Studi sul Cristianesimo Primitivo

τί ἐμοὶ καὶ σοί (ti emoi kai soi), su Gv 2:4 ed altre storie

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icon11  view post Posted on 15/11/2012, 14:33     +1   -1
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Se non vado errato, la traduzione letterale suonerebbe come: “cosa a me e a te”, mentre una traduzione più sensata sarebbe “cosa ho a che fare io con te”.
Questa è la “enigmatica” espressione usata da Gesù verso sua madre in Gv 2:4 in occasione delle nozze di Cana “Ti emoi kai soi gunai” (trad. CEI 1974 “che ho da fare con te, o donna”?; CEI 2008 “Donna, che vuoi da me?”)

Nell’ambito del NT, troviamo tale espressione anche nei sinottici (Mt 8,29; Mc 1,24; Mc 5,7; Lc 4,34; Lc 8,28) in occasione degli esorcismi di Gesù, quando il demone (o i demoni) chiedono a Gesù perché sia venuto a disturbarli prima del tempo.
Un esempio identico a Gv 2:4 è in Mc 5:7: “Ti emoi kai soi Iēsou” (trad. CEI 1974: “Che hai tu in comune con me, Gesù”; CEI 2008 “«Che vuoi da me, Gesù”)

La CEI 2008 sembra aver uniformato la traduzione di “Ti emoi kai soi” con “Che vuoi da me”.

Questa particolare forma greca è ritenuta essere la traduzione di un’espressione idiomatica di origine semitica, e la ritroviamo utilizzata nella LXX in Gdc 11,12; Gios 22,24; 2Sam 16,10; 2Sam19,23; 1Re17,18; 2Cr 35,21, ecc. (non ho tuttavia gli strumenti necessari per valutare l’espressione ebraica soggiacente in questi passi veterotestamentari).

Gettando uno sguardo alla letteratura greca classica, a cavallo tra I ed il II sec. si rinviene un identico parallelo in Epitteto, Dissertationes ab Arriano digestae 2:19:19.1: “Ti emoi kai soi anthrōpe”, e forse un simile utilizzo anche in latino: Marziale, Epigr. 1.76:11, scrive "Quid tibi cum Cirrha? Quid cum Permesside nuda?" (va notato tuttavia che la costruzione col cum è in questo caso differente dalla costruzione greca col doppio dativo).

Valutando l’utilizzo di tale espressione nei casi succitati (molto interessante Epitteto, il cui tono nel contesto è piuttosto deciso, ma qui l’assist è per Hard Rain! :B): ) sembra si possa concludere che l’espressione “Ti emoi kai soi” denoti la volontà piuttosto netta di stabilire una certa distanza da qualcuno (spesso un interlocutore diretto) con cui non si vuole avere alcun rapporto, e/o di cui si vuole respingere un intervento giudicato inopportuno.

Questa conclusione avrebbe delle implicazioni piuttosto interessanti in un’ottica di ricerca storica, in quanto Giovanni confermerebbe la tradizione sinottica dell’atteggiamento “distaccato” (se non conflittuale) di Gesù verso i propri familiari. Si tratta forse di una retroproiezione della situazione delle prime comunità cristiane, i cui membri entrarono in conflitto con le proprie famiglie a causa della propria scelta di fede?

Da un punto di vista linguistico, benché in ambito “biblico” sia possibile tracciare una curva che va dalla LXX al Vangelo di Giovanni, l’espressione "Ti emoi kai soi" si ritrova anche in Epitteto e (forse!) anche in latino (Marziale) con medesimo significato.
Non conoscendo altri paralleli nella letteratura classica, non sono in grado di concludere se siamo di fronte ad un greco “insolito” quale traduzione di un’espressione di origine semitica (come molti studiosi sembrano ritenere) oppure se sia un “buon” greco per un’espressione diffusa nel mondo mediterraneo dell’epoca, ma alla cui origine è difficile risalire.

Ciao,
Talità

Edited by Teodoro Studita - 12/3/2013, 17:03
 
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view post Posted on 15/11/2012, 15:25     +1   -1
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Ora non voglio esagerare, ma riguardo all'espressione latina ho trovato un altro interessante passo di Marziale: "Quid tibi nobiscum est, ludi scelerate magister" ("Epigramma IX.68 "), che viene tradotto proprio come "Cos'hai a che fare con me, x@ç!! di un maestro?". Leggo anche che Ovidio usò un'espressione simile: "Quid mihi vobiscum est", sto ancora cercando riferimenti più precisi.

