volle celebrare la pasqua ebraica, al contrario di quanto riporta il Vangelo di Giovanni. Il prof. Meier, nel suo celebre “Un ebreo marginale”, ha tuttavia evidenziato che non c’è nessuna contraddizione tra le due fonti perché «se si separano dai racconti sinottici della passione i riferimenti, posteriori o redazionali, alla pasqua presenti attualmente, comprendiamo che l’ultima cena nella tradizione sinottica soggiacente non è un banchetto pasquale analogamente a quanto avviene per l’ultima cena nel vangelo secondo Giovanni» (p. 397). Gesù, infatti, non celebrò la Pasqua ebraica con i suoi discepoli durante l’ultima cena ma, sentendosi braccato dalle autorità ebraiche e romane, «organizzò un solenne banchetto d’addio con la cerchia più intima dei suoi discepoli immediatamente prima della pasqua nella casa di qualche sostenitori benestante di Gerusalemme il giovedì verso il tramonto, quando cominciava il quattordicesimo giorno di Nisan.
Se ammettiamo la fondamentale storicità del racconto eucaristico, dobbiamo ammettere che Gesù nell’ultima cena disse alcune cose sorprendenti e senza precedenti che non possono essere spiegate semplicemente ipotizzando il contesto di un banchetto rituale giudaico, non sorprende che quanto fece durante il suo ultimo banchetto con la cerchia più intima dei suoi discepoli non coincida esattamente con nessuno rito religioso convenzionale del tempo». Questo è uno dei diversi casi con i quali solitamente si dimostra che il Vangelo di Giovanni, seppur scritto posteriormente e basato su altre fonti indipendenti, spesso risulta essere più affidabile storicamente rispetto ai sinottici, al contrario degli strali di alcuni storici.
Ma il punto fondamentale è: Gesu Cristo era DIO? È resuscitato dai morti? Questo è il cardine di tutto. Se Cristo non è risorto la teologia Cristiana -tutta, senza eccezioni - sarebbe il più colossale inganno della storia, e la speranza di 2,4 miliardi di persone (tra cui 1,5 miliardi di cattolici) sarebbe mal riposta.
«Benché sia un avvenimento reale avvenuto a Gesù Cristo», ha spiegato il prof. Meier, l’evento della risurrezione «non è avvenuto nel tempo e nello spazio e perciò non dovrebbe essere chiamato storico» (p.186), cito sempre dal libro.
Ed è proprio questo il punto, o Cristo e' resuscitato oppure no. Se è resuscitato non c'è motivo di dubitare di nulla, non c'è motivo di dubitare della frase di Gesù a Pietro sulla fondazione della Chiesa, non c'è motivo di dubitare dei suoi miracoli, non c'è motivo di dubitare del parto verginale di Maria... Se Gesù e' risorto possiamo BEN dire "è tutto vero", per il semplice motivo che se i discepoli hanno detta la verità sulla resurrezione non c'è la minima ragione per presupporre delle invenzioni riguardanti fatti come la nascita verginale o i vari miracoli, anche perché non avrebbero mai sporcato la testimonianza del Messia con delle menzogne.
Se è vero, quindi, che l'argomento della resurrezione non può essere confermato direttamente a livello storico, e' altrettanto vero che possiamo però approcciarci ad esso indirettamente attraverso vari argomenti: è noto agli storici, ad esempio, che quello della risurrezione di Cristo è un racconto molto antico, come spiegato dal prof. Ehrman quando ha ammesso la testimonianza di esso nelle lettere di San Paolo, scritte prima dei Vangeli. Lo studioso americano ha inoltre usato numerose pagine contro i negatori della storicità dei Vangeli, spiegando che l’evento della risurrezione da loro descritto è unico e originale in tutta la storia della letteratura precedente: «La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati» da quei racconti. In ogni caso, «le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità» (p. 234,235). Uno studioso, ben poco cristiano come il teologo Hans Küng, ha riconosciuto che «non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù ma fu il resuscitato a condurli alla fede» (H. Küng, “Essere cristiani”, Rizzoli 2012, p.42
Ma quali motivi ci sono per i quali dovremmo credere alla resurrezione, oltre a questi?
