Studi sul Cristianesimo Primitivo

Sul celibato

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MsNifelheim
view post Posted on 22/5/2011, 22:15     +1   -1




Vorrei aprire questa discussione su una tematica - spero - interessante: il clero ed il celibato
In effetti, secondo quando riportato su Bihlmeyer, Tuechle - Storia della Chiesa vol. 1, sino al III secolo i membri del clero non avevano l'obbligo del celibato, ne esisteva alcuna legge ecclesiastica, o una prescrizione apostolica. Inoltre, chi abbracciava lo stato ecclesiastico da sposato, poteva continuare a mantenere rapporti matrimoniali. Tuttavia questa libertà si riferiva solamente al matrimonio contratto prima dell'ordinazione. In conformità di una usanza molto antica, dopo l'ordinazione i membri del clero superiore, cioè i vescovi, i presbiteri e i diaconi, non potevano più sposarsi.
Siccome, tuttavia, secondo riferimenti presenti nei Vangeli (il detto sull'eunuco e il Regno) e il passaggio in 1 Cor 7-7,25), il celibato veniva considerato più idoneo per il servizio a Dio, e molti cristiani se ne astenevano volontariamente, ed era ovvio che i chierici fossero scelti a preferenza tra questi. Per tempo dunque si praticò il celibato come sistema di vita più confacente al vescovo e al sacerdote. In Spagna alla fine di questo periodo esso fu prescritto per legge: il sinodo di Elvira, verso il 306 vietò il matrimonio a tutti gli ecclesiastici.
E' tuttavia da rimarcare che di fronte alle posizioni sul matrimonio, a partire dal IV secolo Occidente e Oriente presero vie diverse. In occidente, secondo il già citato Sinodo di Elvira l'uso del matrimonio fu semplicemente vietato. In realtà però queste norme non trovarono subito e ovunque pratica applicazione. Persino in Spagna, dove il celibato venne introdotto per primo, stando alla testimonianza del papa Siricio(384-99), gli ecclesiastici sin verso la fine del IV secolo facevano vita coniugale. Nelle campagne e nelle piccole città, sembra anzi, secondo Ambrogio (De officiis, I,50) che fino ad allora il matrimonio dei sacerdoti fosse la regola. Comunque i personaggi più eminenti in seno alla Chiesa insistevano per una vita di continenza, con appositi scritti specialmente Ambrogio, Agostino e Girolamo.
La chiesa greca perseverò nella sua antica prassi adottata, secondo la quale dopo l'ordinazione gli ecclesiastici di grado superiore, cioè dal diacono in su, non potevano contrarre matrimonio, ma erano invece autorizzati a mantenere l'uso del matrimonio qualora fossero stati già sposati prima dell'ordinazione. La proposta di una legge per un celibato secondo il modello occidentale venne respinta nel concilio di Nicea nel 325, a quanto pare principalmente per la protesta del vescovo egiziano Pafnuzio. In pratica però anche in oriente buona parte del clero rinunciò spontaneamente al matrimonio, e i vescovi erano in grande maggioranza celibi.
L'imperatore Giustiniano I impose ai vescovi il celibato come obbligo e questo vige ancora oggi per la Chiesa greca. Il sinodo Trullano del 692 permise il matrimonio ai sacerdoti e ai diaconi, ma lo vietò ai vescovi e proibì a tutti gli ecclesiastici un secondo matrimonio. Presso i nestoriani qualche sinodo permise il matrimonio ai sacerdoti (486) e ai vescovi (497), a ma questi ultimi, poco alla volta venne di nuovo imposto il celibato nel 544
Inoltre, a prevenire sospetti a carico di ecclesiastici non sposati, il concilio di Nicea proibì di tenere in casa una donna, fatta eccezione parenti prossimi o comunque persone non sospette.
 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 22/5/2011, 23:52     +1   -1




Non solo non esisteva, ma il matrimonio con tanto di prole era addirittura consigliato, se non proprio obbligato. La fonte? Lo stesso Nuovo Testamento, nelle Lettere, chiamate, non a caso, Pastorali (testo CEI 74'):

È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta [altre traduzioni : marito di una sola moglie] [...] Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? [...] I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie. (1Timoteo 3:1-2,4-5,12)

Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato: il candidato [presbitero/vescovo] deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati. (Tito 1:5-6)

Dunque abbiamo l'ordine di ammogliare e figliare per ogni ordine ecclesiastico come conservato pure nel cattolicesimo : Diaconato, Presbiterato ed Episcopato (anche se gli ultimi due uffici, essendo Presbitero e Vesocovo significanti in greco semplicemente anziano e sorvegliante, erano sinonimi come si evince anche dalla Lettera a Tito)

Ora, penso sia opportuno precisare che la pratica del celibato è una caratteristica prettamente ed esclusivamente del cattolicesimo romano occidentale. Tra gli ortodossi e perfino nel rito cattolico orientale (e questo perchè il celibato non è dogma ma solo usanza liturgica) i vescovi possono contrarre matrimonio e avere figli. Perfino colui che è conosciuto come primo papa, Pietro, aveva una suocera (Mt 8:14;Mr1:30;Lc4:38) e non solo lui, ma pare anche gli altri apostoli l'avessero (1Cor9:5). Certo, è anche possibile la tesi che Pietro e i discepoli abbiano "abbandonato tutto" per seguire Gesù (anche se dal testo di 1Cor9:5 non pare che tra le cose abbandonate siano contemplate le mogli). Comunque sia fatto sta che il celibato era tutt'altro che praticato e certamente non approvato (il rabbinismo talmudico afferma addirittura che sia un comando obbligatorio di Dio prender moglie e fare figli), e lo stesso NT lo incoraggia esplicitamente in due sole occasioni : una, quando Gesù parla di "quelli che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli" (preso pure alla lettera da alcuni tipo Origene!). Il secondo testo, di Paolo, è quando afferma che "sposarsi è bene, ma non sposarsi è meglio". Comunque sia sono solo consigli esortativi e non un comando obbligatorio sebbene qualche cattolico sia convinto del contrario esclusivamente perchè la tradizione ecclesiastica ha spesso inteso quei passi in altri modi e non per vere ragioni filologico-storiche.


Saluti

Edited by Teodoro Studita - 23/5/2011, 14:33
 
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view post Posted on 23/5/2011, 08:40     +1   -1
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Ovviamente, quei cattolici che credono che il celibato risalga all'epoca apostolica danno un'altra interpretazione dei versetti in cui si dice che il vescovo dev'essere unius uxoris vir (marito di una sola moglie). Scrissi un lungo articolo in proposito qui:

http://www.esserecattolici.com/modules.php...=article&sid=13
(Parte 1)

http://www.esserecattolici.com/modules.php...=article&sid=14
(Parte 2)

Purtroppo non ho tempo di mettermi a riassumervelo.

 
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view post Posted on 23/5/2011, 12:05     +1   -1
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CITAZIONE
perfino nel rito cattolico orientale (e questo perchè il celibato non è dogma ma solo usanza liturgica) i vescovi possono contrarre matrimonio e avere figli.

Questo è errato per almeno due motivi:

- Intanto per i cattolici "orientali" non si tratta di una "usanza liturgica" (semmai prassi ecclesiale), o meglio non più. Con la Pastores dabo vobis (marzo 1992) Wojtyla ha affermato che il sacerdozio configura in ogni aspetto a Cristo (che è celibe), e dunque la natura del sacerdozio implica il celibato. Questo appunto apre l'interessante nonsense dei preti sposati in comunione con Roma (che quindi sarebbero configurati... imperfettamente? Ma non andiamo offtopic).

