| Lucifero ~Sapere Aude~ |
| | CITAZIONE Certo che continua a fare figli, il matrimonio fino a prova contraria serve a quello. Ah ecco, mi sembrava infatti, proprio quello mi premeva sapere, perfetto. CITAZIONE Chi pensa che la Chiesa del primo millennio sia talmente dissociata da ordinare gli sposati per poi vietargli di praticare il matrimonio non ha capito qualcosa. Mi pareva che stavi per scrivere " non ha capito nulla!", ma poi mi sono ricordato che sto interloquendo con il Teo e non il Poly Comunque, scherzi a parte, come dicevo, è proprio quest'ultimo che sostiene che i sacerdoti ordinati, nonostante precedentemente ammogliati, si dedicassero poi completamente alla castità e lo fa con una certa documentazione storica patristica (che dovrebbe essere particolarmente autorevole anche per te mi pare) probante la sua tesi. Cito dal suo articolo apologetico: Era prassi nella Chiesa antica infatti ordinare uomini sposati purché dopo l’ordinazione, di comune accordo con la moglie, vivessero come fossero fratello e sorella, cioè senza usare più il matrimonio. Nella Chiesa cattolica di rito latino si sono ordinati per secoli persone già sposate, ma solo a condizione di quanto detto sopra, oggi invece è possibile ordinare una persona sposata solo per il diaconato, ma non per il presbiterato.Boh, non lo so, ma solo io vedo quanto sia impreciso, fazioso e fuorviante chiamare "Chiesa antica" una pratica estesa non alla Chiesa Antica nel suo insieme, ma bensi' solo ad un'area ben circoscritta della stessa (visto che quella Orientale mi pare tutt'altro d'accordo con l'asserzione sopra), e tutto sommato nemmeno cosi' antica? Comunque, il punto saliente di quanto volevo quotare era in realtà questo (metto in Spoiler per non appesantire il thread all'intero forum, in particolare presta attenzione alle asserzioni evidenziate e sottolineate): una dichiarazione vincolante fatta dal II Concilio Africano dell’anno 390 e successivamente ripetuta , formalizzata nel Concilio dell’anno 419 che sotto la rubrica “Che la castità dei leviti e dei sacerdoti deve essere custodita” recita fra le altre cose: “Conviene che (…) tutti coloro che servono ai divini sacramenti siano continenti in tutto (…), affinché così anche noi custodiamo ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutta l’antichità ha conservato. (…) A ciò tutti i vescovi risposero unanimemente: Noi siamo d’accordo che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi custodi della castità si astengano anch’essi dalle loro mogli, affinché in tutto e da tutti coloro che servono all’altare sia conservata la castità” [Concilia Africae a. 345-525 (Ed. Munier in Corpus Christianorum Series Latina149Turnholti 1971), 13]. Si fa menzione cioè ad una tradizione indiscussa e accettata, inoltre, è il caso di ricordarlo per il futuro, la continenza viene legata al servizio all’altare. Sin qui s’è vista qual era la prassi unanimemente accettata nelle diocesi africane, ma che dire della Chiesa di Roma, giacché come ci ricorda Ireneo “con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa… essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli”? [Ricordiamo en passant che il vescovo Ireneo era discepolo di San Policarpo, il quale a sua volta discepolo di S. Giovanni, siamo dunque dinnanzi ad un testimone della primissima tradizione apostolica, separato da una sola generazione dalla bocca dell’evangelista]. Le prime testimonianze vengono da due papi, Siricio ed Innocenzo I. Di fronte al lassismo imperante il vescovo Himerio di Terragona chiese al papa istruzioni sull’obbligo della continenza, domande cui il papa rispose con la lettera “Directa” [Decretale “Directa”, Migne PL 13, 1131-1147] asserendo che tali chierici stavano violando una legge irrinunciabile che lega gli aderenti agli ordini sacri alla Chiesa. Si trova in questa lettera anche un argomento teologico che farà scuola come avremo modo di vedere in seguito. Si sosteneva cioè da