Studi sul Cristianesimo Primitivo

E. Norelli - La nascita del Cristianesimo

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icon14  view post Posted on 24/3/2014, 14:21     +1   -1
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Buongiorno a tutti,
la newsletter de il Mulino mi ha informato dell'uscita del libro in oggetto, per la collana "Le vie della civiltà".

Da quanto ho capito è una novità: qualcuno lo ha già letto e/o me lo consiglia?

Grazie mille
Lorenzo
 
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view post Posted on 24/3/2014, 15:46     +1   -1
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Ciao, non ho letto il libro (né avrò tempo di farlo nell'immediato futuro) ma l'autore è ottimo.
Riporto di seguito la presentazione dell'interessantissimo libro:

"Gesù di Nazaret suscitò, nella Galilea e Giudea del tempo dell’imperatore Tiberio, un movimento di «risveglio» rivolto a Israele e fondato sull’annuncio dell’apertura del regno di Dio. Perché la morte infamante di Gesù non mise fine al suo movimento, che anzi ne trasse spunto per un rilancio del suo messaggio anche oltre le frontiere d’Israele? In che modo si costituì, nel secondo secolo, un sistema di poteri e dottrine che sarebbe stato capace d’imporsi all’impero romano? Il libro ripercorre i modelli di fede in Gesù adottati dai vari gruppi di credenti, illustra la concezione del mondo e la pratica di vita che postulavano, e le ragioni per le quali alcuni di tali modelli risultarono vincenti."

Insomma, se potessi io lo leggerei :)

Se avrai occasione di leggerlo, sarebbe interessante se potessi riportare qui a grandi linee le tesi dell'autore così da poterle discutere tutti insieme.

Ciao!
Talità
 
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K. Freigedank
view post Posted on 29/3/2014, 17:51     +1   -1




Acquistato oggi.
VI farò sapere.
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view post Posted on 31/3/2014, 11:16     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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Norelli è un nome interessante nel ristretto panorama italiano, un must have :2029.gif:
 
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K. Freigedank
view post Posted on 31/3/2014, 15:11     +1   -1




Bene. Dopo le parole di Talità in senso positivo, queste del grande Way le considero come il suggello di un ottimo acquisto (meno male).
Grazie a tutti.
KF
 
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view post Posted on 20/6/2014, 09:11     +1   -1
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Buongiorno a tutti.
Ho acquistato e letto (e una volta non è bastata…) il libro di Enrico Norelli “La nascita del cristianesimo”, edito da Il Mulino. Ho poi raccolto imprudentemente l’invito di Talità e provato, con molto ritegno, a darne un breve resoconto.

Anche se risulterà subito chiarissimo, preciso che nello scrivere non ho avuto alcuna ambizione di rigore o sfizio di autorevolezza, semplicemente non potendo. Mi sono quindi concentrato sui contenuti così come li ho compresi, senza aggiungere opinioni personali inevitabilmente bislacche, solo tenendomi talvolta la libertà di fare apertamente qualche domanda. Vediamo dunque il risultato di cotanto sforzo…

Norelli prova a gettare luce sui primi 150 anni della storia dei cristiani (per semplicità li chiamo da subito e impropriamente così), con l’obiettivo di identificare quali fattori abbiano loro consentito di organizzarsi in una struttura – la Chiesa - in grado di sopravvivere nei secoli a tutte le altre istituzioni concepite e realizzate dall’uomo in ogni parte del mondo. L’autore si muove in un percorso cronologico.

a) Il messaggio di Gesù fu percepito dai discepoli essenzialmente come un richiamo all’imminenza dell’instaurazione del “Regno di Dio”. La sua morte violenta, inaspettata e traumatica per la comunità dei suoi testimoni (la questione del “ritardo della parusia”), fu interpretata come un ulteriore stimolo ad accelerare la diffusione del suo messaggio: la fine dei tempi, non essendo arrivata con Gesù in vita, sarebbe dovuta per forza arrivare entro la morte della prima generazione dei superstiti.
Questi superstiti continuano la Sua opera con grande impeto, in due modalità sostanzialmente diverse: alcuni, avendolo seguito durante la sua predicazione errante, continuano su questa strada. Il loro messaggio risulta più legato al loro carisma personale, più “misterico”, connesso alle guarigioni, più impregnato di elementi magici e, sostiene l’autore, non ritiene la resurrezione l’evento chiave per la sua piena comprensione. Il carisma di Gesù è trasmesso personalmente a queste persone e non a un’istituzione; “l’enunciazione e l’efficacia della parola sono inseparabili dalla presenza fisica dell’enunciatore e dai suoi atti” (pag. 29). Diversamente, altri superstiti vedono proprio nella resurrezione l’apertura di un tempo indeterminato che ha una finalità specifica nel progetto di Dio e quindi l’apostolo (messaggero) è testimone di vere e proprie primizie del Regno di Dio. La resurrezione è quindi la base della sua azione, che è fondata sul Risorto e non sul proseguimento dell’attività di Gesù.
In entrambi i casi, comunque, l’impeto della testimonianza è irresistibile, sia dentro Israele che fuori.

