Studi sul Cristianesimo Primitivo

Posts written by Polymetis

view post Posted: 9/5/2014, 18:44     Bruce Manning Metzger: right or wrong? - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
CITAZIONE
sono sicuramente un outsider, ma ho fatto 5 anni di liceo classico e 3 anni di teologia a Firenze (volevo diventare prete, poi ho lasciato il postulato comboniano); dato che si parla di 20 anni fa, ho letto quello che gli studi teologici passavano 20 anni fa, ma non dovrebbe essere un grosso limite dato che dici che sono tematiche fissate da 100 e passa anni.

Non mi risulta che né al classico né a teologia diano nozioni sistematiche di linguistica storica (tranne che nel mio caso: la mia amata professoressa di greco, Tiziana Pontillo, era una glottologa laureata in sanscrito, e dunque aveva una visione un tantino settoriale della lingua). In effetti ora che ci penso all'inizio del terzo anno il professore di lettere dedicò circa 2 ore alla trasformazione dal latino ai volgari romanzi, ma certamente quelle poche nozioni non mi avrebbero reso in grado di discutere di linguistica storica.

CITAZIONE
o farei ragionamenti altamente illogici? beh, neanche tu brilli per limpidezza logica: prima mi dici che per imporre l'italiano lo stato italiano ha avuto bisogno nell'ordine di 1. scolarizzazione 2. leva 3. televisione (e, aggiungo io, nemmeno questo sarebbe bastato, perché in Sardegna la gente parla ancora sardo, e a Milano e a Torino la gente parlerebbe ancora milanese e torinese se non fossero arrivati milioni di immigrati meridionali) e poi sostieni che il latino si è imposto grazie alla "consapevolezza dell’esistenza di uno Stato che impone una lingua sul territorio con la sola sua presenza", cioè praticamente all'impero romano è bastato esistere per riuscire a colonizzare linguisticamente le popolazioni dell'Europa occidentale.

Come già detto, abbiamo tutta la documentazione del processo, e non è oggetto di discussione tra linguisti. Non ho detto comunque che lo Stato italiano "ha avuto bisogno" delle 3 cose che hai elencato, ho semplicemente scritto che sono state queste 3 cose ad aver determinato il processo in massima parte. Le due formulazioni non sono identiche: dire che è andata così, non vuol dire che avrebbe dovuto per forza andare così altrimenti il risultato non si sarebbe ottenuto. Esso si sarebbe potuto verificare anche con una sola delle tre, ma avrebbe richiesto più tempo.
Quanto al tuo parallelo col regno d'Italia, stai confrontando realtà non omogenee. E se anche fossero state omogenee, il fatto che in Italia a creare l'unità linguistica in due secoli ci sia voluto il concorso di scuola, leva e televisione, non confuta la possibilità che l'impero romano abbia potuto raggiungere lo stesso obiettivo sfruttando anche due soli di questi elementi, in quanto aveva a disposizione un tempo maggiore. Da noi il processo è stato accelerato dalla televisione, e dunque abbiamo fatto in 50 anni più di quanto la scuola avesse fatto in un secolo, ma ciò non esclude che senza televisione la scuola possa raggiungere lo stesso risultato impiegando però dei secoli anziché 50 anni. E dei secoli sono stati per l'appunto ciò che ha avuto a disposizione l'impero romano. La scuola come dicevo è stata solo uno dei fattori: vi vanno aggiunti la leva, e il principale resta comunque la volontà delle popolazioni conquistate, e del loro ceto medio ed alto, di integrarsi nella macchina romana per ottenerne i benefici.
Inoltre, la compagine statale dell'impero, era qualcosa del tutto differente dall'evanescente stato italiano, così come era diversa la sua presenza sul territorio.
Quanto al perché in Oriente il latino non s'è imposto, la risposta si deve al fatto che i romani stessi riconoscevano ai grecofoni un primato culturale (Graecia capta ferum victorem cepit), e dunque erano le élite romane ad essere desiderose di studiare greco.

Ad maiora
view post Posted: 9/5/2014, 10:54     Bruce Manning Metzger: right or wrong? - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
CITAZIONE
“col russo e col tedesco non è successo”

E’ successo anche con loro, si sono semplificate, così come in generale il numero dei casi ricostruiti nel protoindoeuropeo tende a scemare nelle lingue che noi abbiamo attestate, o com’è scemato il numero dei casi nel tedesco rispetto all’originario ceppo germanico.
Il processo di semplificazione avanza: se in alcune regione è più lento che altrove, ciò non sminuisce il principio generale, perché in ogni lingua ci sono ragioni particolari che interagiscono col principio generale determinando il rallentamento o l’accelerazione del fenomeno. Come ripeto la documentazione è immensa. Ad esempio non tutte le lingue che hanno un sistema misto sono ugualmente portate alla sparizione dei casi, lo saranno maggiormente quelle dove un numero maggiore di complementi sia esprimibile o col ricorso a preposizioni o coi casi. E’ ovvio infatti che se una lingua è mista nel senso che alcuni complementi sono espressi con casi, ed altri con preposizioni, allora non c’è una ridondanza, perché i due sistemi sono utilizzati per complementi diversi. Allorché invece è uno stesso complemento ad essere esprimibile in due modi, uno dei due può venire tralasciato. Sicché le lingue a sistema misto, tra gli altri fattori, sono tanto più instabili quanti più complementi sono esprimibili in maniera doppia, mentre conservative se alcune funzioni sintattiche si potevano esprimere solo col caso. E' un principio di economia.
Il fatto che il mutamento sia diverso per ogni lingua dipende da vari fattori, ad esempio l’isolamento o meno di quel popolo, ma la sovrapposizione dei due sistemi è il veicolo principale.

CITAZIONE
“secondo me no; per esempio, conosciamo le lingue parlate 1000-2000 anni fa in Francia, Italia del Nord, penisola iberica?
non mi risulta”

Ma nessuno ha dei registratori, ciò non vuol dire che non siamo pieni di materiale lessicale che viene da mille fonti: note sui manoscritti, epigrafi, toponimi, ecc. Se mi dici quali volgari ti interessano, posso indirizzarti alla relativa bibliografia. Ad esempio hai citato quelli della penisola iberica, e lì sia per il periodo pre-romano che per quello romanzo il riferimento sono gli studi di Villar.

CITAZIONE
“la compagine statale è qualcosa di rilevante solo negli ultimi 100-200 anni, con l'istruzione di massa, ma prima era irrilevante; infatti per esempio l'italiano è nato, si è sviluppato ed è rimasto sostanzialmente stabile senza una compagine statale dietro; sono altri i fattori che rendono una lingua più o meno stabile”

Questo metro di ragionamento è altamente illogico. Che per ipotesi una lingua sia resa stabile da un sistema, non vuol dire che tutte le lingue siano rese stabili da quel medesimo sistema. Possono essere rese stabili da altro, senza che ciò intacchi la verità di ciascuno dei due sistemi di conservazione.
Il caso dell’italiano è quello di una lingua franca usata dai letterati, modellato sulle tre corone toscane ed impostosi per il loro prestigio preso a modello dai nostri grammatici (come il Bembo). Ma è diventato la lingua degli italiani grazie alla scolarità del regno d’Italia, la leva militare, ed infine la televisione.
Quindi il caso dell’italiano è quello di una lingua stabile nei secoli perché lingua letteraria.
Il caso del latino è ovviamente del tutto diverso, e nulla di quello che dici può inficiare il fatto che il disgregarsi di questa lingua in Occidente sia stato dovuto al crollo dell’impero. Non si tratta solo della scuola e dell’esercito, che comunque erano capillari, ma della consapevolezza dell’esistenza di uno Stato che impone una lingua sul territorio con la sola sua presenza. Prendiamo anche solo il caso delle villae romane, sparse in ogni luogo dell’impero, e che per la pianificazione e coltivazione del territorio solo un po’ il corrispettivo dei monasteri nell’Europa medievale. Roma come una piovra sul territorio dava ordini e lavoro in latino. Le élite urbane, col loro desiderio di integrarsi alla compagine imperiale, parlavano latino, tra sé e a tutti quelli che lavoravano per loro. Quando non c’è stata più un’amministrazione per integrarsi alla quale occorreva imparare latino, i ceti medi hanno avuto meno interesse a studiarlo, e il vezzo di un latino corretto è rimasto appannaggio solo di alcune professioni, come quelle ecclesiastiche o giuridiche (e anche qui, con un generale imbarbarimento)

CITAZIONE
“sì, va bene, ma non è che Mondin ha la macchina del tempo e ci è andato di persona...
per esempio, quando si parla di città e campagna, si intende della città di Roma o si intende in generale? nel secondo caso vorrebbe dire che a Mantua si parlava un latino perfetto, mentre in provincia (per dire, Hostilia) si parlava in maniera approssimativa.”

L’ideale di cui ci parlano i grammatici è quello del latino dell’Urbe contrapposto alla rusticitas. Erano cose su cui già all’epoca si rifletteva.
Comunque, ripeto, su tutta questa faccenda ci sono già fiumi di letteratura. La dispensa che ho dato è manualistica e dà nozioni per l'appunto da manuale, cioè capisaldi ben solidi. Sono gli altri i dilemmi che tormentano i linguisti, e non certo perché i casi del latino siano scoparsi nei romanzi.

Ad maiora
view post Posted: 7/5/2014, 12:59     Saluti - Regolamento, Presentazioni, Dialogo con lo Staff
Benvenuto, siamo abbastanza vicini, io lavoro a Ca' Foscari, anche se mi occupo per lo più di storia della filosofia antica. Comunque mi sarebbe piaciuto fare un dottorato in storia del cristianesimo, e perciò ti auguro di trovare qualcosa che ti diverta in questo forum caro collega.

Ciao
view post Posted: 4/5/2014, 23:08     Bruce Manning Metzger: right or wrong? - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
CITAZIONE
ho già sentito in passato questo tipo di spiegazione, ma non la trovo convincente;

Guarda che quello che sto dicendo è una cosa perfettamente documentabile e documentata. Non è una cosa su cui ci sia dibattito. Grazie al cielo l'evoluzione dal latino ai volgari romanzi è una cosa su cui abbiamo tutta la documentazione che ci serve che ci permette di tenere d'occhio l'evoluzione della lingua in maniera diacronica.

CITAZIONE
per esempio, se i casi sono così difficili da tenere a mente, perché sono nate le lingue con i casi? e se l'evoluzione naturale di una lingua è eliminare i casi, perché esistono ancora lingue con i casi?

