Studi sul Cristianesimo Primitivo

Ant. XV, 190

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Hard-Rain
view post Posted on 8/5/2014, 20:09     +1   -1




Siamo in una sezione di discorso indiretto in cui Flavio Giuseppe riporta un discorso di Erode a Cesare Augusto (cfr. ἔλεγεν γὰρ τῷ Καίσαρι al v. 189). In questo contesto, in cui compaiono vari infiniti con soggetti in acc.vo (tipico del discorso indiretto) a un certo punto abbiamo:

τὸν γὰρ ὁμολογοῦντα μὲν εἶναι φίλον, εὐεργέτην δ᾽ ἐκεῖνον ἐπιστάμενον, παντὶ μέρει καὶ ψυχῆς καὶ σώματος καὶ περιουσίας συγκινδυνεύειν δέον ὧν αὐτὸς ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν ἀναστραφεὶς

dove τὸν γὰρ ὁμολογοῦντα … (fino a ἐπιστάμενον) è un participio sostantivato che diventa il soggetto dell’inf.to συγκινδυνεύειν e di altri inf.ti che compaiono dopo.

Le cose che non mi sono chiare sono:

1) Non mi è chiara la funzione del participio δέον, lo si deve intendere come accusativo assoluto (cioè συγκινδυνεύειν δέον), attestato in Giuseppe Flavio, oppure come participio congiunto (concordato con τὸν ὁμολογοῦντα, ecc…; oppure, in alternativa, con ἐκεῖνον)?

2) Il significato della relativa ὧν (= pron. rel. gen.vo) αὐτὸς ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν ἀναστραφεὶς. Per prima cosa il pronome relativo a chi si riferisce? Forse a ψυχη και σωμα και περιουσια di cui ha parlato prima? E il senso della frase quale sarebbe, forse qualcosa del tipo: “trovandosi (sentendosi) egli stesso meno che bene (?) in quelle (cose) (cioè in anima, corpo e “sostanze economiche”). Questo, ovviamente, starebbe in piedi nell’ipotesi di considerare δέον acc.vo assoluto (vedi p.to 1). Non afferro poi neppure il senso del participio (passivo!) ἀναστραφεὶς. Sempre che non lo si debba intendere come predicativo (in tal caso va con εἶχεν).

Le traduzioni se la cavano nel seguente modo:

“che un uomo come lui, professatosi amico d’Antonio dall’una banda, e dall’altra consapevole de’ benefizj indi a se pervenuti ben era dicevole, che mettese con lui a pericolo, quanto aveva, e vita,e persona,e sostanze; nel che se forse aveva men bene al suo debito soddisfatto, ecc…” (F. Angiolini)

“car lorsqu'on fait profession d'amitié pour un homme et qu'on le reconnaît pour son bienfaiteur, on doit se donner corps, âme et biens pour partager ses dangers ; lui n'en avait pas fait assez” (J. Weill)

“"for if a man owns himself to be another's friend, and knows him to be a benefactor, he is obliged to hazard every thing, to use every faculty of his soul, every member of his body, and all the wealth he hath, for him, in which I confess I have been too deficient.” (Whiston).
 
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view post Posted on 8/5/2014, 20:50     +1   -1
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Metti anche il contesto, quanto meno ciò che precede
 
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Hard-Rain
view post Posted on 8/5/2014, 20:59     +1   -1




Perfetto, parto dall'inizio del cap. 6,6 fino al passaggio di cui sopra.

(6,6) [187] Ταύτας δοὺς τὰς ἐντολὰς αὐτὸς εἰς Ῥόδον ἠπείγετο Καίσαρι συντυχεῖν. κἀπειδὴ κατέπλευσεν εἰς τὴν πόλιν, ἀφῄρητο μὲν τὸ διάδημα, τοῦ δ᾽ ἄλλου περὶ αὐτὸν ἀξιώματος οὐδὲν ὑφεικώς, ὅτε καὶ κοινωνῆσαι λόγου κατὰ τὴν συντυχίαν ἠξιώθη, πολὺ μᾶλλον ἐνέφηνεν τὸ μεγαλεῖον τοῦ κατ᾽ αὐτὸν φρονήματος, [188] οὔτ᾽ εἰς ἱκεσίαν, ὡς εἰκὸς ἐπὶ τοιούτοις, τραπόμενος οὔτε δέησίν τινα προτείνων ὡς ἐφ᾽ ἡμαρτημένοις, ἀποδοὺς δὲ τὸν λογισμὸν τῶν πεπραγμένων ἀνυποτιμήτως. [189] ἔλεγεν γὰρ τῷ Καίσαρι καὶ φιλίαν αὐτῷ γενέσθαι μεγίστην πρὸς Ἀντώνιον καὶ πάντα πρᾶξαι κατὰ τὴν αὐτοῦ δύναμιν, ὡς ἐπ᾽ ἐκείνῳ γενήσεται τὰ πράγματα, στρατείας μὲν οὐ κοινωνήσας κατὰ περιολκὰς τῶν Ἀράβων, πέμψας δὲ καὶ χρήματα καὶ σῖτον ἐκείνῳ. [190] καὶ ταῦτ᾽ εἶναι μετριώτερα τῶν ἐπιβαλλόντων αὐτῷ γενέσθαι [ecc...]