b) L’interazione tra apostoli itineranti e stanziali produce un’altra causa di successo: i primi si appoggiano ai secondi, che offrono ospitalità e costituiscono, già nei primi anni dopo la crocifissione, stabili comunità domestiche ove i credenti possono riunirsi per l’Eucaristia.
La prima comunità di credenti in Gesù si forma a Gerusalemme e rappresenta una “setta messianica giudaica, la quale riconosceva in Gesù il messia” (pag. 47.) E’ guidata da Giacomo e, nella sua componente “gentile”, o ellenistica, da Stefano. Le comunità di Antiochia e Roma seguono poco dopo. Ho trovato interessante la questione della presenza di Pietro a Roma nei primi anni, che pare accertata, e del suo contributo alla fondazione della chiesa in quel luogo, che pare invece del tutto insussistente. La chiesa romana preesisteva a Pietro a da ciò l’autore conclude (pag. 73) che il primato del vescovo di Roma non può in alcun modo basarsi su questi argomenti storici. Non lo sapevo.
La figura di Paolo è descritta con brevità ed efficacia. Mi hanno stupito la sua personalità autonoma e la sua forza progettuale e organizzativa. Senza voler scavalcare le autorità dell’epoca, Paolo vi interagisce con grande forza e determinazione, compiendo un lavoro profondissimo per far comprendere come la figura di Gesù salva attraverso la resurrezione e quanto la Legge sia invece impotente a questo fine. Molto efficace, a mio parere, la descrizione della seconda riunione di Gerusalemme, avvenuta “con ogni probabilità nel 48/49” (pag. 77), in cui con buona sintesi l’autore descrive il conflitto tra chi si sentiva giustificato dall’osservanza della Legge e Paolo, che vede nella “morte di Cristo (…) il luogo del perdono dei peccati” (pag. 79).
Le pagine 95 e 96 mi sono sembrate tanto importanti quanto oscure. Il dilemma di trovare un “rapporto plausibile tra la bontà e la misericordia infinite” e la giustizia divina, è risolto da Paolo ancora attraverso la resurrezione, ma purtroppo non ho capito perché.

c) E’ la scomparsa dei testimoni che dà l’avvio al processo di fissazione delle memorie di Gesù per iscritto: fino agli anni 60 non se ne era sentito il bisogno, poiché si attendeva come imminente la venuta del Regno. Intorno al 70 Marco dà il via alla stesura delle memorie della vita di Gesù, che prenderanno come sappiamo caratteri diversi e, con Giovanni, forme diverse. Dei vari spunti contenuti in queste pagine, ho trovato particolarmente interessante la domanda se Giovanni conoscesse o no gli altri vangeli. Comunque, riconosciute le differenze di stile e di destinazione, tutti i vangeli “convergono nel mostrare l’esigenza di organizzare per iscritto la tradizione su Gesù (…) per poter rendere conto del senso di un presente che comincia a prolungarsi al di là della generazione dei discepoli” (pag. 109).

d) Fin dai primi decenni i credenti si riuniscono in “chiese” locali, intese come comunità del “popolo di Dio riunito in un determinato luogo” (pag. 117). Le più antiche sembrano essere quelle di Roma e Antiochia, attestate già verso il 100, ma anche Gerusalemme, Edessa e Alessandria sono nuclei forti molto presto. Chi le comanda? L’autore dà grande accento al processo di transizione dal periodo degli profeti e maestri a quello dei diaconi e presbiteri, sottolineando come il carisma personale dei primi mal si conciliasse con la necessità di governare le chiese secondo principi che non escludessero l’opportunità. Non senza resistenze, e con velocità diverse da luogo a luogo, funzioni non carismatiche come episcopi e diaconi si sostituiscono ai profeti. Il loro ruolo “non implica alcuna qualità carismatica, ma la fedeltà ad un insegnamento ricevuto” e dunque assumono autorità in quanto “garanti e guardiani del deposito della fede” (pag. 124). L’autore sostiene che, con il passare del tempo, tra i presbiteri di ogni chiesa locale sia emersa una figura preponderante in grado di farsi riconoscere un’autorità superiore e che intorno alla metà del II secolo si sia avviata a conclusione la transizione verso il monoepiscopato, in un generale declino del modello “caratterizzato dall’autonomia e dalla parità delle chiese (…) [e] l’affermarsi di un modello fondato sul potere rispettivo dei vescovi e sospettoso nei confronti delle diversità” (pag. 131).