- Inoltre sia tra i cattolici che tra gli ortodossi i vescovi non possono essere sposati, almeno a partire dal concilio Trullano (692)

Naturalmente ci sarebbero molte cose da dire, dovrei trovare il tempo per sintetizzarle in un unico documento, come poly.
 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 23/5/2011, 15:01     +1   -1




Teodoro
CITAZIONE
- Inoltre sia tra i cattolici che tra gli ortodossi i vescovi non possono essere sposati, almeno a partire dal concilio Trullano (692

)

Ah ok. Ma allora nell'ortodossia quale ordine ecclesiale può avere di preciso accesso al matrimonio?


Saluti

Edited by MsNifelheim - 23/5/2011, 17:27
 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 23/5/2011, 17:15     +1   -1




Avevo già letto il doppio articolo apologetico e tutt'altro che disinteressato di Polymetis (che si dilunga un po' troppo sull'apologia della Tradizione Ecclesiastica invece di arrivare dritto al nocciolo della questione), e vorrei fargli alcune obiezioni su quanto ha scritto:

CITAZIONE
C’è poi un argomento lessicale. Elencando i requisiti per i ministri cristiani Paolo afferma che il vescovo dev’essere egkratês (Tt 1,8), ossia continente47. Il problema è che molte traduzioni lo rendono un po’ sciattamente con “padrone di sé”, ma che il termine riguardi nel lessico paolino la padronanza sessuale di sé, cioè la continenza, si può ricavare dal confronto con altri suoi testi, ad esempio: “ma se non sanno vivere in continenza(egkrateuontai) , si sposino; è meglio sposarsi che ardere” (1Cor 7,9),

Innanzitutto Poly, stai facendo un errore filologico pazzesco. Ovvero parli di "lessico paolino" nei confronti di Tito e mettendolo in relazione a 1Corinzi, come se tu credessi davvero (ma solo quando ti conviene vedo) che 1Corinzi e Tito fossero scritti dallo stesso autore, Paolo, quando la critica filologica è unanime nel dire che le lettere pastorali sono tutte pseudoepigrafe (e questo mi è stato insegnato apertamente pure dalla mia Prof. di Università nella mia materia di Storia del Cristianesimo) proprio perchè si differenziano e sono estranee all'originale lessico e/o pensiero paolino! Con tutto il rispetto, ma io considero in questo caso aperta disonestà intellettuale, dare per scontato e strumentalizzare 1Corinzi e Tito per portare acqua al proprio mulino facendo credere ai lettori più sprovveduti che Tito e 1Corinzi siano davvero dello stesso autore e con lo stesso uso del lessico, senza nemmeno accennare (e anzi, visto che lo sai benissimo che molte delle lettere paoline sono pseudoepigrafe, io dire piuttosto tacendo consapevolmente) tutti gli studi in proposito che danno tutt'altro ragione alla tua tesi. Spero che non spunterai con la miserevole scusa che hai dato la paternità dell'opera di Tito a Paolo solo per incanalarti nei panni di un fondamentalista biblico, perchè dall'intervento quotato si evince invece che c'è stata una precisa volontà interessata di confondere le carte in tavola solo per portare, davvero poco onestamente, solo acqua al proprio mulino, la cui argomentazione citata altrimenti non avrebbe avuto consistenza alcuna.


Inoltre, leggendo qualsiasi lessicario greco o neotestamentario è chiaro che quello specifico di "continente" è l'ultimo dei significati che dà la letteratura greca a ἐγκρατής precedente alla lettera a Tito e io direi che fanno benissimo i protestanti a renderlo proprio con un più onesto e generico "controllo di sè", e non un più teologicamente interessato orientamento a "continenza" anche perchè, proprio dall'analisi filologica, non è possibile stabilire cosa volesse dire l'epistolante a Tito facendo riferimento su tutto un'altro testo che non c'entra niente, 1Corinzi, e anzi, da quei pochi elementi interni che si deducono da questo testo e le altre lettere pastorali (il riferimento allo sposarsi, all'avere figli) sono tutt'altro a favore dell'esegesi cattolica che si basa esclusivamente su fonti ecclesiastiche di questo passo tarde e dunque secondarie.

CITAZIONE
non a caso Girolamo nella Vulgata rende: “si non se continet, nubat”.

E' noto che la Vulgata non è fonte infallibile, nonostante il Concilio Tridentino l'abbia dichiarata tale, e che anzi, proprio per i numerosi errori riscontrati da gli stessi cattolici, fu corretta diverse volte.

CITAZIONE
secondo cui l’Apostolo Paolo in 1Tm 3,2 indica quale condizione per l’ordinazione di un vescovo che sia sposato una sola volta.

A parte che come già detto, non è Paolo l'autore di 1Tm, non si capisce per quali motivi grammaticali nel testo greco si debba tradurre nel modo ceiano "non sposato che una sola volta" [da notare la forma in negativo adottata], che non piuttosto "marito di una sola moglie", visto che il testo greco fa proprio μιᾶς γυναικὸς ἄνδρα . Infatti in italiano non sono affatto sinonimi le espressioni "non sposato che una sola volta" e "marito di una sola moglie", visto che il primo testo significa che al vescovo sono vietate seconde nozze, ma non si sa con quante mogli si più celebrare il primo, mentre il secondo indica più chiaramente che il vescovo deve essere sposato con una sole moglie (monogamia dunque) senza però dir nulla a riguardo se gli sia concesso avere seconde nozze o meno (infatti mi sembra di ricordare che al contrario del cattolicesimo, nell'ortodossia e in certi rami del protestantesimo, le seconde nozze siano eccome concesse secondo particolari casi e che dunque il matrimonio possa, sempre in questi casi particolari, essere sciolto senza controindicazioni)

CITAZIONE
altri sostengono che, siccome si poteva ordinare un uomo già sposato, l’apostolo qui stesse semplicemente dicendo che era impossibile ordinare coloro che vivevano da bigami, cioè con due mogli simultaneamente; ciò che rende improbabile questa tesi è che in quegli anni nel mondo antico la poligamia era molto rara e in alcuni casi esplicitamente fuori legge.

E le fonti primarie di questa affermazioni quali sono? A me risulta invece che la poligamia o comunque il concubinato, non fosse affatto vietato tra gli ebrei e non solo abbiamo numerosi ed illustri esempi biblici di profeti di Dio che avevano ben più di una donna senza che questo scatenasse le ire divine, ma perfino oggi, in Terra di Israele, la poligamia è lecita in quanto da sempre ritenuta lecita nell'ebraismo. E questo perchè, il celibato, in quella società antica, era impensabile all'epoca, tanto che un ebreo non poteva nemmeno meritare il titolo di Maestro se non era sposato e con prole (cosi' da dare da esempio, in quanto quello di moltiplicarsi era considerato un comando obbligatorio divino). Nulla da stupirsi dunque se il protocristianesimo abbia seguito fedelmente questa linea ebraica proprio nella prassi di incitare coloro che dovevano istruire i cristiani, che avessero prole e sposa.


CITAZIONE
Ma il pontefice era anche paladino di un’altra causa, cioè che fosse rispettato il divieto per le donne non autorizzate di abitare insieme al sacerdote. A questo proposito faceva una significativa osservazione sul terzo canone del Concilio di Nicea: “Questo grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non tratti della propria madre, di una sorella, di una zia, o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto.” Tra queste non figura la moglie, impossibile dunque per gli ortodossi sostenere che la loro prassi attuale derivante dal II Concilio Trullano fosse quella antica

Mi piacerebbe avere un parere di cosa ne pensi invece l'Ortodosso Teodoro a quanto detto da Polymetis qui. Confermi?

