Studi sul Cristianesimo Primitivo

Posts written by Polymetis

view post Posted: 4/4/2012, 18:55     Sul "Padre Nostro" una domanda - Teologia e Filosofia
Lasciando perdere le questioni grammaticali, non trovo nulla di male, anche nella consapevolezza che la nostra preghiera non può cambiare le volontà di Dio, nell'urlargli le nostre angosce, con abbandono filiale.
La preghiera può cioè servire non tanto per chiedere a Dio di darci qualcosa che altrimenti non ci avrebbe dato, bensì perché durante la preghiera gli apriamo il nostro cuore, confidandogli le nostre preoccupazioni, e dunque entriamo in dialogo con Lui. In questo senso inoltrare a Dio le nostre suppliche, parlandogli apertamente di ciò di cui abbisogniamo, non mi pare nulla di scandaloso.
view post Posted: 31/3/2012, 20:32     "Vero uomo e vero Dio": diacronicità e non sincronicità - Teologia e Filosofia
ΩΣ ΜΕΝ ΛΟΓΟΣ ΓΙΝΩΣΚΕΙ, ΩΣ ΔΕ ΑΝΘΡΩΠΟΣ ΑΓΝΟΕΙ

CITAZIONE
Oltre ad essere offtopic queste domande hanno quasi 1800 anni. Leggi il corpus di Atanasio contro gli ariani e troverai le (non difficili, davvero) risposte. In italiano c'è la non brillante traduzione di Città Nuova.

Non occorre certo lo legga tutto, quello di cui abbisogna si trova nei seguenti luoghi:
-Oratio III contra arianos, 43 (PG 26,413);
-Epistula II ad Serapionem (PG 26, 621-624)
-De Incarnatione Verbi et contra arianos, 7 (PG 26, 993)

Comunque domandare non è mai sbagliato.

view post Posted: 30/3/2012, 18:07     "Vero uomo e vero Dio": diacronicità e non sincronicità - Teologia e Filosofia
CITAZIONE
"Una cosa che vorrei capire da tempo sulle dottrine cristologiche è la seguente: perchè nella tarda antichità si sono dovuti per forza di cose organizzare più di una decina di concili per fissare tali formulazioni dogmatiche, mentre prima di Nicea nessuno ne sentiva il bisogno?"

Perché una cosa non è in discussione finché qualcuno non la mette in dubbio, magari anche ponendo domande. Quelle domande fanno sì che ad esse venga data una risposta, magari anche in una maniera tale da tener conto del modo in cui veniva formulata la domanda. Sicché i Concili ripropongono la fede di sempre, ma esprimendola con un linguaggio tale da poter rispondere alle domande nuove sollevate.

CITAZIONE
"E come conciliavano queste formulazioni con il fatto che la parola divina e la dottrina contenuta nel messaggio cristiano fosse, in quanto divina, immutabile?"

Non c'è bisogno di alcuna conciliazione, perché non s'è mutato nulla. Come già spiegato i dogmi non vengono proclamati quando una dottrina nasce, ma quando c'è qualcuno che la mette in dubbio. Sicché può darsi benissimo che una dottrina oggi condivisa da tutti i cattolici, tra due secoli venga criticata da una frangia di cattolici, e dunque per riaffermare l'essenzialità di tale dottrina la Chiesa si decida a formularla dogmaticamente tra due secoli.

CITAZIONE
" Ma il kerygma della religione cristiana si pone invece di essere verità assoluta che non muta in quanto rivelata da Dio. Dunque, ogni variazione compiuta da uomini che muta o si opponga a questa verità creduta da chi la afferma tale non può per definizione definirsi legittima."

I Padri Conciliari infatti non ritengono di fare alcuna variazione, ma solo di approfondire, dinnanzi a nuovi interrogativi, ciò che nella fede di partenza era già implicito.
Faccio un esempio: nessuno nel I secolo si sognava di chiamare Maria "Madre di Dio". Ma si può forse dire che questa dottrina cambi il depositum fidei tramandato? Pare di no. La Chiesa infatti ritiene che già nel kerygma apostolico si proclamasse Gesù Dio, e che si proclamasse altresì che Maria era la Madre di Gesù, sicché definire Maria la Madre di Dio è solo la deduzione fatta da premesse già presenti nella fede originaria. In questo senso non si sarebbe aggiunto nulla, ma solo approfondito quando già implicito, limitandosi ad esplicitare come da determinate premesse derivino delle conclusioni. Lo stesso si può sostenere sia avvenuto per la cristologia: dal punto di vista di un Padre della Chiesa, la teologia del Concili non ha inventato niente, ha solo chiarito quanto creduto da sempre, rendendolo più esplicito e particolareggiato.
Che poi questo sia storicamente corretto o meno è ovviamente un'altro discorso, ma è ovvio che, per chi crede che sia esattamente questo quello che è avvenuto, cioè esplicitare l'implicito, non c'è nessuna contraddizione nell'introdurre nuove formulazione: esse sarebbero semplicemente infatti delle conclusioni contenute in nuce nelle premesse del kerygma, ed inevitabilmente contenute. Lo Spirito avrebbe infatti guidato la Chiesa ad una sempre più maggiore comprensione della propria fede: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,12)

CITAZIONE
Che tali autorità credessero poi davvero che Paolo e gli altri apostoli usassero espressioni come la doppia natura e volontà, il filioque e così via?

Non lo credevano, ma ciò era del tutto irrilevante, e per le ragioni sopra elencate.
Non c'è nulla di male infatti ha trovare nuove parole per esprimere un contenuto della propria fede non "nuovo", bensì un contenuto della fede sul quale finora non s'era adeguatamente riflettuto per trovarne tutte le conseguenze.

Ad maiora


CITAZIONE
non basta cambiare nome ad un ente perché questo non sia più tale: non basta rispondere cioè che la sostanza è la stessa perché ciò che varia è la relazione in quanto sussistenza infatti, la sussistenza è solo un modo diverso di intendere sempre la sostanza (non basta chiamare il mio braccio allungato "braccioA" ed il mio braccio contratto "braccioC", perché ci sia qualcosa di diverso dal medesimo braccio).

Guarda che il tuo esempio non c'entra niente, perché Tommaso non dice che cambia nome a qualcosa, ma che esistono due definizioni diverse di sostanza, "sostanza" in quanto definizione I, e sostanza in quanto definizione II, e la cosa è ripresa da Aristotele, l'Angelico parla di sostanza I e sostanza II. Con sostanza si può intendere sia la substantia prima, cioè l'ente a cui compete di essere per sé, sia la substantia secunda, cioè la quidditas, l'essenza.
Si dice cioè sostanza cioè in due accezioni. La prima è quella secondo cui diciamo che la definizione esprime la sostanza delle cose, dunque l'essenza del cane è la sua caninità (quindi la categoria logica, l'universale), e questa è chiamata substantia secunda; mentre con "sostanza prima" si intende l'individuo concreto, tale per cui diciamo che quella persona è una sostanza nello stesso senso in cui lo è un tavolo, cioè è un ente a cui compete di esistere per sé.
view post Posted: 29/3/2012, 17:59     "Vero uomo e vero Dio": diacronicità e non sincronicità - Teologia e Filosofia
CITAZIONE
": c'è in pratica un corpo che contempla entrambe le nature sì che, anche se non ci fosse proprio una terza natura, c'è daccapo un corpo, un ente, ove coesistono contemporaneamente entrambe e dunque, quel corpo è il risultato di due nature."

veramente non c'è scritto nel dogma che è il corpo in cui coesistono due nature, ma che è la persona in cui coesistono due nature. Ente non equivale sempre a persone, né persona equivale necessariamente a corpo, tutto dipende dalla nostra antropologia filosofica di riferimento.
CITAZIONE
"Insomma, è un po' il problema del monoenergismo: alla fine Gesù ha una o due energie? ed ancora: una o due volontà? Una o due coscienze?
Se si risponde due è una specie di "mostro" dalla doppia testa"

Perché? Non sono obiezioni già discusse 16 secoli fa? Cosa sarebbe cambiato rispetto ai dibattiti di allora? S'è già detto che è il Verbo che assume la natura umana, e dunque che la volontà divina è egemone, non c'è nessuna schizofrenia, la volontà umana infatti segue quella divina.
Come la dualità naturale confluisce nell'unità personale del Verbo, così la dualità dinamica delle volontà e delle attività si subordina e si armonizza nell'egemonia del Verbo, che ha fatto propria la natura umana con la sua virtù operativa. Cristo è cioè una profonda unità personale, che lega insieme in LUi, senza ibridismo, l'umano ed il divino, le due nature, che sussistono nel Verbo e sotto l'egida del verbo svolgono ciascuna la propria attività. E' la persona l’unico agente, non le due nature, sicché non è un mostro a due teste. Ci sono per essere precisi due linee di causalità: la persona è la causa delle azioni quanto alla causa efficiente, le due nature sono causa dell’azione quanto alla causa formale.
Sicché ci sono due fonti naturali di attività, ma un solo principio agente, la persona del verbo.
Per documentarsi su questo punto, si veda il capolavoro di Pietro Parente, L'io di Cristo, Brescia, Morcelliana.

