Concordo con Giosia sul fatto che dobbiamo ritornare sui nostri passi, ed anzi lo ringrazio dei dati forniti.
Dobbiamo innanzitutto chiarirci su alcuni aspetti metodologici a mio parere fondamentali.
(1)
Definizione della materia. Dobbiamo definire innanzitutto
che cosa stiamo cercando. Come si sa, i vangeli hanno seguito una storia di formazione che, per quanto sia chiaramente culminata in un momento in cui furono messi per iscritto in quella che definiremo la loro "forma finale", tuttavia è passata attraverso decenni in cui è stata plasmata dalle circostanze. Un primo ostacolo, dunque, è che, così come in un manoscritto del XV secolo si può trovare un testo del 60 d. C., all'interno di un testo del 60 d. C. è possibile trovare materiale del 30 d. C. Ciò ci deve rendere cauti riguardo al comprendere i meccanismi e gli strumenti di datazione. Se infatti troviamo, per esempio, in Marco una tradizione che si può datare al 40 d. C., questo non significa che l'intero Marco è databile a soli dieci anni dopo la morte e resurrezione di Gesù. Un esempio di questo è la tradizione che si trova in Giov 1.26-7 // Att 13.25: è molto probabile che questa tradizione sia assai antica, però questo non significa che Giovanni è del 45 d. C. Bisogna quindi essere coscienti che, nel datare i vangeli, non parliamo di un romanzo scritto di getto, ma della culminazione, in forma scritta, di un processo di trasmissione scritta ed orale che è passato attraverso un arco cronologico e geografico.
(2)
Identificazioni del materiale. Dobbiamo peraltro essere quanto più scevri di preconcetti. Un esempio fra tutti mi viene in mente, ed è quello sulle predizioni della distruzione del tempio. Secondo un ragionamento abbastanza diffuso, il fatto che Gesù abbia predetto una distruzione del tempio poco prima del 70 è difficile da credere, e quindi vangeli che ne danno molti elementi descrittivi devono essere stati redatti dopo il 70. Tuttavia, non solo un detto del genere è attestato largamente, dando chiara evidenza di essere stato un detto "imbarazzante" (vd. Marco 14.58 par.; 15.29, Giov 2.19-21, Att 6.14), ma è un errore metodologico partire dal presupposto che Gesù sicuramente non avrebbe potuto anticipare la distruzione del tempio. Perciò, in questo caso, un'analisi di tratti di profezia "ex eventu" potrà essere limitata solo a quegli ambiti che siamo sicuri essere frutto del lavoro redazionale dell'evangelista.
(3)
Dati interni ed esterni. Dobbiamo poi essere capaci di osservare i dati interni e quelli esterni, pur dovendo applicare buona cautela. Per esempio, "correzioni" di apocalitticismo possono essere segno di un passare del tempo; ciò nondimeno, bisogna pure ricordare che anche il presupposto che la comunità cristiana originaria fosse talmente apocalittica da non ammettere "ammorbidimenti" di un'imminente fine è un preconcetto che andrebbe innanzitutto dimostrato. Così come in filologia, infatti, non è detto che un documento più antico di un altro sia necessariamente testimone di una tradizione più antica. Per quel che riguarda i dati esterni, dobbiamo prendere in considerazione la datazione, le fonti, e il contenuto delle nostre informazioni. Frammenti come quello di Papia, per esempio, per quanto interessanti, sono talmente vaghi che richiedono una straordinaria cautela quando li si usa come fonti per datare i vangeli.
Detto questo, alcune osservazioni sui vangeli.
(A)
Dati preliminari. Come Giosia ha ben ricordato, per datare i vangeli abbiamo una finestra di tempo che va più o meno dal 30 d. C. al 120-30, decennio cui appartiene il P
52. Una datazione (per lo meno per Giovanni) di questi vangeli, dunque, dovrà rientrare in quest'arco.
(B)
La lingua dei Sinottici e la loro datazione. Papia riferisce che Matteo compose il suo vangelo "nella lingua degli ebrei", cioè in aramaico o in ebraico. Tuttavia, ammettendo che il Matteo di cui Papia parla è lo stesso che abbiamo noi, si pongono alcuni problemi. Innanzitutto, il primo problema che si pone è il rapporto di Matteo con Marco e Luca. Infatti, è chiaro che, se Marco fu fonte di Matteo e Luca, allora i tre devono essere stati scritti in greco: l'alternativa infatti sarebbe che i tre siano stati scritti in ebraico, e che la loro traduzione sia avvenuta avendo sotto gli occhi tutti e tre i sinottici. Una tale traduzione non può aver avuto luogo così presto, nella storia del Cristianesimo, e sembra quindi da escludere. L'unico scenario possibile, dunque, in cui Matteo sia stato scritto in ebraico, è quello in cui Matteo è fonte sia di Marco che di Luca. Tuttavia, è notevole come Marco presenti un'assenza di tantissimo materiale ritrovato invece in Matteo: le beatitudini, il Padre Nostro, alcune parabole, ecc. Inoltre, alcuni paralleli matteani sembrano essere più facilmente spiegabili come "correzioni", "emendamenti" o "ammorbidimenti" di passi marciani "imbarazzanti", e non vice versa:
Marco 6.5-6 // Matt 13.58
Marco 3.21 // assente in Matt
Marco 10.35 // Matt 20.20
Esempio fra tutti è il dialogo tra Gesù e Giovanni il Battista (Matt 3.14-5). Sappiamo che il battesimo nel Giordano fu un evento "imbarazzante" per molti cristiani dell'antichità: perché Marco avrebbe dovuto omettere un dialogo così teologicamente importante?