Saluti

Edited by Lucifero ~Sapere Aude~ - 24/5/2011, 00:47
 
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view post Posted on 23/5/2011, 17:22     +1   -1
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CITAZIONE (Lucifero ~Sapere Aude~ @ 23/5/2011, 16:01) 
Ma allora nell'ortodossia quale ordine ecclesiale può avere di preciso accesso al matrimonio?

Tutti tranne i monaci, e i vescovi sono di norma di estrazione monastica.
 
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view post Posted on 23/5/2011, 18:36     +1   -1
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Pensare dunque di capire a chi si riferisca il canone di Nicea con le categorie post-tridentine occidentali è operazione che pecca come minimo di anacronismo.

Intanto vediamo il canone :

ἀπηγόρευσε καθόλου ἡ μεγάλη σύνοδος μήτε ἐπισκόπῳ μήτε πρεσβυτέρῳ μήτε διακόνῳ μήτε ὅλως τῶν ἐν τῷ κλήρῳ τινὶ ἐξεῖναι συνείσακτον ἔχειν, πλὴν εἰ μὴ ἄρα μητέρα, ἢ ἀδελφὴν, ἢ θείαν ἢ ἃ μόνα πρόσωπα ὑποψίαν διαφεύγεν

traduzione mia:

Il grande sinodo proibisce assolutamente sia al vescovo, sia al sacerdote, sia al diacono e a qualsiasi membro del clero di tenere una donna nascostamente, a meno che non tratti della madre, di una sorella, di una zia, o di persona al di sopra di ogni sospetto.

La Novella 137 di Giustiniano sull'ordinazione dei vescovi riprende il testo:

Quod autem divini canones prohibent clericos esse, qui secundam uxorem duxerunt, et inter sanctos Basilius docens, sic ait: Digamos canon ministerio exclusit (inquit) et exiis progenitos. Et haec quidem sanctus Basilius. In tantum autem patribus sacerdotum cura fuit, ut qui Niceae convenerunt, Canonem ediderint ita habentem: Interdixit per omnia magna Synodus, non Episcopo, non presbytero, non diacono, nec alicui, omnino qui in clero est, licere sub introductam habere mulierem, nisi forte aut matrem aut sororem aut amicam, vel eas personas tantum quae suspiciones effugiunt.

La novella è interessante per vari motivi. Innanzitutto cita come legge acquisita i canoni apostolici, che parlano espressamente del divieto di ordinazione di un chierico risposato. Per praticità riporto qui i suddetti canoni, di poco successivi a quelli di Nicea:

CITAZIONE
6. Il vecovo, il presbitero, o il diacono non scacci la propria moglie con il pretesto della religione. Se ciò accade, sia sospeso; se persevera sia deposto.

17. Chi è stato sposato due volte dopo il battesimo, o ha avuto una concubina, non può essere fatto vescovo, presbitero o diacono o accedere ad alcun grado sacerdotale.

18. Chi sposa una vedova o una ripudiata o una cortigiana o una schiava o un’attrice, non può diventare vescovo o prete o diacono o appartenere in qualsiasi modo al collegio sacerdotale

19. Chi ha sposato due sorelle, o la figlia del fratello o della sorella, non può essere ordinato.

27. A coloro che accedono ai ranghi del clero celibi, permettiamo solo ai lettori e ai cantori, se lo desiderano, di sposarsi dopo l'ordinazione.

39. Si lascino i beni propri del vescovo, se ne ha, e ciò che appartiene al Signore sia chiaramente distinto, in modo che egli possa alla morte lasciare i suoi beni a suo piacimento e a chi vuole; che, per via delle rendite ecclesiastiche, quelle del vescovo non diminuiscano, giacché a volte questi ha una moglie e dei figli, o parenti, o servi. Perché ciò è giusto davanti a Dio e agli uomini, che né la Chiesa soffra alcun danno dal non sapere quali beni sono privatamente del vescovo, né che la sua parentela, sotto la pretesa della Chiesa, sia disfatta, né che i suoi congiunti cadano in cause legali, e così la sua morte sia causa di biasimo. (cf.39Schaff)

51.Se un vescovo, presbitero o diacono, o chiunque dell'ordine sacerdotale, si astiene dal matrimonio, dalla carne e dal vino, non per suo proprio esercizio ma perché ha in abominio queste cose dimenticando che«tutte le cose erano molto buone» (Gen 1,31) e che «Dio fece l'uomo maschio e femmina» (Gen 1,26) ed empiamente maltratta la creazione, che si ravveda o sia scomunicato e scacciato dalla Chiesa; e lo stesso per un laico.

Il secondo motivo di interesse è che per spiegare la cura dei Padri per la scelta di candidati al sacerdozio con un adeguato profilo morale attraverso, ad esempio (ed è questo il caso) l'esclusione dei digamos, la Novella cita proprio il terzo canone di Nicea, a dimostrazione che la sub introductam mulierem non può essere la prima (e legittima) moglie, ma semmai la seconda moglie.

Un curioso (ma ormai non ci faccio più caso) caso di censura ecclesiastica internettiana. Se andate su www.documentacatholicaomnia.eu/ troverete nell'enorme banca dati una raccolta di tutte le Novelle di Giustiniano di tema religioso. Tutte, tranne questa (che comunque potete trovare in ogni Corpus Iuris Civilis, e su googlebooks ce ne sono scansionati diversi, io l'ho visto dalla mia edizione cartacea).

Sappiamo da questa e da centinaia di altre fonti che era del tutto ordinario che i presbiteri fossero sposati, come del resto lo stesso NT pacificamente dichiara almeno relativamente ai vescovi e ai diaconi. Un esame del contesto storico del IV secolo (legislazione ecclesiastica e testi patristici in primis) rende assolutamente scontata la corretta interpretazione di συνείσακτον/subintroducta nei termini che ho illustrato.


 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 23/5/2011, 19:16     +1   -1




Teodoro
CITAZIONE
Tutti tranne i monaci, e i vescovi sono di norma di estrazione monastica

Questo vuol dire che vescovi non monaci possono sposarsi e avere figli? O è obbligatorio nell'ortodossia che il vescovo sia stato un monaco?

CITAZIONE
Quod autem divini canones prohibent clericos esse, qui secundam uxorem duxerunt, et inter sanctos Basilius docens, sic ait: Digamos canon ministerio exclusit (inquit) et exiis progenitos. Et haec quidem sanctus Basilius. In tantum autem patribus sacerdotum cura fuit, ut qui Niceae convenerunt, Canonem ediderint ita habentem: Interdixit per omnia magna Synodus, non Episcopo, non presbytero, non diacono, nec alicui, omnino qui in clero est, licere sub introductam habere mulierem, nisi forte aut matrem aut sororem aut amicam, vel eas personas tantum quae suspiciones effugiunt.

mulierem indica moglie in questo contesto, vero? Se è cosi, come mai questo testo latino si discosta dal testo greco del canone niceno che omette la parola moglie dall'elenco? Mi sembra evidente che o il testo niceno ha omesso o il testo giustiniano ha aggiunto : come si spiega?


CITAZIONE
Sappiamo da questa e da centinaia di altre fonti che era del tutto ordinario che i presbiteri fossero sposati come del resto lo stesso NT pacificamente dichiara almeno relativamente ai vescovi e ai diaconi.