[187] (6,6) Impartiti questi ordini, egli stesso (= Erode) si affrettò per Rodi, per incontrare Cesare. Una volta approdato nella città, si tolse il diadema, senza tuttavia abbandonare il resto dei segni di onore che aveva. Quando gli fu chiesto di parlare, mostrò ancora di più la grandiosità del suo nobile sentire, [188] senza intraprendere una supplica, com’è ragionevole per tali (situazioni), né proponendo una qualche richiesta, come per chi sa di essere in colpa, ma elencando liberamente il computo delle (cose) che (da lui) erano state fatte. [189] Infatti, (Erode) disse a Cesare che tra lui e Antonio c'era stata una grandissima amicizia, e (diceva) di aver fatto ogni cosa in suo potere affinché quello (cioè Antonio) avesse avuto la supremazia. Pur non avendo preso parte alla spedizione (di Antonio), in accordo alla diversione degli Arabi (qui katà + accusativo è un orrore, ci voleva dià + acc.vo, cioè un compl. di causa, ma Flavio Giuseppe scrive così...), tuttavia aveva inviato denaro e frumento per quello (= cioè per aiutare Antonio). [190] E questi (aiuti) erano piu moderati delle (cose) che fu in suo dovere fare. Infatti, chi da un lato ammette di essere un amico e dall’altro riconosce in quello un benefattore, affronta il pericolo insieme (a lui) [frase di difficile comprensione δέον ὧν αὐτὸς ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν ἀναστραφεὶς] [ci ricolleghiamo alla domanda iniziale...]
 
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view post Posted on 9/5/2014, 13:30     +1   -1
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La mia prima traduzione (che corrisponde al modo in cui ho capito il passo leggendolo, ma non è detto sia il modo corretto) si discosta parecchio da quella di Whiston, dunque attenzione. Si basa sull'idea che ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν sia un'espressione idiomatica (lett. trovarsi bene o male). Se vuoi una versione più letterale te la allestisco, ma già da questa suppongo che tu possa capire come l'ho intesa io:

Infatti, da chi da un lato si professa un amico e dall’altro riconosce in quello un benefattore, ci si attende che in ogni modo, con la mente, il corpo e le proprie sostanze, condivida le situazioni più o meno fauste in cui l’altro si venisse a trovare.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 9/5/2014, 14:50     +1   -1




Anche io avevo interpretato in questo senso ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν poi ho letto le traduzioni e mi sono confuso...

Quindi il relativo ὧν, secondo la tua interpretazione, non è da intendersi in riferimento a ψυχη και σωμα και περιουσια (come interpretano, se capisco bene, le tradd. di Whiston & Co.?)

Continua poi a sfuggirmi il ruolo (e il senso in questo contesto) del participio (passivo!) ἀναστραφεὶς, che fa parte della relativa perchè è al nominativo mentre il resto del discorso riprende con i soliti acc.vi e infiniti.
 
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view post Posted on 9/5/2014, 23:51     +1   -1
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CITAZIONE (Hard-Rain @ 9/5/2014, 15:50) 
Anche io avevo interpretato in questo senso ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν poi ho letto le traduzioni e mi sono confuso...

Io infatti le ho lette dopo proprio per non avere pregiudizi

CITAZIONE
Quindi il relativo ὧν, secondo la tua interpretazione, non è da intendersi in riferimento a ψυχη και σωμα και περιουσια (come interpretano, se capisco bene, le tradd. di Whiston & Co.?)

