Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo, discontinuita' tra il maestro e la Chiesa

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JohannesWeiss
view post Posted on 23/1/2012, 02:50 by: JohannesWeiss     +1   -1




Ciao a tutti, finalmente ho un attimo di tempo per dare qualche rispostina veloce in questo thread che mi vede spesso citato.

Elijah, dopo avermi correttamente identificato come kierkegaardiano, mi ha anche collocato sulla scia di Schleiermacher. Non avendo mai approfondito questo pensatore ed essendo i miei ricordi filosofici troppo sbiaditi, sospendo il giudizio se ciò sia esatto o meno. Mi limito a dire che non mi ritrovo nell'idea della fede come "sentimento" così come la intendo io (ma forse non Schleiermacher), ovvero come un che di sostanzialmente passivo. Per me la fede è al contrario qualcosa di incomparabilmente attivo, trattandosi di un atto attraverso cui il soggetto impegna e dà forma alla sua intera esistenza, e da questo punto di vista lo considero molto più affine all'etica. La differenza - fondamentale, e qui sono totalmente kierkegaardiano - è che l'etica (in quanto etica razionale) è espressione del "generale" (essendo una proposizione etica intrinsecamente universale, per cui chiunque vi si può in linea di principio riconoscere ed approvarla senza sforzo), laddove la fede è l'atto con cui il singolo trascende il generale (es)ponendosi come singolo di fronte all'Assoluto.

Certamente poi io non disconosco la dimensione ecclesiale della fede, né mi illudo che il pensiero kierkegaardiano possa semplicemente sostituirsi ai concetti metafisici insieme ai quali la fede ha via via trovato le sue varie formulazioni dogmatiche. Tale sostituzione sarebbe del resto impossibile, essendo quello di Kierkegaard un pensiero asistematico (e del resto lui si concepiva come scrittore religioso, più che come filosofo) che dal punto di vista teoretico resta per molti aspetti vincolato al suo essere reazione e protesta contro la filosofia hegeliana.
Nondimeno il suo resta un salutare monito e un antidoto perennemente efficace contro lo scadimento del cristianesimo in "cristianità", un rischio che potrebbe a prima vista sembrare totalmente anacronistico (essendo il mondo contemporaneo ampiamente decristianizzato) ma che invece non cessa di essere attuale sia a livello sociale, laddove si persegue una strumentalizzazione culturale e politica della fede cristiana, sia a livello ecclesiale, allorché ci si arrocca in una difesa ottusa della Traditio in chiave meramente oppositiva e di fatto settaria.
Insomma, per poco che sembri, il pensiero di Kierkegaard può aiutare la teologia (come pure la filosofia cristiana) a mantenere la trascendenza di Dio e a non degenerare in ideologia, e questo precisamente relativizzando le pretese della ragione (senza che ciò debba automaticamente tradursi in un suo svilimento).
Il fatto poi che - come è stato fatto notare - uno dei più grandi neotomisti cattolici, padre Cornelio Fabro, sia stato anche un entusiasta studioso di Kierkegaard, mi fa sospettare che una qualche integrazione tra il pensiero kierkegaardiano, la fede cattolica e il tomismo (o altre filosofie cristiane), possa essere qualcosa di più di una mia bislacca opinione.
E con questo credo di aver risposto ad uno dei quesiti dell'amico Negazionista.

Per quanto riguarda le affermazioni di Pesce circa la completa appartenenza di Gesù al giudaismo del suo tempo, si tratta di acquisizioni ampiamente condivise nell'attuale panorama accademico. Se questo giudizio degli storici costituisca anche un problema teologico, dipenderà dal tipo di teologia che si ha.
Dal mio punto di vista (ovvero da come mi riesce di comprendere e abbracciare la teologia cattolica) non lo è, per la ragione che il rivelarsi di Dio (di cui il Gesù-realmente-vissuto-ed-ecclesialmente-testimoniato è certo il vertice insuperabile) è un evento di tipo storico che non è limitato né dai trent'anni di vita del Nazareno, né dalla morte dell'ultimo apostolo, ne dalla stesura o dalla canonizzazione degli scritti neotestamentari, bensì è coestensivo all'intera storia umana (ed ecclesiale). In breve: dal momento che Dio si rivela storicamente ed esperienzialmente (e la teologia è il tentativo di rendere razionalmente e in parte veicolare tale esperienza), le forme in cui tale esperienza avviene nell'esistenza di ogni credente e nell'evolversi della cultura umana in genere sono parte integrante della rivelazione divina.
Questo è a mio avviso il valore del concetto cattolico di Traditio (che anch'io abbraccio, come peraltro faceva, a suo modo, Alfred Loisy contro Harnack), e qui è anche dove fatico un po' a seguire il prof. Pesce nei suoi pressanti e sferzanti appelli di riforma ecclesiale mediante un ritorno al Gesù storico.
Qui Pesce (nota bene: quando interviene non come storico, bensì come...semplice essere umano e cittadino italiano) commette un'operazione che non mi convince molto, vuoi perché entra di fatto in tensione con la distinzione (da lui altrimenti perfettamente osservata in sede scientifica) tra storia e fede, vuoi perché sembra pretendere che la Chiesa Cattolica possa buttare alle ortiche la sua stessa essenza in nome di un ritorno teologicamente assurdo al Gesù storico, ovvero ad una controversa costruzione degli storici (ma, dal punto di vista cattolico, lo stesso varrebbe nel caso di un ritorno al Gesù dei vangeli). Pur condividendo in buona parte lo spirito di questi appelli di Pesce, e abbracciando volentieri l'idea che il Gesù dei vangeli (e anche "qualche Gesù storico") giochi una importante funzione critica e correttiva nei confronti del pensiero teologico e della Chiesa in genere, non posso però proprio figurarmi una Chiesa Cattolica che faccia del Gesù dei vangeli, e a fortiori di quello degli storici, il suo unico ed esclusivo riferimento normativo, senza con ciò cessare di essere sé stessa.

Edited by JohannesWeiss - 23/1/2012, 04:02
 
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