Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo, discontinuita' tra il maestro e la Chiesa

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negazionista
view post Posted on 20/1/2012, 18:48     +1   -1




CITAZIONE
Mi sembrava che altri utente come Weiss avessero già risposto a tale interrogativo, di fatto i teologi non sembra si interessino più di tanto al Gesù ricostruito dagli storici proprio perchè si tratta di ricostruzioni che certo cercano di avvicinarsi di più al probabile vero Gesù, ma in quanto ricostruzioni, si tratta sempre di ricostruzioni provvisorie, approssimative e con gradi di incertezza.

Al disinteresse dei teologi però corrisponde un vivo interesse degli storici a gettare nel grembo dei teologi i problemi sollevati dall'applicazione del metodo storico, se riescono a trovarli, e pare che Pesce ci sia riuscito a trovarne più di uno, che fanno dire a parecchi cattolici che la sua opera costituisce un attacco frontale alla fede cristiana.


CITAZIONE
Quanto poi al problema della continuità tra Gesù e la CHiesa, dal punto di vista della fede non fa alcun problema un'eventuale carenza del messaggio del Gesù storico rispetto al messaggio della Chiesa. La teologia infatti dà per scontato, anche grazie alle parole di Luca che ci informano come Gesù crescesse in sapienza, che l'autocoscienza di Gesù sia stata progressiva. Si può addirittura ipotizzare che la piena consapevolezza di sé sia stata raggiunta solo dopo la resurrezione, e ovviamente credere o meno che essa sia davvero avvenuta è un atto che separa lo storico laico da quello credente.

L'operazione di Pesce getta il Gesù storico nel più completo anonimato, nel senso che sembra davero irriconoscibile dal cristo potente della fede. Quello spiegato da Polymetis costituisce cerrtamente un espediente tecnico validissimo, infatti io non ho detto che la visione pesciana demolisce la fede, ho detto solo che la riduce all'essenziale: si può credere unicamente alla resurrezione in quanto altre prove ''apologetiche'' non se ne trovano, e tentativi di trovarle risulterebbero assai discutibili in ambito storico*.
Quindi, se non mi sbaglio, lo stesso utente Polymetis pare avesse detto a Weiss di vedere in Kierkegaard una deriva (nell'accezione negativa del termine) nella filosofia.


CITAZIONE
le testimonianze scritte che abbiamo sono per forza di cose parziali, ma ciò non implica che i contenuti predicati dagli apostoli non appartenessero a Gesù, vuol solo dire che nessuno li ha trascritti.

A Polymetis ed agli altri, sembrate scalpitare dal desiderio di negare la discontinuità avanzata da Pesce sotto la forma delle domande che Gesù non si era mai posto :) . L'intero topic vi ricordo che assume per ipotesi l'adozione in ambito storico della visione del prof. Pesce e vuole sapere dove trovare un motivo per credere sulla base di questa visione. Per fare il verso a Polymetis, potrei formulare la domanda così: dove il credente trae la forza di credere all'espediente tecnico per cui una chiesa appena santificata dallo Spirito ha il diritto di coprire - col suo messaggio - eventuali vuoti del messaggio gesuano appena rilevati dallo storico di turno (nel nostro caso, se non vi fidate dello storico, faccio appunto il nome di Pesce, per tranquillizzare così chi teme i non accademici Figli dell'Arpia ed il trash loro prospiciente :) ) ?

La risposta penso di saperla.
Andrebbero bene Pascal e Kierkegaard e Weiss opta decisamente per quest'ultimo: posso sapere quale influenza ha il filosofo danese sul pensiero cattolico moderno? Quale reputazione?


Dove trae origine la pretesa cristiana, una volta spogliata di tutto l'armamentario (storico) che le serve e messa con le spalle al muro della storia* nuda e cruda?


Servirebbe davvero la consulenza di un filosofo.

*ovviamente sapete a quale storia mi riferisco, attenendomi alla lezione del prof. Pesce

ciao, grazie e buona lettura
 
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lino85
view post Posted on 20/1/2012, 20:13     +1   -1




CITAZIONE (negazionista @ 20/1/2012, 18:48) 
CITAZIONE
Mi sembrava che altri utente come Weiss avessero già risposto a tale interrogativo, di fatto i teologi non sembra si interessino più di tanto al Gesù ricostruito dagli storici proprio perchè si tratta di ricostruzioni che certo cercano di avvicinarsi di più al probabile vero Gesù, ma in quanto ricostruzioni, si tratta sempre di ricostruzioni provvisorie, approssimative e con gradi di incertezza.

Al disinteresse dei teologi però corrisponde un vivo interesse degli storici a gettare nel grembo dei teologi i problemi sollevati dall'applicazione del metodo storico, se riescono a trovarli, e pare che Pesce ci sia riuscito a trovarne più di uno, che fanno dire a parecchi cattolici che la sua opera costituisce un attacco frontale alla fede cristiana.

La risposta di Mauro Pesce alle "critiche" di Cantalamessa (che sembra che conosca il volume di Pesce per sentito dire senza averlo mai letto) ti dovrebbe mostrare quali sono le autentiche posizioni di Pesce rispetto al rapporto tra fede e storia:

http://mauropesce.net/index.php?option=com...id=29&Itemid=82

CITAZIONE
CITAZIONE
Quanto poi al problema della continuità tra Gesù e la CHiesa, dal punto di vista della fede non fa alcun problema un'eventuale carenza del messaggio del Gesù storico rispetto al messaggio della Chiesa. La teologia infatti dà per scontato, anche grazie alle parole di Luca che ci informano come Gesù crescesse in sapienza, che l'autocoscienza di Gesù sia stata progressiva. Si può addirittura ipotizzare che la piena consapevolezza di sé sia stata raggiunta solo dopo la resurrezione, e ovviamente credere o meno che essa sia davvero avvenuta è un atto che separa lo storico laico da quello credente.

L'operazione di Pesce getta il Gesù storico nel più completo anonimato, nel senso che sembra davero irriconoscibile dal cristo potente della fede. Quello spiegato da Polymetis costituisce cerrtamente un espediente tecnico validissimo, infatti io non ho detto che la visione pesciana demolisce la fede, ho detto solo che la riduce all'essenziale: si può credere unicamente alla resurrezione in quanto altre prove ''apologetiche'' non se ne trovano, e tentativi di trovarle risulterebbero assai discutibili in ambito storico*.
Quindi, se non mi sbaglio, lo stesso utente Polymetis pare avesse detto a Weiss di vedere in Kierkegaard una deriva (nell'accezione negativa del termine) nella filosofia.

CITAZIONE
le testimonianze scritte che abbiamo sono per forza di cose parziali, ma ciò non implica che i contenuti predicati dagli apostoli non appartenessero a Gesù, vuol solo dire che nessuno li ha trascritti.