Io l'ho messo come oggetto indiretto (sottintendi un tά) di συγκινδυνεύειν

CITAZIONE
Continua poi a sfuggirmi il ruolo (e il senso in questo contesto) del participio (passivo!) ἀναστραφεὶς, che fa parte della relativa perchè è al nominativo mentre il resto del discorso riprende con i soliti acc.vi e infiniti.

Io l'ho inteso come un medio e non come un passivo, e l'ho concordato con αὐτὸς: le situazioni (τα) in cui (ὧν) si fosse venuto a trovare (εἶχεν ἀναστραφεὶς)

Naturalmente non posso garantire che sia la soluzione migliore, ma io l'ho capito così.

Edited by Teodoro Studita - 10/5/2014, 20:45
 
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Hard-Rain
view post Posted on 10/5/2014, 17:47     +1   -1




Abbozzo un'altra ipotesi.

1) considero δεον participio congiunto (con valore concessivo anche se mancherebbe un και o part. analoga per la "concessione"), concordato con il ptc. sost. τὸν ὁμολογοῦντα … (fino a ἐπιστάμενον), il cui senso è "mancare", "non avere", che guarda caso regge proprio il genitivo;

2) considero ἔλαττον ἢ καλῶς un'espressione comparativa, con senso avverbiale, cioè qualcosa del tipo "in misura minore di bene", il senso è, come si vedrà, di aver fatto qualcosa in misura minore dell'averlo fatto "bene", cioè averlo fatto in modo non sufficiente (difficile rende bene il senso in italiano);

3) a questo punto mi sono ripassato un po' la grammatica di Basile e potrebbe stare in piedi una interpretazione del tipo δεον [scil. εκεινων] ων, ecc..., cioè il participio δεον ha per oggetto un pronome dimostrativo che sarebbe al genitivo (come richiesto dal verbo δεω), ma in greco la relativa che riprende il dimostrativo spesso implica appunto l'omissione del dimostrativo, in piu il "caso" del pronome relativo dovrebbe essere lo stesso del dimostrativo mancante (proprio come in questo caso!).

4) Mi viene qui in aiuto Teo con la sua interpretazione di εἶχεν ἀναστραφεὶς.

Di conseguenza potremmo avere:

Infatti, chi da un lato ammette di essere un amico e, dall’altro, riconosce in quello un benefattore, affronta il pericolo insieme (a lui), [pur] essendo insufficiente in quelle cose (δέον [scil. εκεινων]) per le quali si è comportato in maniera inferiore al dovuto (ὧν αὐτὸς ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν ἀναστραφεὶς), tuttavia è almeno consapevole di aver fatto bene a non averlo abbandonato, ecc...

Ma, forse, ha ragione Whiston a pensare anche che in fondo l'ipotetico εκεινα si rferisca a ψυχη και σωμα και περιουσια.
 
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view post Posted on 10/5/2014, 20:00     +1   -1
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Mi sembra decisamente cervellotico. Non capisco qual è il problema con la mia proposta. Sappiamo infatti che καλῶς εἶχεν è un'espressione idiomatica per dire "trovarsi bene". Questo ci offre la chiave di interpretazione di εἶχεν ἀναστραφεὶς come "avere a trovarsi" (lett. il contrario: trovarsi a... trovarsi!).
Poi (τὰ) è l'oggetto di συγκινδυνεύειν e ὧν è il raccordo con l'espressione di cui sopra.

Se ancora non è chiaro, posso anche fare una versione super-letterale a scopo unicamente illustrativo:

l'infatti confessante da un lato essere amico, dall’altro riconoscente quello un benefattore, è necessario che con ogni parte dell'anima e del corpo e della sostanza condivida le cose delle quali quello si trovasse a far esperienza nel bene o nel male

Una bella ciofeca, ma dovrebbe rendere più chiara la morfologia. L'unico punto debole è che qui αὐτός si riferisce all'evergeta e non all'amico. In effetti avrebbe dovuto usare ἐκεῖνος, ma si può immaginare che non l'abbia fatto per evitare la ripetizione.

Cosa c'è che non ti convince?
 
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Hard-Rain
view post Posted on 11/5/2014, 07:52     +1   -1




CITAZIONE
Cosa c'è che non ti convince?

Mi convince, tanto è vero che senza guardare le altre traduzioni sostanzialmente ero andato su questa strada anche io.