Scusa ma io non ho detto che l'evoluzione naturale di una lingua è di eliminare i casi. Ho detto che in presenza di unalingua mista, dove i complimenti siano esprimibili o coi soli casi, o con un sistema analitico alternativo fatto di preposizioni, uno dei due sistemi è superfluo, e dunque il più difficile tende ad essere soppiantato dal più semplice, specie in caso di bassa scolarità. Questo non implica che ciò avvenga in ogni lingua coi casi, infatti non tutte le lingue coi casi hanno il sistema doppio da me descritto, e non tutte le lingue coi casi hanno visto il crollo all'interno della loro storia della compagine statale che garantiva con l'istruzione un mantenimento dello standard. Ci sono lingue coi casi che si sono mantenute di più perché banalmente il sistema scolastico dietro a quella lingua non è andato in crisi come il sistema scolastico romano nell'alto medioevo. Ad esempio il greco bizantino, anche nel parlato, ha tenuto i casi, perché, tra le altre cose, l'impero romano d'Oriente è rimasto in piedi a differenza di quello d'Occidente.

CITAZIONE
e ancora: siamo sicuri che il popolo parlasse latino? questi dubbi mi nascono dalla considerazione di esempi relativamente più recenti.

Dipende dalle zone. Sono tutte cose che vengono abbondantemente spiegate nella dispensa di Mondin che ti ho linkato. Ci sono per il latino varianti sia diatopiche, sia diafasiche, sia distratiche. Già i grammatici romani dell'epoca si ponevano il problema della differenza tra l'ideale del latino delle élite cittadine (l'urbanitas), e il latino decentrato (rusticitas) [parr. 91-92 della dispensa di Mondin]
Il latino, nelle sue varianti provinciali ovviamente, s'è diffuso ed ha effettivamente soppiantato facendole sparire altre lingue autoctone, come l'osco o l'etrusco. Questo è stato in gran parte dovuto al sistema scolastico, e al desiderio di integrarsi nella nuova compagine romana. Tutto ciò è ampiamente spiegato nella dispensa di Mondin al par. 77.
CITAZIONE
Il primo esempio che vorrei considerare è l'antico inglese: era una lingua germanica e aveva i casi, si è evoluto nell'inglese moderno sotto l'influenza dei normanni che parlavano una lingua romanza senza casi. Quindi mi domandavo se anche le lingue romanze a loro volta potessero essere nata dall'incrocio tra latino e altre lingue (eventualmente quali? da qui la mia domanda).

Ovviamente. E' quello che in linguistica si chiama azione di sostato (cioè gli influssi che il latino ebbe dalle lingue che soppiantò), ed influssi di superstrato (cioè gli influssi che il latino ebbe dalle lingue delle genti che transitarono sui territori dell'impero dopo che il latino s'era già insediato). Ad esempio noi in Italia abbiamo avuto diverse invasioni germaniche, di cui tutti ricorderanno quella longobarda. Abbiamo moltissime parole che sono prestiti da dialetti germanici a causa di queste migrazioni di popoli.

CITAZIONE
Il secondo esempio che vorrei considerare è l'italiano moderno: è nato circa 500 anni fa, ma ancora nella prima guerra mondiale la stragrande maggioranza dei soldati non riusciva a capirsi, cioè gli italiani parlavano lingue non mutuamente comprensibili tra di loro (per esempio, il milanese, il piemontese, il napoletano, il sardo, il siciliano, il veneto, il friulano, il romagnolo); eppure l'italiano esisteva, era lingua ufficiale da mezzo secolo e più o meno era sempre quello da 400 anni, e quindi il fatto che il popolo fosse poco istruito ha inciso poco o nulla sul suo uso da parte dei letterati. E allora quello che mi domando è: perché per il latino sarebbe dovuto andare diversamente? e poi siamo sicuri che ai tempi dell'impero romano la gente comune parlasse latino?

Noi abbiamo solo della documentazione scritta, magari epigrafica, su cui basarci per ricostruire. Non parlo ovviamente solo di testi incisi sui monumenti ufficiali, ma su qualsiasi supporto e da chiunque: un incantesimo scritto su un amuleto a Londinium o una frase erotica scritta sulle mura di un bordello a Pompei.
Comunque ci sono mille casi diversi, e ogni zona fa storia a sé: in genere l'oriente è rimasto grecofono, l'Occidente s'è latininizzato. E, ove s'è latinizzato, lo ha fatto spontaneamente, grazie anche al servizio militare, alla volontà di integrarsi, e alla scuola. Ciò non esclude l'esistenza di altre lingue locali parlate insieme al latino (ma come ripeto dipende dalla zona, ad esempio lingue antiche come l'etrusco sparirono)

Ad maiora


Ad maiora
view post Posted: 1/5/2014, 10:10     Ciao a tutti. - Regolamento, Presentazioni, Dialogo con lo Staff
CITAZIONE
o subito al dunque, il motivo principale che mi ha indotto ad iscrivermi è stato il turbamento che mi ha causato il libro di Alessio e Alessandro De Angelis, La Fine del cristianesimo, anche se ho già trovato delle risposte ad alcune loro affermazioni come la strumentalizzazione che hanno fatto con il termine "chrestiani".

Ciao, ci siamo già incontrati in giro nei forum internet. Fossi in te Gaetano passerei meno tempo a leggere libri spazzatura.
Benvenuto

Ad maiora
view post Posted: 1/5/2014, 09:58     Bruce Manning Metzger: right or wrong? - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
Scusate la fretta ma è il primo maggio pure qui a Parigi e devo preparare un'insalata di riso per andare al parco cogli amici...

CITAZIONE
Domanda leggermente OT: il latino ha una struttura grammaticale "russa" (niente articoli, 6 casi); c'è una spiegazione del perché le lingue neolatine abbiano una grammatica così diversa (articoli, niente casi)? cioè, esiste qualcuno che si è posto il problema e ha trovato delle spiegazioni?

Puoi leggerti questa dispensa di storia del latino che viene data agli studenti di Ca'Foscari. Vai al par. 212 dove si parla dell'evoluzione dal sistema dei casi al nostro:

http://venus.unive.it/matdid.php?utente=mo...FU.pdf&cmd=file

al par. 199 per ironia della sorte si parla pure della Vetus Latina e dei suoi strafalcioni.

Comunque in sintesi: il latino aveva un sistema misto, dove i complementi si esprimevano a volte con la sola flessione nominale, a volte con l'aggiunta di preposizioni. In genere però, ciò che può venire espresso dalla sola flessione nominale, può venire ugualmente detto con forme più analitiche che includano preposizioni. Ciò alla lunga ha reso obsoleti i casi, specie tra il popolo poco istruito che li teneva difficilmente a mente, e s'è fatto sempre più ricorso alle preposizioni. Col venire meno dei casi, c'è stato bisogno di aggiungere gli articoli, ed il nostro articolo "il" deriva proprio da una metamorfosi del dimostrativo "ille", di cui qui s'è parlato.

Qui tutti gli altri capitoli di questa dispensa (che è fatta benissimo):

http://venus.unive.it/matdid.php?utente=mo...a+6+CFU&cmd=dir

CITAZIONE
"fatum (fatuum) è ripetuto due volte, così la traduzione verrebbe "il sale è buono, ma se il sale è senza sapore, sarà senza sapore ciò nel quale lo metterete", che è decisamente meno criptico rispetto alla versione standard."

Avere a che fare con una frase più comprensibile non indica di solito che si ha a che fare con l'originale, ma il contrario.

Ad maiora
view post Posted: 11/4/2014, 19:35     Road Map del Congresso - Le Giornate di Studi sul Cristianesimo Primitivo
Allora, a Venezia siamo strani... Per pagare meno le portinerie il sabato si chiudono i battenti a mezzogiorno. Posso provare a chiedere se ci danno un aula per venerdì
view post Posted: 10/4/2014, 11:22     Road Map del Congresso - Le Giornate di Studi sul Cristianesimo Primitivo
Ovviamente luglio sarebbe stato meglio perché con l'università vuota mi era più facile trovare un'aula libera da riservare. Quanto a settembre, tutto dipende da quanto prima prenotiamo. Come dicevo dovrei sapere se è questione di un pomeriggio o dell'intera giornata, per poter dire esattamente in segreteria, ma non sapremo nulla di tutto ciò prima di aver visto il numero dei contributi da esporre.
In ogni caso, prima si saprà, e più possibilità c'è di trovare un' aula: settembre infatti è un periodo affollato. Nella prima metà del mese ci sono gli esami, e dunque le aule sono occupate per gli orali, e nella seconda metà del mese inizia l'anno accademico.

Ad maiora
view post Posted: 25/3/2014, 16:09     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
“Mettiti l'anima in pace, sei tu il lettore distratto e prevenuto, ho chiesto specificamente a Frattini (cosa che tu non hai fatto, bastava una semplice mail a isagogica) e mi ha confermato che fa riferimento non alla letteratura scientifica in generale ma a quella polemica specificamente citata qualche riga prima nello stesso paragrafo: Fececchia, Spadafora, Tornese, Minuti, Sconocchini e Polidori. Vedi tu come interpretarla. Pagina 132 è tutt'altro contesto, così come p. 220.”

Non gli ho scritto perché sarebbe stata un’operazione priva di senso, come se il pubblico ministero dovesse basarsi sulle dichiarazioni dell’inquisito per sapere se è colpevole. Se sto accusando un autore di esserci contraddetto e di essere manchevole, è ovvio che devo basarmi sui dati testuali, e non sull’interpretazione faziosa del testo che egli potrebbe dare, contro ogni evidenza, per cavarsi d’impiccio. Quello che tu hai fatto ricade nella fallacia di chiedere all’oste se il vino della sua osteria è buono.
Come già detto, è chiaro che si tratti invece dei testi scientifici in generale, infatti:
1)Il termine “in letteratura” viene usato senza specificazioni ulteriori. Altrove nel libro lo si usa, sempre in maniera assoluta, con quel significato.
2)Non si tratta della letteratura critica cattolica perché ci sarebbe una ripetizione pleonastica, e la frase non avrebbe senso. Infatti dopo aver detto che si tratterà delle occorrenze citate in letteratura, si dice che “in aggiunta” si tratterà dei testi di matrice cattolica. Com’è possibile dunque che siano gli stessi testi, se c’è quel “in aggiunta”.
3) Quando parli di letteratura critica citata nello stesso paragrafo, occorre capire che cosa intendiamo con “paragrafo”. Solitamente infatti si intendono le singole parti del capitolo separate da un rientro dopo che si è andati a capo. Probabilmente invece tu con paragrafo intendi i singoli capitoletti, cioè 6.1, 6.2., ecc., che è un uso più lasco del termine, sebbene lecito.
Utilizzando il mio significato di paragrafo, non è vero che li citi nello stesso paragrafo. Semmai li si cita nella stessa pagina, proprio all’inizio. Se invece utilizziamo il tuo significato di paragrafo, cioè il 6.1, allora essi vengono citati. Ma non si tratta del riferimento più prossimo a della letteratura, e dunque non c’è di grande aiuto per stabilirne il senso.
Né nel paragrafo che stiamo analizzando, né nel paragrafo precedente (nel senso che io do alla parola), si parla di testi critici dei TdG. Anzi nel paragrafo precedente si tratta della letteratura scientifica citata dalla TNM nella propria appendice, quindi sempre di letteratura in generale si tratta, sebbene del periodo pre-dinastico.
Riassumendo: nel paragrafo precedente si tratta di letteratura scientifica; nel paragrafo incriminato si dice “in letteratura”, senza dare ulteriori specificazioni, e dunque, come vuole la lingua italiana e l’uso dell’espressione nel medesimo libro, si tratta sempre della letteratura scientifica. Nel paragrafo successivo, per chi fosse tonto e non avesse ancora capito, si dice che “in aggiunta” si tratterà la letteratura critica cattolica, quindi quella citata prima non può essere la letteratura cattolica. E alla pagina successiva, seguendo perfettamente il programma da me delineato di analizzare prima i testi scientifici e poi la letteratura cattolica, si parte con un capitolo che non a caso si intitola “breve recensione della letteratura recente”, in cui non c’è una sola opera di critici della TNM, ed in seguito, nel paragrafo 6.3, si passa all’analisi della letteratura critica cattolica. Quindi non c’è alcun dubbio che il significato del testo sia quello da me stabilito, e questo:
1) sia per il contesto dell’affermazione, che segue la letteratura scientifica citata dalla TNM, e si parla della letteratura cattolica come qualcosa da trattare dopo lo scandaglio della letteratura critica,
2)sia per quello che effettivamente segue (cioè proprio un capitolo sulla letteratura scientifica e solo poi, “in aggiunta”, un secondo capitoletto sui critici cattolici)

CITAZIONE
“Quello del Fregagni formalmente non è uno scritto cattolico polemico contro la TNM, e comunque dove citerebbe il passo di Luciano? Francamente non trovo alcun riferimento a qualche passo specifico, forse è troppo preso a dare del parassita ai testimoni di Geova per ricordare di mettere le coordinate?”