CITAZIONE
"allora esiste daccapo un ente che oltre agli attributi divini prevede anche quelli umani mentre in Dio non c'è potenza, non vi sono attributi umani."

Non è la natura divina ad avere attribuiti umani, è la persona, altrimenti sarebbe una natura terza.
view post Posted: 28/3/2012, 19:03     "Vero uomo e vero Dio": diacronicità e non sincronicità - Teologia e Filosofia
Penso che Gesù abbia due nature, quella umana e quella divina, mentre qui il monaco de facto ipotizza che, siccome entrambe sono predicate alla medesima persona, è come se esistesse una terza natura, tale che è insieme umana e divina, e questa natura essendo divina+umana è più di quella divina soltanto.
Ma tale terza natura non esiste né il dogma ne parla: l'unione delle due nature non crea una terza natura che sia più divina, né esiste in Gesù una natura data dall'unione della natura umana e da quella divina, bensì esistono due nature distinte, ognuna delle quali opera ciò che le è proprio. Altrimenti si cade nell'errore di Giordano Bruno il quale si chiedeva come facessero la natura umana e quella divina a mischiarsi in uno, visto che erano incommensurabili. Quello che non aveva capito è che non esiste affatto una terza natura data dall'insieme di natura umana e divina, perché tra l'altro, essendo la mescolanza delle due, sarebbe un ibrido che non è più né umano né divino, ma un tertium, cioè la natura "divino-umana", il che è contraddittorio tra l'altro. Infatti il dogma per non cadere in contraddizione non dice che la natura divina è anche umana, ma che il soggetto ha entrambe le nature, ognuna delle quali opera ciò che le è proprio.
Tra l'altro, viene da chiedersi, se anche tale terza natura data dall'unione delle due nature esistesse, in che senso essere anche "uomo" potrebbe rendere "più" di Dio. Infatti alcuni risponderebbero che la natura umana degrada rispetto a quella divina, e dunque una natura mista umano-divina sarebbe inferiore ontologicamente ad una solo divina (lo stesso dicasi dell'essere anche in potenza, che non è propriamente un'aggiunta aristotelicamente parlando, ma semmai una privazione); altri invece, leibnizianamente, risponderebbero che Dio è monade delle monadi, e dunque la sua natura contiene tutte le altre come sottoinsiemi, e dunque l'aggiunta di una natura umana a Dio in realtà non aggiungerebbe niente. Questi due ultime opzioni metafisiche come si vede sono radicalmente diverse.


CITAZIONE
alcuni editi dal Vaticano

Il Vaticano non edita libri, forse parli della Libreria Editrice Vaticana.

Ad maiora
view post Posted: 26/3/2012, 22:08     Esistenza storica di Gesù - Storia del Cristianesimo
Non capisco il tuo post jehoudda. Tu sai che i miticisti, sebbene dilettanti, esistono, e questo libro è probabilmente un divertissement dedicato a loro. Dunque perché sei sarcastico nel dire che questo articolo è scontato, banale, e non rivela niente? Non rivela niente agli studiosi, certo, ma è stato scritto pensando ai miticisti, che dell'esistenza di Gesù invece si fanno un problema.
E' ovvio che la domanda interessante per lo studiosi non è "Gesù è esistito?" ma "chi era Gesù?", tuttavia questo libro pare non essere scritto per gli studiosi ma proprio per i miticisti, o per quegli altri dilettanti che non sappiano cosa pensare della tesi mitica.
Sicché il libro di BE mi sembra sensato, sebbene ovviamente l'argomento non sia di interesse accademico, trattando di cose oggi scontate, cioè l'esistenza storica di Gesù.
L'unica cosa ragionevole che hai detto è che questo libro verrà scritto solo per incassare soldi, infatti non esiste una motivazione accademica plausibile. I miticisti non esistono scientificamente parlando, sono nessuno dal punto di vista della ricerca, e dunque sprecare un tomo per confutarli sarebbe come scrivere nel 2012 contro i geocentristi: un totale spreco di carta.
L'unica motivazione plausibile dunque per spender energie su un soggetto simile sono i verdi dollari.

Ad maiora
view post Posted: 26/3/2012, 21:31     Consigli e pareri scelta libri per non esperti - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
"Carenze epistemologiche? Cosa centrano? Ammettiamo pure che per buona parte degli scienziati attuali l'epistemologia del Circolo di Vienna sia superata: mi potresti indicare studi accademici pubblicati su riviste scientifiche ufficiali di cui si parli per esempio di fenomeni parapsicologici"

Sono io che non capisco questa domanda. Sto parlando delle carenze epistemologiche degli aderenti del CICAP nel trattare di storia, è questo il problema, cioè la pretesa del neopositivismo di applicare il paradigma delle cosiddette scienze dure alla storia, e pretendere dunque di criticare un libro solo perché a loro avviso non rispetta i criteri dimostrativi che potrebbe seguire un esperimento fisico in laboratorio. Il punto è proprio questo, cioè illudersi che per mostrare quanto un libro sarebbe scandente basti mostrare spiegazioni alternative a quelle proposte dal libro, cioè mostrare che quello che dice l'autore non è vero in ogni caso, come un teorema della geometria, ma che potrebbero darsi dei casi per cui un'affermazione non sia vera.
Nel caso dei Vangeli dunque gli arpiolidi non si accontentano di avere un documento, ma pensano sia falso finché non si escludono tutte le possibilità di falsificazione, il che ovviamente è impossibile. Lo stesso vale per gli articoli storici del CICAP. Il loro problema non è mai documentare le alternative storiche che offrono, gli basta dire che potrebbe essere andata in altro modo, immaginando uno scenario, per dedurne che allora siccome non è vero che un'affermazione è verificata in tutti i casi, essa è da respingere. Questo metodo l'hanno mutuato dalla loro indagine dei fenomeni parapsicologici: Il fatto che che ci siano spiegazioni naturali di un presunto fenomeno paranormale, li spinge cioè automaticamente ad optare per la spiegazione naturale, anche se magari nel caso che stanno analizzando, non essendoci nessuno che ha registrato il fenomeno mentre avveniva, la spiegazione in base a leggi naturali già note, per quanto rare, può essere solo ipotetica.
Lo stesso avviene indebitamente quando si tratta di storia: altre spiegazioni non documentate, per il solo fatto di essere possibili, vengono assunte a verità, come se l'esistenza di queste alternative screditasse chi invece si attiene alla spiegazione data dalle fonti. Questa è la strategia, storicamente discutibile, utilizzata contro Messori. Questo modo di procedere sarà certo valido per dire che nessuno è obbligato ad accettare l'esistenza di un miracolo, ma non è certo valido per fare una valutazione storica. Anziché dimostrare che Messori non sa fare lo storico una simile argomentazione può infatti al massimo dimostrare che non c'è una prova stringente che l'unica spiegazione del fenomeno sia miracolosa, dove ovviamente "non c'è prova" è inteso dal CICAP nel senso che ha una dimostrazione nelle scienze naturali, cioè qualcosa oltre ogni ragionevole dubbio, cosa che invece le discipline storiche non possono fornire. Sicché pare che attacchino Messori come storico perché, nella loro miopia, pretendono da lui prove che esigerebbe uno scienziato in un laboratorio di chimica, e non le prove che uno storico esigerebbe dalla materia che sta esaminando. Attaccano cioè Messori come storico inventandosi che gli storici devono essere come gli scienziati naturali nel tirare le conclusioni, e possono farlo perché ignorano l'epistemologia del mestiere di storico.

"
CITAZIONE
Ogni epoca storica ha metodi d'indagine diversi? Ovvero tutti questi metodi applicati dagli storici antichi, medievali e moderni non hanno nulla in comune tra di loro? Non mi risulta proprio, vedi qui

www.humnet.unipi.it/salvatori/didattica/criticafonti.pdf"

Ma certo che ogni epoca ha metodi diversi d'indagine, e non si vede come quel pdf dimostri qualcosa. Esso può solo elencare cose comuni a tutti gli storici, ma, per quante ne elenchi, ogni numero è insignificante se non si sa a che numero di differenze rapportarlo, al fine di sapere in che percentuale sono le somiglianze e in che percentuale le differenze.
Basti solo pensare alla differenza abissale che intercorre tra il metodo di uno storico antichista che valuta con mero metodo stilistico le pagine di uno scritto di Varrone per vedere se un documento gli è ascrivibile, e cosa deve fare invece uno storico contemporaneista per verificare se un documento sulla guerra del Vietnam sia stato emanato davvero dalla CIA. Si tratta di mondi separati, tanto per metodo quanto per fonti da interrogare.

CITAZIONE
"O secondo te ci sono motivi che fanno sì che compiendo studi nel periodo miceneo è valido il criterio dell "argomento per la migliore spiegazione" mentre in altri periodi come quello ellenistico o la rivoluzione francese no?"

Io ragione su ben altri livelli, tu a quanto pare sei ancora di quelli che credono che la parola "spiegazione" abbia senso. Purtroppo gli storici sono rimasti alla meta-riflessione sulla storia, i filosofi invece sono passati alle meta-riflessioni sul concetto stesso di meta-riflessione.