Le possibilità che Marco sia frutto di Matteo sono dunque povere, e ciò ci induce alla conclusione che Matteo usò Marco come fonte, e non vice versa. Questo, come detto all'inizio, implica che Matteo fu scritto in greco, e che non possiamo capire di cosa parlasse Papia nel suo famoso frammento. Arrivando alla datazione di Matteo, possiamo essere certi che essa è successiva a Marco, se egli usò quest'ultimo come fonte. Allo stesso modo si può dire di Luca. Quest'ultimo, tuttavia, contiene molti elementi redazionali riguardanti la distruzione di Gerusalemme (vd. p. es. 21.20-24), il che può portare a datarlo a dopo il 70. Va inoltre osservato come Luca abbia interesse nel mostrare la conciliabilità della vita dei Romani (e, in generale, del Mediterraneo ellenistico) con la vita cristiana, nel rispetto della legge (esemplare di questo è Att 25.8), il che potrebbe riferirsi ad uno stadio già abbastanza avanzato della Cristianità. Questo però non si può dire con certezza, siccome si parte dal presupposto, infondato, che è sicuro che movimenti di apertura alla vita romana da parte dei Cristiani non esistessero nel periodo più antico. Tuttavia, questa serie di elementi può portare a datare Luca tra il 70 e il 90 d. C. Matteo non dev'essere troppo differente, nella datazione: tuttavia, esso contiene meno riferimenti di Luca alla distruzione del tempio, e potrebbe essere di un lustro più antico.
Per quel che concerne Marco, c'è più dubbio. Non ci sono dubbi che Marco contenga riferimenti alla distruzione del tempio; tuttavia, essi sono così vaghi che non si può scorgere buona traccia di redazione posteriore al 70. Tuttavia, il forte accento sulla persecuzione, sul martirio, e sulla glorificazione tramite la sofferenza, può far credere che il vangelo sia stato scritto in un periodo di persecuzione. Se accettiamo che questo testo sia stato scritto a Roma, allora la persecuzione neroniana può essere il periodo più plausibile, portando la datazione alla metà degli anni 60. Se invece collochiamo Marco in Palestina, dobbiamo piuttosto credere di riferire questi richiami alla prima guerra giudaica, datando il testo intorno al 66-70.
Possiamo dunque affermare che, in linea di massima, Marco sia stato scritto intorno al 60-70 d. C., e Matteo e Luca lo seguirono intorno al 70-90 d. C.
(C)
Giovanni. Giovanni è un caso a parte. Di sicuro, è noto come lui sia, contrariamente ai sinottici, con uno slancio decisamente meno apocalittico. Questo è forse un segno di un tempo più recente; ciò nonostante, non si può negare che è possibile che esso sia piuttosto esponente di un'altra faccia del Cristianesimo antico. Alcuni tratti vanno però considerati. Innanzitutto, un appello alla testimonianza di un apostolo, nel secondo finale (Giov 21.24), potrebbe essere segno di un richiamo all'autorità mnemonica di un testimone oculare, richiamo solo accennato in Luca (1.2) ed assente negli altri sinottici, e quindi, forse, di una narrazione che sta perdendo la sua vividità. Altra cosa da considerare è il rapporto tra Giovanni ed i sinottici. È stato infatti proposto sia che Giovanni fosse dipendente, sia che fosse indipendente. C'è poi chi sostiene una dipendenza "indiretta", cioè che Giovanni scrisse il suo vangelo avendo in mente i sinottici, senza direttamente copiare da essi. Personalmente, ritengo che una totale indipendenza dai sinottici sia improbabile, siccome alcune tradizioni (come le tradizioni sul Battista) sembrano mostrare "contaminazioni" della tradizione sinottica (su questo ho finalmente scritto un articolo, speriamo che qualcuno me lo pubblichi!
). A questo devi aggiungere il ritrovamento di P
52. Se un papiro del 110-130 d. C. è stato ritrovato ad Alessandria, in Egitto, questo significa che di sicuro Giovanni non è del 120. Ci vuole infatti un pochino di tempo (specialmente se si parla di un testo, il vangelo, che al tempo non era diffusissimo, e specialmente se parliamo di un sistema di trasmissione dei testi quale era quello antico), per far arrivare, dalla Palestina (dove probabilmente il vangelo fu scritto), fino in Egitto, questo testo. Sommando il tutto, dunque, possiamo credere che Giovanni appartenga intorno al 90-100 d. C., e sia stato scritto anch'esso in greco.
LM.