Non vedo che cosa c’entri il fatto che non sia “cattolico” col fatto che sia esplicitamente inserito nella lista della letteratura polemica nella pagina da me scansionata. Quanto a Luciano, lo cita 4 volte, senza coordinate. Il che come ripeto non dovrebbe essere un problema per Frattini, visto che chiunque parli della crocifissione conosce quei passi, e basta menzionarli perché l’interlocutore intenda. Sarebbe come se io dicessi, in un dibattito pro o contro la Trinità: “Gesù è Dio, perché arroga per sé il titolo della teofania sinaitica”, e qualcuno che stesse cercando di confutare questo mio scritto, saltasse a piè pari questa mia argomentazione, dicendo che io non ho indicato che mi riferisco ad Esodo 3,14. Mi sembra evidente che in un dibattito sulla crocifissione, qualcuno possa citare dei testi noti, dando per scontato che il suo interlocutore, se competente, li conosca. Inoltre, se anche non li avesse conosciuti, gli ci voleva molto a fare delle ricerche, visto che il suo scopo programmatico era proprio analizzare la letteratura citata dai critici? Possiamo vedere infatti che Frattini non si limita ad analizzare i testi citati dai critici, ma ne aggiunge di sua spontanea iniziativa.

CITAZIONE
“Ora hai bisogno di un "regolamento" per assicurarti che il diabolico Arduini non modifichi arbitrariamente i tuoi scritti? Qui stiamo rasentando la paranoia”

No, Teo ha bisogno di una ragione sensata per cui qualcuno che scriva una recensione dovrebbe farlo solo alle condizioni del recensito, che pretenderebbe di dirgli dove scrivere. Visto che una cosa del genere non s’è mai vista, e che per giunta il sito di Ardu non dà alcuna garanzia di pubblicare l’interezza del contraddittorio, non si vede perché la gente debba scrivere le proprie recensioni al suo sito. Ma come ripeto la mancanza di garanzie sulla pubblicazione di un dibattito è solo una ragione accessoria: il punto principale è che semplicemente non s’è mai visto che per dibattere con qualcuno si debba scrivergli solo dove vuole lui, e alle condizioni dove vuole lui. Come già detto non si usa: ognuno recensisce dove vuole, e il recensito risponde dove vuole.

CITAZIONE
“Quello che mi preme sottolineare è che Polymetis per quanto mi riguarda non solo non vanta alcun titolo (e dunque quello che scrive potrebbe essere opera di un liceale) ma sfugge al dibattito pubblico anche dove richiesto dagli autori, preferendo insultare nell'anonimato... che valore pensi che possano avere le critiche di un liceale borioso?”

Essendo Serveto un anonimo, non abbiamo alcuna certezza invece che egli abbia la licenza elementare, perché forse alla sua epoca non era ancora obbligatorio finire quel ciclo di studi, o forse non ha finito le scuole medie.
In qualità di ex liceale mi preme difendere l’onore dei liceali così maltrattati da Serveto facendogli notare che qualsiasi persona abbia finito non dico il liceo, ma addirittura il ginnasio, può vantare conoscenze e capacità antichistiche immensamente superiori a quelle di Frattini. Nessun ginnasiale infatti sarebbe così incapace da non sapere neppure la differenza tra kulon e xylon, il tutto mescolato ad una quantità impressionante di solecismi ed incomprensioni grammaticali. E questo perché i cari ginnasiali studiano greco 4 ore a settimana per anni, con in aggiunta svariate ore di compiti a casa ogni giorno passati a tradurre testi greci di tutte le epoche: allo studio della grammatica si aggiunge infatti quello della letteratura greca, e chi esca dal liceo classico ha tradotto da Omero fino ai testi dell’età imperiale passando per i lirici, gli storiografi, i filosofi, gli oratori, cioè avendo lavorato su circa 1200 anni di estensione cronologica di una lingua ed almeno 2 o 3 dialetti.
Non solo, palesemente, Frattini non ha la preparazione in greco di un diplomato al classico, specie di chi come il sottoscritto all’età di diciannove anni uscì da questa gloriosa istituzione col massimo dei voti, ma neppure avrebbe la preparazione di un liceale chiunque osasse scrivere di greco avendo frequentato chissà quale ridicolo corso di 60 ore per un semestre all’università durante un baccalaureato in teologia. 60 ore di lezione sono esattamente quello che al liceo classico si fa in un mese e mezzo al primo anno.
Quindi gradirei che Serveto prima di parlare ancora una volta della gloriosa casta dei diplomati al liceo classico cui io e Teodoro apparteniamo facesse la proskynesis ogni parola che pronunzia, e che anzi scrivesse la parola “lice-li” con un trattino in mezzo così come gli ebrei ortodossi scrivono “D-o”, affinché si rammenti che i liceali italiani non tollerano di essere paragonati a gente che non sa neppure le consonanti dell’alfabeto greco.
Venendo poi a me, è il caso di finirla con questa sciocchezza che io sarei un anonimo. Ho già fatto da guida turistica a Teo a Venezia quindi se Frattini &Co. vogliono farsi un gito in laguna ed avere un confronto accademico in sede scientifica sarò ben lieto di prenotare un’aula nella mia università perché si possa discutere del loro libercolo. Anzi no, mi correggo, non posso dire alla segreteria che voglio prenotare un’aula per fare un seminario su un libro che difende la traduzione dei Testimoni di Geova, perché susciterei l’ilarità di tutto il dipartimento, quindi troveremo un titolo un po’ più occultato per l’incontro, roba tipo “l’arte della traduzione nel mondo contemporaneo”. Ovviamente liberissimi di non accettare, infatti come ripeto non ha nessun senso che qualcuno possa pretendere un confronto e poi stabilire che si debba fare a casa propria, e alle condizioni che uno si sceglie da solo.

CITAZIONE
“Ripeto: questi atei, agnostici e cristiani di varie denominazioni a che titolo avrebbero dato un giudizio sul metodo scientifico se non hanno mai letto il libro ma solo la tua recensione, secondo gli autori, priva di ogni pertinenza? Il punto è sempre lo stesso: tu hai recensito cose mai scritte dagli autori e in base a quelle li accusi di incompetenza. Come definire questo metodo?”

Io ho voluto fare una campionatura della contro-recensione di questi signori, affinché si potesse applicare il motto latino “ab uno disce omnis”, e si potesse così mostrare che le accuse rivolte a Teo di non aver capito quello che gli autori avevano scritto erano del tutto infondate, e che Teo invece aveva capito benissimo, essendo Ardu&co. invece quelli che, a causa della loro scarsa dimestichezza col mondo della filologia, non capivano le critiche portate loro da Teo.
Teo ha riferito il pensiero degli autori del libro, se poi fosse il loro esplicito pensiero o l’agenda segreta che sta dietro al volume, questo non è di grande rilevanza. Sostenere ad esempio che questo libro non è una difesa dei TdG è palesemente una balla, che questo intento sia dichiarato o meno nel libro.
Gli altri utenti di questo forum non avranno letto questo libro, ma il loro placet alle tesi di Teo è importane comunque per la ragione che in quanto persone competenti si limitano a ribadire, contro le tesi del libro, cosa pensi il consensus accademico su certi argomenti. Similmente, non c’è alcuna necessità per cui, ad un convegno di biologia, degli scienziati sposino le tesi di un loro collega che stronca un libro creazionista. Non hanno bisogno neppure di leggere quel libro, perché sanno già, conoscendo l’ambiente della ricerca cui essi appartengono, che quelle tesi non esistono nel loro mondo.

CITAZIONE
“Ma davvero? E fammi capire... quando hai scritto, per esempio, che gli autori "affermano che quando si ha a che fare con passi biblici che possono riguardare la divinità di Cristo tutti i traduttori – salvo quelli della NM – sarebbero influenzati dalla loro cristologia (p. 108)" dove avresti trovato trovato scritta quest'affermazione? Io ho rivoltato l'intero libro ma non ho letto alcun concetto del genere.



Dunque, non ho letto le parti del libro riguardo alla cristologia e certamente Teo se vorrà potrà risponderti in maniera più approfondita su dove abbia attinto questa affermazione, sempre che ne abbia voglia, visto che palesemente stai dando risposte insensate da troll solo per tenere alta la bandiera. Penso tuttavia di poterti rispondere anch’io, in quanto ho letto qualcosa a questo proposito nella conclusione, per il motivo che essa conteneva anche un paragrafo riassuntivo dei risultati sulla crocifissione.
Il senso dell’intera opera, al di là di eventuali singole dichiarazioni sui vari argomenti, è l’idea di dimostrare che le altre versioni tradurrebbero influenzate da una teologia dogmatica posteriore, mentre la TNM sarebbe per l’appunto la “Bibbia prima del dogma”, la Venere di Botticelli che nasce pura ed intatta dalla spuma marina e, se traduce in maniera diversa dagli altri, è perché si riallaccia al mondo dei testi “prima del dogma”. A questo proposito sono emblematiche le ultime righe del libro, che trattano della TNM in generale, e dunque automaticamente sussumono al loro interno anche la cristologia come sottoinsieme:

Nel complesso degli aspetti e dei passi trattati, il testo della TNM risulta praticamente sempre tradotto nei limiti della libertà di scelta consentita ad ogni traduttore. La Traduzione
del Nuovo Mondo è forse la migliore traduzione oggi disponibile? Come già spiegato, molto dipende da ciò che intendiamo con “migliore”. Se i nostri studi richiedessero di accostarci ad una Bibbia prima del dogma, senza dubbio alla TNM dovremmo concedere un posto d’eccellenza.” (p. 282)


Voi che cosa capite da queste frasi? Si capisce che ci sono certamente varie definizioni di che cosa sia una traduzione migliore o peggiore, perché magari qualcuno considera migliore una tradizione quanto più è letterale, altri la considerano migliore quanto più è moderna e scorrevole, ecc. E che tuttavia, se il criterio di che cosa è migliore fosse di stabilire qual è la Bibbia che traduce “prima del dogma”, cioè prescindendo dai dogmi, la TNM sarebbe la migliore: “Se i nostri studi richiedessero di accostarci ad una Bibbia prima del dogma, senza dubbio alla TNM dovremmo concedere un posto d’eccellenza”.