CITAZIONE
"Poi è ovvio che per sapersi muovere nello studio delle epigrafi greche bisogna conoscere un bel po' di greco antico, mentre tale competenza non è così indispensabile per muoversi tra gli archivi di due secoli fa,ed è vero poi che il minor numero di fonti di età antica porta a studiarle in modo diverso da come si studiano fonti di epoche in cui sono più numerose, ma queste non sono diversità di trattamenti dovuti a diversità di metodi, ma a diversità di qualità o quantità di contenu"

La diversità di contenuto, e la diversità di quantità, è per l'appunto ciò che influisce sul metodo stesso, al punto che non si potrà trovare neppure un'operazione simile tra quanto si studia ad epigrafia greca e quanto si studia nell'approccio degli archivi contemporanei, sarebbe come incrociare la biblioteconomia con l'archeologia.

CITAZIONE
"A leggere le sue indagini, non mi sembra che Messori sia tanto più conoscitore della storia dei primi testi cristiani che di altre epoche, il punto discutibile di Messori è proprio il metodo, a prescindere dall'oggetto su cui viene applicato..."

A ognuno ha il suo parere. Si noti che persino Benedetto XVI, tra tutti gli italiani, nel primo volume di Gesù di Nazaret cita il solo Messori.
Parlando di Barabba, il Papa aveva scritto, non in nota ma nel corpo stesso del testo: "Per maggiori dettagli si veda l’importante libro di Vittorio Messori, Patì sotto Ponzio Pilato?, Torino, 1992, pp.52-62). Nel secondo libro su Gesù, Vittorio Messori, assieme al filosofo Giovanni Reale, è ancora un volta il solo autore italiano vivente citato. Questa volta, a proposito della cacciata dei mercanti dal tempio, il Papa teologo e biblista scrive: "In questo senso è giusta la tesi, motivata minuziosamente soprattutto da Vittorio Messori, secondo cui Gesù nella purificazione del tempio agiva in sintonia con la legge, impedendo un abuso nei confronti del tempio" (pag. 23). Nella bibliografia, si rimanda ancora una volta a Patì sotto Ponzio Pilato?. (il tutto si può leggere in una nota diffusa dall'editrice SEI qui www.vittoriomessori.it )

Il mio parere è lo stesso del papa, o forse dovremmo chiamarlo il prof. Ratzinger, e cioè che i libri di Messori siano importanti e speciali. Poi ognuno può avere i suoi pareri, io mi accodo al Santo Padre giudicano meritevoli di segnalazione i libri di Messori in ordine all'indagine sul Gesà storico.

CITAZIONE
"però da qui a ritenere sostenibile come storicamente certa la soprannaturalità di eventi miracolosi ("

Non ho mai scritto niente del genere, ho scritto solo che quelli del CICAP, o chiunque altro, non possono dire che Messori è un cattivo storico solo perché, proprio perché è uno storico, non riesce a produrre tale prova del soprannaturale nella maniera da loro voluta, cioè quella dei teoremi geometrici, veri per qualunque caso.

CITAZIONE
"mi sembra non accettabile, non so se conosci l'opinione di Hume

"“Non c’è testimonianza sufficiente a stabilire un miracolo, a meno che la testimonianza sia di tal genere che la sua falsità sarebbe più miracolosa del fatto stesso che essa si sforza di stabilire”."

ovvero, dato che per definizione i miracoli sarebbero eventi straordinari che accadrebbero molto meno di frequente degli eventi normali, se una persona mi afferma di aver assistito un miracolo è più probabile che mi inganni o sia stata ingannata o che il miracolo è accaduto realmente?"

Conosco bene l'opinione di Hume, ed è curioso che proprio pochi giorni fa sia stato linkato nella discussione di Waylander un libro che ne trattava in chiave critica, come del resto fece già Chesterton. Il libro era il seguente:

"Most modern prejudice against biblical miracle reports depends on David Hume's argument that uniform human experience precluded miracles. Yet current research shows that human experience is far from uniform. In fact, hundreds of millions of people today claim to have experienced miracles. New Testament scholar Craig Keener argues that it is time to rethink Hume's argument in light of the contemporary evidence available to us. This wide-ranging and meticulously researched two-volume study presents the most thorough current defense of the credibility of the miracle reports in the Gospels and Acts. Drawing on claims from a range of global cultures and taking a multidisciplinary approach to the topic, Keener suggests that many miracle accounts throughout history and from contemporary times are best explained as genuine divine acts, lending credence to the biblical miracle reports."

Un'interessante lezione di come gli storici, liberatisi dai pregiudizi, possano trattare benissimo di miracoli e difenderne la plausibilità, senza lasciare che l'interlocutore dia per scontata la sua posizione occamista secondo cui altre spiegazioni sarebbero più probabili sino a prova contraria.

Ad maiora
view post Posted: 26/3/2012, 12:37     Consigli e pareri scelta libri per non esperti - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
Per farsi un'idea delle modalità con cui Messori compie le sue "indagini storiche" ecco alcuni commenti del cicap al riguardo:

Sono stato membro del CICAP un anno, poi mi sono disisritto, e tra i motivi c'erano proprio questi ridicoli articoli su Messori, che mostravano infallibilmente le carenze epistemologiche dei redattori della loro rivista Scienza e Paranormale, rimasti all'epoca del circolo di Vienna. Sicché ti ringrazio per questa segnalazione, che non rammentavo più, faccio collezione di tutti i libri che il CICAP col suo lanternino scientista biasima.
CITAZIONE
Da tali modalità ognuno tiri le proprie conclusioni su quanto perciò vale la pena di prendere in considerazione indagini svolte con tali metodi (non importa se applicati alla ricerca storica su Gesù piuttosto che a tempi più recenti).

Questa considerazione è insignificante. Ogni epoca storica ha metodi d'indagine diversi. Non è esiste un metodo storico astratto, e per sapersi muovere nel '900 occorrono competenze diverse da quelle che servono per muoversi nel XIV sec. a.C. nelle Dark Ages greche, sicché la capacità di qualcuno a muoversi in un'epoca non dice nulla sulla qualità delle sue incursioni in altri periodi storici. Io ad esempio non saprei neppure da che parte cominciare per fare ricerche d'archivio sul XIX secolo, ma so perfettamente invece in che repertori andare a cercare le epigrafi greche di una regione.
Messori è decisamente più bravo quando parla di Nuovo Testamento rispetto a quando parla di altre epoche, ma questo dipende dal fatto che ognuno di noi ha interessi privilegiati, ciò non toglie che anche questo libro sul miracolo della gamba è bellissimo, e la mia recensione è di segno totalmente opposto a quella dell'articolista del CICAP.
Infatti, oltre al fatto che non si tratta di articoli storici ma in massima parte di divagazioni filosofiche che danno per scontata l'opinione anti-miracolistica, essi danno per quel poco che si occupano di storia un esempio di esegesi delle fonti ipercritico molto simile a quello usato dalla storia delle religioni dell' '800 verso i Vangeli. Vale a dire che, ove i documenti esistono e non piacciono, si cerca di mettere avanti dei dubbi, come se la cosa fosse di per sé dirimente. Essi anzi si contentano di giocare sporco, mostrando che la dimostrazione di Messori non è vera in ogni caso (come lo sarebbe un teorema matematico), ma possono esserci spiegazioni alternative. E' lo stesso metodo dei cosiddetti arpiolidi sui documenti: basta che un'ipotesi sia possibile, benché non documentata, per revocare in dubbio qualcosa. Ma questo modo di procedere, che chiede documenti blindati come fossero un teorema di geometria, è ingenuamente contrario al metodo storico e non è conscio del livello di verificabilità che si possono richiedere a vicende di secoli addietro.

Ad maiora
view post Posted: 19/3/2012, 21:46     Situazione Way - Regolamento, Presentazioni, Dialogo con lo Staff
Speriamo che la convalescenza sia breve, comunque il fatto che ragioni normalmente è una buonissima notizia...

Ad maiora
view post Posted: 12/3/2012, 10:07     Luciano, de morte peregrini, 13 - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
Altre rese:

"E il loro primo legislatore, Cristo, li ha convinti di essere tutti fratelli tra loro, se solo una volta si siano convertiti e abbiano rinnegato gli dèi greci" (tr. Mario Stella, ed. Carocci)

"E poi quel primo legislatore li convinse che erano tutti fratelli uno dell'altro, una volta che avessero rinnegato gli dèi greci disubbedendo loro." (tr. di Vincenzo Longo, ed. Utet)

"E poi il loro primo legislatore li persuase che sono tutti fratelli tra loro: e come si sono convertiti, rinnegano gli Dei de' Greci" (tr. di Settembrini, ed. Bompiani)

Direi dunque che questi traduttori, e io stesso, ravvisano il tuo stesso costrutto, anche se con scelte lessicali leggermente diverse.
view post Posted: 29/2/2012, 22:52     Consigli e pareri scelta libri per non esperti - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
Mai detto che i libri degli altri accademici non abbiano errori, comunque mi sembra scorretto ritenere che tutti gli studiosi di area anglosassone siano meno esperti e precisi nella ricerca storica su Gesù e del cristianesimo antico di un giornalista come Messori,

Oltre al fatto che a me sembra assai più scorretto fare un paragone se non si conosce uno dei due poli del confronto, il pensiero che mi attribuisci non esiste. Io non ho scritto quello che hai affermato, ho solo detto che a mio avviso è più bravo di molti biblisti titolati, non ho affermato né che questi biblisti siano tutti i biblisti, né ho detto che stessi parlando di biblisti anglosassoni.