parte Himerio che i sacerdoti dell’Antico Testamento avevano l’obbligo di rimanere casti solo nel periodo in cui servivano al tempio e che una volta finito il loro turno potevano usare il matrimonio, ma la risposta del papa è quanto di più logico esista: giacché a differenza dei sacerdoti dell’Antico Testamento quelli cristiani debbono prestare servizio sacro ogni giorno si esige una continenza perenne. Una seconda lettera venne inviata ai vescovi africani nel 386 per comunicare loro le deliberazioni di un sinodo romano in materia di celibato per contrastare il fenomeno della trasgressione alla continenza sacerdotale, si afferma en passant che non sono affatto obblighi nuovi ma regole ben conosciute da tutti, eppure continuamente violate a cause della pigrizia e del lassismo, proprio a simili comportamenti umani si doveva la lettera papale. La nona disposizione di questo sinodo romano ribadisce quanto già sappiamo: gli uomini ordinati quand’erano già sposati devono astenersi da rapporti sessuali con le rispettive mogli poiché il ministero sacerdotale è per essi quotidiano. Si motiva ciò ricordando che San Paolo aveva scritto ai Corinzi di astenersi dal sesso per potersi occupare con la dedizione necessaria alla preghiera (1Cor 7,5), e questo per i laici, tanto più dunque i sacerdoti quando servono all’altare osserveranno la continenza. Per la prima volta in Occidente viene dato risposta, dagli ottanta vescovi riuniti quali rappresentanti della Traditio universale, alla classica obiezione contro il celibato, sollevata oggi come allora, secondo cui l’Apostolo Paolo in 1Tm 3,2 indica quale condizione per l’ordinazione di un vescovo che sia sposato una sola volta. Si tratta della famosa questione dell’ unius uxoris vir, che paradossalmente, come vedremo in seguito, nella letteratura patristica era un argomento pro continenza e non contro. A questo proposito sentiamo il prof. Ignace de la Potterie che ha dedicato un notevole studio alla questione: “La clausola è una delle formule principali sulle quali si basava la Tradizione antica per rivendicare proprio l'origine apostolica della legge del celibato sacerdotale. Questo però era senza dubbio un enorme paradosso: come è possibile fondare il celibato dei sacerdoti partendo da testi che parlano di ministri sposati? Un tale ragionamento può avere qualche senso soltanto se si trova tra i due estremi (il matrimonio dei ministri e il celibato) un termine medio: è quello della continenza a cui si obbligavano proprio i ministri sposati. E probabilmente perché questo valore di mediazione della continenza non è stato più capito in seguito, che in tempi recenti la formula “unius uxoris vir ” non è più stata usata nelle discussioni sul celibato. E’ molto opportuno oggi riesaminare attentamente quell’ argomento tradizionale. L'altra ragione per cui questi testi sono specialmente importanti dal punto di vista strettamente biblico sta nel fatto che sono gli unici passi del Nuovo Testamento in cui viene emanata una norma identica per i tre gruppi dei ministri ordinati, e solo per loro: infatti, secondo le Lettere Pastorali, deve essere “ unius uxoris vir” sia l'episcopo (1 Tm 3,2), sia il presbitero (Tt 1,6), sia il diacono (1 Tm 3,12), mentre quella formula (tecnica a quanto sembra) non viene mai adoperata per gli altri cristiani. C'è qui dunque una esigenza specifica per l'esercizio del sacerdozio ministeriale in quanto tale.” [Ignace de la Potterie, Il fondamento biblico del celibato ecclesiastico, in La Chiesa cattolica e l’importanza del celibato, Dossier Fides 11-03-2006]. Ecco le parole di Papa Siricio che come ricordo riferisce ai vescovi africani le decisioni del sinodo Romano: “Egli (Paolo) non ha parlato di un uomo che persisterebbe nel desiderio di generare ma ha parlato in vista della continenza che avrebbero da osservare in futuro (propter continentiam futuram)” [La decretale “ Cum in unum ” di papa Siricio qui citata è rinvenibile in PL 13, 1161 A]. C. Cochini nel suo monumentale studio sull’origine del celibato, in linea con papa Siricio, così commenta la clausola paolina: “ La monogamia, (ossia la legge dell’unius uxoris vir) è una condizione per accedere agli Ordini, perché la fedeltà (finora osservata) a una sola donna è la garanzia per verificare che il candidato sarà capace (in futuro) di praticare la continenza perfetta che verrà chiesta da lui dopo l'ordinazione.