Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo, discontinuita' tra il maestro e la Chiesa

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negazionista
view post Posted on 21/1/2012, 15:53 by: negazionista     +1   -1




Le conclusioni a cui giunge l'indagine storica in da gesù al cristianesimo sono riassunte in nove tesi-ipotesi (definite così perché sempre soggette a verifiche e aggiustamenti, e proposte con l’intento di provocare una discussione):

1. «Gesù pensava di vivere, di situarsi e avere una funzione, in un periodo immediatamente precedente l’avvento del regno di Dio» (pag. 209);
2. «Per Gesù il regno di Dio è [...] il quinto regno previsto dal Libro di Daniele, quello che verrà dopo i quattro regni dei re dei popoli» (pag. 211);
3. «I suoi discepoli si trovarono di fronte al fatto che Gesù non c’era più e che il regno di Dio non c’era ancora» (pag. 214);
4. «Gesù non aveva dato alcuna indicazione su almeno tre problemi: 1. come comportarsi nei confronti del problema della conversione dei non-giudei; 2. come comportarsi di fronte al fatto che il regno di Dio non si verificava; 3. come organizzare le comunità di seguaci» ;
5. dopo la morte di Gesù, vi furono due correnti su come comportarsi nei confronti dei gentili: la prima sosteneva che essi dovessero osservare la legge biblica integralmente, circoncisione compresa; la seconda corrente, paolina, proponeva una giudaizzazione parziale: i gentili dovevano convertirsi all’adorazione dell’unico Dio, ma non dovevano seguire integralmente i precetti biblici. Pesce sostiene che quello che noi chiamiamo cristianesimo non sia espressione di nessuna di queste due correnti, ma è «la terza forma, quella che “gentilizzò” il messaggio di Gesù de-giudaizzandolo. [Il cristianesimo è] la religione dei gruppi etnici che hanno aderito a Gesù assimilando alle culture e alle religioni tradizionali non giudaiche il suo giudaismo» (pag. 215);
6. «Di fronte al non verificarsi dell’avvento del regno di Dio le risposte furono molteplici e molto diverse fra loro e non poterono fare appello a Gesù» (pag. 217);
7. «C’è una radicale differenza tra regno di Dio e risurrezione» (pag. 219). Gesù predicava l’imminenza del primo, ponendo questa credenza come fondamento della sua pratica; è stato Paolo a mettere in primo piano la resurrezione, rendendola l’evento cardinale del cristianesimo.
8. «La continuità tra i gruppi di seguaci di Gesù e Gesù non è primariamente cristologica, ma teo-logica» (pag. 221), nel senso che la continuità con Gesù è dovuta al fatto che al centro della fede non vi è la figura del Cristo, ma il rapporto tra l’uomo e Dio;
9. «I seguaci di Gesù – almeno ad un certo punto – si organizzarono in “chiese”, ekklesiai. Come ogni forma sociale, anche le ekklesiai ebbero bisogno di un’organizzazione interna e di sistemi di rapporto reciproco. Su questo tema Gesù non aveva lasciato alcuna indicazione» (pag. 223).

Il risultato dell’analisi è che se, per certi versi, è possibile avvicinarsi alla storicità di Gesù, risulta più arduo stabilire quando, come e dove sia nato esattamente ciò che chiamiamo cristianesimo, specialmente se lo consideriamo come una “religione”, poiché anche questo termine è un’invenzione moderna. Il processo è stato lungo e complesso. Le prime comunità di seguaci di Gesù avevano vangeli, pratiche e credenze diverse le une dalle altre. Pesce rimanda a un’ulteriore opera la risoluzione delle questioni poste da questo suo libro, ma sembra avere profondamente ragione nell’affermare che «Gesù possa intendersi non tanto come fondatore, ma come riferimento dei diversi tipi di cristianesimo che si andavano fondando. Egli veniva posto all’origine di una molteplicità di tendenze le quali tutte, in modo diverso, cercarono di appellarsi a qualche aspetto della sua azione e del suo messaggio nel momento in cui andavano affrontando sempre nuove e diverse situazioni» (pag. 225).
Come che sia, abbandonando l’indagine storica di Pesce, il cristianesimo vincente, divenuto ufficiale, ha rinunciato al Padre vivente per divenire la religione del Figlio morto.
CITAZIONE
A parte che non capisco il discorso della discontinuità, se per Pesce non esistono verità assolute nella storia allora non esistono neppure discontinuità che si possano ritenere nette, insomma se si nega che esistano tali novità assolute nella storia, allora tali novità assolute non le ha portate nè Gesù, nè Paolo, nè i cristiani successivi.