e) L’atteggiamento dei cristiani nei confronti del mondo e, in particolare, del potere è stato da subito di collaborazione, sebbene due idee contrapposte convivessero. Di fianco alla “critica radicale di ogni sapienza di questo mondo” e all’attesa di una trasformazione definitiva delle sue strutture, coabitava una generalizzata esortazione a obbedire alle autorità terrene, unica garanzia di un ordine sociale gradito alla divinità (pag. 147). Purtroppo, il potere eversivo delle visioni apocalittiche giovannee, che datano alla fine del primo secolo, e l’ostinazione dei cristiani nel rifiuto di compiere gesti anche solo simbolici di sottomissione all’imperatore, fecero montare un diffuso pregiudizio negativo verso di loro da parte dei contemporanei. Questo pregiudizio, con varie giustificazioni, porterà alle grandi persecuzioni dei secoli II e III, con tutto il loro effetto fortificante sulla fede di molti.

f) Quale Dio protegge meglio (pag. 167). L’autore, comunque, tende a ridimensionare, come fattore di espansione della fede, l’effetto fortemente mediatico e toccante del martirio dei primi cristiani. Egli invece privilegia elementi più concreti, come per esempio:

i. “una religione e una morale elevate”, che non chiedono “il prezzo di un abbandono delle relazioni sociali” (pag. 261), cosa che le osservanze ebree spesso richiedevano facendo di loro, almeno al di fuori di Israele, oggetto di lazzi, ingiurie e sospetti;
ii. l’attività benefica delle chiese verso gli indigenti e chi era colpito da calamità o sciagure;
iii. la garanzia di una sepoltura decorosa a minor prezzo sociale .
iv. i segni concreti che Gesù compì durante il suo transito terreno. Questo fattore, in particolare, sembra garantire una certa continuità con la concezione retributiva che da sempre legava gli uomini agli dei: gli dei sono depositari delle leggi morali, io fedele le seguo fedelmente, gli dei mi premiano. Ora, nessun potenziale fedele certamente desiderava, almeno all’inizio, accontentarsi di una salvezza nell’aldilà e quindi i miracoli e le guarigioni furono da molti interpretati come “la parte terrena” della fede. In altre parole ciò che oggi chiamiamo “primizie” del Regno dei Cieli ebbero allora la funzione di garantire una continuità culturale, rendendo la transizione verso la nuova religione, o almeno la sua percezione, meno azzardata.