A Polymetis ed agli altri, sembrate scalpitare dal desiderio di negare la discontinuità avanzata da Pesce sotto la forma delle domande che Gesù non si era mai posto :) . L'intero topic vi ricordo che assume per ipotesi l'adozione in ambito storico della visione del prof. Pesce e vuole sapere dove trovare un motivo per credere sulla base di questa visione. Per fare il verso a Polymetis, potrei formulare la domanda così: dove il credente trae la forza di credere all'espediente tecnico per cui una chiesa appena santificata dallo Spirito ha il diritto di coprire - col suo messaggio - eventuali vuoti del messaggio gesuano appena rilevati dallo storico di turno (nel nostro caso, se non vi fidate dello storico, faccio appunto il nome di Pesce, per tranquillizzare così chi teme i non accademici Figli dell'Arpia ed il trash loro prospiciente :) ) ?

La risposta penso di saperla.
Andrebbero bene Pascal e Kierkegaard e Weiss opta decisamente per quest'ultimo: posso sapere quale influenza ha il filosofo danese sul pensiero cattolico moderno? Quale reputazione?

A parte che non capisco il discorso della discontinuità, se per Pesce non esistono verità assolute nella storia allora non esistono neppure discontinuità che si possano ritenere nette, insomma se si nega che esistano tali novità assolute nella storia, allora tali novità assolute non le ha portate nè Gesù, nè Paolo, nè i cristiani successivi.

Non so poi cosa intendesse dire Polymetis riguardo a Kierkegaard ma a me risulta che in ambiente cattolico abbia avuto molto fortuna, uno dei più noti conoscitori e traduttori italiani di Kierkegaard e il filosofo neotomista e teologo cattolico Cornelio Fabro, anche se ti ripeto che non sono esperto in tale campo filosofico.

CITAZIONE
Dove trae origine la pretesa cristiana, una volta spogliata di tutto l'armamentario (storico) che le serve e messa con le spalle al muro della storia* nuda e cruda?


Servirebbe davvero la consulenza di un filosofo.

*ovviamente sapete a quale storia mi riferisco, attenendomi alla lezione del prof. Pesce

ciao, grazie e buona lettura

Mi pare che Mauro Pesce abbia già risposto a ciò nel link sopra, comunque ricordo sempre che la ricerca storica è un lavoro sempre in fieri, che non deve cadere in visioni di positivismo storiografico, la ricerca non porta nè a certezze assolute (dogmatismo) nè a incertezze assolute (scetticismo) ma a incertezze negative (fallibilismo), dove certe teorie, fino a nuovi dati e interpretazioni più convincenti, sono più probabili di altre. E' così che funziona il metodo storico.

Ciao.
 
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Elijah Six
view post Posted on 20/1/2012, 21:39     +1   -1




Forse ha senso spendere due parole sui motivi della nascita della ricerca sul Gesù storico.

Cosa ci sta dietro alla ricerca del Gesù storico? Perché ci si è posti la domanda?

Dopo la Aufklärung la cristologia dall'alto ha subito una sorta di crisi. La ragione umana ha messo in dubbio la divinità di Cristo.
Alcuni studiosi per rendere il cristianesimo una religione attuale, valevole anche da un punto di vista razionale, hanno cercato di ricostruire il Gesù storico indipendentemente dalla risurrezione di Cristo.
L'intento era quello di ritrovare il vero Gesù (quello storico), e abbandonare il Cristo dogmatico ormai diventato incomprensibile (si è messo in dubbio tutto: trinità, doppia natura di Cristo, risurrezione, ecc.).
Si voleva sottolineare la discontinuità tra il Gesù storico e il Cristo della fede.
La ricostruzione del Gesù storico doveva portare come risultato ad una solida base (atemporale, assoluta, razionale, valevole per sempre) per una riformulazione della fede in Gesù, non più visto in primo luogo come Figlio di Dio, ma piuttosto come esempio morale da seguire.
Ciò che il cristianesimo si pensava potesse offrire era una vita felice, ottenibile tramite una vita virtuosa. E l'esempio da seguire era Gesù, che tramite la sua vita virtuosa lo si riallacciava a Dio.
In parole povere: le domande etiche sono passate in primo piano e tutte le questioni dogmatiche diventate incomprensibili alla luce della ragione sono state accantonate.

Come sono andate a finire le cose nella First Quest?
Beh, Martin Kähler l'ha espresso in modo piuttosto chiaro (parafrasandolo): il Gesù degli storici è solo una sottospecie di arte creata e inventata dagli uomini, in alcun modo migliore del criticato Cristo dogmatico. I risultati ottenuti dalla ricerca storica si sono dimostrati essere arbitrari e insicuri.
Il tentativo di ricostruire il Gesù storico si è dimostrato essere una strada sbagliata e impercorribile.

Bultmann riterrà il Gesù storico irrilevante per la fede (proprio perché la ricerca non ha ottenuto risultati soddisfacenti, assoluti).

Nella Second Quest si riaprirà la ricerca sul Gesù storico, andando oltre Bultmann. Gli interessi sono teologici. Si voleva cercare di dimostrare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo dogmatico.

Quindi se nella First Quest la ricostruzione del Gesù storico doveva portare ad una critica del Cristo dogmatico, nella Second Quest la ricostruzione del Gesù storico aveva l'intento di appoggiare e confermare il Cristo dogmatico.
Si è quindi ricorso al Gesù storico sia per criticare la fede nel Cristo dogmatico, sia per appoggiarla.

Ciò che Mauro Pesce si auspica è l'abbandono di un simile sfruttamento del Gesù storico (per una o l'altra parte).

Nessuno ti dice però - negazionista - che tu debba seguire per forza di cose Pesce o Weiss.
Ci sono un sacco di credenti che sono convinti che la risurrezione sia un fatto storico sicuro e certo. La storia viene usata per dimostrare l'esattezza del Cristo dogmatico. Si utilizza il metodo storico-critico, ma il risultato è già prevedibile in anticipo.
Come ci sono anche atei che usano il Gesù storico per demolire il Cristo dogmatico.

Altri invece se ne infischiano del Gesù storico.

Il mondo è bello perché è vario.
 
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negazionista
view post Posted on 21/1/2012, 15:53     +1   -1




Le conclusioni a cui giunge l'indagine storica in da gesù al cristianesimo sono riassunte in nove tesi-ipotesi (definite così perché sempre soggette a verifiche e aggiustamenti, e proposte con l’intento di provocare una discussione):