Ma, il punto sollevato da Poly, veramente era un'altro : questi presbiteri/diaconi/vescovi potevano continuare l'attività coniugale e fare figli dopo la loro ordinazione sacerdotale? La sua tesi è no, anche se dal NT non si evince affatto questa restrizione.

Saluti
 
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view post Posted on 23/5/2011, 19:40     +1   -1
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CITAZIONE (Lucifero ~Sapere Aude~ @ 23/5/2011, 20:16) 
Questo vuol dire che vescovi non monaci possono sposarsi e avere figli? O è obbligatorio nell'ortodossia che il vescovo sia stato un monaco?

I vescovi non monaci non esistono, come ho già detto. C'è solo la possibilità che un prete sposato, poi divenuto vedovo (o la cui moglie si chiuda in convento con scelta consensuale dei coniugi) passi nella ταξις monastica, e in quel caso può diventare vescovo.

CITAZIONE
mulierem indica moglie in questo contesto, vero? Se è cosi, come mai questo testo latino si discosta dal testo greco del canone niceno che omette la parola moglie dall'elenco? Mi sembra evidente che o il testo niceno ha omesso o il testo giustiniano ha aggiunto : come si spiega?

Il testo latino spiega il testo greco, che usa un lemma particolarmente inusuale, e che comunque non può essere riferito alla prima moglie, come evidenziato dalla Novella 137. Ad esempio in Fozio (Bib, 96, 80)
leggiamo che ὁ μέγας Χρυσόστομος παραυτίκα τοὺς ἔχοντας συνεισάκτους τοῦ ἔθους ἐξέκοψε: "il grande Crisostomo immediatamente abolì l'abitudine di ricevere le figlie spirituali", usanza abbastanza praticata ma che poteva certo dare luogo a scandali. Il termine è lo stesso del canone 3 di Nicea e qui indica palesemente una persona intima (come un figlio spirituale) ma non di famiglia come la moglie.

CITAZIONE
Ma, il punto sollevato da Poly, veramente era un'altro : questi presbiteri/diaconi/vescovi potevano continuare l'attività coniugale e fare figli dopo la loro ordinazione sacerdotale? La sua tesi è no

Io non lotto contro gli alberi genealogici, e la storia della Chiesa è zeppa di figli di preti che esistono placidamente anche contro chi nega l'evidenza. Semplicemente non è un mio problema.


 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 23/5/2011, 19:51     +1   -1




CITAZIONE
la storia della Chiesa è zeppa di figli di preti che esistono placidamente anche contro chi nega l'evidenza.

Ma nell'ortodossia chi è sacerdote, diacono, o comunque non monaco, può dunque continuare a figliare anche dopo l'ordinazione? Scusa, forse hai già risposto, ma non ho capito.

CITAZIONE
I vescovi non monaci non esistono, come ho già detto. C'è solo la possibilità che un prete sposato, poi divenuto vedovo (o la cui moglie si chiuda in convento con scelta consensuale dei coniugi) passi nella ταξις monastica, e in quel caso può diventare vescovo.

Ma questo non va contro i requisiti delle lettere pastorali che vogliono un Vescovo che sia sposato con una moglie ed abbia figli? Se tutti i vescovi devono essere monaci oppure preti sposati ma che devono necessariamente dedicarsi poi alla castità come se le mogli non esistessero, come può realizzarsi questo?


Saluti
 
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view post Posted on 23/5/2011, 20:25     +1   -1
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CITAZIONE (Lucifero ~Sapere Aude~ @ 23/5/2011, 20:51) 
Ma nell'ortodossia chi è sacerdote, diacono, o comunque non monaco, può dunque continuare a figliare anche dopo l'ordinazione? Scusa, forse hai già risposto, ma non ho capito.

Certo che continua a fare figli, il matrimonio fino a prova contraria serve a quello. Chi pensa che la Chiesa del primo millennio sia talmente dissociata da ordinare gli sposati per poi vietargli di praticare il matrimonio non ha capito qualcosa.

CITAZIONE
Ma questo non va contro i requisiti delle lettere pastorali che vogliono un Vescovo che sia sposato con una moglie ed abbia figli? Se tutti i vescovi devono essere monaci oppure preti sposati ma che devono necessariamente dedicarsi poi alla castità come se le mogli non esistessero, come può realizzarsi questo?

Si e no. Se nel NT ci fosse già una chiara distinzione tra episcopi e presbiteri la prassi ecclesiale del VII secolo sarebbe manifestamente contraddittoria, ma è ormai ampiamente accettato che il confine tra questi due termini fosse ampiamente elastico fino almeno alla metà del II secolo, e questo (purtroppo aggiungo) lascia la porta aperta alla restrizione del Trullano.
Ricordo comunque che in questa sede non ci occupiamo della prassi attuale ma solo del suo sviluppo storico nel primo millennio.
Un millennio di certo non celibatario.

Edited by Teodoro Studita - 23/5/2011, 22:35
 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 23/5/2011, 22:54     +1   -1




CITAZIONE
Certo che continua a fare figli, il matrimonio fino a prova contraria serve a quello.

Ah ecco, mi sembrava infatti, proprio quello mi premeva sapere, perfetto.

CITAZIONE
Chi pensa che la Chiesa del primo millennio sia talmente dissociata da ordinare gli sposati per poi vietargli di praticare il matrimonio non ha capito qualcosa.

Mi pareva che stavi per scrivere "non ha capito nulla!", ma poi mi sono ricordato che sto interloquendo con il Teo e non il Poly :D
Comunque, scherzi a parte, come dicevo, è proprio quest'ultimo che sostiene che i sacerdoti ordinati, nonostante precedentemente ammogliati, si dedicassero poi completamente alla castità e lo fa con una certa documentazione storica patristica (che dovrebbe essere particolarmente autorevole anche per te mi pare) probante la sua tesi. Cito dal suo articolo apologetico:

Era prassi nella Chiesa antica infatti ordinare uomini sposati purché dopo l’ordinazione, di comune accordo con la moglie, vivessero come fossero fratello e sorella, cioè senza usare più il matrimonio. Nella Chiesa cattolica di rito latino si sono ordinati per secoli persone già sposate, ma solo a condizione di quanto detto sopra, oggi invece è possibile ordinare una persona sposata solo per il diaconato, ma non per il presbiterato.


Boh, non lo so, ma solo io vedo quanto sia impreciso, fazioso e fuorviante chiamare "Chiesa antica" una pratica estesa non alla Chiesa Antica nel suo insieme, ma bensi' solo ad un'area ben circoscritta della stessa (visto che quella Orientale mi pare tutt'altro d'accordo con l'asserzione sopra), e tutto sommato nemmeno cosi' antica?