(…) Questa esegesi delle prescrizioni di san Paolo a Timoteo e a Tito è un anello essenziale col quale i vescovi del sinodo romano del 386 e il papa Siricio si situano in continuità con l'età apostolica.” [Cochini Christian, Origines apostoliques du célibat sacerdotal, Le Sycomore, Ed. Lethielleux, Paris 1981, Culture et verité, Narum, pag. 33]. Anche Innocenzo I (401-417) si occupò della continenza dei ministri cristiani a causa di una richiesta sulle misure disciplinari da adottare proveniente dai vescovi della Gallia, anch’essi col problema di un clero sposato, e così scrisse: “Molti vescovi in varie chiese particolari si sono affrettati in umana temerarietà di cambiare le tradizioni dei Padri per cui sono incappati nel buio dell’eresia preferendo così l’onore presso gli uomini ai meriti presso Dio” [Lettera “Dominus inter”, Introduzione]. In particolare alla terza domanda dei vescovi gallici si dà la seguente risposta: “In primo luogo è stato deciso riguardo ai vescovi, sacerdoti e diaconi che debbono partecipare ai sacrifici divini, attraverso le mani dei quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corpo di Cristo, che vengono costretti non solo da noi ma dalle Scritture divine alla castità: ai quali anche i Padri hanno ingiunto di conservare la continenza corporale" C’è dunque la consapevolezza che non si tratta di una imposizione recente ma di un obbligo derivante dalla Scrittura e della tradizione universale, che solo per lassismo e mancata educazione alla continenza crea problemi ai chierici. Uno dei motivi per cui dal II Concilio Trullano in poi la tradizione antica in Oriente sarà perduta mentre in Occidente s’è conservata è proprio la continua perseveranza dei pontefici nel ribadire questo dettame apostolico; una simile attenzione in Oriente non era possibile sia per la mancanza di un governo centrale com’era quello romano in Occidente sia perché il II Concilio Trullano più che introdurre una novità si arrendeva ad un dato di fatto, la mancata continenza del clero dovuta al fatto che non s’erano presi provvedimenti in tempo. Un altro intervento del sollecito magistero romano sulla questione lo troviamo in una lettera del 456 che San Leone Magno scrisse al vescovo Rustico di Narbonne: “La legge della continenza è la stessa per i ministri dell'altare (diaconi) come per i sacerdoti e i vescovi. Quando erano ancora laici e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare figli. Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima. Affinché perciò il matrimonio carnale diventasse un matrimonio spirituale è necessario che le spose di prima non già si mandassero via ma che si avessero come se non le avessero( cf. 1Cor 7,29), affinché così rimanesse salvo l'amore coniugale ma cessasse allo stesso tempo anche l'uso del matrimonio". (PL 54, 1194). In un passo delle Quaestiones veteris et novi Testamenti emerge con chiarezza il pensiero dei Padri nel loro insieme sulla questione : “Si potrà dire: se è permesso e buono il matrimonio, perché non è permesso ai preti di prender moglie? Altrimenti detto: perché gli uomini ordinati non possono più unirsi ad una sposa? In effetti ci sono delle cose che non sono permesse a nessuno, senza alcuna eccezione, ce ne sono, d’altra parte, alcune che sono permesse a uno, ma non ad altri, e ce ne sono infine che sono permesse in certi momenti ma non in altri. …. E per questo che il prete di Dio dev’essere più puro degli altri; infatti egli passa per Suo rappresentante personale, ed è