Partiamo innanzitutto da una semplice considerazione: il sepolcro era vuoto.
Secondo il prof. Jacob Kremer, ritenuto il più importante biblista del 20° secolo, «la maggior parte degli esegeti considera saldamente affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto» (J. Kremer, “Die OsterevangelienGeschichten um Geschichte”, Katholisches Bibelwerk 1977, pp. 49-50). Il prof. Raymond Brown, docente emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, ha più volte mostrato l’alta probabilità storica della sepoltura organizzata da Giuseppe d’Arimatea, «dal momento che una creazione cristiana immaginata dal nulla sul fatto che un membro Sinedrio ebraico abbia fatto una cosa così onorevole è quasi inspiegabile, conoscendo l’ostilità nei primi scritti cristiani verso le autorità ebraiche, responsabili della morte di Gesù. Mentre l’alta probabilità non corrisponde a certezza, non vi è nulla nelle fonti pre-evangeliche sulla sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe d’Arimatea che potrebbe non farla considerare storica» (R. Brown, “The Death of the Messiah”, 2 vols. Garden City 1994, 1240-1241).
Se il sepolcro era vuoto, rimangono due opzioni: o Cristo e' risorto oppure è stato trafugato. Solo una delle due opzioni e' vera, è una delle due è
certamente
vera.
Ad oggi nessuno storico mette in dubbio il fatto che gli apostoli fossero veramente convinti di aver avuto delle apparizioni del Risorto, per il semplice motivo che anche San Paolo spesso cita questi eventi nelle sue lettere, invitando tra l'altro a verificare le testimonianze di persona.
Considerando che sono state scritte vicine agli eventi e tenendo conto la sua conoscenza con le persone coinvolte, queste apparizioni non possono essere liquidate come semplici leggende.
Oltretutto esse sono presenti in diverse fonti indipendenti, soddisfacendo il criterio della molteplice attestazione (l’apparizione a Pietro è attestata da Luca e Paolo; l’apparizione ai Dodici è attestata da Luca, Giovanni e Paolo; l’apparizione alle donne è attestata da Matteo e Giovanni, ecc.) Il critico tedesco del Nuovo Testamento, scettico, Gerd Lüdemann, ha concluso: «Può essere preso come storicamente certo che Pietro e i discepoli abbiano avuto esperienze dopo la morte di Gesù in cui egli apparve loro come il Cristo risorto» (“What Really Happened to Jesus?”, Westminster John Knox Press 1995, p.
Le apparizioni sono state, inoltre, il motivo del radicale cambiamento di atteggiamento da parte degli apostoli.
Dopo la loro fuga impaurita al momento della crocifissione di Gesù, i discepoli hanno improvvisamente e sinceramente creduto che Egli era risorto dai morti, nonostante la loro ebraica predisposizione contraria. Tanto che improvvisamente furono disposti perfino a morire per la verità di questa convinzione. L’eminente studioso britannico NT Wright ha perciò affermato: «Questo è il motivo per cui, come storico, non riesco a spiegare l’ascesa del cristianesimo primitivo a meno che Gesù sia risorto, lasciando una tomba vuota dietro di lui». (“The New Unimproved Jesus”, Christianity Today, 13/09/1993).
A questo punto i detrattori, in genere, tirano fuori la vecchissima tesi di "Paolo come fondatore del cristianesimo", tale tesi viene portata con il preciso scopo di convincere la gente che il cristianesimo è una religione nata “a tavolino”, del tutto aliena alla predicazione di Gesù (la sosteneva anche Nietzsche e perfino Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista di Hitler).
Tali storici fanno parte di coloro che sostengono la celeberrima "discontinuita' " tra il Gesù della storia e il Gesù della fede. Oggi è forse la convinzione più diffusa tra gli scettici appassionati del cristianesimo (in genere dilettanti allo sbaraglio, come il mai troppo compianto Cascioli, che con le sue tesi su Giovanni di Gamala mi ha fatto letteralmente piangere dal ridere
), che in tale modo sperano di affermare, oltre che la discontinuita' tra il Gesù della fede e quello della storia, la continuità' tra le lettere paoline e i Vangeli -che c'è senza dubbio - che, secondo tale tesi, sarebbe la prova della falsità dell'intero kerigma, essendo il KERIGMA falalto alla base, ovvero "dall'invenzione" partorita dalla mente di San Paolo (che però si farà decapitare per proteggere questa invenzione. Strano.)