Comunque, il punto saliente di quanto volevo quotare era in realtà questo (metto in Spoiler per non appesantire il thread all'intero forum, in particolare presta attenzione alle asserzioni evidenziate e sottolineate):

SPOILER (click to view)
una dichiarazione vincolante fatta dal II Concilio Africano dell’anno 390 e successivamente ripetuta , formalizzata nel Concilio dell’anno 419 che sotto la rubrica “Che la castità dei leviti e dei sacerdoti deve essere custodita” recita fra le altre cose: “Conviene che (…) tutti coloro che servono ai divini sacramenti siano continenti in tutto (…), affinché così anche noi custodiamo ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutta l’antichità ha conservato. (…) A ciò tutti i vescovi risposero unanimemente: Noi siamo d’accordo che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi custodi della castità si astengano anch’essi dalle loro mogli, affinché in tutto e da tutti coloro che servono all’altare sia conservata la castità” [Concilia Africae a. 345-525 (Ed. Munier in Corpus Christianorum Series Latina149Turnholti 1971), 13]. Si fa menzione cioè ad una tradizione indiscussa e accettata, inoltre, è il caso di ricordarlo per il futuro, la continenza viene legata al servizio all’altare. Sin qui s’è vista qual era la prassi unanimemente accettata nelle diocesi africane, ma che dire della Chiesa di Roma, giacché come ci ricorda Ireneo “con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa… essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli”? [Ricordiamo en passant che il vescovo Ireneo era discepolo di San Policarpo, il quale a sua volta discepolo di S. Giovanni, siamo dunque dinnanzi ad un testimone della primissima tradizione apostolica, separato da una sola generazione dalla bocca dell’evangelista]. Le prime testimonianze vengono da due papi, Siricio ed Innocenzo I. Di fronte al lassismo imperante il vescovo Himerio di Terragona chiese al papa istruzioni sull’obbligo della continenza, domande cui il papa rispose con la lettera “Directa” [Decretale “Directa”, Migne PL 13, 1131-1147] asserendo che tali chierici stavano violando una legge irrinunciabile che lega gli aderenti agli ordini sacri alla Chiesa. Si trova in questa lettera anche un argomento teologico che farà scuola come avremo modo di vedere in seguito. Si sosteneva cioè da parte Himerio che i sacerdoti dell’Antico Testamento avevano l’obbligo di rimanere casti solo nel periodo in cui servivano al tempio e che una volta finito il loro turno potevano usare il matrimonio, ma la risposta del papa è quanto di più logico esista: giacché a differenza dei sacerdoti dell’Antico Testamento quelli cristiani debbono prestare servizio sacro ogni giorno si esige una continenza perenne. Una seconda lettera venne inviata ai vescovi africani nel 386 per comunicare loro le deliberazioni di un sinodo romano in materia di celibato per contrastare il fenomeno della trasgressione alla continenza sacerdotale, si afferma en passant che non sono affatto obblighi nuovi ma regole ben conosciute da tutti, eppure continuamente violate a cause della pigrizia e del lassismo, proprio a simili comportamenti umani si doveva la lettera papale. La nona disposizione di questo sinodo romano ribadisce quanto già sappiamo: gli uomini ordinati quand’erano già sposati devono astenersi da rapporti sessuali con le rispettive mogli poiché il ministero sacerdotale è per essi quotidiano. Si motiva ciò ricordando che San Paolo aveva scritto ai Corinzi di astenersi dal sesso per potersi occupare con la dedizione necessaria alla preghiera (1Cor 7,5), e questo per i laici, tanto più dunque i sacerdoti quando servono all’altare osserveranno la continenza. Per la prima volta in Occidente viene dato risposta, dagli ottanta vescovi riuniti quali rappresentanti della Traditio universale, alla classica obiezione contro il celibato, sollevata oggi come allora, secondo cui l’Apostolo Paolo in 1Tm 3,2 indica quale condizione per l’ordinazione di un vescovo che sia sposato una sola volta. Si tratta della famosa questione dell’ unius uxoris vir, che paradossalmente, come vedremo in seguito, nella letteratura patristica era un argomento pro continenza e non contro. A questo proposito sentiamo il prof. Ignace de la Potterie che ha dedicato un notevole studio alla questione: “La clausola è una delle formule principali sulle quali si basava la Tradizione antica per rivendicare proprio l'origine apostolica della legge del celibato sacerdotale. Questo però era senza dubbio un enorme paradosso: come è possibile fondare il celibato dei sacerdoti partendo da testi che parlano di ministri sposati? Un tale ragionamento può avere qualche senso soltanto se si trova tra i due estremi (il matrimonio dei ministri e il celibato) un termine medio: è quello della continenza a cui si obbligavano proprio i ministri sposati. E probabilmente perché questo valore di mediazione della continenza non è stato più capito in seguito, che in tempi recenti la formula “unius uxoris vir ” non è più stata usata nelle discussioni sul celibato. E’ molto opportuno oggi riesaminare attentamente quell’ argomento tradizionale. L'altra ragione per cui questi testi sono specialmente importanti dal punto di vista strettamente biblico sta nel fatto che sono gli unici passi del Nuovo Testamento in cui viene emanata una norma identica per i tre gruppi dei ministri ordinati, e solo per loro: infatti, secondo le Lettere Pastorali, deve essere “ unius uxoris vir” sia l'episcopo (1 Tm 3,2), sia il presbitero (Tt 1,6), sia il diacono (1 Tm 3,12), mentre quella formula (tecnica a quanto sembra) non viene mai adoperata per gli altri cristiani. C'è qui dunque una esigenza specifica per l'esercizio del sacerdozio ministeriale in quanto tale.” [Ignace de la Potterie, Il fondamento biblico del celibato ecclesiastico, in La Chiesa cattolica e l’importanza del celibato, Dossier Fides 11-03-2006]. Ecco le parole di Papa Siricio che come ricordo riferisce ai vescovi africani le decisioni del sinodo Romano: “Egli (Paolo) non ha parlato di un uomo che persisterebbe nel desiderio di generare ma ha parlato in vista della continenza che avrebbero da osservare in futuro (propter continentiam futuram)” [La decretale “ Cum in unum ” di papa Siricio qui citata è rinvenibile in PL 13, 1161 A]. C. Cochini nel suo monumentale studio sull’origine del celibato, in linea con papa Siricio, così commenta la clausola paolina: “ La monogamia, (ossia la legge dell’unius uxoris vir) è una condizione per accedere agli Ordini, perché la fedeltà (finora osservata) a una sola donna è la garanzia per verificare che il candidato sarà capace (in futuro) di praticare la continenza perfetta che verrà chiesta da lui dopo l'ordinazione.