CITAZIONE (feanor74 @ 24/2/2017, 11:33)
Tutte le volte che nello sviluppo di una qualsiasi teoria si fa ricorso all'eccessivo impiego di artifizi o alla continua revisione dei dati in partenza,
significa che l'istanza di sopravvivenza del modello teorico sviluppato, in virtù del consenso raggiunto, ha avuto il sopravvento sull'istanza di ricerca della verità.
Nel campo della fisica, l'introduzione del metodo sperimentale, da questo punto di vista, ha dato un contributo enorme, ha costituito una svolta importante
... ciononostante, siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, il problema si è verificato lo stesso (è interessante a tal proposiro il libro di Angelo tartaglia
"La Luna e il dito. Viaggio di un fisico tra scienza e fede").
Con questo che cosa intendo dire?
Che se non sappiamo interpretare i dati (sperimentali, storici, etc...) a nostra disposizione con le più avanzate conoscenze a nostra disposizione, non significa necessariamente che siano falsi:
è un'implicazione falsa sul piano logico e non si può mutare il suo valore logico attraverso il voto popolare o una qualsiasi maggioranza di consensi (ad esempio, nel campo della fisica
ci sono numerosi fenomeni che non si spiegano con i modelli standard ma nessun scienziato si sognerebbe mai di accusare i laboratori di ricerca perchè i dati sperimentali non soddisfano tali modelli).
Questo è un errore che nella storia umana è stato fatto innumerevoli volte... ma la verità in ultima istanza non ha bisogno di consensi, si regge da sola.
Nel campo dell'esegesi biblica, tutto questo si palesa spesso e volentieri con questo pregiudizio ideologico di fondo nei confronti delle fonti antiche ritenute non attendibili sul piano storico, etc...
così si arriva a dire che gli Atti degli apostoli non hanno valore dal punto di vista storico, Papia si sbagliava così come tutti i padri della Chiesa, Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea
erano personaggi di fantasia, etc... Non c'è da stupirsi poi se qualcuno (con un foltissimo seguito di lettori, seguaci, etc...) arrivi a dire che la Bibbia non parla di Dio soltanto perchè gioca
su una certa ambiguità tra monolatria e monoteismo presente nell'AT.
Io credo che si debba cambiare approccio... fortunatamente ci sono diversi biblisti, che adottando un approccio radicalmente diverso, hanno sviluppato modelli interpretativi coerenti con
le fonti storiche e con tutta la tradizione biblica dell'AT e NT... o almeno ci provano.
Parto con una considerazione di carattere metodologico: il procedimento che si trova alla base delle scienze sperimentali è diverso da quello su cui si fondano le scienze umanistiche ed antiche, quali, appunto, quelle inerenti lo studio del Cristianesimo primitivo. Come hai detto tu, nello studio sperimentale abbiamo la possibilità, appunto, di sperimentare, dunque di ripetere ciò che cerchiamo di comprendere. In aggiunta, nelle scienze sperimentali si ha spesso a che fare con principi universali e fissi (come la forza di gravità, quella di Coulomb, etc.), le quali frequentemente hanno alla loro base la matematica.
Nelle scienze antiche non si ha nulla di tutto ciò. Nulla può essere ripetuto, non c'è nulla di "fisso" o saldo, e non si ha a che fare con leggi universali e matematiche, ma col lavoro di persone di cui spesso e volentieri non conosciamo neanche il nome. Tutto questo è condito da una bella dose di documenti perduti, varianti filologiche, e chi più ne ha più ne metta. Confrontare dunque i due metodi è assai pericoloso, perché porta ad un procedimento a dire il vero assurdo e fuori da qualsiasi grazia di Dio. Passiamo ora alla questione delle parole dei Padri.