CITAZIONE
"n giornalista come Messori, non laureato in alcuna disciplina legata a tali studi, solo perchè in Italia ci sono scuole preuniversitarie in cui sono previsti studi classici mentre nei paesi anglosassoni no."

Come già detto, il liceo classico gli ha solo dato la base per potersi muovere autonomamente negli studi antichistici, cosa che diplomato all'ITIS certo non potrebbe fare. E da questo punto di vista, è certo che molti errori di metodo degli storici che partono subito con le discipline neotestamentarie, dipendono dal fatto che non sanno niente della civiltà e del contesto mediterraneo cui anche il NT appartiene. I laureati in america sono dei "grecisti" che sanno a memoria il NT per averlo sentito proclamare tradotto nelle chiese, e che riescono a tradurlo solo perché sanno già prima a memoria cosa c'è scritto, ma dategli in mano un brano di Tucidide e non saprebbero cavare un ragno dal buco. E' una vera disgrazia, tanto in America quanto in Italia, l'affluire nelle facoltà di teologia di gente che non ha mai studiato greco; forse però non fanno così danno, perché almeno in Italia i dottorati che permettono di inoltrarsi nella carriera accademica li vincono comunque i migliori, cioè gli studenti provenienti dal classico.

CITAZIONE
"Certo che in ogni opera di uno storico che fa ricerca storica lo studioso sostiene una tesi che ha in mente già mentre scrive la prima pagina del libro, ma ciò è diversissimo da quello che fa l'apologetica, perchè lo storico ha quella tesi precostituita perchè ritiene che sia sostenuta in modo convincente dai dati empirici in cui si è imbattuto finora e da interpretazioni e ragionamenti che ha fatto su di essi, e soprattutto la sua tesi è sempre provvisoria, ovvero ogni storico ammette che ogni tesi storiografica è sempre rivedibile a causa o di scoperte di nuovi dati empirici o in base a nuove interpretazioni e ragionamenti che spiegano in maniera più semplice ed esauriente i dati che finora noi abbiamo a disposizione."

Non trovo questa distinzione sensata. In primis perché non è colpa di uno studioso apologeta se si trova nel caso che sia la ragione e lo scandaglio delle fonti, sia la propria fede, gli suggeriscano esattamente la stessa cosa. Può darsi cioè che un apologeta si troverebbe a scrivere quello che ha scritto a prescindere alla sua fede, o anzi, aver acquistato la fede dopo essersi convinto della validità razionale di quello che prima negava. Per Messori è stato così: è arrivato alla fede studiando, prima era agnostico, e non il contrario. E non è colpa sua se la ragione l'ha portato, l'ha costretto, a divenire credente. Jean Guitton, grande filosofo francese, diceva giustamente che la critica può allontanare dalla fede nei Vangeli, ma la critica della critica ci riporta alla fede più saldi di prima.
Vale a dire che l'apologeta può benissimo credere a quello che crede perché lì l'ha portato la ragione, e non è colpa sua se questo prodotto coincide con la propria fede.
Il un famoso libro del ciclo di S. Holmes si dice che bisogna partire dai dati per formulare le teorie, e non dalle teorie per inquadrare i fatti. Ammesso che questo sia vero o anche solo possibile, il punto è che io descriverei la posizione di Messori come quella di chi, sia partendo dai fatti per arrivare a teorie, sia facendo il percorso inverso, cioè sulla base delle teorie pre-costituite interpretare i fatti, è arrivato al medesimo risultato.
Quando dico poi che questo apologeta usa il metodo storico-critico, intendo dire che è proprio applicando questo metodo che arriva alle sue conclusioni, cioè che le scelte che fa sono all'interno del ventaglio delle ipotesi storicamente plausibili.
Quanto al rasoio di Ockham in storiografia, esso è un principio euristico certo utile, ma non può essere assunto a principio metafisico che spieghi il reale. Nulla vieta infatti che una faccenda storica sia davvero ingarbugliata e complessa.

CITAZIONE
"ma non sapevo di questi teologi, hai qualche nome?"

Caso vuole che nel volume di Messori, Dicono che è risorto, i capitoli storici sono intervallati a capitoli di filosofia e teologia. Questo ad alcuni potrebbe sembrare un'indebita contaminazione di generi letterari, ma, oltre al fatto che i capitoli in questione sono nettamente distinti, a mio avviso invece questo è un pregio di Messori, che vuole adottare una razionalità integrale, e dunque vagliare un'idea da tutti i punti di vista, quello storico come quello teologico. Messori dedica dunque un capitolo a stabilire se la fede di questi teologi modernisti, che ritengono irrilevante la risurrezione di Cristo, possa ancora definirsi cristiana. Te lo metto in spoiler, l'ho ricavato con un OCR:




Chiudevamo il capitolo precedente ricordando la Pasqua del 1976, uno dei più plumbei tra gli “anni oscuri” in cui entrò la cristianità occidentale negli ultimi decenni del XX secolo. Fu in quell’occasione che Le Monde rivolse una domanda a prestigiosi esponenti delle Chiese cristiane, cattolici ma anche protestanti e ortodossi: «Che ne sarebbe della vostra fede, se il piccone di un archeologo, in qualche luogo dell’antica Palestina, dissotterrasse lo scheletro di Gesù di Nazareth?».
Ecco un campionario di risposte, che la dicono lunga su quel clima sconcertante - di “spiritualizzazione”, di “smaterializza- zione” dell’evento Risurrezione - di cui abbiamo cominciato a parlare la volta scorsa.
Francois Quéré: «Questo non mi turberebbe affatto. La mia fede non dipende da una tomba vuota o piena. Il ritrovamento di un po’ di ossa non mi farebbe sprofondare nel dubbio».
Marc Oraison, prete cattolico, nonché medico e psicanalista: «La scoperta dello scheletro di Gesù rafforzerebbe la mia credenza, perché distruggerebbe il mito della rianimazione di un cadavere. La presenza delle ossa del Nazareno mi rafforzerebbe nella fede, che, per essere tale, deve essere del tutto indimostrabile».
Georges Crespy, docente alla Facoltà di teologia protestante di Montpellier: «Questo non impedirebbe di credere nella Risurrezione. Anzi, un simile ritrovamento sbloccherebbe probabilmente la fede, obbligandola a non fidarsi più del visibile».
Ma un oscuro parroco, un non-professore, un povero cristiano abituato a respirare non l’aria artificiosa delle biblioteche ma quella della trincea pastorale, a contatto con i semplici fedeli, ha osato rispondere nella stessa inchiesta: «Le ossa di Gesù? Se me le
vedessi davanti mi sentirei irrimediabilmente ferito. Credo proprio che con questo mi avrebbero dimostrato che la mia fede non era che una illusione». E Jean Guitton, il cattolico accademico di Francia, colui che per tutta la sua lunghissima vita ha riflettuto sulla possibilità per l’uomo d’oggi di continuare a credere: «Se avvenisse davvero un ritrovamento di questo tipo, lascerei scritto nel mio testamento: “Ho ingannato e mi sono ingannato" ».
In effetti, stando a qualche biblista e teologo contemporaneo, sarebbe possibile credere in Gesù come Messia, anzi come Figlio di Dio - sarebbe possibile, in una parola, “conservare la fede” - pur ipotizzando che il suo corpo sia marcito in un sepolcro o in qualche fossa comune. Le ossa di Gesù potrebbero giacere da qualche parte in Palestina, senza che per questo sia impossibile credere alla “risurrezione”: o, almeno, come dicono, «al significato di salvezza contenuto nella fiducia che Dio ha approvato quell’uomo».
Sarebbe possibile, dunque, continuare a dirsi “cristiani”? Ma, questo, ci pare solo secondo le teorie, gli schemi, le fisime (o, magari, la tentazione di épater le bourgeoìs, di mostrarsi non conformisti) dei moderni sapienti, secondo quel sempre ricorrente orrore “gnostico” per la carne e la vita concreta, su cui ritorneremo. Ma, se vogliamo attenerci al buon senso e ai testi, vediamo subito che questo modo di pensare non è affatto quello del Nuovo Testamento. Se davvero ci teniamo a condividere la fede degli evangelisti, di san Paolo, di tutta intera la comunità primitiva dei credenti, dobbiamo convertirci al concreto, massiccio “materialismo” della Risurrezione.
E proprio la fedeltà al Nuovo Testamento che ci impone di non seguire le ipotesi “spiritualiste”, per le quali il corpo non avrebbe importanza, ciò che vale davvero essendo lo spirito, il “significato”, il “simbolo”.
Dobbiamo opporci a questo, così come il protestante Karl Barth si oppose al suo collega e confratello protestante Rudolf Bultmann e a tutti i teologi “demitizzatoli”, esclamando che «rifiutare la risurrezione corporea di Gesù dai morti è, per un cristiano, rifiutare Dio stesso così come si è rivelato».
Dobbiamo opporci, come il cattolico Jean Daniélou: «La dottrina di Bultmann e di altri teologi ed esegeti, secondo la quale la
risurrezione della carne è un mito che significa soltanto il rinno-vamento interiore operato dalla fede, è molto vicina alle concezioni gnostiche combattute da san Paolo». La “gnosi”, infatti, tende a rifiutare il corpo, considerato come qualcosa di negativo se non di vergognoso; in ogni caso un mero rivestimento - purtroppo, provvisoriamente necessario, e al quale rassegnarsi - dello spirito, il solo che meriti attenzione.
Il cristianesimo, invece, ha sempre guardato all’uomo tutto intero, composto inestricabile di materia e di spirito, di corpo e di anima. Caro, cardo est salutis, la carne è il cardine della salvezza, per dirla con Tertulliano, l’apologeta del cristianesimo primitivo, che alludeva proprio - con quella formula - alla risurrezione di Gesù. Molti secoli dopo, il grande teologo italo-tedesco del Novecento, Romano Guardini, annotava, riflettendo sulle apparizioni del Risorto: «Solo il cristianesimo ha osato mettere il corpo nelle profondità più nascoste di Dio». In effetti, come ha osservato Robert Sublon, teologo protestante e uno tra gli interrogati dall’inchiesta di Le Monde: «La risurrezione materiale del Cristo dà senso alla fede nell’incarnazione, significando l’importanza del corpo per il giudeo-cristiano. La mentalità ebraica non poteva neanche immaginare una vita senza corpo».
La contrapposizione tra spirito e materia, nella medesima persona, è (come abbiamo visto) sconosciuta all’ebraismo ed è invece tipica della cultura ellenistica e, in genere, pagana. E dunque del tutto coerente che le descrizioni evangeliche delle “cristofanie”, delle apparizioni del Risorto, siano in questa linea di “totalità”, di “completezza” giudaiche, senza schizofrenie e contrapposizioni “gnostiche”.
Soltanto chi non conosca i testi (o li rimuova se in contrasto con le sue teorie, come fanno tanti, che pure quei versetti in greco li conoscono sin troppo) può dire che il Nuovo Testamento non sarebbe interessato alla “materialità” delle esperienze pasquali. É vero il contrario. Tanto che, per definire ciò che ci è raccontato dagli evangelisti, il termine “apparizioni” appare improprio. In effetti, fa pensare a un fenomeno che non colpisca altro senso se non la vista. E, invece, il Risorto è descritto dai vangeli mentre condivide in ogni aspetto la vita dei suoi amici, come prima della morte in croce.
È una condivisione che incomincia dal cibo: proprio il cibarsi sembra essere una costante delle “apparizioni” (dove le virgolette sono più che mai d’obbligo).
«Avete qui qualcosa da mangiare?», chiede il Risorto, riapparso per la prima volta davanti alla sua comunità. E lo chiede proprio perché «per tanta gioia e stupore rimanevano ancora increduli». Allora, «gli offrirono un po’ di pesce arrostito. Ed egli lo prese e lo mangiò in loro presenza» (Le, 24,41-43).
Ad Emmaus, siede con i due discepoli alla mensa ed è proprio lì, mentre spezza il pane, che lo riconoscono.
Apparendo presso il lago di Tiberiade, chiede ancora una volta da mangiare, anzi prepara egli stesso un pasto per gli apostoli che tornano dalla pesca: «Come dunque furono discesi a terra, vedono un fuoco acceso di brace con sopra del pesce e del pane. Gesù dice loro: “Portatemi alcuni pesci di quelli che avete preso ora”. (...) Gesù allora dice loro: “Venite e mangiate”». Più avanti, l’evangelista (che è anche testimone del fatto) ci conferma che pure il Signore partecipò alla mensa: «Quando ebbero mangiato...» (Gv, 21,9-10; 12; 15).
L’insistenza sul cibo è tale, che questo aspetto “materiale” entra addirittura nel kérygma, nella predicazione ufficiale della Chiesa. Dice Pietro, annunciando la fede a Cesarea: «Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At, 10,41). Dunque, l’essere stati “a mensa con lui” è, per il capo stesso degli apostoli, uno dei requisiti per essere garanti attendibili della verità della Risurrezione.
Il corpo (anzi, la parte che lo spiritualismo, gnostico o no, di ogni tempo giudica più disgustosa: il ventre) la fa da protagonista in questi racconti pasquali.
C’è, tra l’altro, una proposta di prova tangibile fatta dal Risorto stesso a quelli che, già allora, rifiutavano lo scandaloso “materialismo” di quell’evento e, scrive Luca (24,37), «credevano di vedere un fantasma»: «Ma egli disse: “Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”» (Le, 24,38 ss.).
Quel “toccatemi” è, nell’originale, l’imperativo del verbo greco pselafào che significa, letteralmente, “tasto, palpo”: qualcosa, dunque, di estremamente “materiale”, di estremamente “non spiritualistico”.
Anche all’incredulo Tommaso giungerà la celebre esortazione a “tastarlo”: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani! Dammi la tua mano e mettila nel mio costato; e non volere essere incredulo, ma abbi fede» (Gv, 20,27).
Lo stesso “spirituale” Giovanni, all’inizio della Prima lettera che porta il suo nome, userà lo stesso verbo di Luca, “palpare”, in polemica con quegli gnostici antichi - e che oggi sembrano ritornati - che volevano volatilizzare la realtà materiale della risurrezione: «Ciò che era sin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato (epselafesan), ossia il Verbo della vita (...), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi...» (1 Gv, 1,1 ss.).
Dunque, l’oggetto della testimonianza di Pasqua non riguarda affatto una frase del tipo: “in qualche modo quel Crocifisso è ancora vivo”. No: la testimonianza del Nuovo Testamento va, concorde, senza esitazioni, sulla realtà anche fisica del corpo del risuscitato. E, dunque, su un sepolcro rimasto vuoto per sempre.
In questo clima, crediamo sia difficile sbagliare, azzardando la possibile replica di discepoli e apostoli alla domanda di Le Monde sulle reazioni a un’impossibile scoperta delle ossa del loro Cristo. «Non è solo la tomba vuota», crediamo avrebbero risposto, «che ci ha riportati alla fede. E stato, soprattutto, lo stare a mensa con lui. Sulla nostra esperienza, siamo certi che non è apparso lo spirito di un morto, ma che è risorto un corpo, una persona nella sua interezza. Se, dunque, qualcuno (per assurdo) ci mostrasse i resti di quel corpo che noi abbiamo toccato, faremmo fagotto e - amareggiati e delusi come già fummo in quei terribili venerdì e sabato prima del mattino di Pasqua - ritorneremmo ai nostri vecchi mestieri, più redditizi, meno scomodi, meno pericolosi».
Coloro che oggi giudicano “irrilevante per la fede” che il cadavere sia uscito dal sepolcro e che dicono di non essere minimamente turbati, nel loro credere, se lì si fosse decomposto, hanno mai osservato - oltretutto - l’insistenza della predicazione primitiva su “il corpo che non vide la corruzione”?