(…) Questa esegesi delle prescrizioni di san Paolo a Timoteo e a Tito è un anello essenziale col quale i vescovi del sinodo romano del 386 e il papa Siricio si situano in continuità con l'età apostolica.” [Cochini Christian, Origines apostoliques du célibat sacerdotal, Le Sycomore, Ed. Lethielleux, Paris 1981, Culture et verité, Narum, pag. 33]. Anche Innocenzo I (401-417) si occupò della continenza dei ministri cristiani a causa di una richiesta sulle misure disciplinari da adottare proveniente dai vescovi della Gallia, anch’essi col problema di un clero sposato, e così scrisse: “Molti vescovi in varie chiese particolari si sono affrettati in umana temerarietà di cambiare le tradizioni dei Padri per cui sono incappati nel buio dell’eresia preferendo così l’onore presso gli uomini ai meriti presso Dio” [Lettera “Dominus inter”, Introduzione]. In particolare alla terza domanda dei vescovi gallici si dà la seguente risposta: “In primo luogo è stato deciso riguardo ai vescovi, sacerdoti e diaconi che debbono partecipare ai sacrifici divini, attraverso le mani dei quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corpo di Cristo, che vengono costretti non solo da noi ma dalle Scritture divine alla castità: ai quali anche i Padri hanno ingiunto di conservare la continenza corporale" C’è dunque la consapevolezza che non si tratta di una imposizione recente ma di un obbligo derivante dalla Scrittura e della tradizione universale, che solo per lassismo e mancata educazione alla continenza crea problemi ai chierici. Uno dei motivi per cui dal II Concilio Trullano in poi la tradizione antica in Oriente sarà perduta mentre in Occidente s’è conservata è proprio la continua perseveranza dei pontefici nel ribadire questo dettame apostolico; una simile attenzione in Oriente non era possibile sia per la mancanza di un governo centrale com’era quello romano in Occidente sia perché il II Concilio Trullano più che introdurre una novità si arrendeva ad un dato di fatto, la mancata continenza del clero dovuta al fatto che non s’erano presi provvedimenti in tempo. Un altro intervento del sollecito magistero romano sulla questione lo troviamo in una lettera del 456 che San Leone Magno scrisse al vescovo Rustico di Narbonne: “La legge della continenza è la stessa per i ministri dell'altare (diaconi) come per i sacerdoti e i vescovi. Quando erano ancora laici e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare figli. Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima. Affinché perciò il matrimonio carnale diventasse un matrimonio spirituale è necessario che le spose di prima non già si mandassero via ma che si avessero come se non le avessero( cf. 1Cor 7,29), affinché così rimanesse salvo l'amore coniugale ma cessasse allo stesso tempo anche l'uso del matrimonio". (PL 54, 1194). In un passo delle Quaestiones veteris et novi Testamenti emerge con chiarezza il pensiero dei Padri nel loro insieme sulla questione : “Si potrà dire: se è permesso e buono il matrimonio, perché non è permesso ai preti di prender moglie? Altrimenti detto: perché gli uomini ordinati non possono più unirsi ad una sposa? In effetti ci sono delle cose che non sono permesse a nessuno, senza alcuna eccezione, ce ne sono, d’altra parte, alcune che sono permesse a uno, ma non ad altri, e ce ne sono infine che sono permesse in certi momenti ma non in altri. …. E per questo che il prete di Dio dev’essere più puro degli altri; infatti egli passa per Suo rappresentante personale, ed è effettivamente suo vicario, avendo in sorte che ciò che è permesso agli altri non è permesso a lui … Infatti, confrontate alla luce dei lampi, le tenebre non sono solamente oscure ma squallide; rapportata alle stelle, la luce delle lampade non è che nebbia, e contemporaneamente paragonate col sole, le stelle sono oscure, e, se raffrontato con lo splendore di Dio, il sole non è che la notte.. Così, le cose che in rapporto a noi sono lecite e pure, sono illecite ed impure dinnanzi alla dignità di Dio; infatti, per quanto buone siano, non convengono alla persona di Dio. E’ per questo che i preti di Dio devono essere più puri degli altri, essendo loro donato di rappresentare Cristo” (CSEL 50, 414-415). Veniamo poi alla testimonianza del più grande biblista dell’antichità, San Girolamo (347-419), l’autore della Vulgata, che pur essendo uno dei padri latini visse gran parte della sua vita in Oriente e in Terra Santa, ci sarà utile per capire quale fosse la ricezione del versetto paolino sull’unius uxoris vir in tutto l’ecumene e soprattutto sul celibato in generale. Nell’ Adversus Jovinianum dà la stessa esegesi della clausola paolina che finora abbiamo trovato dovunque : l’apostolo tratta di un uomo che ha potuto avere bambini prima della sua ordinazione (e che ha il compito di ben educarli), non di qualcuno che continuerebbe in seguito a generarne (PL 23, 257 . Ritorna poi sulla santità del servizio divino e della preghiera dicendo, come tutti gli altri Padri, che a differenza dell’Antico Testamento i sacerdoti cristiani attendono a questo compito ininterrottamente, in una formula assai decisa ed icastica esprime tutto il pensiero della Traditio: “si semper orandum et ergo semper carendum matrimonio” [Ivi, tr. “Se bisogna sempre pregare dunque bisogna anche stare senza matrimonio”] Nell’importante Adversus Vigilantium ripete che i ministri sacri all’altare hanno l’obbligo della continenza, e, en passant, ci informa che questa è la pratica di tutto l’Oriente, dove si accettano per il presbiterato solo o celibi o comunque persone che abbiano rinunciato al matrimonio: “Che farebbero le Chiese d’Oriente? Che farebbero quelle dell’Egitto o della Siria o della Sede Apostolica che non accettano i chierici che non siano vergini o continenti, o, se hanno avuto una sposa, che non abbiano rinunciato alla vita matrimoniale” (PL 23, 340-341)
E’ dunque qualcosa non di romano ma qualcosa che appartiene a tutte le Chiese dell’ecumene, una Traditio apostolica universale. Stessi concetti nell’Apologeticum ad Pammachium dove questo grande biblista ci informa che gli apostoli erano ”o vergini o continenti dopo il matrimonio” ( Ep 49, 21 – CSEL m54,285 s.) e aggiunge che “i preti, i vescovi, i diaconi sono scelti vergini o vedovi o certamente pudichi dopo il sacerdozio” (PL 22,510) , e quando alla motivazione riporta la giustificazione teologica classica secondo cui la verginità del presbyteros dipende ed è immagine di quella di Gesù e della Vergine: ”Il Cristo vergine e la vergine Maria hanno per ciascun sesso consacrato il principio della verginità: gli apostoli furono o vergini o continenti dopo il matrimonio” Da un altro grande testimone della tradizione, papa Gregorio Magno, traiamo le stesse affermazioni. Afferma che l’obbligo del celibato non è opera sua ma Traditio apostolica. Basti qui citare un suo bel brano ove oltre a elogiare in generale la continenza anche per i laici spiega perché questo voto sia perpetuo: “Si devono pertanto ammonire coloro che non sanno resistere alle tempeste della tentazione senza mettere a repentaglio la loro salvezza, di rifugiarsi nel porto del matrimonio; sta scritto infatti: E’ meglio sposarsi che bruciare (1Cor 7,9). Senza colpa alcuna, cioè, si rifugiano nella vita matrimoniale, se tuttavia non hanno ancora scelto uno stato migliore, perché chi si è proposto di abbracciare un bene maggiore, ha reso illecito il bene minore che prima gli era lecito. Sta scritto infatti: Nessuno che metta la mano all’aratro e guardi indietro è atto per il regno dei cieli (Lc 9,62). Ora, chi ha diretto l’intenzione a una meta più alta guarda certamente indietro se abbandona i beni maggiori e ritorna ai beni inferiori.” (Regola Pastorale, 3,27). [...]