1. «Gesù pensava di vivere, di situarsi e avere una funzione, in un periodo immediatamente precedente l’avvento del regno di Dio» (pag. 209);
2. «Per Gesù il regno di Dio è [...] il quinto regno previsto dal Libro di Daniele, quello che verrà dopo i quattro regni dei re dei popoli» (pag. 211);
3. «I suoi discepoli si trovarono di fronte al fatto che Gesù non c’era più e che il regno di Dio non c’era ancora» (pag. 214);
4. «Gesù non aveva dato alcuna indicazione su almeno tre problemi: 1. come comportarsi nei confronti del problema della conversione dei non-giudei; 2. come comportarsi di fronte al fatto che il regno di Dio non si verificava; 3. come organizzare le comunità di seguaci» ;
5. dopo la morte di Gesù, vi furono due correnti su come comportarsi nei confronti dei gentili: la prima sosteneva che essi dovessero osservare la legge biblica integralmente, circoncisione compresa; la seconda corrente, paolina, proponeva una giudaizzazione parziale: i gentili dovevano convertirsi all’adorazione dell’unico Dio, ma non dovevano seguire integralmente i precetti biblici. Pesce sostiene che quello che noi chiamiamo cristianesimo non sia espressione di nessuna di queste due correnti, ma è «la terza forma, quella che “gentilizzò” il messaggio di Gesù de-giudaizzandolo. [Il cristianesimo è] la religione dei gruppi etnici che hanno aderito a Gesù assimilando alle culture e alle religioni tradizionali non giudaiche il suo giudaismo» (pag. 215);
6. «Di fronte al non verificarsi dell’avvento del regno di Dio le risposte furono molteplici e molto diverse fra loro e non poterono fare appello a Gesù» (pag. 217);
7. «C’è una radicale differenza tra regno di Dio e risurrezione» (pag. 219). Gesù predicava l’imminenza del primo, ponendo questa credenza come fondamento della sua pratica; è stato Paolo a mettere in primo piano la resurrezione, rendendola l’evento cardinale del cristianesimo.
8. «La continuità tra i gruppi di seguaci di Gesù e Gesù non è primariamente cristologica, ma teo-logica» (pag. 221), nel senso che la continuità con Gesù è dovuta al fatto che al centro della fede non vi è la figura del Cristo, ma il rapporto tra l’uomo e Dio;
9. «I seguaci di Gesù – almeno ad un certo punto – si organizzarono in “chiese”, ekklesiai. Come ogni forma sociale, anche le ekklesiai ebbero bisogno di un’organizzazione interna e di sistemi di rapporto reciproco. Su questo tema Gesù non aveva lasciato alcuna indicazione» (pag. 223).

Il risultato dell’analisi è che se, per certi versi, è possibile avvicinarsi alla storicità di Gesù, risulta più arduo stabilire quando, come e dove sia nato esattamente ciò che chiamiamo cristianesimo, specialmente se lo consideriamo come una “religione”, poiché anche questo termine è un’invenzione moderna. Il processo è stato lungo e complesso. Le prime comunità di seguaci di Gesù avevano vangeli, pratiche e credenze diverse le une dalle altre. Pesce rimanda a un’ulteriore opera la risoluzione delle questioni poste da questo suo libro, ma sembra avere profondamente ragione nell’affermare che «Gesù possa intendersi non tanto come fondatore, ma come riferimento dei diversi tipi di cristianesimo che si andavano fondando. Egli veniva posto all’origine di una molteplicità di tendenze le quali tutte, in modo diverso, cercarono di appellarsi a qualche aspetto della sua azione e del suo messaggio nel momento in cui andavano affrontando sempre nuove e diverse situazioni» (pag. 225).
Come che sia, abbandonando l’indagine storica di Pesce, il cristianesimo vincente, divenuto ufficiale, ha rinunciato al Padre vivente per divenire la religione del Figlio morto.
CITAZIONE
A parte che non capisco il discorso della discontinuità, se per Pesce non esistono verità assolute nella storia allora non esistono neppure discontinuità che si possano ritenere nette, insomma se si nega che esistano tali novità assolute nella storia, allora tali novità assolute non le ha portate nè Gesù, nè Paolo, nè i cristiani successivi.

Occorre infatti specificare che Gesù secondo il prof di Bologna non ha portato novità assolute rispetto all'ebraismo come cultura, come pure Paolo, anche se quest'ultimo costituisce una novità assoluta rispetto allo stesso Gesù (e sopra ho elencato alcune differenze). Quella chiamata da Pesce la terza forma ''gentile'' di cristianesimo (da cui prende davvero le mosse il cristianesimo attuale) non fu una novità assoluta rispetto al mondo gentile, ma lo fu piuttosto rispetto all'ebraismo di gesù e di paolo (anche perchè è nata molto dopo la generazione di Paolo, e non in giudea).

Quindi la discontinuità non solo è presente tra Paolo e Gesù, ma anche tra Paolo e il cristianesimo successivo: per questo Pesce afferma all'inizio del libro di trovare opposizione nell'affermare questo tra gli esegeti soprattutto cattolici, i quali più che al letteralismo biblico protestante, ci tengono di più a non vedere mai spezzato il filo della continuità che da gesù e paolo porta all'ultimo papa. E' un tema insomma delicato, e preferisco assumerlo come ipotesi in questa sezione, piuttosto che come oggetto di uno sterile dibattito in sezione storia nella quale mi vedrei sicuramente perdente pur condividendo in cuor mio la neutralità accademica del prof. Pesce, il quale comunque chiarisce, come riportato nella risposta a cantalamessa, che

CITAZIONE
La ricerca storica - almeno la mia e di molti, molti esegeti oggi - non è né per la fede, né per la non-fede. Non nasce da una ragione corrosiva ed "incredula". Rivendico l'autonomia della ricerca dalle fedi e dalle non fedi.

Ma a questo punto vorrei scoprire le carte iniziali:
www.gliscritti.it/approf/2008/papers/bellia300408.htm
qui trovate alcune frasi che in realtà ho copiato all'inizio dell'intero topic, nel mio primo post, in particolare le seguenti parole.

CITAZIONE
Perciò la convinzione di Mauro Pesce che «la ricerca storica rigorosa non allontani dalla fede, ma non spinga neppure verso di essa», motivandola con il ragionamento che «una cosa è cercare Gesù per ottenerne benefici di salvezza o, al contrario, per criticare e combattere la fede delle Chiese», mentre altra cosa è «tentare di conoscere storicamente ciò che Gesù ha in effetti detto, fatto, sperimentato e creduto» (p. 236), contiene una sua ovvia verità ma ci sorprende per la sua acerbità oltre che per la sua impraticabilità.

Insomma, è il tema che ripeto in continuazione: in assenza di prove per l'uno o per l'altro senso, dove ha origine la fede e la pretesa cristiana nel 2012?
In un atto di volontà interiore che solo dopo cerca le prove ''apologetiche'' per confermarsi ancor di più pur partendo da uno scenario di parziale assenza di prove?
Pascal diceva : credete e la fede vous abetir, vi imbestialirà (con gran scorno dei suoi lettori), intendendo così che solo dopo l'acquisto della fede è possibile fare lo sforzo immane di trovare tutti i cavilli ''logici'' ai vari problemi teologici, sociali, morali, politici ed economici che affliggono la Chiesa. Ma alla base ci deve essere una fede pura e semplice. Dove la trovate, per non incorrere nell'accusa di bigotteria e di clericalismo o peggio ancora?
PS non mi rispondete ricordandomi che la fede è un dono di Dio, perchè ci vorrebbe fede anche per poter fare quest'affermazione.

Ma a questo punto, se vedete la mia domanda un nonsense, direi di terminare la discussione. Sarebbe interessante però sapere perchè in un altro topic Polymetis ha definito Kierkegaard una deriva nella storia della filosofia...
 