E interessante riflettere, a questo proposito, sull’annuncio di Paolo un sabato, nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, «dopo la lettura della Legge e dei Profeti». Una citazione che può sembrare un po’ lunga, ma che è essenziale, mostrando come il kérygma primitivo considerasse centrale proprio quell’aspetto che alcuni vorrebbero presentarci come irrilevante.
Sentiamo, dunque, l’Apostolo delle genti nel suo rivolgersi ai confratelli ebrei: «E noi vi annunciamo la buona novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: “Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato”. E che Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che mai più abbia a tornare alla corruzione, è quanto ha dichiarato: “Darò a voi le cose sante promesse a Davide, quelle sicure”. Per questo anche in altro luogo dice: “Non permetterai che il suo santo subisca la corruzione". Ora Davide, dopo avere eseguito il volere di Dio nella sua generazione, morì e fu unito ai suoi padri e subì la corruzione. Ma colui che Dio ha risuscitato non ha subito la corruzione. » (At, 13,32-37).
Questa insistenza paolina sulla carne incorrotta del Crocifisso è nella linea di tutta la predicazione primitiva, a cominciare dal primo discorso missionario pubblico in assoluto, quello di Pietro a Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, subito dopo la discesa dello Spirito: «Poiché (Davide) era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: “Questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide corruzione". Questo Gesù Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni...» (At, 2,30 ss.).
In questa insistenza sulla “non corruzione” del corpo del Messia, in questo continuo ritornare sul fatto che il Crocifisso è uscito dal sepolcro non soltanto in spirito e che la sua carne non vi è imputridita, c’è forse l’influenza dell’antica profezia ebraica? I “dettagli” così concreti, a cominciare dai pasti - destinati a provare che Gesù non era ritornato dalla morte come fantasma, ma come corpo sensibile, palpabile, fatto di carne ed ossa - derivano forse dalla “necessità apologetica”, come sostiene accanto a “increduli” e protestanti liberali, anche un esegeta cattolico come il domenicano padre Boismard?
A questo tipo di sospetti abbiamo già dato qualche risposta in un capitolo precedente e vi ritorneremo di certo sopra, dando nuove precisazioni, nello sviluppo del nostro discorso. Ma qui, per il momento, non ci interessa la verità storica, la credibilità cronistica di ciò che la comunità apostolica afferma sulla risurrezione. Qui, è in discussione ciò che la stessa comunità crede e vuol farci credere sulla “qualità” di quella Risurrezione, sulla sua modalità, sulla sua natura.
Ebbene: i vangeli, il Nuovo Testamento tutto intero, vogliono convincerci (insistendo ora sul cibo, ora sulla carne che non ha conosciuto la corruzione, ora sul “toccare” e “palpare”) che l’esperienza pasquale - protratta peraltro per ben quaranta giorni e terminata, guarda caso, «mentre si trovava a tavola con essi», At, 1,4 - non è stata affatto soggettiva, interiore, spirituale. Ma, al contrario, ben “palpabile”.
È dunque su questa risurrezione, la sola attestata dalla Scrittura e opposta alle teorie di certa attuale esegesi (che, in realtà, sembra più una filosofia, se non un’ideologia, che maneggia i testi biblici per sostenere la sua tesi) è su questa risurrezione “tangibile” che ci confrontiamo in queste pagine, per vedere di saggiarne la consistenza anche storica.
E lo facciamo consapevoli, certo, che tutta la fede è mistero; e che il più misterioso dei misteri è questo centro, è questa base che il greco del Nuovo Testamento chiama anàstasis, cioè, letteralmente: “il levarsi” (dai morti). Ma consapevoli anche che non è affatto blasfemo lo sforzarsi di giungere sino alle soglie di quel Mistero. Cioè, sino a dove la ragione esaurisce le sue possibilità e inizia il “salto” della fede.
Blasfemo, semmai, sarebbe il credente che rifiutasse ciò di cui i testi della Chiesa nascente vogliono convincerci; il rifiutare, dunque, non solo la verità, ma anche la fisicità dell’incontro di Pasqua. Blasfemo sarebbe tentare di imporre i nostri schemi, i nostri limiti a un Dio che è semper major, sempre più grande di quanto i nostri intelletti possano concepire.
Crediamo, comunque, che nessun credente abbia mai perso il sonno, né tanto meno la fede, per quei problemi che invece (stando a certi teologi) impedirebbero che l’uomo moderno accetti il concetto “ingenuamente materialista” di risurrezione, così come era creduto “in epoche pre-scientifiche”. Il problema, ad esempio (tanto per citarne uno tratto da uno studio recente) di come il corpo glorioso del Risorto potesse assumere e assimilare fisiologicamente gli alimenti di cui è detto nutrirsi.
No: non sono dei problemi di digestione del Risorto che hanno impedito la fede di tante generazioni precedenti; come non la impediscono ora a quel mitico “uomo contemporaneo”, che è spesso tanto diverso dall 'identikit tracciato da “esperti”. Come il solito Rudolf Bultmann, che la buttò addirittura in politica, sostenendo che «il togliere la Risurrezione di Gesù dalla soggettività, per insistere sul carattere oggettivo delle apparizioni», sarebbe nientemeno che «da conservatori».
“Conservatori” sarebbero allora tutti gli autori del Nuovo Te-stamento, che non sono affatto d’accordo con la lettura di questi esperti tedeschi. Quanto a noi, non ci preme rispettare le teorie degli accademici ma il modo - per quanto enigmatico sia - con cui Dio stesso ha scelto di incarnarsi e di risorgere. E, se proprio si vuol mettere anche questo sul piano politico, con tipica deformazione moderna, ci pare non “conservatrice” ma “rivoluzionaria” - e in modo dirompente - la fede di tutte le generazioni cristiane, secondo la quale «nulla è impossibile a Dio».
Proprio su simili problemi - riferendone sulle pagine di Inchiesta sul cristianesimo - parlammo una volta con Hans Küng. Anche per questo teologo (che ha pure precise conoscenze di biblista) lo sforzo maggiore sembra consistere nel ridurre al massimo, nella storia di Gesù, il “miracoloso”, inteso - in quella prospettiva illuministica a lui non estranea - come «tutto ciò che la scienza di oggi non ha spiegato».
Gli chiesi, tra l’altro: «Perché - data per scontata quella fede in Dio, e nel Dio cristiano, che malgrado tutto lei riconferma - perché questo voler porgli dei limiti che noi stessi abbiamo stabiliti? Non è ancora una volta il tentativo di racchiudere l’onnipotenza divina nelle gabbie rassicuranti delle nostre teologie? Perché questo volere “demitizzare” a ogni costo il miracolo, che è poi “lo scandalo e la follia per la sapienza del mondo” che mirabilmente contrassegna il Dio biblico? Perché tanto darsi da fare per dimostrare meri “simboli” i miracoli narrati nei vangeli, a cominciare da quello su cui tutta la fede si basa, la Risurrezione fisica? Tutto deve davvero sfumare in complicate distinzioni e precauzioni che lascino il lettore privo delle sue certezze precedenti, ma al contempo senza nuovi e sicuri punti di appiglio?».
Forse per la stanchezza, forse per il tedio di domande come queste mie, che dovevano sembrargli ingenue, anacronistiche, non abbastanza “raffinate” (il suo decalogo di teologo porta al secondo punto: «Nessuna premiazione della fede semplice»), forse per altro; sta di fatto che la risposta del professor Kiing suonò infastidita: «Dio è il primo a rispettare le sue leggi; per essere credibile non ha bisogno di argomenti ridicoli».
«Ridicola, dunque» ripresi «anche la fede di tutti i secoli cristiani nella Risurrezione e Ascensione fisiche del Cristo?». Il prete tagliò corto: «Chi vuole conservare il miracoloso nella Scrittura deve portare validi argomenti per provarlo».
La risposta non mi dissolse, ma mi rafforzò i sospetti di “illu-minismo”; magari di “ellenismo”; e ciò proprio all’opposto delle dichiarazioni di Küng, uno tra i tanti alfieri attuali della “de-el- lenizzazione” del cristianesimo a favore della riscoperta delle radici ebraiche.
In effetti, è per i greci che il mondo è sottomesso a una legge,, a un Fato cui neppure Zeus può sfuggire. E solo per il pensiero ebraico che Dio non è prigioniero del Logos pagano, questa “ragione del mondo”, contro la quale né uomo né divinità possono nulla. Per il pensiero ellenico, un Dio come quello ebraico è “pazzo”; un aggettivo che accetterà anche Paolo, aggiungendo però subito che «la follia di Dio è più sapiente della ragione degli uomini». É proprio il Logos, la “legge” senza scampo del mondo greco, che ha portato a quell’idolo che è il cosiddetto “pensiero scientifico” dell’illuminismo e del positivismo. Quello che ci soffoca in un mondo implacabilmente senza speranza, perché ogni “sorpresa” è dichiarata impossibile; rendendoci così prigionieri di “leggi” fisiche e chimiche che sono come sbarre alla finestra di una galera.
Che anche Küng fosse vittima dell’antica trappola greca? Cercai di dirglielo, con prudenza, ben conoscendo - per esperienza - le reazioni allarmanti di certi “alfieri del dialogo” quando non si dà loro ragione. Mi andò bene, perché me la cavai con un’accusa di “Medioevo”, cioè di “oscurantismo clericale”. Sbottò, in effetti: «Quelli che fanno domande come le sue, studino, si aggiornino, imparino quel che dice la scienza moderna: le leggi dell’universo non possono essere interrotte neppure per un istante, pena il crollo di tutto il sistema». La prigione, appunto.
In quel momento pensai - e con gratitudine - a quell’antica preghiera ebraica, una delle più straordinarie della storia religiosa degli uomini, che dice: «Ti ringrazio o Dio, perché Tu vuoi anche ciò che è proibito». Ciò che è proibito dai nostri schemi, dai nostri limiti scambiati per “leggi intoccabili della Scienza”; con la maiuscola, s’intende.
Ma il professore di “teologia ecumenica” all’Università di Tubinga continuò: «Quanto alla Risurrezione, posso credere nella vita eterna di Gesù e mia senza vedere una tomba vuota». Ma insomma - sbottai a mia volta - è esistita una tomba di Giuseppe di Arimatea o di chiunque altro? E se c’è stata una tomba (come egli stesso, Küng, inclina a credere, pur tra i mille distinguo consueti), se c’è stata, davvero non fa alcuna differenza per la fede che il corpo del Crocifisso si sia levato da lì per sempre o che per sempre vi sia marcito?
Le mie domande - ero il primo a rendermene conto - tendevano troppo al “semplice”, non erano abbastanza da “studioso aggiornato” e infatti non meritarono risposta esplicita, ma soltanto un: «Io lavoro per rendere comprensibile il messaggio cristiano all’uomo contemporaneo».
È quanto, nei nostri limiti, cerchiamo di fare anche noi. Consapevoli però che è proprio la fedeltà alla Scrittura che esige da noi lo sforzo per riannunciare la Risurrezione (e nel suo senso “pieno”, anche “corporeo”) all’uomo di ogni generazione. Anche di queste nostre, cosiddette post-moderne.