Occorre infatti specificare che Gesù secondo il prof di Bologna non ha portato novità assolute rispetto all'ebraismo come cultura, come pure Paolo, anche se quest'ultimo costituisce una novità assoluta rispetto allo stesso Gesù (e sopra ho elencato alcune differenze). Quella chiamata da Pesce la terza forma ''gentile'' di cristianesimo (da cui prende davvero le mosse il cristianesimo attuale) non fu una novità assoluta rispetto al mondo gentile, ma lo fu piuttosto rispetto all'ebraismo di gesù e di paolo (anche perchè è nata molto dopo la generazione di Paolo, e non in giudea).

Quindi la discontinuità non solo è presente tra Paolo e Gesù, ma anche tra Paolo e il cristianesimo successivo: per questo Pesce afferma all'inizio del libro di trovare opposizione nell'affermare questo tra gli esegeti soprattutto cattolici, i quali più che al letteralismo biblico protestante, ci tengono di più a non vedere mai spezzato il filo della continuità che da gesù e paolo porta all'ultimo papa. E' un tema insomma delicato, e preferisco assumerlo come ipotesi in questa sezione, piuttosto che come oggetto di uno sterile dibattito in sezione storia nella quale mi vedrei sicuramente perdente pur condividendo in cuor mio la neutralità accademica del prof. Pesce, il quale comunque chiarisce, come riportato nella risposta a cantalamessa, che

CITAZIONE
La ricerca storica - almeno la mia e di molti, molti esegeti oggi - non è né per la fede, né per la non-fede. Non nasce da una ragione corrosiva ed "incredula". Rivendico l'autonomia della ricerca dalle fedi e dalle non fedi.

Ma a questo punto vorrei scoprire le carte iniziali:
www.gliscritti.it/approf/2008/papers/bellia300408.htm
qui trovate alcune frasi che in realtà ho copiato all'inizio dell'intero topic, nel mio primo post, in particolare le seguenti parole.

CITAZIONE
Perciò la convinzione di Mauro Pesce che «la ricerca storica rigorosa non allontani dalla fede, ma non spinga neppure verso di essa», motivandola con il ragionamento che «una cosa è cercare Gesù per ottenerne benefici di salvezza o, al contrario, per criticare e combattere la fede delle Chiese», mentre altra cosa è «tentare di conoscere storicamente ciò che Gesù ha in effetti detto, fatto, sperimentato e creduto» (p. 236), contiene una sua ovvia verità ma ci sorprende per la sua acerbità oltre che per la sua impraticabilità.

Insomma, è il tema che ripeto in continuazione: in assenza di prove per l'uno o per l'altro senso, dove ha origine la fede e la pretesa cristiana nel 2012?
In un atto di volontà interiore che solo dopo cerca le prove ''apologetiche'' per confermarsi ancor di più pur partendo da uno scenario di parziale assenza di prove?
Pascal diceva : credete e la fede vous abetir, vi imbestialirà (con gran scorno dei suoi lettori), intendendo così che solo dopo l'acquisto della fede è possibile fare lo sforzo immane di trovare tutti i cavilli ''logici'' ai vari problemi teologici, sociali, morali, politici ed economici che affliggono la Chiesa. Ma alla base ci deve essere una fede pura e semplice. Dove la trovate, per non incorrere nell'accusa di bigotteria e di clericalismo o peggio ancora?
PS non mi rispondete ricordandomi che la fede è un dono di Dio, perchè ci vorrebbe fede anche per poter fare quest'affermazione.

Ma a questo punto, se vedete la mia domanda un nonsense, direi di terminare la discussione. Sarebbe interessante però sapere perchè in un altro topic Polymetis ha definito Kierkegaard una deriva nella storia della filosofia...
 
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92 replies since 17/1/2012, 12:57   3740 views
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