Innanzitutto, ci terrei a dire che, ben lungi dall'essere un "eccessivo impiego di artifizi", la soluzione oggigiorno ampiamente accettata dagli studiosi, per quanto contrasti coi Padri, risulta infine essere quella più semplice, e dal momento che, come dice il principio di Ockham (principio che a me pare così basilare che non intendo neanche ricordare di cosa tratti), nelle scienze è sempre da preferire la conclusione che richiede meno elementi, uno scienziato (perché tali sono anche quelli che studiano queste materie) è portato ad accettare questa soluzione come la più semplice. Ora, cerchiamo di andare per gradi, e partiamo osservando quali siano i fatti veri e propri. Quello che noi possediamo (ovvero, le nostre fonti) sono i tre vangeli greci di Matteo, Marco e Luca (Gv ora non interessa) e le citazioni dei Padri. Lasciamo queste da parte per un attimo e pensiamo ai tre sinottici. Ora, cosa possiamo dire della loro relazione? Possiamo dire che Mt e Lc contengono molto materiale che non è presente in Mc: quindi, o Mt è stato fonte di Lc (il contrario sembra implausibile, né è stato mai sostenuto da alcuno, per motivi che ora non sto a spiegare), o Mt e Lc hanno in comune una fonte perduta. Ora, siccome talvolta il materiale comune sembra avere una forma più primordiale in Lc che in Mt, sembra difficile credere che Mt abbia influenzato Lc: quindi, Mt e Lc condividevano una fonte perduta: Q. Detto ciò, come mettere in correlazione Mc? Era un prodotto dei due? Era una fonte? Quest'ultima sembra essere la soluzione più plausibile, per almeno due ragioni. Innanzitutto, Mc è meno dettagliato ed ampio di Mt e Lc in merito alla questione della distruzione del tempio, e sembra più plausibile che gli autori abbiano ampliato i racconti ricevuti, piuttosto che metterli a dieta. In secondo luogo, Mc non sembra conoscere Q, perché non ne riporta alcun passo. Ora, siccome Q è fonte sia di Mt che di Lc, sembra più plausibile che Mc sia stato fonte, assieme a Q, di Mt, invece di ritenere il contrario, ovvero che Mt fu fonte di Mc. La soluzione che ne risulta è "elegante" e semplice, per quanto possa sembrare altrimenti. Forse, questo schema può aiutare:
Ora, supponiamo invece che sia da preferire la teoria della prevalenza di Mt (tralasciamo per ora la questione della lingua). Cosa significa ciò? Significa che Mc ha usato Mt. E come spieghiamo la questione dell'assenza di Q? Possiamo spiegarlo in due modi: o Mc ha, per un motivo non specificato, pensato che una parte di Mt, sua fonte, fosse affidabile, mentre un'altra no (il che non sembra avere un vero e proprio significato), o bisogna supporre l'esistenza di un proto-Mt, privo del materiale di Q, da cui Mc prese il materiale. Questo proto-Mt si sarebbe poi trasformato in Mt con l'integrazione di Q. Lo scenario si complica, perché qui le fonti da supporre diventano due: proto-Mt e Q! Quindi, invero, la teoria moderna sembra infine essere più semplice.
Nel caso della lingua è lo stesso. Se crediamo che i sinottici furono fatti in greco, non abbiamo nessun problema filologico da trattare, in tal senso. Il testo quello è: punto. Ma se riteniamo che Mt fu scritto in ebraico, le domande da porsi sono almeno tre: anche gli altri furono scritti in ebraico, o solo Mt? E se Mt fu scritto in ebraico, perché il 99% delle volte cita la LXX? E perché Mt concorda così tanto col testo greco di Mc? Quanto alla prima, sembra difficile credere che tutti e tre i vangeli furono scritti in ebraico: soprattutto Lc, che non solo sembra essere l'autore più "ellenistico" dei tre, ma addirittura indirizza la sua opera ad un certo Teofilo, nome che tutto sembra tranne che ebraico. Quanto agli altri due, la situazione è sbrogliata con le altre due domande. Come ho detto, il testo di Mt e di Mc cita spesso la traduzione greca dei LXX, invece del TM o di un testo ad esso affine: talvolta, l'intero senso di un passo è fondato su una precisa traduzione septuagintica che discorda da quella ebraica: si pensi, giusto come esempio, alla riflessione di Mt in riferimento al termine παρθένος trovato in Is 7, 14 (LXX) // Mt 1, 18-24. Se il testo si fosse fondato su un'edizione ebraica dell'AT, per quel che ne sappiamo, l'intera narrazione di Mt 1 non avrebbe senso. Quanto alla seconda domanda, risulta un po' complicato ritenere che il testo ebraico di Mt, tradotto in greco, giunga poi ad essere così simile da Mc: se anche Mc fu scritto in ebraico, ciò significa addirittura che i due testi coincidevano in ebraico, e poi coincisero anche in greco! Altrimenti, va ritenuto che Mt prese da Mc greco, scrisse in ebraico, ma la sua traduzione, sorprendentemente, coincise con Mc greco. Come puoi vedere, ancora una volta la soluzione più semplice sembra essere quella che suppone che tutti i testi furono scritti in greco.