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lino85
view post Posted on 21/1/2012, 18:03     +1   -1




CITAZIONE (negazionista @ 21/1/2012, 15:53) 
CITAZIONE
A parte che non capisco il discorso della discontinuità, se per Pesce non esistono verità assolute nella storia allora non esistono neppure discontinuità che si possano ritenere nette, insomma se si nega che esistano tali novità assolute nella storia, allora tali novità assolute non le ha portate nè Gesù, nè Paolo, nè i cristiani successivi.

Occorre infatti specificare che Gesù secondo il prof di Bologna non ha portato novità assolute rispetto all'ebraismo come cultura, come pure Paolo, anche se quest'ultimo costituisce una novità assoluta rispetto allo stesso Gesù (e sopra ho elencato alcune differenze). Quella chiamata da Pesce la terza forma ''gentile'' di cristianesimo (da cui prende davvero le mosse il cristianesimo attuale) non fu una novità assoluta rispetto al mondo gentile, ma lo fu piuttosto rispetto all'ebraismo di gesù e di paolo (anche perchè è nata molto dopo la generazione di Paolo, e non in giudea).

Quindi la discontinuità non solo è presente tra Paolo e Gesù, ma anche tra Paolo e il cristianesimo successivo: per questo Pesce afferma all'inizio del libro di trovare opposizione nell'affermare questo tra gli esegeti soprattutto cattolici, i quali più che al letteralismo biblico protestante, ci tengono di più a non vedere mai spezzato il filo della continuità che da gesù e paolo porta all'ultimo papa. E' un tema insomma delicato, e preferisco assumerlo come ipotesi in questa sezione, piuttosto che come oggetto di uno sterile dibattito in sezione storia nella quale mi vedrei sicuramente perdente pur condividendo in cuor mio la neutralità accademica del prof. Pesce, il quale comunque chiarisce, come riportato nella risposta a cantalamessa, che


CITAZIONE
La ricerca storica - almeno la mia e di molti, molti esegeti oggi - non è né per la fede, né per la non-fede. Non nasce da una ragione corrosiva ed "incredula". Rivendico l'autonomia della ricerca dalle fedi e dalle non fedi.

Tali discontinuità però dovranno pur avere delle ragioni al riguardo, o sono discontinuità spuntate dal nulla? Se tali discontinuità sono riuscite ad affermarsi nella maggioranza dei cristiani, vuol dire che forse non erano percepite come così discontinue rispetto al passato...

CITAZIONE
Ma a questo punto vorrei scoprire le carte iniziali:
www.gliscritti.it/approf/2008/papers/bellia300408.htm
qui trovate alcune frasi che in realtà ho copiato all'inizio dell'intero topic, nel mio primo post, in particolare le seguenti parole.

CITAZIONE
Perciò la convinzione di Mauro Pesce che «la ricerca storica rigorosa non allontani dalla fede, ma non spinga neppure verso di essa», motivandola con il ragionamento che «una cosa è cercare Gesù per ottenerne benefici di salvezza o, al contrario, per criticare e combattere la fede delle Chiese», mentre altra cosa è «tentare di conoscere storicamente ciò che Gesù ha in effetti detto, fatto, sperimentato e creduto» (p. 236), contiene una sua ovvia verità ma ci sorprende per la sua acerbità oltre che per la sua impraticabilità.

Insomma, è il tema che ripeto in continuazione: in assenza di prove per l'uno o per l'altro senso, dove ha origine la fede e la pretesa cristiana nel 2012?
In un atto di volontà interiore che solo dopo cerca le prove ''apologetiche'' per confermarsi ancor di più pur partendo da uno scenario di parziale assenza di prove?
Pascal diceva : credete e la fede vous abetir, vi imbestialirà (con gran scorno dei suoi lettori), intendendo così che solo dopo l'acquisto della fede è possibile fare lo sforzo immane di trovare tutti i cavilli ''logici'' ai vari problemi teologici, sociali, morali, politici ed economici che affliggono la Chiesa. Ma alla base ci deve essere una fede pura e semplice. Dove la trovate, per non incorrere nell'accusa di bigotteria e di clericalismo o peggio ancora?
PS non mi rispondete ricordandomi che la fede è un dono di Dio, perchè ci vorrebbe fede anche per poter fare quest'affermazione.

Ma a questo punto, se vedete la mia domanda un nonsense, direi di terminare la discussione. Sarebbe interessante però sapere perchè in un altro topic Polymetis ha definito Kierkegaard una deriva nella storia della filosofia...

La fede dei credenti delle prime comunità cristiane, e presumo anche quella dei credenti delle comunità cristiane di oggi, si basa non sul Gesù ricostruito dai provvisori, fallibili, rivedibili e relativamente incerti risultati della ricerca storica, ma dal Gesù (sia quello terreno che quello risorto) esperito, ricordato, testimoniato e tramandato dai suoi discepoli nelle prime tradizioni cristiane e nei primi scritti di quell'epoca come quelli del Nuovo Testamento. Del Gesù della fede, per definizione, esiste e se ne ha esperienza solo nella fede, con la fede e attraverso la fede. Le provvisorie e fallibili ricostruzioni storiche nulla hanno a che fare al riguardo, sia a favore che contro questa fede, fede che si fonda per definizione su se stessa e che precede ogni ragionamento ed esperienza sensibile. Al massimo alcune provvisorie "prove" possono magari rafforzare ma non così tanto la propria fede, Anche i miracoli compiuti da Gesù (ammettiamo per pura ipotesi in questa sede la loro autenticità) non mi risulta che abbiano portato alla fede tutti i loro testimoni, come a voler dire che non evento non fa portare la fede perchè è miracoloso (peraltro quale evento si può definire un miracolo che viola le leggi di natura? Per un uomo primitivo un eclisse di sole viola le leggi di natura, per uno scienziato no...) ma al contrario un evento è miracoloso perchè fa portare la fede a chi assiste ad esso.

Ciao.
 
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negazionista
view post Posted on 21/1/2012, 19:25     +1   -1




È solamente facendo luce sull’effettiva figura storica di Gesù che si può riuscire a comprendere cosa sia e come sia nato quello che oggi chiamiamo cristianesimo, perché esso è qualcosa di fondamentalmente diverso, almeno nell’ottica di Pesce (e, per l’idea che me ne sono fatto, anche nella mia), non solo dalla pratica di vita di Gesù, ma anche delle dottrine e delle prassi dei movimenti immediatamente successivi: «
CITAZIONE
Non si può mettere tra parentesi la differenza tra Gesù e il cristianesimo successivo. È proprio questa distanza, questa discontinuità che costituisce il problema storico per eccellenza della storia del cristianesimo primitivo