g) Siamo arrivati al capitolo quinto del libro, in cui l’autore, in oltre 60 pagine, compie un excursus tanto affascinante quanto complesso, almeno per i miei mezzi, nella teologia dei primi tempi. Il capitolo apre di fatto un’ampia parentesi sul corso principale del libro, perché interrompe la narrazione storica introducendo un nuovo piano di lettura degli avvenimenti, raccontati adesso attraverso le diverse formulazioni della teologia intesa come tentativo di intelligenza del progetto divino e sua differenziazione dal giudaismo e dalla religione pagana. Non mi addentro nella descrizione di ogni corrente di pensiero, ma mi limito a ricordarle: il giudeocristianesimo; l’A Diogeneto, in cui per la prima volta si parla di cristianesimo come religione rivelata; il marcionismo con la sua dicotomia tra due dei, uno infinitamente buono e uno limitato che ha creato la terra; la gnosi, attraverso cui l’uomo può affrancarsi dalla condizione di prigionia cui il Creatore imperfetto lo ha condannato; la sua confutazione da parte di Ireneo, che afferma in via definitiva che la “vera conoscenza è quella trasmessa dagli apostoli” (pag. 193); il valentinismo, con il tradimento di Sofia e il Pleroma. Particolarmente importanti per la loro influenza sul potere costituito sembrano essere stati gli apologisti (Aristide di Atene, Giustino, Taziano, Tertulliano), sia per il loro lavoro diciamo così divulgativo sulla morale e spiritualità cristiana, sia per l’attenzione posta nel cercare una conciliazione tangibile tra la fede e le cose terrene. Infine il montanismo, apparso in Frigia nella seconda metà del II secolo, che riporta alla luce il profeta come strumento attraverso cui lo Spirito parla all’uomo e di conseguenza anche la vecchia competizione tra vescovi e carismatici, stavolta però in un contesto in cui lo sviluppo delle istituzioni ecclesiastiche e le esigenze dei tempi la rendono facilmente perdente (oddio, in realtà scompare nel IV secolo…) di fronte a un potere clericale ormai costituito. Fatto sta che tutte queste visioni in qualche modo “concorrenti” del progetto di Dio sull’uomo fanno, col tempo, anche emergere la diffusa esigenza di “definire lo spazio dei modelli ritenuti accettabili in quanto fedeli alla predicazione di Gesù” (pag. 224). Prevale, infatti, il principio che “la predicazione di Gesù non potesse essere che una e coerente, e che i suoi discepoli […] l’avessero ricevuta e diffusa in maniera assolutamente fedele” (pag. 224). Con Giustino si specifica quindi l’eresia come fenomeno unitario, inteso come ogni insieme di idee o comportamenti difformi dall’elaborazione - e successiva imposizione – di “criteri intesi a decidere” cosa sia conforme al messaggio di Gesù e cosa no. Questi “criteri” prevalenti vengono fissati da Ireneo verso il 190. Con lui si introducono, ad esempio, il principio del libero arbitrio, l’idea che l’intera storia sia finalizzata alla redenzione, la constatazione che il male non sia voluto da Dio ma dall’uomo, sotto l’influsso delle potenze angeliche ribelli. Ed è espressione di questa ricerca di unità anche la stesura dei vangeli, proseguita in realtà per un arco di tempo assai lungo (forse dagli anni ’60 del primo secolo) e a cui dobbiamo una quantità di scritti ben maggiore di quelli poi considerati canonici. Solo alla metà del II secolo si ha evidenza del fatto che i quattro vangeli poi canonizzati fossero prevalenti sugli altri, ma sembra anche provato che ancora Ireneo alla fine del II secolo non considerasse definitiva tale raccolta. Inoltre, “la raccolta normativa, poi canonica, ha condotto naturalmente ad armonizzare i vangeli tra loro” (pag. 247.) Ne sarebbero prova le molte divergenze, a volte insanabili, contenute in vari racconti evangelici: la genealogia, la nascita, la chiamata dei discepoli, l’ultima cena e la Passione. Anche le lettere di Paolo seguono un percorso di riordinamento verso la conformazione di un corpus definitivo “alla fine degli anni trenta del II secolo" (pag. 251). Il capitolo si chiude con la citazione del Frammento Muratori, datato intorno al 200, importantissimo perché testimonia come intorno a quell’anno il consensus sulle scritture fosse ormai raggiunto e codificato.

Questa la sintesi del libro, con la speranza che i lettori (e nel caso l’autore) mi perdonino le inevitabili cesure e grossolanità. Certamente molte cose per me nuove sono pane quotidiano di molti frequentatori del forum e chiedo quindi scusa a tutti per averle pedantemente descritte.

Il saggio è una lettura certamente interessante, non priva di difficoltà soprattutto legate alla natura dell’argomento e allo stile non sempre divulgativo dell’autore: sovente, infatti, il lavoro sembra pensato come sussidio e integrazione all’attività didattica, e anche quando la narrazione è più fluida i continui rimandi alle fonti (intendiamoci, preziosissimi) e le divagazioni sintattiche ne rendono la lettura un po’ faticosa. Per queste ragioni non mi sentirei quindi di consigliarlo al lettore digiuno, preferendogli ad esempio il libro di Jossa (Il cristianesimo antico, Carocci), molto più accostabile. Norelli, comunque, chiarisce da subito lo scopo del libro – diverso da quello di Jossa - e si attiene con rigore ad esso, conferendo al lavoro una solida e vantaggiosa organizzazione tematica.

Alcune sue affermazioni mi hanno colpito. Nelle splendide pagine iniziali, in cui riassume i contenuti della predicazione di Gesù, l’autore afferma che Egli : “non ha rivendicato per sé il ruolo del messia o, meno ancora, uno statuto sovrumano “ (pag. 20). E ancora: “Negli ultimi giorni a Gerusalemme aveva certamente presagito la sua morte, ma l’aveva probabilmente vista, e presentata ai suoi discepoli, come la transizione voluta da Dio verso l’instaurazione finale del regno” (pag. 21). Sembrerebbe quindi che Gesù non abbia piena consapevolezza del suo ruolo, anzi, che tale consapevolezza nasca e cresca in lui con il tempo. Cosa ne pensate?