E' solo che non riesco a farmi una ragione del perchè le tre tradd. intendono in modo diverso e volevo capire se c'è una possibilità alternativa (Flavio Giuseppe non di rado è cervellotico...). E' vero comunque che non è detto che le tradd. siano tra di loro indipendenti. Tra le cose da sistemare c'è anche il rapporto con la frase "avversativa" che compare subito dopo questo passaggio:

"tuttavia ( in realtà c'è addirittura αλλα) è almeno consapevole di aver fatto bene a non averlo abbandonato, ecc..." (a cosa si oppone questa frase? prima doveva aver detto qualcosa che non era stato fatto, oppure era stato fatto in maniera insufficiente, cui questa frase appunto in qualche modo contrasta)

Ho guardato anche le lezioni alternative presenti nell'apparato critico del Niese ma, contrariamente alle aspettative, non ci sono grosse varianti che facciano intendere meno il passaggio o lo semplifichino.

Grazie 1000 per la tua proposta.

Ho anche un altro passaggio un po' incerto, magari lo posto cosi se hai tempo e voglia puoi autarmi (!).
 
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view post Posted on 11/5/2014, 12:23     +1   -1
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Se metti anche il seguito vediamo di fare il raccordo tra le due frasi.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 11/5/2014, 13:29     +1   -1




Teso greco vv. 187-191 (ed. NIESE):

[187] Ταύτας δοὺς τὰς ἐντολὰς αὐτὸς εἰς Ῥόδον ἠπείγετο Καίσαρι συντυχεῖν. κἀπειδὴ κατέπλευσεν εἰς τὴν πόλιν, ἀφῄρητο μὲν τὸ διάδημα, τοῦ δ᾽ ἄλλου περὶ αὐτὸν ἀξιώματος οὐδὲν ὑφεικώς, ὅτε καὶ κοινωνῆσαι λόγου κατὰ τὴν συντυχίαν ἠξιώθη, πολὺ μᾶλλον ἐνέφηνεν τὸ μεγαλεῖον τοῦ κατ᾽ αὐτὸν φρονήματος, [188] οὔτ᾽ εἰς ἱκεσίαν, ὡς εἰκὸς ἐπὶ τοιούτοις, τραπόμενος οὔτε δέησίν τινα προτείνων ὡς ἐφ᾽ ἡμαρτημένοις, ἀποδοὺς δὲ τὸν λογισμὸν τῶν πεπραγμένων ἀνυποτιμήτως. [189] ἔλεγεν γὰρ τῷ Καίσαρι καὶ φιλίαν αὐτῷ γενέσθαι μεγίστην πρὸς Ἀντώνιον καὶ πάντα πρᾶξαι κατὰ τὴν αὐτοῦ δύναμιν, ὡς ἐπ᾽ ἐκείνῳ γενήσεται τὰ πράγματα, στρατείας μὲν οὐ κοινωνήσας κατὰ περιολκὰς τῶν Ἀράβων, πέμψας δὲ καὶ χρήματα καὶ σῖτον ἐκείνῳ. [190] καὶ ταῦτ᾽ εἶναι μετριώτερα τῶν ἐπιβαλλόντων αὐτῷ γενέσθαι: ‘τὸν γὰρ ὁμολογοῦντα μὲν εἶναι φίλον, εὐεργέτην δ᾽ ἐκεῖνον ἐπιστάμενον, παντὶ μέρει καὶ ψυχῆς καὶ σώματος καὶ περιουσίας συγκινδυνεύειν δέον ὧν αὐτὸς ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν ἀναστραφεὶς ἀλλ᾽ ἐκεῖνό γε συνειδέναι καλῶς ἑαυτῷ πεποιηκότι τὸ μηδ᾽ ἡττηθέντα τὴν ἐν Ἀκτίῳ μάχην καταλιπεῖν, [191] μηδὲ συμμεταβῆναι ταῖς ἐλπίσιν φανερῶς ἤδη μεταβαινούσης καὶ τῆς τύχης, φυλάξαι δ᾽ αὑτὸν, εἰ καὶ μὴ συναγωνιστὴν ἀξιόχρεων, ἀλλὰ σύμβουλόν γε δεξιώτατον Ἀντωνίῳ τὴν μίαν αἰτίαν τοῦ κἂν σώζεσθαι καὶ μὴ τῶν πραγμάτων ἐκπεσεῖν ὑποδεικνύντα, Κλεοπάτραν ἐπανελέσθαι:

Trad. (mia):