effettivamente suo vicario, avendo in sorte che ciò che è permesso agli altri non è permesso a lui … Infatti, confrontate alla luce dei lampi, le tenebre non sono solamente oscure ma squallide; rapportata alle stelle, la luce delle lampade non è che nebbia, e contemporaneamente paragonate col sole, le stelle sono oscure, e, se raffrontato con lo splendore di Dio, il sole non è che la notte.. Così, le cose che in rapporto a noi sono lecite e pure, sono illecite ed impure dinnanzi alla dignità di Dio; infatti, per quanto buone siano, non convengono alla persona di Dio. E’ per questo che i preti di Dio devono essere più puri degli altri, essendo loro donato di rappresentare Cristo” (CSEL 50, 414-415). Veniamo poi alla testimonianza del più grande biblista dell’antichità, San Girolamo (347-419), l’autore della Vulgata, che pur essendo uno dei padri latini visse gran parte della sua vita in Oriente e in Terra Santa, ci sarà utile per capire quale fosse la ricezione del versetto paolino sull’unius uxoris vir in tutto l’ecumene e soprattutto sul celibato in generale. Nell’ Adversus Jovinianum dà la stessa esegesi della clausola paolina che finora abbiamo trovato dovunque : l’apostolo tratta di un uomo che ha potuto avere bambini prima della sua ordinazione (e che ha il compito di ben educarli), non di qualcuno che continuerebbe in seguito a generarne (PL 23, 257 . Ritorna poi sulla santità del servizio divino e della preghiera dicendo, come tutti gli altri Padri, che a differenza dell’Antico Testamento i sacerdoti cristiani attendono a questo compito ininterrottamente, in una formula assai decisa ed icastica esprime tutto il pensiero della Traditio: “si semper orandum et ergo semper carendum matrimonio” [Ivi, tr. “Se bisogna sempre pregare dunque bisogna anche stare senza matrimonio”] Nell’importante Adversus Vigilantium ripete che i ministri sacri all’altare hanno l’obbligo della continenza, e, en passant, ci informa che questa è la pratica di tutto l’Oriente, dove si accettano per il presbiterato solo o celibi o comunque persone che abbiano rinunciato al matrimonio: “Che farebbero le Chiese d’Oriente? Che farebbero quelle dell’Egitto o della Siria o della Sede Apostolica che non accettano i chierici che non siano vergini o continenti, o, se hanno avuto una sposa, che non abbiano rinunciato alla vita matrimoniale” (PL 23, 340-341) E’ dunque qualcosa non di romano ma qualcosa che appartiene a tutte le Chiese dell’ecumene, una Traditio apostolica universale. Stessi concetti nell’Apologeticum ad Pammachium dove questo grande biblista ci informa che gli apostoli erano ”o vergini o continenti dopo il matrimonio” ( Ep 49, 21 – CSEL m54,285 s.) e aggiunge che “i preti, i vescovi, i diaconi sono scelti vergini o vedovi o certamente pudichi dopo il sacerdozio” (PL 22,510) , e quando alla motivazione riporta la giustificazione teologica classica secondo cui la verginità del presbyteros dipende ed è immagine di quella di Gesù e della Vergine: ”Il Cristo vergine e la vergine Maria hanno per ciascun sesso consacrato il principio della verginità: gli apostoli furono o vergini o continenti dopo il matrimonio” Da un altro grande testimone della tradizione, papa Gregorio Magno, traiamo le stesse affermazioni. Afferma che l’obbligo del celibato non è opera sua ma Traditio apostolica. Basti qui citare un suo bel brano ove oltre a elogiare in generale la continenza anche per i laici spiega perché questo voto sia perpetuo: “Si devono pertanto ammonire coloro che non sanno resistere alle tempeste della tentazione senza mettere a repentaglio la loro salvezza, di rifugiarsi nel porto del matrimonio; sta scritto infatti: E’ meglio sposarsi che bruciare (1Cor 7,9). Senza colpa alcuna, cioè, si rifugiano nella vita matrimoniale, se tuttavia non hanno ancora scelto uno stato migliore, perché chi si è proposto di abbracciare un bene maggiore, ha reso illecito il bene minore che prima gli era lecito. Sta scritto infatti: Nessuno che metta la mano all’aratro e guardi indietro è atto per il regno dei cieli (Lc 9,62). Ora, chi ha diretto l’intenzione a una meta più alta guarda certamente indietro se abbandona i beni maggiori e ritorna ai beni inferiori.” (Regola Pastorale, 3,27). [...] Ora, è vero che Polymetis qua si riferisce principalmente alla tradizione occidentale (e dunque in circoscrizione ad essa potrebbe anche aver ragione), però la tratta (come da me sottolineato nei vari passaggi in neretto che cita o sono suoi) come se essa avesse autorità e valore vincolante anche per la tradizione tout-court e dunque per anche quella ortodossa, proprio per questo mi premeva un tuo giudizio (possibilmente argomentato) Teo sulla pretenziosità dell'articolo di dimostrare una tradizione in supremazia alle altre [quella occidentale romana ovviamente] o meno. Comunque, nel caso mi rispondessi con qualcosa tipo " Ma che mi frega a me della tradizione occidentale e degli intenti apologetici di Polymetis di difenderla e spacciarla come l'unica vera", Poly tratta anche e proprio le fonti orientali, (anche qua metto in spoiler): Per quanto concerne l’Oriente basti citare Epifanio di Salamina, grande difensore dell’ortodossia, vescovo dell’isola di Cipro (315-403), nei suoi 86 anni di vita girò il mondo e conobbe la tradizione degli apostoli così come era in ogni Chiesa. Afferma che Dio ha mostrato nel mondo il carisma del sacerdozio grazie agli uomini che o sono divenuti celibi dopo l’ordinazione o furono sempre vergini. Questa, ci dice Epifanio al pari di tutti gli altri, è norma stabilità dagli apostoli in sapienza e santità. [Panarion (Adv. Haer.). Haer.48, 9 PG 41, 868, 1024 oppure Griech. Christl. Schriftsteller.31 (1921), 219] Diceva questo all’interno di una confutazione dei montanisti, i quali rifiutavano il matrimonio, dicendo che non c’è nulla di più contrario ai voleri del Signore il quale scelse gli apostoli anche fra gente sposata, tuttavia precisa che essi dopo la chiamata seguirono l’esempio di Cristo e si mantennero casti. E’ vero che ci sono alcuni che trasgrediscono questa norma, ma il fatto che ci sia qualcuno che trasgredisce ciò che è comandato, argomenta Epifanio, non autorizza anche noi a fare lo stesso. [Panarion (Adv. Haer.). Haer.59, 4. GCS 31, 367] Per una dichiarazione generale di Epifanio su quale fosse la disciplina ecclesiastica di mandato apostolico si può leggere anche il seguente testo: “In mancanza di vergini il sacerdote si recluta fra i monaci; se non ci sono monaci in numero sufficiente per il ministero, si recluta tra gli sposi che serbano la continenza con la propria moglie, o tra gli ex-monogami vedovi; ma nella Chiesa non è permesso di ammettere al matrimonio l’uomo risposato (ennesima testimonianza sul senso dell’unius uxoris vir paolino N.d.R. ); anche se ora serba la continenza o è vedovo, è escluso dall’ordine dei vescovi, dei preti, dei diaconi e dei suddiaconi” [ PG 42, 823 ss. Oppure GCS 37 (1933), 522] Checché ne dicano i moderni detrattori dunque l’esegesi corretta della clausola paolina era chiara a tutto il mondo antico e aveva tutt’altro significato rispetto a quello invocato da TdG e protestanti, specie perché questo ci viene detto anche dai Padri greci, che la loro lingua la conoscevano evidentemente. Il corretto modo di intendere il versetto è patrimonio comune di tutto l’ecumene antico, si possono leggere a questo proposito: -Eusebio di Cesarea, La dimostrazione Evangelica. I, 9 (QCS 23, 43). -Epifanio di Salamina, Panarion, Eresia 59 ; -Esposizione della fede, 21 (GCS 31, 367 ; 37, 522). -San Giovanni Crisostomo, Commento alla prima lettera a Timoteo, cap. III, hom. 10 (PG 62, 547-549). - Ambrosiaster, Commento alla prima lettera a Timoteo. 111, 12 (PL 17, 497). - Sant’Ambrogio, Ep. 63.Lettera alla Chiesa di Vercelli. 62-63 (PL 16, 1257-1258). -San Girolamo, Adversus Jovinianum. I, 34 ; Ep. 49, Apologeticum ad Pammachium, 10 et 21 ; Adversus Vigilantium. 