E non ho di certo trascurato la questione del rapporto di queste riflessioni con le fonti patristiche. Come la mettiamo con i Padri (sostanzialmente Papia e chi gli fece da pappagallo) che affermano che Mt fu scritto in ebraico? Bisogna considerare molteplici cose. Innanzitutto, ecco il passo per intero di Papia (sono stanco, quindi non l'ho tradotto io, ma ho preso la traduzione da: Bauckham, Richard (2006).
Jesus and the Eyewitnesses: The Gospels as Eyewitness Testimony. pp. 417–437):
CITAZIONE
Therefore Matthew put the logia in an ordered arrangement in the Hebrew language, but each person interpreted them as best he could.
Come puoi vedere, qui Papia parla di una serie di detti (logia) messi in ordine in ebraico, e che furono "tradotti" o "interpretati" (il greco ha ἡρμένευσεν) da ciascuno come poté. Anche solo prendendo per buono quanto detto da Papia, non possiamo dire che il Matteo ebraico era il nostro Mt, perché era una raccolta ordinata dei detti di Gesù, che fu poi tradotta da molti in vari modi. Di versione greca di Mt ne abbiamo una (con le dovute varianti filologiche), non tante.
Dunque, anche prendendo per genuine le parole di Papia, non sembra difficile ritenere che egli intendesse qualche altro testo, anch'esso noto come Vangelo di Matteo, che però non era una traduzione ebraica di Mt. Questo non significa "screditare" le parole dei Padri: significa cercare di capire cosa abbiano visto o udito. Anche ammettendo la più profonda, sincera ed assoluta veracità dei Padri, noi non sappiamo cosa essi abbiano effettivamente visto: non è detto che loro si siano inventati le cose, potrebbero anche essersi semplicemente sbagliati.
Il problema con questo tipo di studi è che ogni volta che qualcuno prende una posizione, in qualsiasi senso, è screditato dalla fazione avversaria perché si ritiene che tale sia la sua idea per un motivo ideologico di fondo. E quindi, chi nella sua ricerca si avvicina alla visione tradizionalmente religiosa viene attaccato dagli atei in quanto sarebbe spinto a far ciò dalla sua fede; e quando un ateo tende verso una posizione più distante dalla concezione "tradizionale" viene attaccato dai credenti in quanto ateo. A nessuno viene in mente, dei non esperti (ma anche qualche studioso), che le posizioni che vengono prese vengono prese per ragioni accademiche, più che ideologiche: certo, il credo può influire (sapessi quanto mi ci è voluto, prima di poter trovare una soluzione che conciliasse inerranza biblica e ricerca storica!), e questo è fuori discussione, ma dire che una posizione che non concorda con la nostra è dovuta ad una generale ideologia di fondo è sostanzialmente brutto. Una tale azione, infatti, sebbene io sia sicuro che nella maggioranza dei casi ciò sia inconscio, mette automaticamente in discussione l'onestà epistemologica degli studiosi che meno ci aggradano, il che è tutto fuorché un comportamento da scienziati.
Inoltre mi domando: chi sono questi famosi biblisti che vengono così spesso menzionati, ma mai per nome?
Detto questo, credo che ci stiamo spostando dall'argomento principale, e vorrei invitare tutti (e con ciò includo me stesso) a ritornare al punto di partenza.