L’intero libro, inoltre, sembra attraversato da una domanda silenziosa: Gesù ha voluto fondare una chiesa o il suo messaggio era rivolto alla singolarità dell’uomo? La frase che chiude il libro: “per un percorso su strade molto diverse da quelle che Gesù di Nazaret aveva immaginate” lascia intendere che l’autore abbia buone ragioni per considerare la Chiesa un’invenzione più umana che divina. Questa domanda, insieme a quella sulla consapevolezza, ci restituisce un Gesù davvero umano e come tale quasi sgomento di fronte alla missione che progressivamente si accorge di avere in carico. Di nuovo, cosa ne pensate?

Lasciatemi ora fare qualche considerazione personale e conclusiva. Per l’uomo di oggi, che l’immanente distrae con forza e di continuo dalla propria dimensione spirituale, volgersi alla profondità storica del cristianesimo, e in particolare alla sua origine, è una scelta impegnativa e che rischia di portare a delusioni. La materia è interdisciplinare e difficile, e si serve di molti tecnicismi necessari a supplire alla frammentarietà – chiamiamola così - delle testimonianze storiche. Difficile anche perché l’argomento si presta ad approcci irrazionali e la tentazione di creare una propria cosmogonia colpisce molti autori come forse, in definitiva, ognuno di noi. Ne risulta un panorama bibliografico in cui scegliere correttamente una lettura è impresa ardua e il rischio di prendere qualche brutto inciampo assai concreto. Ma le difficoltà non finiscono qui: chi spera di trovare nel cristianesimo antico un messaggio religioso e morale più intatto si scontra presto con una realtà storica multiforme e, in definitiva, più caotica di quella odierna. Infine, chi spera di gustare una figura storica di Gesù più genuina si accorge che ben poco si sa di lui, almeno secondo i metri cui siamo abituati oggi. Norelli, con il suo libro, mi è parso una luminosa garanzia di rigore per tutti coloro che esplorano il passato del Cristianesimo con onestà intellettuale e, perché no, curiosità spirituale.

Edited by Architeuthis - 20/6/2014, 13:29
 
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view post Posted on 20/6/2014, 23:41     +1   -1
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Grazie per questa recensione, molto interessante. Ciò che descrivi è un manuale che sembra (almeno dalle tue parole) non dire nulla di nuovo rispetto a quanto si sa. Le note finali sul Gesù che non pretendeva di essere una divinità o di fondare una Chiesa, fanno un po' il verso a molti (da Erhman al nostro Pesce) e ormai rischiano di diventare fuori moda. Personalmente sono meno dogmatico su questo versante e preferisco l'intepretazione più morbida e possibilista di un Meier. Quanto al resto:

CITAZIONE
La chiesa romana preesisteva a Pietro a da ciò l’autore conclude (pag. 73) che il primato del vescovo di Roma non può in alcun modo basarsi su questi argomenti storici. Non lo sapevo.

Di questo in passato abbiamo parlato lungamente. Su questo argomento esiste molta letteratura ma, tolti i più accesi partigiani, posso senz'altro consigliare gli studi di Gramaglia.

Da incorniciare la tua chiusa, davvero condivisibile (e ben scritta!)

CITAZIONE
Per l’uomo di oggi, che l’immanente distrae con forza e di continuo dalla propria dimensione spirituale, volgersi alla profondità storica del cristianesimo, e in particolare alla sua origine, è una scelta impegnativa e che rischia di portare a delusioni. La materia è interdisciplinare e difficile, e si serve di molti tecnicismi necessari a supplire alla frammentarietà – chiamiamola così - delle testimonianze storiche. Difficile anche perché l’argomento si presta ad approcci irrazionali e la tentazione di creare una propria cosmogonia colpisce molti autori come forse, in definitiva, ognuno di noi. Ne risulta un panorama bibliografico in cui scegliere correttamente una lettura è impresa ardua e il rischio di prendere qualche brutto inciampo assai concreto. Ma le difficoltà non finiscono qui: chi spera di trovare nel cristianesimo antico un messaggio religioso e morale più intatto si scontra presto con una realtà storica multiforme e, in definitiva, più caotica di quella odierna. Infine, chi spera di gustare una figura storica di Gesù più genuina si accorge che ben poco si sa di lui, almeno secondo i metri cui siamo abituati oggi.