Il senso è chiaro per chiunque: se la TNM è la “Bibbia prima del dogma”, allora le altre traduzioni, che traducono in maniera differente, devono questa loro traduzione difforme all’influenza teologica post-dogmatica che le impregna.
Possiamo dunque dire che questo secondo gli autori deve valere anche per la cristologia: i traduttori della TNM sarebbero quelli che restituiscono il senso originali del testo spogliandolo della cristologia alta dei secoli successivi, mentre gli altri autori ne sono influenzati. Questo è un fil rouge argomentativo che, per qualsivoglia argomento, corre lungo tutto il libro, ed infatti viene posto come conclusione.
In effetti, anche se non l’avessero scritto in maniera così palese, viene da chiedersi quale dubbio avrebbe mai potuto esserci che fosse questo il pensiero di 3 Testimoni di Geova che scrivono un libro. Voi non siete molto noti per la multiformità di pensiero al vostro interno, sapete? Ed anzi, ve ne vantate, sostenendo che la babele interna sia una caratteristica satanica delle altre religioni. Come volete dunque pretendere che quando qualcuno analizza i vostri testi e discute con voi dimentichi chi siete e che cosa sostenete? Come potete prendere che chi discute con voi prenda sul serio la maschera di studiosi imparziali che avete giocato ad assumere, e non veda invece immediatamente che cosa nascondete dietro la facciata? Cioè che siete sempre e solo i soliti Testimoni di Geova pedissequi ripetitori della Torre di Guardia.

CITAZIONE
“Teodoro, per piacere... non essere patetico! “

Non c’è nulla di patetico. Teo ha effettivamente scritto pensando a delle riviste scientifiche, che hanno rifiutato la recensione in ragione dell’opera da recensire. Gli dai del bugiardo su questi due punti forse?

Ad maiora
view post Posted: 24/3/2014, 20:06     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
Scusate per il ritardo nella risposta, ma mi connetto solo usando l’wifi dell’università, e domenica la biblioteca della Sorbona è chiusa. Volevo ringraziare innanzitutto Serveto per averci regalato altri suoi messaggi da sbriciolare, e lo prego di proseguire nei suoi vaneggiamenti, perché è una vera delizia nei miei tediosi pomeriggi universitari poter sopraffare in maniera così semplice le clamorose fallacie argomentative di qualcuno.

CITAZIONE
“Il punto è che Frattini nel suo testo non vuole dimostrare alcunché rispetto alla forma della croce, si limita ad analizzare le fonti citati nella letteratura critica contro la TNM e tra queste non c'è Luciano, compreso nel testo di Teodoro che adesso nella sua recensione rimprovera a Frattini di ometterlo. Quello che né Teodoro né Polymetis vogliono capire è che hanno frainteso l'oggetto dello studio di Frattini appiccicandogli addosso le solite etichette di pregiudizio "anti-geovista" da cui sembra non riescano ad uscire. Inutile, appena sentono la parola testimoni di Geova devono per forza sminuire e denigrare, per di più sfuggendo poco educatamente al confronto con gli autori stessi...”

Visto che Barnabino continua a fare il disco rotto ripetendo falsità già confutate , sarà utile fare un riassunto che si imponga con la potenza delle immagini. I brani che citerò sono già stati riportati trascrivendoli, ma visto che barnaban fa il finto tonto vogliamo che la sua spudoratezza nell’evadere le domande scomode sia resa manifesta dalla forza statuaria delle immagini. Ci sono tre tesi riportate in queste righe di Serveto:
1)Il capitolo in questione tratta solo le fonti critiche della TNM.
2) Tra le fonti critiche della TNM nessuno cita Luciano.
3)Il capitolo non ha la pretesa di affermare alcunché riguardo alla forma dello stauros.

L’affermazione 1, cioè che il capitolo dica di trattare solo le fonti critiche della TNM, è falsa perché come loro affermano esplicitamente:

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L’uso dell’espressione “in letteratura” è ovviamente un riferimento all’insieme della letteratura scientifica in generale, e viene usato infatti con questo significato altrove nel libro (pp. 132, 220). Infatti quello che segue è un capitolo intitolato “breve recensione della letteratura recente” dove viene analizzata la letteratura scientifica sulla crocifissione in generale, e non solo i testi dei critici della TNM.
Inoltre aggiungo che Frattini, anche nell’escussione delle fonti degli autori citati dai critici della TNM, non s’è limitato alle fonti citate, ma ne ha aggiunte altre di sua iniziativa (ad es. come fa con Filone o Firmico), quindi è in ogni caso falso dire che il capitolo si limita programmaticamente alle fonti riportate dai critici.

La seconda affermazione invece, cioè quella che afferma che il capitolo non tratta di Luciano perché nessuno dei critici lo menziona, è falsa in quanto tra le fonti critiche vi è pure il prof. Fregnani, che invece cita Luciano 4 volte:

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Qui il link della pagina i Fregnani dove potrete controllare di persona come Luciano venga citato 4 volte:
www.fregnani.it/splash/stauros.htm

Quanto al punto 3, è falso che il capitolo in questione non abbia nulla da dire sulla forma dello stauros, e francamente mi chiedo se Barnabino creda che i lettori di questo forum siano così deficienti da non rendersi conto che 3 Testimoni di Geova che scrivono un libro per tentare di demolire le critiche alla TNM automaticamente la stiano anche difendendo. Serveto sostiene che il libro si limita ad una pars destruens delle critiche alla TNM, ma che ciò non comporta necessariamente una pars construens, cioè una giustificazione della resa della TNM. A me e a chiunque altro sano di mente invece le due cose paiono implicarsi a vicenda sia di fatto sia dal punto di vista meramente logico.
Infatti nella nostra civiltà giuridica quando si vuole “difendere qualcuno” da un’accusa non è che l’avvocato difensore per averla vinta deve dimostrare l’innocenza del suo assistito: gli basta infatti demolire le prove dell’accusa. Nel nostro sistema giudiziario infatti si è innocenti fino a prova contraria, e non “colpevoli fino a che non si provi l’innocenza”, sicché per difendere qualcuno un avvocato non deve necessariamente produrre in positivo prove dell’innocenza del suo assistito, e gli basta demolire le prove portate dall’accusa affinché il proprio cliente sia assolto per insufficienza di prove. Da questo punto di vista dunque, è pienamente legittimo dire che un testo con l’obiettivo programmatico di distruggere le accuse alla TNM la stia automaticamente difendendo.
Se con “mancanza di pars costruens” invece si intende che il capitolo in questione non porta prove a favore della tesi “messo al palo”, allora siamo pienamente d’accordo. Ma ciò è dovuto al banalissimo fatto che non ve ne sono, e non essendocene né la letteratura geovista, né Frattini, né i geova internettiani possono tirare fuori dal cappello del mago un coniglio che non esiste. Tuttavia Frattini, esattamente come i suoi confratelli internettiani, quieta la propria coscienza nella presunta demolizione delle prove altrui, credendo che cercare di sminuire le decine di testimonianze pro-croce automaticamente crei anche una sola testimonianza pro-palo. Ma così non è. Di testimonianze pro-palo non ce n’è neppure l’ombra.
In particolare aggiungiamo una considerazione. A p. 282 si fa accenno ad una strana ricostruzione della crocifissione romana, che però non è in alcun modo ricavabile da quanto Frattini ha esposto in precedenza. Infatti egli nelle pagine precedenti si limita a criticare l’idea che ci fosse il trasporto del patibulum, e poi quel patibulum venisse issato sulla croce. Per far questo deve dare una lettura un po’ cervellotica dei passi plautini dove si dice che c’è un trasporto del patibulum anteriore alla crocifissione, dicendo che il patibulum veniva dismesso sul luogo ove c’era lo stauros già piantato per terra, e poi il condannato veniva inchiodato su un palo semplice.
A questo punto però, l’autore ha messo fuori gioco tutte le fonti che dicono che il condannato portasse lo stesso legno sul quale poi veniva appeso, e ciò fa sì che non si possa più ricavare dalle fonti neppure l’ipotesi con cui la TNM legge i Vangeli, cioè che ad essere trasportato fosse il palo verticale, e che Gesù fosse poi crocifisso a quel singolo palo verticale.
Ma l’influenza geovista sulla mente dell’autore è tale che egli nelle conclusioni della sua ricerca accenna ad una procedura dell’esecuzione che non è in alcun modo compatibile con ciò che ha esposto in precedenza. Infatti a questo punto, se neppure il trasporto del patibulum e il suo successivo issamento sulla croce sarebbe attestato presso gli antichi, dove sarebbe mai attestata la ricostruzione della WTS del trasporto del palo verticale e della successiva inchiodatura sul medesimo? Da nessuna parte: perché i testi che parlo del trasporto previo di un legno, essendo incompatibili con l’ideologia dei TdG in quanto fanno capire che il legno trasportato era quello orizzontale, vengono sganciati dalla successiva crocifissione, ipotizzando che il legno sin lì trasportato venisse lasciato per terra.
E dunque, se le fonti che parlano di un trasporto del legno precedente alla crocifissione non possono essere usate per dire che sul quel legno poi si veniva appesi, a maggior ragione dove sarebbero le fonti che parlano del trasporto del palo verticale precedente all’esecuzione con successiva inchiodatura sul medesimo?
La descrizione che segue dunque, ricalcata sull’immaginario delle raffigurazioni geovoste, non ha senso:
“In base alle fonti consultate, un primo palo (σταυρός) veniva usato come strumento di tortura e posto sulle spalle del condannato, che lo trasportava mentre veniva esposto al pubblico ludibrio. La forma del secondo σταυρός, in questo caso strumento di esecuzione, non è invece precisabile con certezza. La TNM, in mancanza di ulteriori dettagli storico-archeologici, propende per la crux simplex, un semplice palo di esecuzione.” (p. 282)

Ma Frattini non s’è reso conto che nella sua ricostruzione previamente condotta non c’è alcuno stauros 1 a cui segua uno stauros 2. E questo non solo perché da NESSUNA fonte si può ricavare che lo stauros trasportato fosse il palo verticale, ma perché egli ha inoltre specificamente insistito sul fatto che nelle descrizioni di un previo trasporto dello stauros, questo venisse poi mollato sul luogo dell’esecuzione, e dunque nessuna attestazione può essere prodotta neppure della procedura immaginata dai TdG, cioè il trasporto del palo verticale e il successivo inchiodatura sul medesimo.
Questa resa traduttiva della TNM perciò non è “prima del dogma”, anzi è la cosa più dogmatica che esista. Ignora i dizionari che riportano come significato basilare di stauros, quando trattasi di esecuzioni capitali romane, la resa “croce”. Giacché il significato basilare di un termine dipende dal luogo, dal tempo, e dal contesto in cui si muove il testo che stiamo trattando.
Ed ignora oltre alle ricerche lessicologiche l’ovvietà che i romani non avevano tempo da perdere a piantare ogni volta per metri sotto terra i pali trasportati dal condannato (altra cosa che infatti non è attestata in nessuna descrizione).