2 (PL 23, 257 ; CSEL 54, 365 et 386-387 ; PL 23, 340-341). - Sant’ Isidoro di Siviglia . De ecclesiasticis officiis. II, 5, 8 (PL 83, 783, 790). La testimonianza di San Girolamo già riportata, la quale ci parla della continenza del clero come prassi comune in Oriente, è particolarmente importante a motivo del cosmopolitismo del santo e della sua conoscenza delle pratiche di tutto l’ecumene. Basti ricordare che fu ordinato prete in Asia minore ove dimorò per sei anni incontrando le più grandi personalità del suo tempo. Dopo tre anni a Roma andò in Egitto ed in seguito in Palestina ove dimorò sino alla morte, la sua testimonianza su quella che era la prassi celibataria in Oriente è dunque di capitale importanza. Ai già citati passi evangelici ne aggiunge altri a sostegno della sua tesi: Venendo ora ai fondamenti teologici del celibato, per i quali comunque si rimanda ad opere specifiche [,Ad esempio la Pastores dabo vobis di Giovanni Paolo II] è sinteticamente necessario dire che essi si basano sull’affinità tra il sacerdote e Cristo. Il sacerdote rappresenta Cristo fra i fedeli, così San Paolo scrive: “L’uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio”(1Cor 4,1) o 2Cor 5,20: “Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio”, il sacerdote deve poter dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Ciò è il nucleo di tutta la teologia celibataria, il sacerdote segue il suo maestro quando disse: “Vi sono alcuni che si fanno eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca” (Mt 19,12), giacché non vive più secondo la carne ma secondo lo Spirito (Rm 8,8) Così presi dal regno di Dio che non si può avere altro per la testa. A questo proposito mi viene in mente l’esempio di Rabbi ben Azzai, che a fine I secolo osserva il celibato: pur insegnando che era bene sposarsi e che anzi procreare era un dovere perché così si perpetuava il popolo ebraico, diceva di sé: “La mia anima è presa dalla Thora, è così assorbita che non mi rimane tempo per le cose del matrimonio. Il mondo continuerà per opera di altri” [Strack-Billerbeck, Kommentar 1, p.807]. I modelli biblici non mancano, pensiamo ad esempio ai tre giorni di continenza di Tobia all’inizio del suo matrimonio, secondo alcune versioni di Tb 6,12-22, o Geremia “Non prender moglie” (Ger 16,1), l’Haggada inoltre attribuisce a Elia ed Eliseo una perfetta continenza dopo la vocazione. Ci sono poi precedenti tra gli esseni, o in una comunità di vergini descritta da Filone. [Sulla questione del celibato in quegli anni rimando a René Laurentin, I vangeli dell’infanzia di Cristo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986, Edizioni Paoline, pag. 555-556]. San Paolo rivolgendosi ai laici dice che “colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.” Infatti “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!”(1Cor 7,32-34). E se è tenuta in tal conto da San Paolo la verginità tra i laici, quanto più tra i presbyteroi. Il sacerdote vuole appunto essere tutto per Cristo, non essere diviso(1Cor7,34). Sulle obiezioni al celibato derivate da (1Tm 3,2) ove appare la formula dell’unius uxoris vir abbiamo già detto, riassumiamo quella che è l’unanime Traditio apostolica con le lapidarie parole del Decreto di Graziano , dove, come del resto in tutti i Padri, la clausola paolina non viene letta come un argomento contro il celibato ma anzi come pro-continenza, infatti “colui che aveva bisogno di riposarsi dimostrava con ciò che non poteva vivere la continenza richiesta ai sacri ministri e perciò non poteva essere ordinato”, a motivo di ciò nell’illustrare le ragioni per cui un risposato non possa essere ordinato la Glossa ordinaria al decreto di Graziano adduce l’argomento classico. Stessa cosa il Decretalista Hostiens spiega nel suo commento alle Decretali di Gregorio IX: “Perché si deve temere (in questo caso) l'incontinenza".Vorrei dunque ricapitolare le argomentazioni pro celibato nella Bibbia ed