È proprio così.
 
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lino85
view post Posted on 21/6/2014, 19:21     +1   -1




CITAZIONE (Teodoro Studita @ 21/6/2014, 00:41) 
Grazie per questa recensione, molto interessante. Ciò che descrivi è un manuale che sembra (almeno dalle tue parole) non dire nulla di nuovo rispetto a quanto si sa. Le note finali sul Gesù che non pretendeva di essere una divinità o di fondare una Chiesa, fanno un po' il verso a molti (da Erhman al nostro Pesce) e ormai rischiano di diventare fuori moda. Personalmente sono meno dogmatico su questo versante e preferisco l'intepretazione più morbida e possibilista di un Meier. Quanto al resto:

Premesso che occorrerebbe parlare con le parole testuali del manuale in questione, non mi risulta che il Meier si discosti così tanto da Ehrman o Pesce nel ritenere che il Gesù storico non si dilungasse ad evidenziare al centro nel suo messaggio del suo ministero pubblico una natura unica della sua persona, più che altro si dilungava sull'azione di Dio e del suo Regno, certo ci sono da ricordare brani come Mc 2,7 e Mt 11,27 e Lc 10,22... Che poi non parlasse poi con espressioni teologiche successive come "stessa sostanza" e "diversa persona" è un altro discorso. Sapresti indicarmi dove Meier parla di un modo particolare che Gesù aveva nel concepire se stesso?

Per quanto riguarda il fondare una Chiesa, certo Gesù nel suo ministero pubblico riteneva che anche i non ebrei fossero coinvolti e in modo positivo nell'azione divina del Regno (Pesce ritiene che Gesù pensava a una conversione miracolosa dei Gentili) ma riteneva che almeno nella sua vita terrena non si dovesse predicare nelle terre dei pagani. Poi naturalmente c'è il messaggio ricevuto dai discepoli nelle esperienze post-pasquali e lì gli storici sono unanimi che c'è il messaggio di conversione per i pagani.

Per Architeutis: tu che hai letto il libro, quale opinione ha Norelli sul legame tra Paolo e il giudaismo? Secondo l'autore Paolo si riteneva ancora legato alla comunità religiosa ebraica oppure si sentiva opposto a tale comunità o a una certa visione di essa?

Ciao.
 
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view post Posted on 30/6/2014, 19:52     +1   -1
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Grazie Teo per le tue cortesi parole.

Caro Lino,
da quanto ho compreso, nel libro si dà per scontata una forte continuità tra Paolo e la comunità giudaica cui egli apparteneva, almeno all’inizio della sua attività. Smessi i fervori giovanili, Paolo interpreta la sua esperienza mistica sulla via di Damasco non tanto come una conversione repentina e netta, quanto come un messaggio peculiare che Gesù gli ha voluto dare personalmente e informa quindi tutta la sua opera successiva alla realizzazione della missione apostolica che egli sente di avere ricevuto.

Certamente Paolo è convinto che la fede in Gesù non sia incompatibile con l’osservanza della Legge, tuttavia semplicemente quest’ultima non ha per lui più alcun potere salvifico, perché la giustificazione dell’uomo può avvenire solo attraverso la misericordia infinita di Dio. L’autore crede in effetti che Paolo abbia sofferto parecchio vedendo che nel progetto di Dio non ci fosse la conversione o, meglio, la comprensione di massa degli Ebrei; questa delusione però non scoraggia Paolo nella sua missione, che egli orienterà progressivamente di più verso i pagani, forse proprio come reazione a questa delusione verso la gente della sua comunità originaria. A loro volta i suoi vecchi “correligionari” si sentiranno traditi dalla tesi paolina dell’inutilità di ogni sforzo umano nel rendersi giusti di fronte a Dio, e ciò si tradurrà in un progressivo distacco dei primi cristiani d’oriente – segnatamente di Gerusalemme - da quelli delle comunità fondate da Paolo. Come se la condanna dei poteri terreni, rappresentata dalla Croce, e l’azione gratuita e unilaterale di salvezza compiuta da Dio sull’uomo, rappresentata dalla Resurrezione, avessero una carica ancora troppo scandalosa per gli ebrei convertiti.

Caro Lino, spero di non aver preso cantonate colossali. Certamente, e questo mi ha colpito, di libero arbitrio Paolo non parla.
Ciao
L.
 
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