Quanto poi al problema se Teodoro avrebbe dovuto spedire la sua recensione al sito isagogica, la faccenda si può liquidare molto semplicemente. Non s’è infatti mai sentito che gli autori di un libro possano vincolare gli eventuali recensori della loro opera a scrivere solo a loro. Una cosa del genere è così inabituale che viene pure da chiedersi come qualcuno possa pensare sia un procedimento sensato. Da che molto è mondo le recensioni si scrivono dove il recensore vuole, di solito in uno spazio terzo e pubblico. Non è che se Odifreddi scrive un libro contro il papa, le critiche si devono inviare a lui… Ma quando mai? Al contrario, le si invieranno ad Avvenire, cioè dove ci si aspetta di poter trovare una recensione critica del libro. Sta poi ad Odifreddi, nella sua piena libertà, decidere a quali critiche rispondere, quale che sia il luogo dove sono state pubblicate. Questa libertà è sacra esattamente come è sacra la libertà del recensore di pubblicare dove vuole le sue osservazioni.
Teo aveva in programma di pubblicare la sua recensione su una rivista scientifica, ma essendo il testo di Arduini fatto così col kulon da risultare un’opera amatoriale immeritevole di una recensione su una rivista del settore, egli ha deciso di pubblicare comunque la recensione su internet. Come ripeto l’operazione è perfettamente lecita, perché il recensore pubblica le sue critiche dove vuole, esattamente come gli autori recensiti possono pubblicare le loro risposte dove vogliano. Da che nasce dunque questa insistenza perché Teo scriva al sito di costoro? Quale precedente si potrebbe mai invocare per sostenere che sia un segno di scientificità recensire qualcosa inviando la recensione agli autori? Davvero non lo so, visto che è prassi abituale l’esatto contrario, cioè non inviare le critiche agli autori medesimi, bensì a terzi.
Sicché Teo, o io, possiamo tranquillamente sostenere che citare Luciano fosse indispensabile all’economia del lavoro di Frattini, viste le premesse che s’era dato, e al contempo non vedere alcun motivo per dover inviare queste critiche al loro sito. Una cosa del genere infatti non è richiesta da nessun protocollo o tradizione accademica, anzi, si fa l’esatto contrario. Il recensore scrive dove vuole, e l’autore, similmente, risponde dove vuole.
Siamo inoltre d’accordo con gli Ardu&Co. nella loro scelta, se così piace a loro, di non pubblicare sul loro sito critiche che venissero loro inviate da anonimi. Essendo casa loro, possono darsi le regole che preferiscono, ed io le trovo addirittura sensate, infatti, come ci ricorda Serveto “un perfetto sconosciuto non merita alcun credito”. Sono d’accordo, ma temo che non stesse parlando di me, che anonimo non sono, ma del comitato traduttivo della TNM, composto da anonimi, e dunque, stando a queste premesse, di persone a cui non occorre dare alcun credito. Dovrebbe altresì scrivere questa meravigliosa frase programmatica al suo amico Ardu per ricordargli come vada dunque trattata l’opera di anonimi nota come NWT, così pure egli saprà come comportarsi la prossima volta che scriverà un libro su di essa.
Già, perché è bene rammentare che la NWT è opera di anonimi. Abbiamo poi scoperto, venuti fuori i nomi dei traduttori della NWT, che tale anonimato non aveva nulla a che fare con la modestia, ma si trattava della banale assenza di qualsivoglia competenza accademicamente acquisita da poter vantare. Infatti anche se esistono molte traduzioni che non pubblicano (quelle sì davvero per modestia) il nome dei traduttori nelle prime pagine, onde lasciare la gloria a Dio, ciò non vuol certo dire che queste traduzioni siano anonime: nel mondo accademico si sa benissimo chi siano, i loro nomi sono pubblici, disponibili per il lettore presso le case editrici. Invece la WTS, così zelante nel rispondere alle critiche che le vengono fatte, perché non smentisce le pesanti accuse che girano a proposito dell’incompetenza dei suoi traduttori? Conoscendo la psicologia di questa società, possiamo ben immaginare che se avesse avuto persone titolate al suo interno, avrebbe stampato i loro nomi a caratteri cubitali su dei manifesti, ma così non è avvenuto, perché si trattava di dilettanti. Ho parlato, si noti, di traduttori della NWT (e non della TNM), perché non dovremmo dimenticarci che ogni versione della Bibbia è un universo a parte in quanto ogni lingua è un universo a parte. Se anche scoprissimo che ci sono dei premi nobel tra i traduttori della NWT, questo non ci direbbe nulla sulla qualità della resa della TNM, specie perché su alcune questioni, come il sistema verbale, creare un calco tra l’inglese e l’italiano è impossibile. Quindi, se persino negli States era problematico trovare grecisti decenti per tradurre le Scritture in inglese, è forse plausibile che tali grecisti ed ebraisti geovisti esistessero in Italia? Non esistono oggi, che i TdG sono numericamente più numerosi, e dunque possiamo ben domandarci se sia plausibile ipotizzarli qualche decennio fa…

Ad maiora
view post Posted: 20/3/2014, 20:02     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
S’è fatto un gran parlare di Luciano ma a differenza di Artemidoro finora in questa discussione non abbiamo ancora spiegato perché si tratta di una fonte utile al nostro dibattito andando a vedere che cosa dica esattamente, e perché le sue affermazioni sono scomode per i TdG. Si tratta infatti dell’ennesima conferma letteraria (la quarantesima forse, e non sto usando un’iperbole) che nell’antichità la croce era comunemente immaginata a due braccia. Inoltre avendo studiato Luciano con uno dei maggiori esperti di satira antica che abbiamo in Italia, il professor Camerotto, col quale feci ben 2 corsi monografici su questo autore, proprio non riesco a tollerare che la sua voce, a me così cara, non risuoni per l’etere, e non gli sia data l’importanza che merita. In seguito, dopo aver citato le fonti, potremo fare alcune considerazioni epistemologiche sullo statuto della storia che si riallacciano a quanto già detto per Artemidoro e Firmico.
Ebbene l’appendice della TNM cita incredibilmente Luciano come una fonte a sostengo del loro modo di tradurre stauros, lasciando per lo più basiti i lettori:
“Era simile ad un albero, o un palo al quale le persone da punire venivano legate, proprio come il popolare eroe greco Prometeo veniva rappresentato come legato alle rocce. Poiché la parola greca che il drammaturgo Eschilo usava per descrivere ciò significava semplicemente legare o attaccare, l’autore greco Luciano (Prometeo, I) usava anastauroo come sinonimo per questa parola (p. 1577)

Questo riferimento è del tutto disonesto, perché il brano lucianeo dà delle precise indicazioni per capire che nel caso di Prometeo si trattava di una legatura del titano a foggia di croce. Il malcapitato infatti veniva inchiodato con le braccia divaricate tra due rocce in mezzo alle quali si apriva una voragine. I due carnefici che lo inchiodano, Hermes ed Efesto, si parlano tra di loro in questa maniera:
“crocifiggiamolo (ἀνεσταυρώσθω) lì in mezzo, al di sopra della voragine” (Prometeo, 1.12). Ed in seguito ci viene spiegato che tipo di crocifissione avesse in mente l’autore “…con le sue braccia stese (ἐκπετασθεὶς τὼ χεῖρε) da codesto dirupo verso quello di fronte” . La postura in questione, che ha le braccia messe in orizzontale, viene chiamata“croce” (ὁ σταυρὸς γένοιτο)". (1.19) Luciano poi prosegue la descrizione, specificando ulteriormente che le due braccia sono separate perché allungate in direzioni diverse e separatamente inchiodate:
“Orsù tendi la destra; e tu Efesto, tienila ferma, fissa il chiodo e cala con forza il martello. Ora dammi anche l’altra. Si fermi bene anche questa!”. (2.3-8).

Il brano nella sua integralità dice chiaramente che questa posizione è da chiamarsi croce. Rileggiamo il dialogo tra i due carnefici:

Mercurio: Ecco, o Vulcano, il Caucaso, dove dobbiamo inchiodare questo sventurato titano. Andiamo guardando se v'è qualche rupe acconcia, qualche balza nuda di neve, per fermarvi salde le catene, e sospenderlo alla vista di tutti.

Vulcano. Andiam guardando, o Mercurio: non conviene crocifiggerlo in luogo basso e vicino alla terra, ché gli uomini da lui formati verrebbero ad aiutarlo: né troppo in cima, ché non sarìa veduto da quei di giù. Se ti pare, qui è una giusta altezza, su questo precipizio potrà esser crocifisso: stenderà una mano a questa rupe, ed un'altra a questa dirimpetto.

Mercurio. Ben dici: queste rocce son brulle, inaccessibili da ogni parte, ed alquanto pendenti; e nella rupe c'è appena questo poco di sporto, dove poggiare le punte de' piedi: per croce non troveremmo di meglio. Non indugiamo, o Prometeo: monta, ed accónciati ad essere affisso al monte».



E’ dunque con grande sorpresa che vediamo l’appendice della TNM citare questo passo come una fonte a loro favore, ma i TdG non hanno ancora capito che leggono letteratura dilettantesca scritta da dilettanti per dilettanti, e dunque non possono avere alcuna fiducia nelle informazioni che traggono dalle loro riviste, sebbene tutto un corredo di citazioni scientifiche (dell’Ancien Régime) e di fonti primarie, paia fornire attendibilità a quello che dicono. Quando il dilettante si fida, viene gabbato, e se provasse a grattare per scavare sotto le dichiarazioni della WTS e le fonti che essa cita, non troverebbe alcunché.