implementarle: Cristo ha detto che ci sono alcuni che per il regno dei cieli scelgono di non sposarsi e i presbyteroi sono tra questi (Mt 19,12), dei quali è detto che lasciano anche casa e moglie (Lc 18, 19; 14,26). Paolo stesso parla del diverso rapporto che celibi e sposati hanno con Dio (1Cor 7,32-33), invitando addirittura alla castità tra coniugi in vista della preghiera(1Cor 7,5), a maggior ragione dunque tra i sacerdoti che servono Dio costantemente. CITAZIONE Sappiamo da questa e da centinaia di altre fonti che era del tutto ordinario che i presbiteri fossero sposati, come del resto lo stesso NT pacificamente dichiara almeno relativamente ai vescovi e ai diaconi. Guarda Polymetis aveva obiettato proprio a questo tipo di repliche da parte degli ortodossi. Anche stavolta in Spoiler: [il celibato] non si tratta di una imposizione recente ma di un obbligo derivante dalla Scrittura e della tradizione universale, che solo per lassismo e mancata educazione alla continenza crea problemi ai chierici. Uno dei motivi per cui dal II Concilio Trullano in poi la tradizione antica in Oriente sarà perduta mentre in Occidente s’è conservata è proprio la continua perseveranza dei pontefici nel ribadire questo dettame apostolico; una simile attenzione in Oriente non era possibile sia per la mancanza di un governo centrale com’era quello romano in Occidente sia perché il II Concilio Trullano più che introdurre una novità si arrendeva ad un dato di fatto, la mancata continenza del clero dovuta al fatto che non s’erano presi provvedimenti in tempo. [...] il II Trullano s’era limitato ad arrendersi davanti al dato di fatto, che vedeva la Chiesa bizantina colma di preti sposati per nulla intenzionati a conservarsi casti. C’è da dire tuttavia che il II Concilio Trullano conserva l’obbligo di continenza per i vescovi e proibisce i matrimoni dopo che si è stati ordinati, conservando in ciò il senso della clausola paolina dell’unius uxoris vir. Inoltre, come punto teologico notevole, il presbyteros sposato deve comunque conservare la continenza nei giorni in cui serve all’altare, norma possibile col fatto che in Oriente la messa era limitata allora alla domenica. Oggi tuttavia anche in Oriente essa può essere detta tutti i giorni e dunque il clero ortodosso si rivela incoerente con la legislazione trullana stessa da cui oggi dipende.[...] Sulle obiezioni al celibato derivate da (1Tm 3,2) ove appare la formula dell’unius uxoris vir abbiamo già detto, riassumiamo quella che è l’unanime Traditio apostolica con le lapidarie parole del Decreto di Graziano , dove, come del resto in tutti i Padri, la clausola paolina non viene letta come un argomento contro il celibato ma anzi come pro-continenza, infatti “colui che aveva bisogno di riposarsi dimostrava con ciò che non poteva vivere la continenza richiesta ai sacri ministri e perciò non poteva essere ordinato”. Così dunque dall’interpretazione dei Padri sino ai glossatori classici, nonché il canone 3 della legislazione trullana stessa, che è incomprensibile senza dare il senso succitato al passo della lettera Timoteo, su questo gli ortodossi che usano il passo di Paolo in senso anti-celibatario dovrebbero riflettere. P.S: (ora per favore, che nessuno dei mod mi cancelli le citazioni riportate e mi si accusi di essere ginnasta del mouse solo perchè sono lunghe, poichè tali passaggi erano proprio nella loro integrità, necessari per evidenziare e allo stesso tempo far comprendere nel loro contesto le parti da me sottolineate). Le ho pure messe in spoiler, cosi' che solo gli interessati possano vedere i punti da me quotati ed evidenziati per non appesantire la lettura del testo. Comunque nel caso non ti andasse di fare una lunga replica mi basta anche una sintesi, possibilmente ben condita da qualche riferimento primario a quanto vuoi sostenere, grazie. Saluti Edited by Lucifero ~Sapere Aude~ - 24/5/2011, 05:52
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