Riguardo al passo greco di Gv 2:4 (e Mc 5:7), la Vulgata latina mantiene invece una traduzione strettamente letterale "Quid mihi et tibi " ("cosa a me e a te") col doppio dativo come in greco, cosa alquanto curiosa potendo utilizzare la costruzione latina presente in Marziale e Ovidio.

Ciao, Talità
 
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view post Posted on 15/11/2012, 18:47     +1   -1
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Su questa storia segnalo una curiosità. Il mio amico Stramare ha pubblicato qualche anno fa su un articolo dal titolo "La risposta di Gesù a Maria alle nozze di Cana. Il test della ragionevolezza", Bibbia e Oriente 213 (2002) in cui sostiene che la corretta traduzione sia "Ciò che è mio è tuo".
Grammaticalmente possibile, ma filologicamente inaccettabile.



 
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view post Posted on 15/11/2012, 23:48     +1   -1
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A mio avviso questa frase ha un significato in gran parte determinato dall'intonazione della voce con cui la si pronuncia...
Già lo scriveva Ricciotti:

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view post Posted on 16/11/2012, 11:04     +1   -1
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CITAZIONE (Polymetis @ 15/11/2012, 23:48) 
A mio avviso questa frase ha un significato in gran parte determinato dall'intonazione della voce con cui la si pronuncia...

Ammesso (e non concesso) che tutto ciò sia mai avvenuto, naturalmente. Credo che nulla si possa dire sulla storicità di questo racconto, ma forse su questo Weiss ci potrà suggerire qualcosa.
 
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view post Posted on 16/11/2012, 11:39     +1   -1
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QUOTE (Teodoro Studita @ 15/11/2012, 18:47) 
Su questa storia segnalo una curiosità. Il mio amico Stramare ha pubblicato qualche anno fa su un articolo dal titolo "La risposta di Gesù a Maria alle nozze di Cana. Il test della ragionevolezza", Bibbia e Oriente 213 (2002) in cui sostiene che la corretta traduzione sia "Ciò che è mio è tuo".
Grammaticalmente possibile, ma filologicamente inaccettabile.

Eh già, il "problema" della rispostaccia di Gesù a sua madre ha catalizzato (a parer mio ingiustamente) l'attenzione su questo aspetto relazionale a discapito dell'interessante aspetto filologico di questa espressione idiomatica. Senza parlare di tutti i discorsi relativi all'utilizzo del termine "donna", che infatti ho accuratamente evitato, quasi ci trovassimo di fronte a degli ipsissima dei quali cogliere le sfumature!

Rimanendo nel contesto giovanneo, cioè del dialogo Gesù/Maria, un'altra possibile traduzione (che ho trovato più volte nella mia modesta ricerca in preparazione di questo thread) di questo "cosa a me e a te" sarebbe "cosa (ne viene) a me e a te", denotando quindi una sorta di implicita complicità, patto, per cui Gesù domanderebbe a sua madre cosa ci guadagnerebbero entrambi dall'operare un miracolo in quel momento e in quel contesto, ben sapendo qual è lo scopo ultimo della sua "missione".
In questo modo si eliminerebbe l'effetto "barriera"/"distanza" della traduzione "che vuoi da me".

Per quanto tale traduzione ("cosa ne viene a me e a te") potrebbe essere legittima se considerata in un contesto isolato (quale quello di Gv 2:4), devo dire che il confronto con l'utilizzo di "Ti emoi kai soi" nella letteratura veterotestamentaria, neotestamentaria e classica (e in questo caso proprio a cavallo tra il I e II sec.) sembrebbe confermare come più plausibile la traduzione CEI, quale netta presa di distanza dall'interlocutore (siamo cioè più vicini al "che vuoi"/"non mi rompere le scatole").

QUOTE (Polymetis @ 15/11/2012, 23:48) 
A mio avviso questa frase ha un significato in gran parte determinato dall'intonazione della voce con cui la si pronuncia...
Già lo scriveva Ricciotti:

Grazie Poly, vedo che Ricciotti ha anche indicato il testo ebraico soggiacente: mah li wal (ak).