» (pag. 158).
Ovviamente, come prima cosa bisogna capire di quale cristianesimo stiamo parlando. Non si può pensare che esso sia un prodotto già compiuto alla sua nascita; né si può utilizzare come termine di paragone ciò che oggi consideriamo tale, perché le comunità “cristiane” dei primi due secolo dopo Cristo erano differenti sotto molti punti di vista, sia tra di loro, sia rispetto alle dottrine oggi considerate ortodosse.
Ora, il cristianesimo nasce in un ambiente giudaico, a sua volta immerso in un ambiente gentilizio, impregnato di cultura romana ed ellenistica. Pesce propone una distinzione importante nella considerazione dei termini “giudaico”, “gentile” e “cristiano”. Essi possono essere intesi in senso culturale, etnico o religioso. Dato che per “cristiano” si deve intendere principalmente l’aspetto religioso, allora, «se vogliamo parlare di nascita del cristianesimo intendendo con ciò l’autonomia del cristianesimo dal giudaismo, dovremo parlare di autonomia non primariamente dal punto di vista culturale ed etnico, ma dal punto di vista religioso» (pag. 150).
Inoltre, bisogna individuare se effettivamente Gesù e anche Paolo di Tarso si distacchino dal giudaismo, se possono essere considerati, cioè, veri e proprio fondatori del cristianesimo, perché «solo se Gesù e i suoi seguaci avessero introdotto nella cultura giudaica elementi che giudaici non sono si potrebbe dire che ci troviamo di fronte ad una novità “culturale”» (pag. 158).
Secondo Pesce, Gesù e Paolo non si collocano fuori dalla cultura giudaica, né per quanto riguarda la prassi, né per l’immaginario mitico e religioso. Se pure si sono distaccati in parte dai consueti modi di vivere, questo non vuol dire che abbiano fondato una religione diversa, poiché, per esempio, «anche Francesco rappresenta una notevole novità rispetto alla religiosità italiana dell’epoca eppure non fonda un movimento non-cristiano a causa di questa novità» (ibid.).
Proprio a partire da questi problemi comincia l’arduo lavoro dello storico, che Pesce cerca di definire, facendo di questo libro anche un ottimo manuale metodologico. A un accurato studio delle fonti, che rigetta la distinzione tra fonti canoniche e apocrife, si aggiunge una presa di distanza dalla fede e dalla teologia. Spesso, gli storici che si occupano di questi argomenti sembrano trovarsi di fronte a un’alternativa: o «considerare la ricerca storica come criterio per l’autenticità del kerygma o all’opposto considerare il kerygma come criterio per l’attendibilità delle ricostruzioni storiche su Gesù» (pag, 129). Penso di aver commesso il primo di questi due errori. Chiedo scusa ai miei pazienti interlocutori.
In questi casi, non prevale il dato storico, ma ciò che viene considerato dottrina certa e a cui i dati devono accordarsi. È evidente che in questo modo la ricerca viene viziata. Per contro, «se il messaggio delle chiese sia autentico o meno non è questione che può interessare la ricerca storica. E d’altra parte nessuna ricerca storica rigorosa potrà mai accettare di mutare le proprie analisi per accodarsi a ciò che le chiese ritengono essere un kerygma autentico»

Aspetto il giudizio (negativo) a parte su Kierkegaard da parte di Polymetis (e così trasformando il forum ancora una volta in una segreteria personale del forumista di turno, chiedo scusa anche di questo ;) )

Se volete, vista l'inutilità oggettiva di aver trascinato il topic in sezione teologia, Talità Kum abbia se vuole la facoltà (e la pazienza) di poterlo ripristinare nel luogo ad esso più consono (sezione storia, intendo, non il trash :) ).

PS siete rimasti un pò spiazzati dall'accenno a s.Francesco non è vero ;) ?

ciao e buona serata a tutti
 
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Elijah Six
view post Posted on 21/1/2012, 21:28     +1   -1




Parlare con chi non ha alcuna idea di teologia e filosofia diventa pesante dopo un po'. Non è su un forum che si imparano cose. Le cose le impari leggendo manuali, frequentando corsi universitari, leggendo le fonti primarie, ecc.
Il mio consiglio: cambia metodo.

CITAZIONE
In assenza di prove per l'uno o per l'altro senso, dove ha origine la fede e la pretesa cristiana nel 2012?

Cos'è la fede?
La fede è la fiducia riposta in qualcosa o qualcuno di esterno. Le prove sull'autenticità non sono in un primo momento verificabili. Se no non sarebbe fede.

Ma a parte questo, la cosa buffa è che la stessa scienza non si basa esclusivamente sulla ragione, ma sull'accettazione irrazionale di determinati elementi del paradigma in vigore (così Thomas Kuhn).

Essere atei è una scommessa tanto quanto essere credenti. Anzi, secondo certi punti di vista essere atei è persino più difficile e complicato che essere credenti.
Non vedo dunque dove vuoi arrivare.
In questo mondo l'uomo è destinato a restare ignorante, al so di non sapere socratico. Questo è almeno il mio punto di vista.

CITAZIONE
Sarebbe interessante sapere perchè in un altro topic Polymetis ha definito Kierkegaard una deriva nella storia della filosofia...

Chissà perché. Forse perché neotomismo (Polymetis) e Kierkegaard (Weiss) hanno idee assai differenti sul legame tra fede e ragione?
La chiesa cattolica è in linea di massima contro la separazione tra fede e ragione. Reputa la tesi di una ragione debole pericolosa (così Papa Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides e Ratio).
La ragione però non può decidere e stabilire se i contenuti della rivelazione di Dio sono corretti e sensati. La ragione lavora ed è al cospetto della fede.

Kierkegaard invece reputa la fede un passo nel vuoto, contro ogni argomento razionale.
Martin Lutero - restiamo sempre in ambito protestante - reputava la ragione sotto il potere di Satana, talmente corrotta dal peccato originale da non essere più utile e utilizzabile. Lutero non aveva problemi ad ammettere che usando esclusivamente la ragione umana non si poteva che giungere alle seguenti conclusioni: o Dio non esiste, o Dio non è giusto (questo di fronte al problema del male). La tesi della doppia predestinazione sostenuta da Lutero veniva reputata da Lutero stesso un controsenso, se analizzata tramite la ragione umana.
Quindi? Quindi niente. L'uomo non è in grado di comprendere i misteri di Dio. Se vuole salvarsi - così Lutero - deve affidarsi ciecamente e incondizionatamente alla sua grazia.
Una simile posizione viene considerata in ambienti cattolici come fideismo.
Tieni comunque presente che in ambito protestante non tutti hanno seguito Lutero, Kierkegaard e co.
Basta approfondire un po' la filosofia della religione per capirlo.

Un esempio attuale: il cristiano riformato Alvin Plantinga, studioso che ha argomentato in modo logico sul perché la coesistenza di un Dio onnipotente e buono non sia in contraddizione con l'esistenza del male nel mondo.
È grazie a lui se buona parte degli studiosi reputa al giorno d'oggi il problema della teodicea non più tanto un problema insormontabile dal punto di vista logico (poi ovviamente ci sono e ci saranno sempre persone che sosterranno il contrario).

Anche in questo caso: il mondo è bello perché è vario. Detto in altro modo: trovi posizioni di tutti i generi in qualsiasi confessione e nello stesso ateismo.
 
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Elijah Six
view post Posted on 22/1/2012, 08:56     +1   -1




CITAZIONE (Elijah Six @ 21/1/2012, 21:28) 
Cos'è la fede?