Ad maiora
view post Posted: 29/2/2012, 14:31     Consigli e pareri scelta libri per non esperti - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
"Premetto che non ho letto Messori, comunque se nei suoi libri (ovviamente di taglio giornalistico, dati il curriculum dell'autore e la bibliografia che di conseguenza usa"

Io invece li ho letti, e il migliore è il secondo, cioè "Patì sotto Ponzio Pilato", il taglio giornalistico non è disgiunto dalla cultura sull'argomento. Innanzitutto Messori appartiene alla schiera di noi eletti che ci troviamo a nostro agio nell'indagare le fonti antiche già dall'adolescenza per via dell'istruzione del liceo classico. Cinque ore di latino a settimana per 5 anni, e quattro ore di greco a settimana per 5 anni, permettono al ragazzo studioso di muoversi con facilità nel mondo antico, poiché il liceale impara a destreggiarsi con agilità nelle fonti che vanno da Omero sino alla fine dell'Impero Romano d'Occidente. Questo è molto importante: nei paesi anglosassoni il liceo classico non esiste. Solo in Italia e Germania esiste la possibilità di studiare sin dal liceo latino e greco insieme, col risultato che i biblisti americani hanno studiato all'università meno greco di un ginnasiale di 16 anni italiano. Ci sono dati scandalosi a questo proposito sulla capacità di maneggiare le lingue antiche dei laureati americani in scienze bibliche, del tipo che a dei test lessicali questa gente azzeccava solo il 30% delle parole.
Messori ha invece la tipica capacità di ragionare di quelli che sono usciti dal classico, e la sua attività di giornalista, dopo una laurea con Firpo, Galante Garrone, e Bobbio, l'ha reso un intellettuale versatile. Messori è un dilettante se con dilettante intendiamo l'aver o no acquisito un laurea in materie bibliche, e in questo caso lo è certamente, ma è mio parere che vista la varietà delle sue letture, che spunta nei suoi libri, si tratta di una persona molto più preparata di un mucchio di biblisti titolati e di molti vescovi.
A differenza di altri dilettanti improvvisati che girano in rete ma sono privi di metodo, e vantano pretese assurde, i 5 anni di liceo classico, a confronto con la storiografia antica ogni giorno, gli hanno permesso di evitare svarioni scandalistici, sapendo ben distinguere una deduzione fondata da una folle. Non sa di cosa parlo, o di cosa si faccia al classico, nessuno che non l'abbia frequentato. Mettersi a studiare i più vari dialetti del greco, passare ore in classe a leggere coi professori i frammenti di Alceo in dialetto eolico, studiare con loro le peculiarità della lingua dorica traducendo gli epigrammi sepolcrali spartani, e, perché no, studiare Giuseppe Flavio con i commentari di Momigliano accanto, sono stati senza dubbio il periodo più felice della mia vita. Dopo il diploma, noi non abbiamo mai avuto bisogno di scoprire chi fosse Flavio, né di sapere come si consulti un'edizione critica, ed è per questo che consiglio vivamente la lettura di Messori. La consiglio da filosofo, perché argomenta in modo efficace, e la consiglio da ex-cattolico indifferente, perché siccome il nostro amico parla d ritrovare la fede, devo dirgli che sono state le opere di Messori a farmi nuovamente entusiasmare per la fede d'infanzia che trascuravo quand'ero ancora al liceo...
Messori inoltre può ben persuadere gli atei, perché lui stesso è stato agnostico prima della conversione, e dunque ha sempre la vecchia voce di quand'era agnostico che gli ronza in testa. Ciò fa sì che, sapendo come pensa chi non crede, voglia sempre dare ragione della speranza che è in lui. Per questo, vista la particolare chiesta del nostro utente, che non ha chiesto, mi pare, manuali asettici, ma qualcosa per recuperare la sua fede, è del tutto legittimo consigliargli caldamente Vittorio Messori.


CITAZIONE
"Premetto che non ho letto Messori, comunque se nei suoi libri (ovviamente di taglio giornalistico, dati il curriculum dell'autore e la bibliografia che di conseguenza usa) ci sono ancora errori storici del tipo di quelli che abbiamo trovato qui

https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=54900152

allora proprio non conviene leggerlo se si vuole iniziare a leggere qualcosa sulla ricerca storica di Gesù, per quanto riguarda il ritrovare la fede dubito che ci siano ricette bibliografiche efficaci su tutti i lettori..."

L'unico errore di cui s'era parlato qui è una datazione con un a.C. anziché d.C., e s'è visto che non dipende da Messori, ma dal fatto che lo scopritore aveva proprio pubblicato il reperto con quella datazione. L'unica colpa di Messori sarebbe dunque di non aver aggiornato il suo libro negli anni. Tuttavia, oltre al fatto che nessun libro storico è esente da errori, non possiamo neppure sapere se Messori si ricordi d'aver mai scritto quelle righe, vista la grandezza della sua produzione letteraria.
Probabilmente molti di voi hanno provato l'esperienza di scrivere una tesi di laurea... Ebbene, dopo anni ancora mi capita di leggerle e sfogliarle, e come per incanto trovo errori, magari di battitura, nonostante le tesi erano state corrette da relatore e correlatore... Certi problemi sono proprio congeniti al lavoro di scrittore.

CITAZIONE
"allora proprio non conviene leggerlo se si vuole iniziare a leggere qualcosa sulla ricerca storica di Gesù, per quanto riguarda il ritrovare la fede dubito che ci siano ricette bibliografiche efficaci su tutti i lettori..."

Se non l'hai letto, è difficile poter dare un giudizio simile, non credi? Soprattutto basandosi su un solo singolo errore, che non sappiamo neppure se sia un errore.
E sopratutto illudendoti che in altri libri scritti da accademici non ci siano errori.
CITAZIONE
"però ciò su cui non sono d'accordo è il ritenere che esistano storici che abbiano un metodo apologetico e altri che abbiano un metodo antiapologetico. "

Purtroppo ti sbagli, uno storico del tutto serio può mettersi a fare dell'apologetica, cioè scrivere un libro con un preciso obiettivo, ad esempio Thiede o K. Berger.
Ognuno infatti ha le sue idee, e non ci trovo nulla di male a fare apologetica, se questa è fatta con metodo storico, cioè argomentando. Se poi queste argomentazioni tendono a difendere quello che si crede, io la chiamo apologetica. Ma questa non esclude il carattere storiografico di queste opere, se per l'appunto l'argomentazione è condotta in maniera corretta.
Del resto, io non credo neanche che sia possibile scrivere un libro senza avere una tesi precostituita da difendere. O pensate che i libri degli storici non tirino le conclusioni alla fine dell'opera? E tali conclusioni, non le aveva già in mente prima di mettersi a scrivere?

CITAZIONE
"Gli storici o nella loro ricerca utilizzano un metodo condiviso o non fanno un buon lavoro da storici"

Siamo d'accordo, io infatti ho detto che si può fare dell'apologetica anche seguendo il metodo storico, e se non lo si segue, sarà un'opera non storica ma solo apologetica.
In ogni caso è il caso di liberarsi di questo idolum fori secondo il quale l'apologetica non sia conciliabile con la ricerca storiografica.

CITAZIONE
"
Insomma, non è che se uno storico ritiene con argomentazioni che il censimento della Natività non può essere avvenuto come afferma Luca allora quello storico fa un attacco alla fede cristiana, mentre se un altro studioso ritiene con argomentazioni di aver trovato un esemplare, anche solo parziale, del Vangelo di Marco, vedi qui https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it...stpost#lastpost risalente al I secolo, allora tale studioso fa apologetica. basta naturalmente che entrambi gli studiosi argomentino in modo corretto in base a dati e ragionamenti. Spero che sia stato chiaro con ciò."

E' vero che la ricerca storica non è incompatibile con la fede, ma non tutti i risultati della ricerca storica sono compatibili con ogni tipo di fede, o con ogni visione della fede.
L'ipotetica certezza che il censimento sia falso perché: 1)NOn è avvenuto in quella data 2)i Romani non censivano così, non provocherebbe alcun danno alla fede cattolica, ma certamente ne provocherebbe ad un certo tipo di fede cattolica, cioè di coloro che credevano la Bibbia inerrante anche storicamente (prospettiva minoritaria). La storiografia può dunque rimuovere alcuni aspetti di alcuni modi di intendere la fede.
La reazione a questi fatti ha creato dei teologi pseudo-kierkegaardiani, che distruggono la storicità della loro fede sposando qualsiasi teoria modernista, e tutto questo al fine di demolire la razionalità delle loro credenze al fine di avere, dicono loro, una fede più pura, al fine di poter fare un salto nel buio più grandioso. Insomma, meno è razionale quel che credo, e più sarà nobile la tua fede.