Ora, è vero che Polymetis qua si riferisce principalmente alla tradizione occidentale (e dunque in circoscrizione ad essa potrebbe anche aver ragione), però la tratta (come da me sottolineato nei vari passaggi in neretto che cita o sono suoi) come se essa avesse autorità e valore vincolante anche per la tradizione tout-court e dunque per anche quella ortodossa, proprio per questo mi premeva un tuo giudizio (possibilmente argomentato) Teo sulla pretenziosità dell'articolo di dimostrare una tradizione in supremazia alle altre [quella occidentale romana ovviamente] o meno.

Comunque, nel caso mi rispondessi con qualcosa tipo "Ma che mi frega a me della tradizione occidentale e degli intenti apologetici di Polymetis di difenderla e spacciarla come l'unica vera", Poly tratta anche e proprio le fonti orientali, (anche qua metto in spoiler):

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Per quanto concerne l’Oriente basti citare Epifanio di Salamina, grande difensore dell’ortodossia, vescovo dell’isola di Cipro (315-403), nei suoi 86 anni di vita girò il mondo e conobbe la tradizione degli apostoli così come era in ogni Chiesa. Afferma che Dio ha mostrato nel mondo il carisma del sacerdozio grazie agli uomini che o sono divenuti celibi dopo l’ordinazione o furono sempre vergini. Questa, ci dice Epifanio al pari di tutti gli altri, è norma stabilità dagli apostoli in sapienza e santità. [Panarion (Adv. Haer.). Haer.48, 9 PG 41, 868, 1024 oppure Griech. Christl. Schriftsteller.31 (1921), 219]
Diceva questo all’interno di una confutazione dei montanisti, i quali rifiutavano il matrimonio, dicendo che non c’è nulla di più contrario ai voleri del Signore il quale scelse gli apostoli anche fra gente sposata, tuttavia precisa che essi dopo la chiamata seguirono l’esempio di Cristo e si mantennero casti. E’ vero che ci sono alcuni che trasgrediscono questa norma, ma il fatto che ci sia qualcuno che trasgredisce ciò che è comandato, argomenta Epifanio, non autorizza anche noi a fare lo stesso. [Panarion (Adv. Haer.). Haer.59, 4. GCS 31, 367] Per una dichiarazione generale di Epifanio su quale fosse la disciplina ecclesiastica di mandato apostolico si può leggere anche il seguente testo: “In mancanza di vergini il sacerdote si recluta fra i monaci; se non ci sono monaci in numero sufficiente per il ministero, si recluta tra gli sposi che serbano la continenza con la propria moglie, o tra gli ex-monogami vedovi; ma nella Chiesa non è permesso di ammettere al matrimonio l’uomo risposato (ennesima testimonianza sul senso dell’unius uxoris vir paolino N.d.R. ); anche se ora serba la continenza o è vedovo, è escluso dall’ordine dei vescovi, dei preti, dei diaconi e dei suddiaconi” [ PG 42, 823 ss. Oppure GCS 37 (1933), 522] Checché ne dicano i moderni detrattori dunque l’esegesi corretta della clausola paolina era chiara a tutto il mondo antico e aveva tutt’altro significato rispetto a quello invocato da TdG e protestanti, specie perché questo ci viene detto anche dai Padri greci, che la loro lingua la conoscevano evidentemente. Il corretto modo di intendere il versetto è patrimonio comune di tutto l’ecumene antico, si possono leggere a questo proposito:
-Eusebio di Cesarea, La dimostrazione Evangelica. I, 9 (QCS 23, 43).
-Epifanio di Salamina, Panarion, Eresia 59 ; -Esposizione della fede, 21 (GCS 31, 367 ; 37, 522).
-San Giovanni Crisostomo, Commento alla prima lettera a Timoteo, cap. III, hom. 10 (PG 62, 547-549).
- Ambrosiaster, Commento alla prima lettera a Timoteo. 111, 12 (PL 17, 497).
- Sant’Ambrogio, Ep. 63.Lettera alla Chiesa di Vercelli. 62-63 (PL 16, 1257-1258).
-San Girolamo, Adversus Jovinianum. I, 34 ; Ep. 49, Apologeticum ad Pammachium, 10 et 21 ; Adversus Vigilantium. 2 (PL 23, 257 ; CSEL 54, 365 et 386-387 ; PL 23, 340-341).
- Sant’ Isidoro di Siviglia . De ecclesiasticis officiis. II, 5, 8 (PL 83, 783, 790).
La testimonianza di San Girolamo già riportata, la quale ci parla della continenza del clero come prassi comune in Oriente, è particolarmente importante a motivo del cosmopolitismo del santo e della sua conoscenza delle pratiche di tutto l’ecumene. Basti ricordare che fu ordinato prete in Asia minore ove dimorò per sei anni incontrando le più grandi personalità del suo tempo. Dopo tre anni a Roma andò in Egitto ed in seguito in Palestina ove dimorò sino alla morte, la sua testimonianza su quella che era la prassi celibataria in Oriente è dunque di capitale importanza.


Ai già citati passi evangelici ne aggiunge altri a sostegno della sua tesi:

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Venendo ora ai fondamenti teologici del celibato, per i quali comunque si rimanda ad opere specifiche [,Ad esempio la Pastores dabo vobis di Giovanni Paolo II] è sinteticamente necessario dire che essi si basano sull’affinità tra il sacerdote e Cristo. Il sacerdote rappresenta Cristo fra i fedeli, così San Paolo scrive: “L’uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio”(1Cor 4,1) o 2Cor 5,20: “Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio”, il sacerdote deve poter dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
Ciò è il nucleo di tutta la teologia celibataria, il sacerdote segue il suo maestro quando disse: “Vi sono alcuni che si fanno eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca” (Mt 19,12), giacché non vive più secondo la carne ma secondo lo Spirito (Rm 8,8) Così presi dal regno di Dio che non si può avere altro per la testa. A questo proposito mi viene in mente l’esempio di Rabbi ben Azzai, che a fine I secolo osserva il celibato: pur insegnando che era bene sposarsi e che anzi procreare era un dovere perché così si perpetuava il popolo ebraico, diceva di sé: “La mia anima è presa dalla Thora, è così assorbita che non mi rimane tempo per le cose del matrimonio. Il mondo continuerà per opera di altri” [Strack-Billerbeck, Kommentar 1, p.807]. I modelli biblici non mancano, pensiamo ad esempio ai tre giorni di continenza di Tobia all’inizio del suo matrimonio, secondo alcune versioni di Tb 6,12-22, o Geremia “Non prender moglie” (Ger 16,1), l’Haggada inoltre attribuisce a Elia ed Eliseo una perfetta continenza dopo la vocazione. Ci sono poi precedenti tra gli esseni, o in una comunità di vergini descritta da Filone. [Sulla questione del celibato in quegli anni rimando a René Laurentin, I vangeli dell’infanzia di Cristo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986, Edizioni Paoline, pag. 555-556]. San Paolo rivolgendosi ai laici dice che “colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.” Infatti “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!”(1Cor 7,32-34). E se è tenuta in tal conto da San Paolo la verginità tra i laici, quanto più tra i presbyteroi. Il sacerdote vuole appunto essere tutto per Cristo, non essere diviso(1Cor7,34). Sulle obiezioni al celibato derivate da (1Tm 3,2) ove appare la formula dell’unius uxoris vir abbiamo già detto, riassumiamo quella che è l’unanime Traditio apostolica con le lapidarie parole del Decreto di Graziano , dove, come del resto in tutti i Padri, la clausola paolina non viene letta come un argomento contro il celibato ma anzi come pro-continenza, infatti “colui che aveva bisogno di riposarsi dimostrava con ciò che non poteva vivere la continenza richiesta ai sacri ministri e perciò non poteva essere ordinato”, a motivo di ciò nell’illustrare le ragioni per cui un risposato non possa essere ordinato la Glossa ordinaria al decreto di Graziano adduce l’argomento classico. Stessa cosa il Decretalista Hostiens spiega nel suo commento alle Decretali di Gregorio IX: “Perché si deve temere (in questo caso) l'incontinenza".Vorrei dunque ricapitolare le argomentazioni pro celibato nella Bibbia ed implementarle: Cristo ha detto che ci sono alcuni che per il regno dei cieli scelgono di non sposarsi e i presbyteroi sono tra questi (Mt 19,12), dei quali è detto che lasciano anche casa e moglie (Lc 18, 19; 14,26). Paolo stesso parla del diverso rapporto che celibi e sposati hanno con Dio (1Cor 7,32-33), invitando addirittura alla castità tra coniugi in vista della preghiera(1Cor 7,5), a maggior ragione dunque tra i sacerdoti che servono Dio costantemente.



CITAZIONE
Sappiamo da questa e da centinaia di altre fonti che era del tutto ordinario che i presbiteri fossero sposati, come del resto lo stesso NT pacificamente dichiara almeno relativamente ai vescovi e ai diaconi.