Le intenzioni di costoro si possono riassumere così: se il kerigma predicato da San Paolo e' falso, sono falsi anche i Vangeli scritti successivamente, ed è falso anche il Gesù insegnato dalla Chiesa, che avrebbe "convenientemente" (vedremo quanto in seguito) rielaborato la figura di Gesù. Ipersemplificando: il Nuovo testamento procede dall'invenzione di San Paolo, perciò non è affidabile per scoprire il "vero" GESÙ, che sarebbe un "mito" costruito sul GESÙ reale (talvolta zelota, talvolta Giovanni di Gamala, talvolta sposato con figli, talvolta profeta apocalittico senza nessun carisma divino, quello che volete, in base alla fantasia del miticista di turno).
E siccome quello che ha fatto e detto Gesù è noto solo attraverso questa “rielaborazione” della Chiesa, clo stesso Gesù è come se non avesse detto e fatto nulla; puff..scomparso, come farebbe comodo a molti. Diciamo che la stessa sorte dovrebbe toccare a Socrate, visto che lo si conosce solo tramite Platone, ma i laicisti non si avvedono di questo rischio che gli eliminerebbe uno dei più cari punti di riferimento, il mitico “buono e saggio non cristiano” che serve sempre a dimostrare che il cristianesimo non ha inventato l’etica e la correttezza morale (cosa che la Chiesa peraltro sostiene fermamente, essendo queste iscritte nel cuore di ogni uomo…, ma questo i laicisti se lo dimenticano, ossessionati della pletora di persone buone e sagge che va producendo il cristianesimo da quando è nato).
In realtà non è affatto sostenibile che Paolo abbia fondato il cristianesimo.come spiega
www.gliscritti.it/antologia/entry/235 brillantemente anche il Prof Romano Penna, biblista e già ordinario di Origini Cristiane presso la Pontificia Università Lateranense «Il tema di Paolo come “secondo fondatore del cristianesimo” è piuttosto trito, anche se ha avuto una certa presa nel Novecento in ambito luterano. Si tratta di una concezione che però bypassa un elemento importante, cioè che tra Gesù e Paolo non c’è una continuità “gomito a gomito”. Paolo è “gomito a gomito” con la Chiesa di Gerusalemme e con le Chiese, al plurale, della Giudea. Lui stesso dice: “Io vi ho trasmesso quel che anche io ho ricevuto”. Quello che voglio dire è che c’è una fede delle origini che è assolutamente pre-paolina, la sua originalità ermeneutica elabora il dato della fede, che è anteriore a lui. Per questo quella contrapposizione non ha, alla fine, nessun senso. Si tratta di un giudizio affrettato, semplificatorio, superficiale». Il contributo innovativo di Paolo, in altre parole, è davvero minimo rispetto alle convinzioni dei primi discepoli.
Dello stesso avviso Luigi Walt, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Ratisbona che spiega
http://letterepaoline.net/2008/11/20/paolo...cristianesimo”/: «La contrapposizione netta tra Gesù e Paolo, innanzitutto, risulta essere uno dei tanti miti dell’esegesi storica otto-novecentesca, l’idea servì a slegare Paolo, inteso come simbolo di una Chiesa istituzionale, visibile, gerarchica, dall’eredità di un Gesù percepito come maestro inoffensivo (e frainteso) di morale. In breve, essa fu il risultato di un a priori ideologico, non di un’indagine storica rigorosa. Paolo non agì come un outsider, non piombò dal nulla in mezzo ai primi seguaci di Gesù, né le sue posizioni possono essere valutate come del tutto originali e solitarie». Esistono infatti «altri documenti del cristianesimo nascente, in maniera del tutto indipendente dall’apostolo, sembrano condividerne alcune linee ideali. L’importanza di Paolo, in altri termini, non va esagerata, nel suo immediato contesto di azione. Si faceva allusione, tempo addietro, alla necessità di considerare gli elementi pre-paolini in Paolo: ebbene, un’indagine in tal senso toglie immediatamente la terra
sotto i piedi a chiunque voglia attribuire all’apostolo il ruolo di “autentico fondatore” del cristianesimo».
