CITAZIONE (^Alessandro^ @ 14/2/2018, 09:28)
Se anche volessimo togliere le parole sotto esame, rimarrebbe il verso 16. Il verso 17 inoltre fa intendere che questi falsi dottori non concentrarono le loro favole solo sul ritorno di Gesù, ma anche sulla sua persona. L'autore ritiene necessario difendere la testimonianza del Padre su di lui.
Inoltre che senso avrebbe avuto dire due volte che nessuna profezia viene dall'uomo?
Per me ha più senso che prima dice che non c'è "interpretazione" e poi spiega perché provengono non da volontà umana ma divina.
Sull'interpretazioni delle profezie c'erano distanze tra i giudei e non, c'era chi non aspettava un Messia sofferente, chi rinnegava la risurrezione, etc. Sulla necessità dello Spirito per capire le profezie prenderei ad esempio Paolo che non basa il suo messaggio su sapienza umana (1Cor2:5), ma espone una sapienza di Dio (1Cor2:12-16)che l'uomo naturale non può conoscere. Parla di un velo sul cuore di chi rinnega Cristo pur che legga la Scrittura (2 Cor3:14-16). Si potrebbe citare anche Gesù sull'argomento.
Un discorso è comprendere intellettualmente un testo e un altro è comprenderlo/riceverlo in spirito per rivelazione.
Comunque mi fermo qui perché mi sembra che Tranego e Akrio abbiate le idee chiare e non voglio intasare la discussione.
Ti prego: non fermarti! Il confronto fra posizioni diverse è essenziale per stabilire se le “idee chiare” di qualcuno sono anche fondate.
Il v. 16 dice che Pietro non è andato “dietro a favole artificiosamente inventate”: il concetto è simile a quello del v. 20 tradotto secondo Girolamo (o Crampon, De Ambroggi, Amiot, Rossano, ecc.). Se invece il v. 20 viene inteso come fa la CEI (con Vaccari, Saldarini, Vanni, ecc...) il parallelo tra v. 16 e v. 20 viene meno. Siccome nella pericope 16-21 Pietro difende la propria credibilità e quella delle profezie, mi pare che il parallelo vada conservato.
E’ da notare, a questo punto, che tutti i commentatori dicono che lo stile della lettera è ricercato e fa uso di sottili finezze retoriche, segnalando anche il più piccolo mutamento di direzione del discorso mediante vario dispiegamento di congiunzioni di ogni tipo (v. A. Camerlynck, E. Testa, G. Tosatto, E. Fuchs, O. Knoch, A. Chester-R.P. Martin, M. Mazzeo, ecc.). Se, dunque, l’agiografo, invita a volgere l’attenzione alle profezie perché portano luce (v. 19), ma poi avverte che esse non vanno interpretate privatamente, si crea improvvisamente uno stacco deciso e forte rispetto al caldo invito alla lettura delle profezie, senza che vi sia la benché minima avvisaglia stilistica che evidenti lo stacco.
Per segnalare il cambio di direzione sarebbe stata necessaria quantomeno una congiunzione o particella avversativa. Es.: “fate bene a volgere l'attenzione alla profezia...
ma state attenti a non interpretarle in modo soggettivo...“. Nel v. 20, non solo manca anche la più blanda particella avversativa (come sarebbe un δέ), ma c’è, al contrario, l’espressione τοῦτο πρῶτον γινώσκοντες ὅτι... (“sapendo anzitutto questo, che...”), che non ha alcun senso avversativo o limitativo, ma, al contrario, rafforza il valore di quanto detto prima, di cui costituisce quasi un'esplicazione (cfr. le stesse parole anche in 3,3).
Molto interessante la tua osservazione che non avrebbe senso “dire due volte che nessuna profezia viene dall'uomo”.
I padri francescani, professori di Sacra Scrittura, che hanno curato “La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali” (Garzanti, 1964) dicono la stessa cosa.
Ecco la loro nota al v. 20: “... Certi esegeti intendono: «nessuna profezia della Scrittura procede da vedute particolari» di chi l’ha scritta. Ma questa versione, oltre che forzare il testo, farebbe esprimere all’autore un concetto che verrebbe ripetuto tale e quale nel versetto seguente”.
Con tutto il rispetto per i padri francescani, dobbiamo tenere presente che lo sviluppo degli studi sulla retorica biblica ha fornito agli esegeti nuovi e più precisi strumenti d’indagine degli antichi testi.
Lascio quindi la risposta a R. Meynet (Un nuovo metodo per comprendere la Bibbia: l’analisi retorica. v.
www.retoricabiblicaesemitica.org/Articolo/Italiano.pdf): “Il lettore potrà rileggere l’insieme del Sal 44 e vedrà come tutto il poema, che comprende 28 distici (o segmenti bimembri), cammini su due piedi dall’inizio alla fine. E questa — secondo R. Lowth «il parallelismo dei membri» — è la caratteristica fondamentale di tutta la poesia ebraica; in maniera più ampia, il binarismo caratterizza tutta la letteratura biblica. Le cose vengono sempre dette due volte, poiché la verità non può includersi in una sola affermazione, ma si dà a leggere sia nell’interazione di due affermazioni complementari, sia con lo scontro di due opposti.
La ripetizione è la prima figura della retorica!”.
Belle le tue parole sulla differenza tra la comprensione intellettuale e quella spirituale di un testo. Qui, però, dove nessuno conosce il greco come se fosse la sua lingua madre, la discussione riguarda non tanto il senso spirituale della 2Pt, ma quale sia la traduzione più corretta da leggere. Akrio ha citato la versione della NR; altri si rifanno a versioni simili a quella della CEI. Diverso il significato letterale e diversi i sensi spirituali estraibili. Allora, dobbiamo risolvere anzitutto il problema esegetico: che cosa, letteralmente, dice 2Pt 1,20-21? Solo dopo potremo estrarre tutti i sensi spirituali che riterremo utili e veri.