Il problema legato all'intonazione della voce si può esprimere nei seguenti termini:

1) Ben difficilmente ci troviamo di fronte a degli ipsissima Jesu (in campo scientifico quella degli ipsissima è considerata una premessa impossibile)
2) Ricciotti è risalito al testo ebraico, ma Gesù presumibilmente parlava in aramaico a sua madre, quindi bisognerebbe spostare il problema dell'intonazione all'aramaico (supponendo di conoscere gli ipsissima in aramaico)

In pratica l'intonazione del dialogo tra Gesù e Maria a Cana sembra presentare un problema scientificamente irrisolvibile, e quella di Ricciotti rimane quindi un'ipotesi non verificabile - per quanto, ovviamente, non impossibile.

Devo dire tuttavia che apprezzo la delicatezza con cui Ricciotti ha affrontato la questione nel suo complesso, e anche la *competenza*: egli non nega infatti che tale espressione implichi un dissenso tra Gesù e Maria, semplicemente cerca di misurarne i toni, e pone correttamente quest'episodio in linea con il battibecco tra Gesù ed i genitori nell'episodio della visita al tempio (Lc 2:48-50). Qui secondo me Ricciotti ha ragione da vendere, ed aggiungerei gli episodi di Mc 3:21 e Mc 3:33-35, quale ulteriore esempio di attrito familiare (tanto per fare contenti i fans del citerio dell'imbarazzo!) ^_^

Ciao,
Talità
 
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Hard-Rain
view post Posted on 16/11/2012, 12:33     +1   -1




Bravo Talita, mi ricordo benissimo dell'occorrenza in Epittèto e infatti all'epoca, quando studiavo Epittèto, mi ricordai che l'espressione era presente nei sinottici. Siamo sicuri che si tratti di un semitismo? Oppure di un costrutto della lingua parlata a quel tempo? Le lezioni di Epittèto sono registrazioni prive di elaborazione letteraria, fatte da Arriano di Nicomedia, come quando oggi uno prende appunti a lezione. Sarebbe opportuno cercare occorrenze nei papiri, anche se ci vuole fortuna a trovare una espressione del genere (magari due che litigano per lettera...). Cosa ti serve sapere sul caso di Epittèto? Vuoi che riprenda la traduzione e verifichiamo tutto il contesto? Stasera o domattina potrei farlo se necessario.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 16/11/2012, 16:29     +1   -1




Talita, ma ricordo male o in Marco 5,7 c'è la stessa espressione τί ἐμοὶ καὶ σοί? Qui abbiamo il dialogo tra Gesù e l'indemoniato. Mi pare che sia incontestabile il fatto che si rimarca una distanza tra i due. Alla luce di qeusto, mi sembra improponibile tradurre ""Ciò che è mio è tuo", come nell'articolo di BEO segnalato da Teodoro. O no? Stasera rifletto meglio.
 
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view post Posted on 16/11/2012, 17:39     +1   -1
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QUOTE (Hard-Rain @ 16/11/2012, 16:29) 
Talita, ma ricordo male o in Marco 5,7 c'è la stessa espressione τί ἐμοὶ καὶ σοί? Qui abbiamo il dialogo tra Gesù e l'indemoniato.

Sì, è cosi - infatti l'ho rimarcato nel mio primo post.
Riguardo a Epitteto, sarebbe interessante verificare l'intero passo dove tale espressione è utilizzata, per una conferma del suo significato (e del tono) in un contesto extra-biblico.

Ciao!
Talità
 
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Hard-Rain
view post Posted on 16/11/2012, 19:18     +1   -1




CITAZIONE
Riguardo a Epitteto, sarebbe interessante verificare l'intero passo dove tale espressione è utilizzata, per una conferma del suo significato (e del tono) in un contesto extra-biblico.

Agli ordini!

Per prima cosa le ricorrenze di questa espressione in Epittèto compaiono non in un solo passaggio ma in numerosi passaggi, a patto che si prendano ovviamente in considerazione le varie persone dei pronomi e la relazione con altri sostantivi e non con i soli pronomi personali:

1,1,16 (τι ημιν και αυτῳ; ) trad.: “Cosa abbiamo a che fare con lui?”, che Cassanmagnago rende con “E che c’è tra noi e lui?”