Approfondisco un po' questa domanda (espressa da me) mettendo in risalto come la fede sia stata concepita in modo diverso nel corso dei secoli.

Fede secondo Tommaso d'Aquino: la fede è appoggiata dalla ragione. Tra fede e ragione non ci può essere contraddizione, perché entrambe provengono da Dio.

Fede secondo Immanuel Kant: la ragione non è in grado di dimostrare la fede. La fede è una necessità morale. È ciò che garantisce il legame tra felicità e vita virtuosa.

Fede secondo Friedrich Schleiermacher: la fede non è né un qualcosa di razionale, né morale, bensì un sentimento e un'esperienza soggettiva.

La First Quest si è chiaramente riallacciata a Kant, quando voleva cercare di interpretare il cristianesimo come un insegnamento morale che porta alla felicità.
Johannes Weiss si posiziona nella tradizione di Schleiermacher, quando reputa la fede un'esperienza soggettiva che ben poco ha a che fare con questioni razionali e morali.
Polymetis invece torna a Tommaso, rifiutando sia la critica della ragion pura di Kant (impossibilità di dimostrare l'esistenza di Dio da un punto di vista razionale - per Kant Dio è un postulato della ragion pratica, insomma una necessità morale), sia la concezione di fede come qualcosa di soggettivo (il fideismo è percepito come una posizione pericolosa).

Edited by Elijah Six - 22/1/2012, 10:36
 
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view post Posted on 22/1/2012, 13:45     +1   -1
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Ringrazio Elijah per il suo contributo ad una corretta impostazione della discussione, a mio modo di vedere viziata in principio da un'impostazione metodologicamente lacunosa sia in ambito filosofico che storico-critico.

Sono contento di vedere che "negazionista" alla fine si è dedicato alle buone letture, chiarendo (almeno a sé stesso, mi auguro) il Pesce-pensiero ed evitando di tracciare solchi troppo profondi tra Gesù e - per dirne uno - Paolo, comprendendo la difficoltà degli approfondimenti necessari ad affrontare la molteplicità dei "cristianesimi" delle origini, lo sviluppo storico degli avvenimenti che portarono al formarsi di una nuova religione e le problematiche legate all'utilizzo di certa terminologia ("fondatore del cristianesimo").

Nessuno credo voglia negare (certo non io) che vi siano differenze tra "Gesù" e l'odierna chiesa (quale semplice esempio - Gesù osservava il Sabato, per noi il giorno più importante è la domenica), in certi casi non serve neppure una profonda analisi storica, ma mi sembra quantomento superficiale esprimersi con esemplificazioni del tipo "il cristianesimo ha tradito Gesù (si/no)" quando, come dimostra Paolo, una certa cristologia si sviluppò all'interno dell'ebraismo stesso.

Ciao,
Talità
 
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negazionista
view post Posted on 22/1/2012, 16:11     +1   -1




Eliah Six non poteva essere più chiaro:

CITAZIONE
La chiesa cattolica è in linea di massima contro la separazione tra fede e ragione. Reputa la tesi di una ragione debole pericolosa (così Papa Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides e Ratio).
La ragione però non può decidere e stabilire se i contenuti della rivelazione di Dio sono corretti e sensati. La ragione lavora ed è al cospetto della fede.

Kierkegaard invece reputa la fede un passo nel vuoto, contro ogni argomento razionale.

Ecco in parte spiegata la resistenza insolita che trovo in ambiente cattolico verso le tesi provocatorie del prof bolognese, perchè come ho già detto sembra negare parecchio specificità al messaggio gesuano, dando più risalto alla sua pratica di vita (quella si ''cristiana'', o meglio ''francescana''):

Gesù non diede mai importanza primaria alla teoria e alla teologia. [...] Chiedeva, invece, obbedienza alle sue richieste radicali nella pratica di vita: abbandonare il lavoro, la famiglia, gli averi. Gesù invitava a praticare il perdono. Non chiese mai a nessuno di credere a concezioni particolari» (pag. 170).

Paragonandolo a s.Francesco, però, sembra lasciare nel lettore la volontà di trarre le estreme conseguenze da ale confronto: come s. Francesco non si è trasformato in un Lutero o in Pietro Valdo, così Gesù non ha avuto affatto bisogno di rompere coi giudaismi dell'epoca - come invece farà Paolo -, tanto più che la sua morte è addebitata, come ha ricordato Hard Rain, interamente alla ottusità del Romano, senza alcuna complicità imbarazzante del sinedrio (da quel che hò letto).



Addiritura, il Gesù di Pesce non voleva affatto “abolire” i sacrifici del tempio di Gerusalemme sostituendoli con un’altra religione. Gesù non era contrario ai sacrifici che si svolgevano nel tempio ebraico e anzi invitava a compierli con un atteggiamento autenticamente religioso, secondo una spiritualità che ritroviamo anche nell’esperienza religiosa ebraica prima di lui.

Alla fine del libro Pesce accenna brevemente a "come i discepoli di Gesù, dopo la sua morte si allontanarono da diversi aspetti fondamentali del suo insegnamento e della sua pratica di vita''.

Gesù non aveva previsto tutta una serie di problemi che i suoi seguaci dovettero affrontare senza avere a disposizione delle sue indicazioni. Dovettero inventare delle risposte e si differenziarono anche notevolmente fra loro nel darle.



CITAZIONE
ma mi sembra quantomento superficiale esprimersi con esemplificazioni del tipo "il cristianesimo ha tradito Gesù (si/no)" quando, come dimostra Paolo, una certa cristologia si sviluppò all'interno dell'ebraismo stesso.

Eppure pesce si ripropone in futuro di sviluppare meglio questa tesi particolare in stato ancora embrionale:

8. «La continuità tra i gruppi di seguaci di Gesù e Gesù non è primariamente cristologica, ma teo-logica» (pag. 221)


Che dire? Il libro termina con domande a mò di tesi molto interessanti, quindi direi di aspettare e vedere il seguito dell'opera di questo importante studioso, magari quando avrà presentato un ritratto più sistematico possibile del suo Gesù. Fa piacere aver capito, da parte mia, come anche presentando un gesù per nulla arpiolide o miticista, lo studio moderno del gesù storico presenta numerosi grattacapi a chi vorrebbe ingabbiarlo secondo categorie precostituite.
Getta un pò di ironia ed anche di inquietudine il sapere però come ci siano troppi ''interessi'' di fede e non fede in gioco al riguardo. Tuttavia spero di condividere la fiducia che nutre anche il prof Pesce sulla assoluta imparzialità del (suo) metodo storico.

Ringrazio tutti per la collaborazione.
Un saluto
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 23/1/2012, 02:50     +1   -1




Ciao a tutti, finalmente ho un attimo di tempo per dare qualche rispostina veloce in questo thread che mi vede spesso citato.