[187] (6,6) Impartiti questi ordini, egli stesso (= Erode) si affrettò per Rodi, per incontrare Cesare. Una volta approdato nella città, si tolse il diadema, senza tuttavia abbandonare il resto dei segni di onore che aveva. Quando gli fu chiesto di parlare, mostrò ancora di più la grandiosità del suo nobile sentire, [188] senza intraprendere una supplica, com’è ragionevole per tali (situazioni), né proponendo una qualche richiesta, come per chi sa di essere in colpa, ma elencando liberamente il computo delle (cose) che (da lui) erano state fatte. [189] Infatti, (Erode) disse a Cesare che tra lui e Antonio c'era stata una grandissima amicizia, e (diceva) di aver fatto ogni cosa in suo potere affinché quello (cioè Antonio) avesse avuto la supremazia. Pur non avendo preso parte alla spedizione (di Antonio), in accordo alla diversione degli Arabi (qui katà + accusativo è un orrore, ci voleva dià + acc.vo, cioè un compl. di causa, ma Flavio Giuseppe scrive così...), tuttavia aveva inviato denaro e frumento per quello (= cioè per aiutare Antonio). [190] E questi (aiuti) erano piu moderati delle (cose) che fu in suo dovere fare. Infatti, chi da un lato ammette di essere un amico e dall’altro riconosce in quello un benefattore, affronta il pericolo insieme (a lui) [qui abbiamo la frase di difficile comprensione δέον ὧν αὐτὸς ἔλαττον ἢ καλῶς εἶχεν ἀναστραφεὶς per ora intradotta], ma è almeno consapevole di aver fatto bene a non averlo abbandonato, [sebbene] (quello, cioè Antonio) sia stato sconfitto nella battaglia di Azio, [191] e a non aver cambiato le speranze all’ormai evidente mutamento della Fortuna, anzi (ha fatto bene) ad averlo difeso, sebbene non come alleato in grado di aiutarlo ma, almeno, come abilissimo consigliere indicante ad Antonio l’unica occasione di potersi salvare e di non fallire nei propri interessi, cioè eliminare Cleopatra.
 
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view post Posted on 11/5/2014, 13:47     +1   -1
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Infatti, da chi da un lato si professa un amico e dall’altro riconosce in quello un benefattore, ci si attende che in ogni modo, con la mente, il corpo e le proprie sostanze, condivida le situazioni più o meno fauste in cui l’altro si venisse a trovare. Era tuttavia consapevole di aver fatto bene...κτλ

Qualche nota:
- Ti consiglio di spezzare la frase qui e poi ancora dopo, altrimenti si va in ipossia a leggerla tutta di fila.
- Non c'è alcun problema con "tuttavia": ἀλλ᾽ ἐκεῖνο è un'espressione idiomatica che si rende semplicemente "ma".
 
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Hard-Rain
view post Posted on 19/5/2014, 12:57     +1   -1




Penso di aver notato in Flavio Giuseppe quanto segue:

1) δέον + infinito è un ben noto costrutto greco, tecnicamente un accusativo assoluto (impersonale), usato da vari autori e, in alcune circostanze, anche da Flavio Giuseppe stesso (o almeno l'interpretazione del costrutto come acc.vo assoluto potrebbe andar bene);

2) δέον εστι(ν) + inf.to è un'altro costrutto, impersonale e analogo al precedente, tuttavia finito, di fatto equivalente a δει + inf.to. Abbiamo attestazioni ad esempio nella LXX, in tanti autori come Polibio e i vangeli, es. At. 19,36 o 1 Pt. 1,6 dove εστι(ν) è esplicitato. In alcuni casi sembra proprio che anche Flavio Giuseppe usi δέον in questo senso (es. Ant. XV, 249), cioè quello "finito", così come usa anche δει + inf.to (es. Ant. XX, 257 oppure XV, 148 in un periodo condizionale).

Il problema è che anche per la forma 2) Flavio Giuseppe omette εστι(ν) quindi di volta in volta può sorgere l'ambiguità che si tratti di un acc.vo assoluto (con valore concessivo oppure causale) oppure di una forma finita con ellissi di εστι(ν), tipo δει + inf.to.

Sembra una questione di poco conto capire di volta in volta se Flavio Giuseppe aveva in mente la forma finita o quella assoluta, in realtà non è sempre banale e sbagliare l'interpretazione del costrutto può portare a una incomprensione di tutta la sintassi del periodo con conseguenti fraintendimenti.

Edited by Hard-Rain - 19/5/2014, 14:17
 
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