Molto simile il giudizio di Giorgio Jossa, professore di Storia del Cristianesimo e Storia della Chiesa Antica presso l’Università degli Studi di Napoli e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale: «affermazioni relative alla persona di Gesù, che una volta venivano attribuite a Paolo sulla base di una sua provenienza dalla diaspora greca, possono essere già sorte prima di lui, non soltanto nella comunità di Antiochia ma anche in quella di Gerusalemme, e nella stessa componente aramaica di questa comunità. Paolo si colloca allora non all’inizio, ma al termine di uno sviluppo teologico che è stato in realtà incredibilmente rapido» (G. Jossa, Il cristianesimo ha tradito Gesù?, Carocci 2008, p. 115). Rainer Riesner, professore emerito di Nuovo Testamento presso l’Università Dortmund, ha anch’egli fatto notare
www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/105q04d1.html che gli insegnamenti di Paolo «non erano frutto del suo pensiero, bensì della tradizione», della «comunità originaria che si era raccolta intorno all’apostolo Pietro a Gerusalemme». Si potrebbe andare avanti per giorni citando il pensiero degli studiosi che hanno risposto alla tesi ottocentesca che vede Paolo il “vero” fondatore del cristianesimo. Molto chiaro, lo citiamo per ultimo, il giudizio di Heinrich Schlier, importante biblista che partecipò alla stesura della traduzione ufficiale della Bibbia: «cinque anni dopo la morte di Gesù esisteva in Siria una formulazione, già relativamente fissata e tramandata in greco, dei fatti di salvezza della morte e resurrezione di Gesù: ed è proprio quella che Paolo riprende» nella sua prima lettera, quella ai Corinzi. «Essa è alla base di ogni lettera paolina e di ogni fonte evangelica scritta» (H. Schlier, Il tempo della Chiesa. Saggi esegetici, EDB 1981, p. 345-346).
Un'altra tesi molto in vogo per screditare la Chiesa vede Paolo come vero leader della Chiesa primitiva in opposizione a Pietro: sarebbe stato Paolo a convincere i primi cristiani a diffondere il cristianesimo tra i pagani. Eppure negli Atti degli Apostoli, basati su tradizioni che circolavano negli anni 30-50 d.C., dunque a ridosso della morte di Gesù, si legge che è Pietro che, inspirato dallo Spirito Santo, decide di aprire la missione anche verso i pagani, incontrandoli e battezzandoli per primo dopo aver detto: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,34).
Come ha spiegato il prof. Fabrizio Fabbrini,
www.30giorni.it/articoli_id_636_l1.htm ordinario di Storia romana all’Università di Siena e di Storia del cristianesimo alla Pontificia Università: «Credo che si commetta un errore quando, parlando dei primi decenni del cristianesimo, si contrappone una linea “petrina” a una “paolina” quale differenziazione tra una Chiesa giudaica e una Chiesa aperta ai Gentili. L’impostazione teologica di Pietro (si vedano le sue bellissime Lettere) è caratterizzata dallo stesso universalismo di Paolo, la sua azione missionaria è altrettanto intensa ed ampia. Ed è Pietro che per primo si apre alla predicazione verso i Gentili (= pagani), dato che la conversione del centurione Cornelio è precedente a tutta l’azione paolina; e si legga negli Atti degli apostoli (At 11,1-18) la difesa che Pietro fa a Gerusalemme, dinanzi agli apostoli scandalizzati, della necessità della conversione dei pagani. È questa la prima teologia del “cristianesimo delle genti”, quella esposta da Pietro, il capo della Chiesa universale: il quale può dunque chiamarsi, esattamente come Paolo, “Apostolo delle genti”».
Infine, tanto per chiarire l'infondatezza di chi vede il primo cristianesimo come una setta dell’ebraismo, basterebbe leggere le sue parole riportate, ancora una volta, negli Atti degli Apostoli per trovare moltissimi “voi” e “noi” quando si rivolge agli ebrei, concependo chiaramente una differenziazione.