Questo brano ci dà anche la possibilità di riflettere ulteriormente sull’utilizzo di fonti immaginarie in storiografia. Il genere di informazione che da qui abbiamo tratto, non ha nulla a che vedere con la storicità dell’episodio. Ovviamente né Hermes né Efesto hanno mai crocifisso il titano Prometeo sul Caucaso, e nessuno storico si sognerebbe di ricavare da questo libro di Luciano questo tipo di informazioni storiche. Il tipo di informazioni utili per lo storico sono semmai quelle di tipo secondario, non soggette alla creatività dell’autore, perché presuppongono qualcosa saputa sia da lui che dal pubblico. In questo caso Luciano dice che è una croce il fatto che Prometeo sia crocifisso con le braccia dvaricate. Questa informazione è comprensibile solo se lui e il suo pubblico avevano in mente quella come forma della croce, e la storicità dell’episodio, che chiaramente è inventato, non ha nulla a che vedere col problema dell’utilizzabilità di questo brano come fonte storica per ricavare dei dati sulla croce. E’ un problema di significazione linguistica: Luciano non poteva dire quello che stava dicendo se nella sua lingua e in quella dei suoi lettori le parole non avessero avuto quel significato, si tratta di un qualcosa indisponibile alla sua manipolazione. Non siamo noi possedere il linguaggio bensì, come dice Heidegger, è il nostro linguaggio che possiede noi.

Si nota qui inoltre una tendenza che vedremo anche nel prossimo brano lucianeo, e che è diventata dominante nella lingua greca: vale a dire che stauros perde il significato di strumento di supplizio legato a dei pali di legno, e diventa un termine per designare una specifica forma, indipendentemente dal fatto che tale forma sia in un contesto di supplizio o meno. Ovviamente la forma deriva originariamente dal nome dello strumento di supplizio che aveva quella foggia, ma l’impressione che la croce fece sui contemporanei fu tale che il termine andò via via specializzandosi. Similmente in italiano la parola “croce” è venuta a designare una forma univoca, così come nel greco tardo stauros non può essere usato per disegnare alcunché che non sia cruciforme . Se cercate sui dizionari di greco moderno “stauros” è solo “croce” il significato che troverete. Il punto è scoprire quando tale processo di specializzazione abbia avuto luogo. Ma veniamo alla seconda fonte lucianea.

Si tratta di una sorta di dotto divertissement letterario. Luciano infatti è un maestro della lingua greca, uno che non solo vi scrive, ma anche riflette sui suoi fenomeni di stile letterario.
In un’opera chiamata “Lis Consonantium” egli ironizza su un particolare fenomeno della lingua greca, tale per cui la doppia sigma può essere sostituita da una doppia tau, che ne usurpa perciò il posto. Sicché per dire “mare” anziché usare “talaSSa”, si può trovare “talaTTa”. Luciano mette in scena un processo in cui le altre lettere dell’alfabeto accusano la lettera tau di essere un’arrogante che vuole usurpare i diritti della povera sigma, e la condannano, per pena del contrappasso, ad essere inchiodata su uno strumento che ha la sua stessa forma, cioè la croce. Vale a dire che la Tau viene crocifissa a se stessa. In questo caso il gioco letterario ha senso ovviamente solo se Luciano e i suoi lettori avevano in mente che gli stauroi fossero a forma di croce, e non ha nessun senso se la percezione comune fosse stata che questi stauroi fossero stati a forma di palo. Anche qui abbiamo a che fare con un’informazione ricavabile da un’opera immaginaria, la cui affidabilità non ha nulla a che fare la storicità dell’episodio narrato. Non è mai esistito infatti un processo delle lettere dell’alfabeto alla Tau, e tuttavia il dato che possiamo ricavare con certezza dall’opera prescinde dalle possibilità creative di Luciano, perché il meccanismo narrativo ha senso solo se sia lui che i suoi lettori avessero avuto in mente uno stauros a forma i tau.

Leggiamo il brano lucianeo, in cui vediamo la requisitoria conto la tau, accusata di essere una lettera odiata da tutti gli uomini, che è interessante anche per altri motivi. Infatti Luciano dice che la gente odia il Tau perché non solo l’odiato stauros ha la sua forma, ma perché essi credono che la parola “stauros” prenda il nome dal tau. Se guardiamo infatti la composizione della parola, abbiamo un TAU nel mezzo del lessema: “sTAUros”. Questa etimologia, è il caso di dirlo, è probabilmente falsa. Stauros non deriva probabilmente da Tau. Ma che Luciano e la gente della sua epoca, da lui citati, si sbaglino, a noi non importa nulla. Il loro errore ci insegna infatti assai più di qualsiasi altra considerazione. L’errore consistente nel credere che la parola “sTAUros” derivasse da Tau ci fa infatti capire che, a tal punto tutti gli stauroi erano a forma di Tau, che la gente poté convincersi che le due parole erano imparentate. Ovviamente, nessuno avrebbe fatto questa falsa deduzione, se gli stauroi fossero stati paliformi come la WTS sostiene. Ecco dunque il brano di Luciano, con la requisitoria delle altre lettere contro il Tau, accusato di aver dato il nome allo stauros, strumento di morte con la sua stessa forma:

“Gli uomini piangono, lamentano la propria sorte e spesso maledicono Cadmo, perché ha introdotto il tau fra le lettere dell’alfabeto. Dicono infatti che i tiranni, lasciandosi attirare dal suo corpo (σώματι φασὶ ἀκολουθήσαντας ) ed imitando la sua figura (μιμησαμένους αὐτοῦ τὸ πλάσμα), mettono insieme due legni in questa forma (σχήματι τοιούτῳ ξύλα) e vi crocifiggono (ἀνασκολοπίζειν) la gente: e proprio da costui [scil. il tau] è venuto al tristo arnese (ἐπωνυμίαν) il suo tristo nome (scil. σταυρός). Orbene, per tutte queste ragioni quante condanne a morte credete che meriti il tau? Io ritengo che, se vogliamo punirlo secondo giustizia, altro non resti che farlo espiare sullo strumento della sua stessa forma (τῷ σχήματι τῷ αὐτοῦ), che, fatto da costui croce, croce (σταυρός) dagli uomini è denominato (ὑπὸ δὲ ἀνθρώπων ὀνομάζεται)” (Luciano, iudicium vocalium, 12).

Questo brano ci permette di vedere come nel II secolo la gente associasse a tal punto lo stauros alla forma del Tau, da credere che il nome dello strumento del supplizio derivasse da quello della lettera, il che significa che per degli stauroi paliformi non c’era alcuno spazio. Il processo dunque di cui parlammo sopra, che ha fatto sì che in greco moderno ed in italiano stauros e croce significhino solo strumenti cruciformi, era già in atto al tempo di Luciano. Significati più antichi dei termini, quali “palo”, non paiono perciò più pertinenti.
Il brano lucianeo è rimarchevole sotto diversi aspetti, e ancora una volta la storicità dell’episodio descritto è ovviamente irrilevante, perché non è ovviamente il fatto che venga descritto un immaginario processo alla lettera tau il nostro problema, ma in che termini satirici questo venga fatto. In questo brano si dice che:

1)“I tiranni, lasciandosi attirare dal suo corpo (i.e. del tau) ed imitando la sua figura, mettono insieme due legni in questa e vi crocifiggono la gente”. Ove l’elemento immaginario è che i sovrani si siano ispirati al tau per fare una croce, mentre l’elemento reale su cui l’immaginazione di Luciano può lavorare è che effettivamente gli stauroi erano a forma di croce. Senza questa pre-condizione, l’invettiva delle altre lettere contro il tau non avrebbe senso e non avrebbe fatto ridere nessun lettore.

2) “e proprio da costui è venuto al tristo arnese il suo tristo nome”. Luciano riferisce la voce popolare secondo cui il nome “stauros” derivi da “tau”, e una simile associazione popolare è possibile ovviamente solo se immaginiamo che gli stauroi erano per lo più cruciformi

3) “non resti che farlo espiare sullo strumento della sua stessa forma, che, fatto da costui croce, croce dagli uomini è denominato”. Luciano ci dice che l’elemento che lega il tau allo stauros in carne ed ossa è la forma del tau medesimo. Non c’è dunque di che perdersi nei meandri dell’immaginazione lucianea per sapere in che cosa il tau sia simile allo stauros, perché è Luciano a dirci che è simile nella forma.

Se Frattini avesse esaminato questo testo, probabilmente vi avrebbe riservato lo stesso trattamento che ha usato con Artemidoro, cioè limitarsi a dire che è “immaginario”, e, senza altro dire, credere che questo solo fatto possa sminuirne il valore. Ma non si vede come il fatto che nessun reale processo ad una lettera dell’alfabeto è mai avvenuto veramente, possa sminuire il valore che per gli storici hanno queste informazioni, le quali non dipendono in alcun punto dallo svolgimento effettivo dell’episodio, bensì da particolari secondari che presumono delle pre-nozioni comuni ad autore ed auditorio, cioè il fatto che gli stauroi e i tau abbiano la medesima forma. Particolari questi indisponibili alla creatività dell’autore, e che anzi, sono presupposti essere comuni con l’auditorio, perché il gioco satirico possa aver luogo.