Uno degli aspetti più divertenti a questo proposito è che alcuni teologi cattolici, da qualche decennio, stanno preparando le contro-mosse esegetiche nel caso fosse scoperto il cadavere non-risorto di Cristo, immaginando un mucchio di balordaggini teologiche per mostrare come questo evento sarebbe comunque compatibile con la fede nella Resurrezione di Cristo della CHiesa, visto che la resurrezione sarebbe un evento "metastorico"\ "trascendente", e altre parole semi-vuote di significato. Come disse Nietzche tali teologi sono come dei fondali d'acqua alti pochi centimetri, ma che intorbidano le proprie acque smuovendo la sabbia del fondale con l'obiettivo di apparire profondi a chi li osservi dall'esterno.
L'unica mia speranza, visto che in ambiente filosofico l'esistenzialismo è in declino dagli anni '50, è che gli strascichi avuti sulla teologia dall'esistenzialismo si esauriscano tra poco.

Ad maiora
view post Posted: 29/2/2012, 13:24     Riti mitraici e sacrifici umani nell'antichità - Storia del Cristianesimo
"Nelle grandi sventure o di guerre o di epidemie o di aridità i Fenici sacrificavano una delle persone più care, decidendolo con un notvo. a Cronos, ed è piena di sacrificanti la che Sanchunianton scrisse in lingua fenicia e Filone di Biblo tradusse in lingua greca in otto libri. Istro nella raccolta dei sacrifici cretesi dice che i Cureti anticamente sacrificavano fanciulli a Cronos. Pallade il quale raccolse nella maniera migliore nella maniera migliore le notizie relative ai misteri di Mitra dice che i sacrifici di uomini presso quasi tutti i popoli furono aboliti sotto l'imperatori Adriano." (II, 56, 1-3)

Mi chiedi come questo si concili con la notizia del senatoconsulto. La risposta prima dare è che non sarebbe certo la prima contraddizione che troviamo nelle fonti antiche. Come ricordo spesso la storia antica non ci è trasparente, sia per la scarsità delle fonti, sia perché gli storici applicavano un diverso concetto di storiografia, che non è uguale al nostro, discendente dal positivismo ottocentesco e basato sul criterio dell'esattezza: l'esempio classico è Tucidide che si vanta di come abbia ben inventato i dialoghi dei personaggi nei suoi racconti. Questo purtroppo pochi lo capiscono, perché non hanno dimestichezza con la storiografia antica in generale, e dunque appena vedono una contraddizione immaginano complotti ovunque. Non è affatto così: leggete come Plutarco o Tucidide trattano le stesse cose, e troverete differenze abissali.

Detto questo, nell'ipotesi di prendere per buono Porfirio, ci sono varie spiegazioni, tutte possibili ma tutte parziali:
1)E' possibile che Porfirio quando parla dei sacrifici mitriaci aboliti stia parlando solo dei popoli precedentemente menzionati nel brano.
2)E' possibile che i seguaci di Mitra abbiano sacrificato fino ad Adriano perché davano meno nell'occhio, sacrificando sottoterra. Ben diverso sarebbe un culto pubblico come Iuppiter Latialis, che proprio nel cuore dell'impero, e pure con cariche pubbliche presenti, si metta a sacrificare un uomo. Se così fosse non sapremmo spiegarci come mai Plinio si stupisca che secoli prima i romani compissero quelli che lui chiama "riti mostruosi". E' evidente che all'epoca per un romano un'idea simile sarebbe stata fuori di testa.
3)Sebbene il culto di Mitra sia conosciuto dai Romani sin dal I sec. a.C. , esso giunse a diventare popolare a Roma solo alla fine del I sec. d.C., il legislatore perciò potrebbe essersi premurato di regolamentarlo non appena il potere si accorse di loro.

Non prendendo per buono Porfirio invece, si potrebbe dire che:
1)Porfirio cita un certo Pallante, ma è l'unica fonte che ci parla di questo autore.
2)Porfirio, filosofo razionalista, nel De abstinentia scrive un'opera contro le mostruosità della religione greca (come poi farà contro i cristiani), perché il suo obiettivo era tra l'altro condannare i sacrifici degli animali. Non si tratta dunque di uno scritto neutro come quello di Plinio, che non ha nessuna religione da condannare, bensì di uno scritto ideologico e apertamente polemico.
3)Altri autori ci descrivono la festa di Iuppiter Latialis, e nominano solo sacrifici animali

Terza opzione, nel caso entrambe queste vie sembrino insoddisfacenti, si può benissimo scegliere un autore piuttosto che un altro a seconda di quale dei due ci appaia più convincente. Come già detto, al storia antica non ha lo stesso grado di trasparenza della storia contemporanea, e il lavoro dello studioso moderno non deve per forza consistere nel farle concordare, ma nello scartarne per privilegiane un'altra, esattamente come si fa per le contraddizioni presenti tra i 4 vangeli. Basta solo avere del metodo storiografico per fare scelte ponderate.
view post Posted: 29/2/2012, 10:49     Consigli e pareri scelta libri per non esperti - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
Insomma una bibliografia minima per capire e comprendere e forse per spiegare e rafforzare una fede perduta.

Ma in questo caso, se è la fede quella che vuoi recuperare, devi rivolgerti alla santa tetrade:

Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI
Vittorio Messori, Patì sotto Ponzio Pilato. Un'indagine sulla passione e morte di Gesù, SEI
Vittorio Messori, Dicono che è risorto. Un'indagine sul sepolcro vuoto, SEI
Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori

Sono assai piacevoli da leggere, e il loro punto di vista è quello conservatore ed apologetico.

In generale comunque ti consiglio questo sito, curato da uno studioso dell'università di Torino, alla fine di ogni trattazione c'è tutta la bibliografia che vuoi:

www.christianismus.it
view post Posted: 28/2/2012, 17:44     Riti mitraici e sacrifici umani nell'antichità - Storia del Cristianesimo
CITAZIONE
"Dunque, Jupiter Latialis veiniva onorato a Roma con spargimento di sangue, come affermano gli apologeti Cristiani."

Non ho tempo di leggere quest'articolo, ma nell'abstract che il sito pubblica si legge quanto segue:

"This article will deal with one instance of a classic discussion in studies of Roman religion: the existence or not of rites of human sacrifice in this sphere, including how we may understand and properly define this polemically loaded term. I shall argue that the common claim in Christian apologetical writings, namely that Jupiter Latiaris was worshipped with human blood, was correct, notwithstanding the ubiquitous rejection of the statement in modern scholarship. Whether this, however, constituted a human sacrifice, as the apologists argued, is quite another matter. "

L'autore cioè confessa previamente di portare un parere isolato, e che tutto il mondo accademico nega che questi sacrifici umani a Jupiter Latialis siano mai avvenuti. E tra l'altro, se volessimo guardare all'aggiornamento bibliografico, questo articolo risale al 2002, mentre il Commentario da me citato è posteriore di due anni, e dunque più aggiornato. Personalmente non ho mai sentito da chicchessia che questo sacrificio fosse reale, e dunque è possibile che questo articolo non sia stato ritenuto determinante. Quale che sia la verità su questo sacrificio, è comunque un argomento controverso, da non usare come punto di partenza per ipotizzare niente.
Sarà interessante, magari se avrò un po' di tempo nel fine settimana, leggere questo articolo e vedere quali prove vengono considerate.

CITAZIONE
"Oltre a ciò, non esiste un Senatus Consultum che proibisca sacrifici umani, vedasi
http://webu2.upmf-grenoble.fr/Haiti/Cours/Ak/
Del resto le citazioni date al riguardo non riportano i dati di leggi romane."

Mi sfugge del tutto che rapporto possa mai esserci tra l'essere presenti su quel sito ed esistere. Ho dato un'occhiata di qualche secondo, ed è vero che non riportano quel senatus consultum, ma forse il sito riporta solo le leggi di cui c'è pervenuto il testo, e non invece quelle solo nominate indirettamente. Credo che questa la spiegazione, perché l'unica altra alternativa è che l'autore del sito sia un incompetente.
Il fatto poi che io faccia seguire ad un elenco di citazioni un κτλ. , significa che l'elenco delle citazioni non era finito.
Se volete un testo antico che parli chiaramente di questo senatus consultum, che non dobbiate perder tempo a cercare, ve lo fornisco volentieri:


Extant certe et apud Italas gentes vestigia eius in XII tabulis nostrisaliisque argumentis, quae priore volumine exposui. DCLVII demum anno urbis Cn. Cornelio Lentulo P. Licinio Crasso cos. senatusconsultum factum est, ne homo immolaretur, palamque fit, in tempus illut sacra prodigiosa celebrata.
(Plinio il Vecchio, Storia Naturale, XXX, 12)

Esistono tracce sicure della diffusione della magia anche tra i popoli italici, come si può appurare nelle Leggi delle XII Tavole e nelle altre testimonianze che ho esposto in un libro precedente. Soltanto nell'anno 657 dalla fondazione di Roma , sotto il consolato di Cneo Cornelio Lentulo e di Publio Licinio Crasso, venne emanato un senatoconsulto che impediva i sacrifici umani: ed è quindi palese che, fino ad allora, si erano celebrati riti mostruosi.

Questo testo così chiaro sarà sicuramente trattato anche dall'articolista che voi avete citato, potrebbe essere interessante scoprire cosa dice al riguardo.

Ad maiora

Edited by Polymetis - 28/2/2012, 20:16
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