Elijah, dopo avermi correttamente identificato come kierkegaardiano, mi ha anche collocato sulla scia di Schleiermacher. Non avendo mai approfondito questo pensatore ed essendo i miei ricordi filosofici troppo sbiaditi, sospendo il giudizio se ciò sia esatto o meno. Mi limito a dire che non mi ritrovo nell'idea della fede come "sentimento" così come la intendo io (ma forse non Schleiermacher), ovvero come un che di sostanzialmente passivo. Per me la fede è al contrario qualcosa di incomparabilmente attivo, trattandosi di un atto attraverso cui il soggetto impegna e dà forma alla sua intera esistenza, e da questo punto di vista lo considero molto più affine all'etica. La differenza - fondamentale, e qui sono totalmente kierkegaardiano - è che l'etica (in quanto etica razionale) è espressione del "generale" (essendo una proposizione etica intrinsecamente universale, per cui chiunque vi si può in linea di principio riconoscere ed approvarla senza sforzo), laddove la fede è l'atto con cui il singolo trascende il generale (es)ponendosi come singolo di fronte all'Assoluto.

Certamente poi io non disconosco la dimensione ecclesiale della fede, né mi illudo che il pensiero kierkegaardiano possa semplicemente sostituirsi ai concetti metafisici insieme ai quali la fede ha via via trovato le sue varie formulazioni dogmatiche. Tale sostituzione sarebbe del resto impossibile, essendo quello di Kierkegaard un pensiero asistematico (e del resto lui si concepiva come scrittore religioso, più che come filosofo) che dal punto di vista teoretico resta per molti aspetti vincolato al suo essere reazione e protesta contro la filosofia hegeliana.
Nondimeno il suo resta un salutare monito e un antidoto perennemente efficace contro lo scadimento del cristianesimo in "cristianità", un rischio che potrebbe a prima vista sembrare totalmente anacronistico (essendo il mondo contemporaneo ampiamente decristianizzato) ma che invece non cessa di essere attuale sia a livello sociale, laddove si persegue una strumentalizzazione culturale e politica della fede cristiana, sia a livello ecclesiale, allorché ci si arrocca in una difesa ottusa della Traditio in chiave meramente oppositiva e di fatto settaria.
Insomma, per poco che sembri, il pensiero di Kierkegaard può aiutare la teologia (come pure la filosofia cristiana) a mantenere la trascendenza di Dio e a non degenerare in ideologia, e questo precisamente relativizzando le pretese della ragione (senza che ciò debba automaticamente tradursi in un suo svilimento).
Il fatto poi che - come è stato fatto notare - uno dei più grandi neotomisti cattolici, padre Cornelio Fabro, sia stato anche un entusiasta studioso di Kierkegaard, mi fa sospettare che una qualche integrazione tra il pensiero kierkegaardiano, la fede cattolica e il tomismo (o altre filosofie cristiane), possa essere qualcosa di più di una mia bislacca opinione.
E con questo credo di aver risposto ad uno dei quesiti dell'amico Negazionista.

Per quanto riguarda le affermazioni di Pesce circa la completa appartenenza di Gesù al giudaismo del suo tempo, si tratta di acquisizioni ampiamente condivise nell'attuale panorama accademico. Se questo giudizio degli storici costituisca anche un problema teologico, dipenderà dal tipo di teologia che si ha.
Dal mio punto di vista (ovvero da come mi riesce di comprendere e abbracciare la teologia cattolica) non lo è, per la ragione che il rivelarsi di Dio (di cui il Gesù-realmente-vissuto-ed-ecclesialmente-testimoniato è certo il vertice insuperabile) è un evento di tipo storico che non è limitato né dai trent'anni di vita del Nazareno, né dalla morte dell'ultimo apostolo, ne dalla stesura o dalla canonizzazione degli scritti neotestamentari, bensì è coestensivo all'intera storia umana (ed ecclesiale). In breve: dal momento che Dio si rivela storicamente ed esperienzialmente (e la teologia è il tentativo di rendere razionalmente e in parte veicolare tale esperienza), le forme in cui tale esperienza avviene nell'esistenza di ogni credente e nell'evolversi della cultura umana in genere sono parte integrante della rivelazione divina.
Questo è a mio avviso il valore del concetto cattolico di Traditio (che anch'io abbraccio, come peraltro faceva, a suo modo, Alfred Loisy contro Harnack), e qui è anche dove fatico un po' a seguire il prof. Pesce nei suoi pressanti e sferzanti appelli di riforma ecclesiale mediante un ritorno al Gesù storico.
Qui Pesce (nota bene: quando interviene non come storico, bensì come...semplice essere umano e cittadino italiano) commette un'operazione che non mi convince molto, vuoi perché entra di fatto in tensione con la distinzione (da lui altrimenti perfettamente osservata in sede scientifica) tra storia e fede, vuoi perché sembra pretendere che la Chiesa Cattolica possa buttare alle ortiche la sua stessa essenza in nome di un ritorno teologicamente assurdo al Gesù storico, ovvero ad una controversa costruzione degli storici (ma, dal punto di vista cattolico, lo stesso varrebbe nel caso di un ritorno al Gesù dei vangeli). Pur condividendo in buona parte lo spirito di questi appelli di Pesce, e abbracciando volentieri l'idea che il Gesù dei vangeli (e anche "qualche Gesù storico") giochi una importante funzione critica e correttiva nei confronti del pensiero teologico e della Chiesa in genere, non posso però proprio figurarmi una Chiesa Cattolica che faccia del Gesù dei vangeli, e a fortiori di quello degli storici, il suo unico ed esclusivo riferimento normativo, senza con ciò cessare di essere sé stessa.

Edited by JohannesWeiss - 23/1/2012, 04:02
 
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view post Posted on 23/1/2012, 09:10     +1   -1
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In questo Pesce non è diverso da tanti (e qui forse si spiega la sua collaborazione con Augias) che, non comprendendo la fede, riducono l'intero fatto religioso ad un sistema normativo di tipo etico nel quale, per ovvie ragioni storiche, non riescono a far stare sotto lo stesso cappello il Gesù che conoscono (quello storico) e la Chiesa che conoscono (quella Cattolica, perlopiù), scatenando reazioni idiosincrasiche più in loro stessi, in realtà, che nella Chiesa.
Il punto, e su questo credo di pensarla come Weiss, è che il credente di tutti i tempi se ne infischia del Gesù storico, vuoi perché esso è un'astrazione dal profilo ancora mutevole (sebbene negli ultimi decenni sembra raggiunto un certo consensus almeno su qualche punto), vuoi perché la disciplina storica per i suoi propri princìpi, deve prescindere da ciò che Gesù era (piano metafisico) per concentrarsi su ciò che gli altri pensarono che fosse (piano fenomenico..?). Ora, questo potrebbe funzionare anche per il credente se questo secondo livello fosse inteso su piano ecclesiale, ma appena la storia si fa storia del dogma scattano di nuovo le allergie... è un gatto che si morde la coda (perché non sa che la coda è sua, diceva Gaber).
Se avete letto un paio di giorni fa l'intera pagina che il Corriere ha dato a Küng, si parlava della stessa cosa, e anche lui incomprensibilmente sembra essere stato affabulato da questa sindrome del ritorno al Gesù storico. Il problema è che, stanti le premesse di cui sopra, tornare al Gesù storico implica escludere a priori l'unico fatto rilevante per il credente, cioè che questo Gesù fosse Dio. Se Gesù non è anche Dio, non c'è alcun modo per risollevare la natura umana e ricongiungerla a quella divina, dunque non solo cade il cristianesimo ma cade proprio il fatto religioso tout-court: il cristiano diventa semplicemente un ammiratore del filosofo errante chiamato Gesù, che non è diverso dal fan di Brad Pitt (è solo più radical chic), ma non ha alcuna connotazione religiosa.
In conclusione, e solo a mio modesto parere, il "ritorno al Gesù storico" è, dal punto di vista religioso, un completo nonsense che annulla il fatto religioso appiattendolo fino a farlo sembrare poco meno di un habitus etico, laddove il cristiano diventa un "gesuano", un po' panirenico un po' sentimentalista scemo e, soprattutto, totalmente privo di contenuto.
 