A questo punto possiamo meglio specificare perché l’interpretazione di Frattini su Artemidoro e Firmico è carente.
Qui non siamo infatti nel caso di un romanzo storico, né stiamo cercando di appoggiarci a Manzoni per sapere se l’Innominato sia davvero esistito, e, se così fosse, per trarne delle informazioni storiche dalla descrizione manzoniana. Ciò sarebbe impossibile perché in un romanzo inventare dei personaggi è perfettamente possibile, e la macchina narrativa funziona comunque anche se questi personaggi non sono mai esistiti veramente. Le informazioni che invece possiamo trarre dalle fonti antiche come sicure, quale che sia la loro tipologia, sono quelle indisponibili all’invenzione dell’autore, e che non possono essere manipolate, perché presuppongono anzi che il pubblico ne sia già al corrente. E’ questo il caso della satira di luciano sulla tau, dove la macchina satirica non funzionerebbe se i suoi lettori non avessero in mente uno stauros cruciforme.
Occorre poi dire che, nel caso di Artemidoro e di Firmico, non siamo affatto nel caso dell’immaginazione o del romanzo storico, si potrebbe anzi sostenere che siamo nel campo della realtà più pura.
Nel caso di Artemidoro infatti si descrivono dei sogni comuni alle persone, e li si confronta con oggetti della realtà concreta, per capire il senso di questi sogni. In questo caso, non si capisce proprio dove starebbe l’invenzione: i sogni descritti sono davvero stati fatti da qualcuno, e gli oggetti che Artemidoro prende per parallelo nella realtà concreta ugualmente esistono. Anzi, il fatto che esistano, e che siano simili ai sogni nei punti che Artemidoro indica, è la condizione di senso che permette il collegamento.
Per fare un esempio, è come se io scrivessi un manuale di interpretazione dei sogni, il quale venisse trovato da uno storico del 4000 d.C., e io in questo manuale di interpretazione dei sogni scrivessi: “se sogni di girare vestito di rosso, va’ al botteghino e punta in Formula 1 sulla Ferrari, perché il colore del tuo vestito è quello della Ferrari che vincerà il Gran Premio”.
Ora che cosa c’è di immaginario in questa mia descrizione? Assolutamente nulla. Anzi, il fatto che le Ferrari siano davvero rosse è la condizione di possibilità che fa sì che quello che sto dicendo possa essere capito dal mio lettore, perché se le Ferrari non fossero nella realtà rosse, il mio lettore potrebbe chiedermi: “ma perché mi dici di puntate sulla Ferrari qualora io sogni un vestito rosso, visto che la Ferrari non è rossa?”
Lo stesso vale per Artemidoro: se Artemidoro dice che chi sogna di ballare verrà crocifisso, perché chi balla ha le braccia divaricate come i crocifissi, allora evidentemente questo testo per il suo lettore poteva avere senso solo se effettivamente i crocifissi avessero le braccia distese. Qui le considerazioni sui romanzi storici, e sulla loro affidabilità o meno negli eventi che narrano, sono perciò fuori luogo: qui non c’è assolutamente nulla di inventato, nulla di immaginario, anzi, il fatto che la realtà sia esattamente come Artemidoro la descrive è la conditio sine qua non che rendeva il suo discorso intelligibile ai suoi lettori.
Mettersi dunque a disquisire se nei romanzi storici quello che viene narrato è sempre corrispondente al vero oppure no è dunque del tutto irrilevante: qui non c’è nessun romanzo storico, e non c’è neppure nessuna invenzione, anzi, l’aggancio alla concretezza è il riscontro che Artemidoro dà per decifrare i suoi sogni.
Se io vi dico: “se sogni il bianco, ti sposerai, perché l’abito delle spose è bianco”, voi non dovete essere d’accordo con me sul fatto che i sogni siano davvero profetici per poter ricavare dal mio testo l’informazione che gli abiti da sposa sono bianchi, anzi, il fatto che lo siano è una pre-nozione comune a scrittore e lettori sui quali il discorso dello scrittore si basa.
Lo stesso discorso vale per Firmico Materno. Qui l’idea di vagliare l’attendibilità dei romanzi storici c’entra ancora meno, infatti Firmico Materno non parla nel nostro brano sulla croce di alcun evento passato, infatti le sue sono previsioni del futuro, e dunque non ha nessun senso mettersi a discutere come faremmo per un romanzo storico se quello che racconta sia accaduto o meno. Abbiamo già spiegato che la struttura dell’argomentazione di Firmico è mostrare come determinate configurazioni astrali causino determinati fenomeni. Anche qui, non occorre essere d’accordo con Firmico sul fatto che le stelle causino davvero degli effetti sul mondo per poter trarre delle informazioni dai suoi scritti. Se infatti io scrivessi: “coloro che sono nati nel segno del Capricorno, a marzo rischiano di divorziare, perché hanno Saturno in opposizione”, noi possiamo ricavare dal brano che ho menzionato che nella società in cui scrivo esiste il divorzio. Io non sto descrivendo ovviamente alcun divorzio passato, e dunque non c’entra nulla il problema di verificare se un divorzio raccontato da un romanzo si sia verificato o meno. Semplicemente occorre dire che se un astrologo dice al suo pubblico che chi è del tal segno a marzo rischia di divorziare, è perché sia lui che il suo pubblico condividono la pre-nozione che il divorzio sia possibile.
Il caso della croce è identico. Abbiamo un brano in cui si dice che se un tizio ha la configurazione planetaria x vuol dire che un giudice lo giudicherà severamente e poi “inchiodato ad un patibulum, sarà issato su una croce”. Ecco, io vorrei sapere che cosa c’entri in questo campo il problema della verificazione dei fatti narrati nei romanzi storici: non c’è alcun evento storico da verificare. Semplicemente noi apprendiamo da questo brano che all’epoca di Firmico si crocifiggeva, ed egli descrive questa procedura come capiterà a suo avviso a chi abbia dei pianeti sfavorevoli.

Tre conclusioni si impongono:

1)Il problema di verificare che cosa sia storico all’interno di un romanzo storico, non c’entra nulla con Artemidoro e Firmico. Anzi, viene pure da chiedersi se questi testi siano catalogabile come immaginari. Che cosa c’è infatti di immaginario nel fatto che qualcuno sogni una croce? Nulla, è un evento storico accaduto, tant’è che Artemidoro dà interpretazione di questo sogno. E non c’è nulla di immaginario nei paralleli concreti che Artemidoro invoca per spiegare questi sogni. Quando dice dunque che sognare la croce è un buon segno per i marinai, perché l’albero maestro di una nave è per forma simile ad una croce, non sta inventando un emerito nulla, anzi, il fatto che davvero l’albero maestro di una nave abbia la forma di una croce è la condizione di possibilità che fa sì che il suo discorso abbia senso per i suoi lettori. Altrimenti sarebbe come se io vi dicessi: “Sognare la Sorbona è un buon segno per gli inglesi, perché la Sorbona è il tempio dell’istruzione inglese”. Al che voi potreste dirmi: “Ma che cavolo di interpretazione dai: non lo sai che la Sorbona è in Francia?”. Invece avrei dovuto scrivere: “Sognare la Sorbona è un buon segno per gli intellettuali francesi, perché la Sorbona è il tempio dell’istruzione francese”. Che cosa ci sia di “immaginario” in questa frase, e che cosa ci sarebbe di strano nell’usare una riga del genere per dedurre che la Sorbona è in Francia, non m’è dato capirlo.

2)L’eventuale impiego di dati tratti da romanzi storici richiede una cautela in più, ma qui non abbiamo a che fare con testimonianze tratte da romanzi storici. Inoltre, se anche Artemidoro e Firmico fossero stati autori di romanzi storici, l’operazione fatta da Frattini sarebbe comunque insufficiente. Infatti per squalificare un’informazione presa da un romanzo storico servono per l’appunto delle motivazioni, non ci si può certo limitare a dire: “è un romanzo storico”. Frattini invece non spiega perché queste testimonianze sarebbero da scartare, visto che concordano perfettamente con tutte le altre fonti, e con l’iconografia dataci dall’archeologia (il graffito del Palatino o quello della Taberna di Pozzuoli ad esempio). Comunque questa era una parentesi superflua, come ho già detto infatti questi testi non sono romanzi storici, ed io faccio addirittura fatica a capire in che senso sarebbero etichettabili come “immaginari”. A me sembra che di immaginario non ci sia nulla.

3)E’ incomprensibile che Frattini tralasci Luciano, visto che a)E’ citato nella letteratura critica che lui dice di voler esaminare, e fra questa letteratura è esplicitamente menzionato il Fregnani. Tra l’altro Frattini non si limita ad analizzare i passi citati nella letteratura critica, ma nei vari autori aggiunge dei passi di sua spontanea iniziativa. b)se anche Luciano non fosse stato citato nella letteratura critica, a p. 195 il libro dice di voler esaminare gli autori greci citati in generale nella letteratura scientifica, e dunque Luciano diviene automaticamente incluso.
Continuare ad insistere (falsamente) sul fatto che nessun critico citi Luciano, è qualcosa di insufficiente ad una difesa del Frattini, perché si tralascia comunque il secondo corno del problema, cioè il fatto che egli dica di non volersi limitare alla sola letteratura critica.

Ad maiora
view post Posted: 19/3/2014, 18:44     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
“"Come ho già detto tutto quello che scrivi è assolutamente privo di pertinenza oltre che inutilmente e noiosamente logorroico, dunque non perderò tempo a rispondere ad obiezioni che non hanno nulla a che vedere con la recensione pubblicata da Polidori,"

Al contrario. Nella parte della mia contro-replica che tu hai saltato a piè pari, ho spiegato puntigliosamente in che cosa la risposta di Arduini&Co. a Teodoro era priva di senso. In particolare ho trattato della critica di Teo sulla faccenda della datazione dei manoscritti, e del perché la risposta di Ardu su questo punto non avesse senso. Ho trattato del problema sollevato da Teo sulla catalogazione delle fonti operata dagli autori, mostrando perché la replica stupita di Ardu&Co a Teo su questo punto non ha senso. Ho trattato di come Teo accusi Ardu&Co. di delegittimare alcune fonti antiche etichettandole come filosofiche o pagane, andando ad analizzare la replica di Ardu e trovandola come al solito carente, elusiva, e priva di senso. Ho trattato inoltre di cosa dicano Ardu&Co. nella loro contro-recensione a proposito di Artemidoro, di Firmico, ecc. Su tutto ciò, che riguarda la recensione di Teo, e la contro recensione dell'Ardu, tu non hai detto un emerito nulla. Al contrario, come tua abitudine di sei limitato a criticare l'1% di quello che scrivo, probabilmente per il piacere di avere l'ultima parola, pur senza avere granché da dire nel merito, o forse perché vuoi dare l’impressione ai tuoi poveri confratelli che seguono questo dibattito che ci sia sempre qualcuno a tenere alta la bandiera delle vostre fandonie.

CITAZIONE
“ se poi hai delle obiezioni serie mi aspetterei che tu le facessi direttamente agli autori e non qui nell'anonimato e con toni di maleducazione davvero estrema, che ben poco hanno a che vedere con l'accademia e molto con il rispondere alla tua clack su altri forum.”

Ma chi ha mai detto che sto scrivendo una recensione accademica di questo libercolo? Perché mai dovrei recensire in maniera accademica un libro non scientifico? Come già detto un testo del genere, pieno di strafalcioni tanto nella forma quanto nel metodo, e che mi ha dato ad ogni riga di che ridere per l’ingenuità e l’approccio folle alle fonti, non merita alcun trattamento accademico. La mia è una satira, cioè l’unica cosa che l’opera in questione merita. Né si usa che chi recensisce qualcosa scriva direttamente agli autori: la recensione si fa in uno spazio pubblico, ed è l’autore del testo recensito che, poi, se vuole, risponde, nel luogo che più gli piace. Il fatto che i tuoi amichetti si siano dati delle regole su come dovrebbe comportarsi chi recensisce il loro libro, non mi tange in alcun modo, visto che non vedo perché dovrei farmi dire da loro come e dove posso criticare quello che hanno scritto.