Senza considerare che la base di ciò che predicava -Dio incarnatosi in uomo, crocifisso e risorto da morte-, era assolutamente inconcepibile e intollerabile per gli ebrei, impossibile che i sostenitori di questo fossero accettati come una variante dell’ebraismo. I discepoli di Cristo erano in gran parte ebrei che riconobbero in Gesù il Messia annunciato da sempre nell’Antico Testamento, inevitabilmente si produsse una divisione rispetto agli ebrei che non lo riconobbero. Per questo, ha spiegato Eric Noffke, presidente della Società Biblica in Italia, «a cominciare dal Nazareno fino ad arrivare agli apostoli e ai loro discepoli, la nuova fede in Gesù è andata gradualmente costruendosi come una religione completamente nuova rispetto al giudaismo». Lo stesso Gesù, infatti, «aveva radicalizzato vari aspetti della fede ebraica, soprattutto l’attesa del Regno di Dio, predicato come una realtà in lui presente e operante.
Gesù fu maestro, ma fu anche riconosciuto come il Messia atteso, nonostante che la sua predicazione e la sua morte in croce dovessero essere spiegate sovente contro la tradizione messianica mediogiudaica. Paolo, dunque, lungi dal tradire il Gesù profeta del Regno, fu di lui un discepolo fedele e un predicatore instancabile di quanto Dio aveva operato per suo tramite» (E. Noffke, Protestantesimo n.67, Claudiana Editrice 2012, pp. 125-141). Oltre a ciò, se Paolo non avesse davvero avuto delle apparizioni del Risorto, non avrebbe mai cambaito vita così radicalmente: perché passare da ebreo osservante persecutore del neonato movimento cristiano a testimone del Risorto morendo decapitato? A che scopo?
Conclusione: i tentativi della critica anticristiana di separare il Gesu storico dal Gesu della fede - motivati come come ho già detto dalla volontà di affermare la sostanziale falsità della religione cattolica - sono naufragati e continueranno a naufragare. Non si possono provare storicamente il parto verginale di Maria, i miracoli e la resurrezione, ma si può ben affermare che nessuna ricerca storica ha mai portato in evidenza NULLA che renda questi eventi non possibili, anzi, nel caso della resurrezione abbiamo "l'effetto" (ovvero la nascita del movimento cristiano, i primi martiri come Stefano, il protomartire, e il martirio dei discepoli) che, come sempre, segue una causa.
Faccio anche notare che se la Chiesa avesse "inventato" Gesù, manomesso i vangeli, aggiunto o cancellato per qualche oscuro motivo legato al potere, molte cose scritte nei Vangeli e nelle lettere Paoline e cattoliche non sarebbero state scritte.
Non era infatti pensabile per un “rabbi” essere scapolo e non avere figli (benedizione di Dio), inoltre la castità non era certo di moda allora e ben accetta dalle masse. Anche una donna con un solo figlio, per di più non avuto da contatti con un uomo, era praticamente da considerarsi una sterile e quindi non molto gradita al Cielo. Insomma il maestro più credibile all’epoca sarebbe stato un rabbino con tanto di figli e moglie, proveniente da una famiglia numerosa e quindi benedetta da Dio secondo i concetti che prevalevano all’epoca nell’ebraismo.
Se questo Messia fosse stato inventato, poi, non sarebbe certo morto in croce, morte infamante, al massimo avrebbe turlupinato i suoi nemici facendo appendere un sosia, come sostengono ancora oggi i musulmani. Insomma la Chiesa “a tavolino ” avrebbe dovuto inventarsi tutto un altro cristianesimo per poter convincere i contemporanei, se non l’ha fatto l’unico motivo è che ha tramandato solo la verità, per quanto questa fosse impopolare, eppure questa verità, che tanti cercano di distruggere proponendo il Gesù alias "Giovanni di Gamala", il Gesu zelota, il Gesu "Che Guevara dell'anno zero" come sostiene Alessandro De Angelis, è proprio ciò che l’ha inaspettatamente portata a una diffusione clamorosa e ad arrivare sino ad oggi.
Edited by Kerigmatico - 1/6/2015, 08:26