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negazionista
view post Posted on 23/1/2012, 10:08     +1   -1




Appena il sincero credente sa della ricerca del gesu' storico penso sia intenzionato legittimamente a saperne di piu' sul gesu' storico per avere magari riscontri, smentite etc. anche se poi si ravvede sui suoi passi, qualunque sia l'esito della ricerca, per tenere conto della anch'essa legittima separazione tra storia e fede.


Il fatto e' che, a mio modo di vedere (ed in questo sono ''negazionista'') il ritratto dato a Gesu' di un Pesce non mi sembra tanto ''profondo'', nel senso di dettagliato abbastanza da farmi pensare di ''conoscere'' davvero il gesu' storico di Pesce (forse potrei sbagliarmi quando scrivera' in futuro ulteriori opere avente per tema unicamente gesu').
L'interessante di Pesce e' che si preoccupa, qualunque sia il gesu' storico, di scavare un fossato tra lui ed il vero cristianesimo nascente (che come abbiamo visto non e' da identificarsi per Pesce nel semplice paolinismo): se ci mettete qualsiasi personaggio al posto del Gesu' storico, l'operazione che ha portato al dogma - sembra dir Pesce - se ne e' infischiata totalmente di costui, perche' doveva a priori tener conto dell'ambiente gentile e soprattutto della sua incomprensione (prettamente non giudea) degli aspetti piu' strani dell'ebraismo, ed in questo sembra un'operazione quasi del tutto ''deterministica'', richiedendo in ingresso qualsiasi personaggio storico piuttosto ''anonimo'' con le stesse caratteristiche del gesu' storico e sfornando in uscita un Cristo imbellettato di dogmi fatto e finito.
In questo modo interpreto le parole:
QUOTE
Il punto, e su questo credo di pensarla come Weiss, è che il credente di tutti i tempi se ne infischia del Gesù storico

Ecco perche' trovo interessante le conseguenze di questa visione di Pesce sul rapporto tra storia e fede, e perche' vedo che la soluzione sia davvero ritenere la fede un ''salto nel vuoto, contro ogni argomento razionale'' (come dice Elia Six su Kierkegaard): qualsiasi tentativo di sporcarsi le mani nella storia per andare alla ricerca di motivi apologetici - che vanno oltre il semplice constatare l'assenza ad esempio di azioni peccaminose del Gesu' storico per dirne una (non ha mai incitato ad uccidere i romani, ad esempio) - risultera' necessariamente assai discutibile alla fine (oltre che indigesta a lungo andare per il lettore disincantato del 2012). Ed il vuoto in cui si deve saltare e' costituito proprio dall'assenza di informazioni aggiuntive(1) sul Gesu' anonimo capaci di ricollegarlo in qualche modo alle prime formulazioni del dogma formatesi in ambito esclusivamente gentile.

Il risultato e' alla fine comunque quello di aver ''nientificato'' (2) il gesu' storico, solo che ad aver fatto questa operazione, come dice Hard Rain (della cui arguzia nel post relativo me ne accorgo effettivamente solo ora), non sono gli storici come Price, ma gli stessi religiosi della forma ''gentilizzata'' del cristianesimo (che per Pesce coincide col vero cristianesimo nascente, checche' se ne dica di Paolo e/o di Giacomo).

Ciao a tutti e grazie ancora delle profonde risposte


(1) per gli assunti di Pesce
(2) seminegazionismo?
 
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view post Posted on 23/1/2012, 13:31     +1   -1
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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 02:50) 
Per quanto riguarda le affermazioni di Pesce circa la completa appartenenza di Gesù al giudaismo del suo tempo, si tratta di acquisizioni ampiamente condivise nell'attuale panorama accademico. Se questo giudizio degli storici costituisca anche un problema teologico, dipenderà dal tipo di teologia che si ha.

più che altro dipende dal tipo di antropologia culturale e filosofica che si sostiene. Personalmente ritengo una simile formulazione del tutto ambigua (per questo è stata messa in corsivo?), in linea peraltro con altre formulazioni già viste. Davvero una persona può essere ridotta all'ambiente culturale nel quale si trova ad operare? Eppure per altre persone, che nessuno si sogna di definire divine, non abbiamo problemi a chiamarle innovatori, rivoluzionari, anticipatori dei tempi ecc. ecc. Non ci stupisce affatto per esempio vedere Lutero, monaco agostiniano, scardinare la teologia cattolica e dare vita alla modernità, di cui certamente è uno dei padri, in opposizione all'ambiente culturale e religioso nel quale si muoveva. E di esempi se ne potrebbero fare tanti, anche perchè se così non fosse, se gli esseri umani non trascendessero continuamente il loro ambiente saremmo ancora nelle caverne. Possiamo forse dire che JW appartiene completamente all'italianismo del suo tempo? E in cosa consiste questo italianismo? Spaghetti e mandolino conditi con un pochino di spirito mafioso, come allo Spiegel piace rappresentarci?
Certo, gli storici hanno bisogno di categorie attraverso le quali rendere maggiormente intellegibile la storia, tuttavia esse sono strumenti e non gabbie nel quale calare a forza eventi e persone. La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti. Del resto se Gesù non poteva che essere totalmente ebreo lo stesso vale per i suoi discepoli, che pertanto sono in perfetta corrispondenza culturale con il loro maestro. E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione. E allora non c'è Kant, Kierkegaard o Schleiermacher, e neppure Pesce, che tenga di fronte a Gigetto er contadino: "le pere non cascano lontano dall'albero", che ha in se la saggezza dei millenni.
 
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Elijah Six
view post Posted on 23/1/2012, 13:33     +1   -1




CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 02:50) 
Sulla scia di Schleiermacher: esatto o meno?

Non ricordi male. ;)
Sei sulla scia di Schleiermacher per quanto riguarda la soggettività della fede (in tal senso è esatto). Non lo sei per quanto riguarda la passività (in tal senso è sbagliato).
Ovviamente conosci meglio di me i limiti della sistematizzazione e del ridurre tutto in categorie semplici ma preconcette.
 
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