1,22,15 (τι μοι και αυτῳ; ) trad. "che c'è tra me e lui?" (Cassanmagnago)

1,27,14 (τι μοι και αυτοις; ) trad. "che ho da spartire con loro?" (Cassanmagnago)

2,19,16 (τι ημιν και σοι; ) trad. “Che ci importa, uomo, a me e a te?” (Qui il senso è un po’ diverso, dal contesto, in effetti);

2,19,19 (τι εμοι και σοι; ) trad. “Che importa a me e a te, uomo?” (stesso discorso del caso prcedente).

2,20,11 (τι γαρ σοι και ημιν; ) trad. “Che, c’è, infatti, tra te e noi?” (Cassanmagnago);

3,18,7 (τι σοι και τῳ αλλοτριῳ κακῳ; ) trad. “che c’è tra te e il male di un’altra (persona)?” (Cassanmagnago traduce con un giro di parole ma il senso immediato è questo);

3,22,99 (τι σοι και τοις αλλοτριοις; ) trad. “che c’è tra te e i fatti altrui?” (Cassanmagnago);

3,24,83 (ουδεν μοι και αυτῃ) trad. “se è un male, non ha niente a che vedere con me” (Cassanmagnago);

4,2,9 (μηδεν σοι και αυτοις) trad. “non avere più nessun rapporto con esse” (Cassanmagnago).

Come si vede, a parte i casi discutibili e probabilmente non attinenti di 2,19,16 e 19, la casistica è piuttosto frequente. Ciò che mi preme sottolineare è che le Diatribe di Epittèto sono un testo molto vicino al parlato, come dicevo nel mio precedente post, e prive di elaborazione letteraria (questo non vuol certo dire che sono un testo “facile”, anzi, al contrario, a volte è molto complesso a causa di un gergo più vicino alla lingua non scritta e per la presenza di numerose ellissi).

Pertanto, bisogna stare attenti a considerare un semitismo questa espressione. Potrebbe benissimo essere una espressione vicina alla lingua parlata a quel tempo. E’ vero che la LXX utilizza spesso questa costruzione ma qui andrebbe condotto uno studio caso per caso. La LXX certamente ha influssi semitici, d’altra parte alcuni suoi elementi linguistici sono attestati anche dai frammenti papiracei (lettere private, ecc…) dell’Egitto ellenistico. A parte alcuni libri molto particolari (come Maccabei) non c’è neppure una particolare pretesa letteraria. Quindi, di nuovo, anche nella LXX queste espressioni potrebbero semplicemente riflettere il parlato del tempo.

Gli autori che riflettono il parlato a cavallo tra I e II secolo d.C. non sono poi tanti, tolto Epittèto, così come trascritto da Arriano di Nicomedia. Sinceramente non ricordo una casistica del genere nei “moralia” che ho tradotto (una decina circa), né nelle orazioni di Dione di Prusa e neppure nell’encomio di Roma di Elio Aristide di cui mi sto occupando non ho trovato questa espressione. Può darsi che ci fossero ma mi siano sfuggite, certamente non hanno colpito la mia attenzione come Epittèto. Ma queste “orazioni”, anche se venivano pronunciate in pubblico, erano composte prima a tavolino (al contrario del caso di Epittèto).

Un buon banco di prova sarebbe Musonio Rufo. Ho tradotto anche tutto questo autore, sfortunatamente all’epoca non mi sono annotato per filo e per segno queste costruzioni, come feci con Epittèto. Rufo è in una situazione molto simile a quella di Epittèto: il discepolo Lucio, come Arriano per Epittèto, mise per iscritto le parti meno “formali” delle lezioni del filosofo. Potrei verificare se c’è qualcosa in questo testo, sarebbe la prova del nove che si tratta di qualcosa certamente utilizzato nel “parlato” quotidiano, al di là dell’atticismo imperante all’epoca.

CITAZIONE
forse un simile utilizzo anche in latino: Marziale, Epigr. 1.76:11, scrive "Quid tibi cum Cirrha? Quid cum Permesside nuda?" (va notato tuttavia che la costruzione col cum è in questo caso differente dalla costruzione greca col doppio dativo).