Guarda Polymetis aveva obiettato proprio a questo tipo di repliche da parte degli ortodossi. Anche stavolta in Spoiler:

SPOILER (click to view)
[il celibato] non si tratta di una imposizione recente ma di un obbligo derivante dalla Scrittura e della tradizione universale, che solo per lassismo e mancata educazione alla continenza crea problemi ai chierici. Uno dei motivi per cui dal II Concilio Trullano in poi la tradizione antica in Oriente sarà perduta mentre in Occidente s’è conservata è proprio la continua perseveranza dei pontefici nel ribadire questo dettame apostolico; una simile attenzione in Oriente non era possibile sia per la mancanza di un governo centrale com’era quello romano in Occidente sia perché il II Concilio Trullano più che introdurre una novità si arrendeva ad un dato di fatto, la mancata continenza del clero dovuta al fatto che non s’erano presi provvedimenti in tempo. [...] il II Trullano s’era limitato ad arrendersi davanti al dato di fatto, che vedeva la Chiesa bizantina colma di preti sposati per nulla intenzionati a conservarsi casti. C’è da dire tuttavia che il II Concilio Trullano conserva l’obbligo di continenza per i vescovi e proibisce i matrimoni dopo che si è stati ordinati, conservando in ciò il senso della clausola paolina dell’unius uxoris vir. Inoltre, come punto teologico notevole, il presbyteros sposato deve comunque conservare la continenza nei giorni in cui serve all’altare, norma possibile col fatto che in Oriente la messa era limitata allora alla domenica. Oggi tuttavia anche in Oriente essa può essere detta tutti i giorni e dunque il clero ortodosso si rivela incoerente con la legislazione trullana stessa da cui oggi dipende.[...] Sulle obiezioni al celibato derivate da (1Tm 3,2) ove appare la formula dell’unius uxoris vir abbiamo già detto, riassumiamo quella che è l’unanime Traditio apostolica con le lapidarie parole del Decreto di Graziano , dove, come del resto in tutti i Padri, la clausola paolina non viene letta come un argomento contro il celibato ma anzi come pro-continenza, infatti “colui che aveva bisogno di riposarsi dimostrava con ciò che non poteva vivere la continenza richiesta ai sacri ministri e perciò non poteva essere ordinato”. Così dunque dall’interpretazione dei Padri sino ai glossatori classici, nonché il canone 3 della legislazione trullana stessa, che è incomprensibile senza dare il senso succitato al passo della lettera Timoteo, su questo gli ortodossi che usano il passo di Paolo in senso anti-celibatario dovrebbero riflettere.


P.S: (ora per favore, che nessuno dei mod mi cancelli le citazioni riportate e mi si accusi di essere ginnasta del mouse solo perchè sono lunghe, poichè tali passaggi erano proprio nella loro integrità, necessari per evidenziare e allo stesso tempo far comprendere nel loro contesto le parti da me sottolineate). Le ho pure messe in spoiler, cosi' che solo gli interessati possano vedere i punti da me quotati ed evidenziati per non appesantire la lettura del testo. Comunque nel caso non ti andasse di fare una lunga replica mi basta anche una sintesi, possibilmente ben condita da qualche riferimento primario a quanto vuoi sostenere, grazie.


Saluti

Edited by Lucifero ~Sapere Aude~ - 24/5/2011, 05:52
 
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view post Posted on 24/5/2011, 12:00     +1   -1
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Cominciamo con il dire che nella chiesa latina (perché solo la chiesa romana ha imposto il celibato) le norme anti-celibatarie continuano con un andamento a pussez fino al Concilio di Trento. Ciò vuol dire che era pratica del tutto abituale per il clero (anche maggiore) avere moglie e figli giacché, come recita una regula aurea dell'ermeneutica conciliare, nessuno vieta ciò che non si fa.

Andando nello specifico vediamo di esaminare una cosa alla volta. Ad esempio questo:

CITAZIONE
una dichiarazione vincolante fatta dal II Concilio Africano dell’anno 390 e successivamente ripetuta , formalizzata nel Concilio dell’anno 419 che sotto la rubrica “Che la castità dei leviti e dei sacerdoti deve essere custodita” recita fra le altre cose: “Conviene che (…) tutti coloro che servono ai divini sacramenti siano continenti in tutto (…), affinché così anche noi custodiamo ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutta l’antichità ha conservato. (…) A ciò tutti i vescovi risposero unanimemente: Noi siamo d’accordo che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi custodi della castità si astengano anch’essi dalle loro mogli, affinché in tutto e da tutti coloro che servono all’altare sia conservata la castità”

Questo è semplicemente la disciplina canonica di tutta la Chiesa antica, che prevedeva il digiungo (i.e. osservanza di particolari norme alimentari e continenza sessuale) il giorno prima di servire all'altare, così come, mutatis mutandis, nei normali tempi di digiuno dell'anno, inizialmente più o meno solo la Grande Quaresima, poi prima delle grandi feste e poi anche tutti i mercoledì e venerdì dell'anno, per un totale di circa 200 giorni l'anno in epoca post-iconoclasta.

Anche oggi, se andiamo a leggere le rubriche per la preparazione alla celebrazione della divina liturgia, possiamo leggere:

Quando il sacerdote vuole compiere la divina celebrazione dei misteri, deve prima essere riconciliato con tutti e non aver nulla contro alcuno; deve preservare il suo cuore, per quanto possibile, dai pensieri cattivi, osservare l’astinenza fin dalla sera e rimanere sobrio fino al tempo della celebrazione sacra. Quando giunge il tempo, entra nel tempio e insieme con il diacono fa tre inchini verso oriente davanti alle porte sante.

Questi canoni, dunque, non fanno altro che illustrare questa disciplina, ma non hanno a che vedere con fantomatiche trasformazioni di tutti i matrimoni del clero in "matrimoni bianchi". Questa è semplicemente una leggenda costruita ad arte per i motivi che ben conosciamo facilmente smentita dalle numerosissime fonti che abbiamo.

Di certo in talune aree occidentali (in ispecie nella Spagna visigotica) esiste una maggiore tendenza al celibato, dovuta in buona parte alla perifericità e al relativo isolamento dai grandi centri metropolitani, ma anche qui il succedersi di molti concili (vedansi i toletani) che dicono sempre la medesima cosa è la principale attestazione che tali norme non erano recepite dalla Chiesa neanche a livello locale.

Torneremo su questo.


 
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Lucifero ~Sapere Aude~
view post Posted on 24/5/2011, 13:59     +1   -1




Grazie della replica Teo. Nel caso volessi nuovamente approfondire su quanto hai detto prima, non te lo chiedo, ma se sei disponibile, mi piacerebbe invece che prendessimo in considerazione il diciamo "Jolly" che Poly usa per dare credibilità, attendibilità ed autorità vincolante vincolante alla Chiesa di Roma : Ireneo da Lione:

che dire della Chiesa di Roma, giacché come ci ricorda Ireneo “con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa… essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli”? [Ricordiamo en passant che il vescovo Ireneo era discepolo di San Policarpo, il quale a sua volta discepolo di S. Giovanni, siamo dunque dinnanzi ad un testimone della primissima tradizione apostolica, separato da una sola generazione dalla bocca dell’evangelista].

Le parole di Ireneo, come ci tiene a sottolineare Poly, sono attendibili? E in che misura?


Grazie e Saluti
 
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49 replies since 22/5/2011, 22:15   1566 views
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