Il latino non è affar mio, tuttavia ho aperto davvero a caso una pagina di Tacito e ho trovato "quid illi cum militibus", trad. "gli chiedeva che cosa avesse a che fare lui con i soldati" (Annales 6,3,1).

Edited by Hard-Rain - 16/11/2012, 19:46
 
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Hard-Rain
view post Posted on 16/11/2012, 21:09     +1   -1




Su τι εμοι και σοι la grammatica di Robertson dice: "is in the LXX (2 Ki. 3:13), but it is also a Greek idiom (ellipsis, Kunhe-Gerth, ib.)" (Robertson, Grammar ..., ed. Broadman Press, 1934, pag. 736). D.B. Wallace annota che "though typically considered a Semitism, it did occur in wholly secular Greek (so BAGD, ibid.; Smyth, Greek Grammar beyond the basics, 341 [$1479]) (Wallace, Greek Grammar, Zondervan, 1996, pp. 150-151). La grammatica di S. Porter vedo invece che non parla di questo verso di Giovanni.

Edited by Hard-Rain - 17/11/2012, 08:21
 
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view post Posted on 17/11/2012, 02:58     +1   -1
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Grazie Hard! Perfetto! In pratica non e' detto che tale espressione non fosse un "buon greco" piuttosto che la traduzione di un'espressione semitica.

Grazie, ciao

Talita'
 
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view post Posted on 28/5/2016, 17:02     +1   -1

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Buonasera.
Per cortesia qualcuno mi sa dire dove trovo "La risposta di Gesù a..." di Stramare citata sopra, oltre che in biblioteca?
Grazie.
 
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speculator2017
view post Posted on 10/6/2016, 10:12     +1   -1




Talità kum 15/11/2012

......sembra si possa concludere che l’espressione “Ti emoi kai soi” denoti la volontà piuttosto netta di stabilire una certa distanza da qualcuno (spesso un interlocutore diretto) con cui non si vuole avere alcun rapporto, e/o di cui si vuole respingere un intervento giudicato inopportuno..............



Speculator2017


Nel caso di Gesù-Maria si trattava di respingere un intervento giudicato inopportuno (al preciso istante della espressione-suggerimento di Maria)

più che

stabilire una certa distanza da qualcuno (spesso un interlocutore diretto) con cui non si vuole avere alcun rapporto ( come poteva con sua madre?? la donna?? che gli faceva nota la situazione).

La parola "donna" mi pare significa "persona soggetta ad autorità (maritale o altra)" ed è anche espressione simbolica di sottomissione, come nel caso riferito di Augusto che chiamava Cleopatra la regina di un Egitto (conquistato?) donna.

Non si andava alle nozze di uno sposo e si trasforma l'acqua in vino senza il suo permesso.

La responsabilità del vino era dello sposo, come risulta anche dal commento del capo del banchetto allo sposo: "tu hai tenuto il vino buono per dopo".

Dicendo a Maria, alla "donna" (soggetta ad autorità) :"Non è ancora giunta la mia ora" , (sapendo che avrebbe compiuto il miracolo poco dopo), le comunicava che era disposto a farlo, (altrimenti avrebbe detto chiaramente "non lo farò" e non l'avrebbe fatto), ma doveva farlo alla giusta ora, che sarebbe venuta quando lo sposo avrebbe dato il permesso, come accadde.
 
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view post Posted on 18/12/2016, 11:25     +1   -1

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In merito alla questione, volevo segnalare il seguente lavoro:

Ramelli, Ilaria. Ti emoi kai soi, gunai; (John 2:4). Philological, contextual, and exegetical arguments for the understanding : "what does this matter to me and to you?

La pagina web: http://rabida.uhu.es/dspace/handle/10272/3268
L'articolo in PDF: http://rabida.uhu.es/dspace/bitstream/hand....pdf?sequence=1

Non avendo le competenze necessarie per una valutazione, ho letto solo la conclusione, nella quale mi pare di capire che l'autrice propenda per la seguente interpretazione:

Che cosa ha a che fare ciò [il fatto che non c'era vino] con noi [Gesù e Maria]?

A voi, se vi va, lascio eventuali commenti e osservazioni critiche del lavoro.

Edited by Akrio - 19/12/2016, 13:20
 
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