CITAZIONE
“Il che mi pare del tutto lecito, si analizzano le ragione per cui, a differenza delle obiezioni fatte dalla letteratura cattolica, sia ragionevole (il ché non significa affatto che sia meglio o peggio) rendere come fa la TNM”

Ti pare lecito? Ma fino a ieri affermavi l’esatto opposto, cioè affermavi che questo libro non fosse una difesa della TNM. Alla mia affermazione: “Se si vuole smontare la letteratura critica verso la TNM, automaticamente si produrrà una difesa della TNM, che è per l’appunto un’opera letteraria di traduzione geovista”, tu rispondevi: “Non necessariamente alla pars destruens deve seguire una difesa di qualcosa”.
Ora invece, dopo che ti ho mostrato le frasi del loro libro che dicono l’esatto opposto, cioè che è loro obiettivo valutare la ragionevolezza della TNM, e la loro affermazione che dunque, dalle loro ricerche, se ne deduce che la TNM traduca sempre entro i limiti del consentito, tu ribalti totalmente quanto avevi scritto sinora. Infatti, dopo le citazioni di Ardu che provano la volontà di una difesa e di una pars construens, alla mia frase: “Da questo testo leggiamo che non v’è solo la pars destruens della critica alla critica della TNM, ma che esso comporta specularmente una pars construens, e cioè l’approfondimento dell’opportunità e delle ragioni della TNM”, tu replichi con l’esatto contrario di quanto affermavi ieri: “Il che mi pare del tutto lecito, si analizzano le ragione per cui, a differenza delle obiezioni fatte dalla letteratura cattolica, sia ragionevole (il ché non significa affatto che sia meglio o peggio) rendere come fa la TNM.”
Dunque, accreditare la TNM come ragionevole è un’operazione lecita. Ma qui sposti l’argomento del contendere: non stavamo discutendo se fosse o meno lecito difendere la TNM, ma se gli autori l’avessero fatto. Neanche ieri negavi che gli autori avessero fatto questa operazione, allorché dicevi che invece s’erano limitati a demolire le critiche alla TNM. Che dobbiamo dire dunque delle righe dell’Ardu dove nega che il loro libercolo abbia lo scopo di difendere il rifiuto dei TdG ad adottare la traduzione croce? “l paragrafo 6.1 del libro specifica e delimita con chiarezza gli obiettivi che la ricerca contenuta nel capitolo 6 si propone di ottenere. Tra quelli, non è menzionato in alcun modo il “tentativo di giustificare il rifiuto di tutta la letteratura geovista (ivi compresa la Traduzione del Nuovo Mondo) di riconoscere la croce quale strumento del supplizio di Gesù”. Il capitolo non verte in alcun modo sulla letteratura dei Testimoni di Geova”

Si dovrà dire che questa affermazione della contro-recensione è falsa: 1)Se il capitolo verte sulla TNM, allora verte sulla letteratura dei TdG, essendo la TNM un’opera della letteratura dei TdG. 2)Inoltre ci dovrà dire, come ho mostrato a suon di citazioni, che se vi è un tentativo dichiarato dal Frattini di accreditare la ragionevolezza della traduzione della versione del Nuovo Mondo, allora c’è automaticamente un tentativo di difesa di tale resa, e dunque del conseguente rifiuto della tesi di critica che vi si oppongono. 2 +2 fa ancora 4. E ora procurami altri 30 minuti di divertimento nella confutazione dei tuoi patetici tentativi di divincolarti dalla morsa in cui t’ho costretto provando a rispondere ancora…

CITAZIONE
“La TNM era l'oggetto di questo studio, non mi pare che gli autori abbiamo mai dichiarato il contrario. Nel farlo si limitano a valutarne, per quanto ho visto io, la ragionevolezza in sé. Non si capisce di che cosa li rimproveri dunque.”

Io non li rimprovero certo di aver scritto un libro che avesse per oggetto la TNM, li rimprovero semmai di aver in seguito scritto una contro-recensione alla recensione di Teo in cui affermano che non si sono occupati di difendere la TNM. Al contrario è l’unica cosa che fanno, come nel libro stesso affermano. Le critiche alle critiche della TNM, sono automaticamente difese dalla ragionevolezza TNM. O almeno, questo era la tua concessione nell’ultimo messaggio che hai inviato, solo ieri come dicevo affermavi invece l’esatto opposto.

CITAZIONE
“Mosso dal tuo cieco pregiudizio non ti sei neppure accorto che la frase a pag. 195 "testi citati come fonti in letteratura" non fa riferimento alla letteratura scientifica ma alla "letteratura [critica] in lingua italiana, pubblicata da parte cattolica negli ultimi cinquant'anni" di cui l'autore parla a pag. 194.”

Non vedo perché mai dovrei sposare questa tua bizzarra interpretazione, che è confutata dal contesto. Innanzitutto quando si dice “in letteratura” usandolo in maniera assoluta, non ci si riferisce certo alla sola letteratura polemica, bensì è un’espressione convenzionale usata da tutti per dire che ci si rivolge alla letteratura scientifica . Gli autori del libercolo conoscono quest’espressione formulare, e la usano anche a p. 132: “In ogni caso non si tratta di manipolazioni o di scelte arbitrarie: tutt’al più ci troviamo davanti a posizioni esegetiche divergenti ma comunque assolutamente plausibili e comuni in letteratura.” (p.132)
Quanto alla citazione di p. 195, essa non può riferirsi alla letteratura polemica, né il contesto lo suggerisce. Infatti la citazione è preceduta dall’elenco delle opere accademiche risalenti alla XVIII dinastia citate dall’appendice della NWT a difesa della resa con “palo”:

“La TNM-Rbi8 (versione con riferimenti, ediz. italiana) presenta nell’appendice 5C le motivazioni della propria scelta traduttiva. In essa viene ricordato il senso principale dei termini utilizzati dal testo biblico (στυρός, stauròs e κύλον, xylon), citando il dizionario biblico W. E. Vine An Expository Dictionary of New Testament Words (ristampa del 1966), vol. I, p. 256 e il dizionario di lingua latina di Lewis e Short. Da ultimo si citano gli approfondimenti in lingua tedesca di Fulda Das Kreuz und die Kreuzigung e Die Geschichte Jesu (1904) vol. 2, Tubinga e Lipsia, di P. W. Schmidt. L’edizione inglese cita in aggiunta l’autore greco Luciano ricordando il senso del verbo anastauro'o (Prometeo, I), l’autore latino Tito Livio e il suo uso della parola crux. L’edizione tedesca aggiunge ulteriormente il Lateinischen etymologischen Wörterbuch di A. Walde, 3. edizione, Heidelberg (1938) e il Kleines lateinisch-deutschen Handwörterbuch del Prof. Dr. E. Georges, 4. edizione Leipzig (1880) a proposito del significato del termine latino crux."

Si sta dunque parlando di letteratura scientifica, sebbene marcescente. Subito di seguito scrive: “È obiettivo di questa trattazione approfondire ulteriormente [i.e. ulteriormente rispetto all’Appendice della TNM] l’opportunità e le ragioni della resa traduttiva della TNM riguardo ai termini stauròs e xylon, nell’ambito degli autori latini e greci citati come fonti in letteratura, del contesto biblico e limitatamente all'ambiente e al periodo storico immediatamente precedente e successivo agli avvenimenti in esso descritti (ca. 200 a.C. fino al 200 d.C.). In aggiunta verrà valutata la fondatezza delle critiche mosse sull'argomento dai testi di matrice cattolica.”

Come si vede nulla nel contesto fa presumere che l’espressione assoluta “in letteratura” assurga a designazione della letteratura polemica. Inoltre il fatto che si dica “In aggiunta verrà valutata la fondatezza delle critiche mosse sull'argomento dai testi di matrice cattolica”, implica con quel “in aggiunta” che evidentemente l’insieme dei testi critici cattolici e “la letteratura” non siano lo stesso insieme.
Il capitolo dopo infatti fa quello che s’erano ripromesse queste 9 righe finali. Il titolo del capitolo seguente è “Breve revisione della letteratura recente” (ancora ovviamente la letteratura scientifica!), e segue una rassegna di ciò che alcune opere scientifiche dicono sulla crocifissione, tra cui la Theologische Realenzyklopädie, Hengel, ecc.
Quindi, no, caro Barnaban, quando Frattini dice: “È obiettivo di questa trattazione approfondire ulteriormente l’opportunità e le ragioni della resa traduttiva della TNM riguardo ai termini stauròs e xylon, nell’ambito degli autori latini e greci citati come fonti in letteratura”, e subito dopo tratta infatti della “letteratura recente” (ipsissima verba), non sta parlando affatto della letteratura polemica di matrice cattolica.
Pare però che al Frattini sia sfuggito di esaminare che cosa dicano i testi greci citati in letteratura, visto che non parla di Luciano.
Inoltre, ho già detto che tutta questa difesa di Barnaban è inutile, infatti anche tra i testi critici elencati c’è chi cita Luciano, cioè Fregnani, dunque di che cosa stiamo parlando? E’ un’omissione doppia.
Si aggiunga, con una certa ilarità, che è proprio l’appendice della TNM a citare Luciano, e Frattini la riporta, non rendendosi conto che la TNM sta in queste righe confezionando una delle sue solite taroccature, giacché dal testo “Prometeo Incatenato” lucianeo non si può certo ricavare un significato del verbo anastauroo gradito ai TdG, semmai l’inverso. Viene da chiedersi dunque se il compilatore di questa appendice fosse semplicemente ignorante oppure mentisse sapendo di mentire.

CITAZIONE
“E questa letteratura, compreso il Polidori che ne lamenta la mancanza, non cita mai Luciano..”

Fregnani lo cita 4 volte.


CITAZIONE
“on lo metto in dubbio, ma Frattini tratta della letteratura italiana contro la TNM su questo argomento e se nessuno cita quella fonte non è colpa sua”

Lo cita Fregnani 4 volte. Smettila di eludere argomenti sui quali sei già stato demolito.

Ad maiora
view post Posted: 19/3/2014, 00:12     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
“Sempre a riempire i forum di lenzuolate dei copia/incolla degli stessi argomenti?”

Visto che non c’è un solo copia e incolla nel mio messaggio, tranne ovviamente quelli delle fonti antiche che per forza di cose sono sempre identiche, suppongo vorrai produrci degli esempi di quali copia&incolla da parte mia avresti visto.
CITAZIONE
“Se il Frattini ha davvero scritto cose così terribili basterebbe una breve nota e non venti cartelle...”

E’ l’esatto contrario. Se un libro contiene una quantità infinita di cose che non condivido, automaticamente aumenterà il numero delle critiche che ho da fare. E siccome non vi era una sola pagina esente da una o più critiche tra quelle che ho letto, la lunghezza o la brevità di una recensione negativa dipende solo dal numero di errori che scelgo di commentare oppure tralasciare nel commento. Se decido di commentare tutto, automaticamente uscirà una recensione più lunga e completa.
Inoltre bisogna considerare quello che ho già scritto a Talità, e cioè che le spiegazioni in breve posso usarle solo in un discorso tra pari, sapendo che essi hanno già il retroterra per capirmi. Un po’ come quello che ha fatto Teo nella sua recensione, la quale, essendo stata pensata per una rivista scientifica, e dunque per essere letta da colleghi, non aveva certo bisogno di dilungasi a spiegare perché fosse insensato fare un catalogo delle datazioni dei testimoni manoscritti degli autori antichi in cui ci sono riferimenti alla crocifissione. Come dicevo però, il discorso accorciato era solo per Teo e altri colleghi antichisti, ed infatti Arduini&co. non l’hanno capito, dicendosi anzi stupiti della critica di Teo, e ribadendo l’originalità del loro contributo (di cui invero nessuno sentiva la mancanza). Se le spiegazioni corte si possono fare rivolgendosi a dei pari, per i dilettanti invece occorre spiegare ogni cosa sin dal principio, un po’ come il maestro elementare, dinnanzi ad una classe priva di strumenti concettuali, deve costruire le fondamenta del sapere dei suoi scolari edificandole ex novo. Mi sono cioè assunto in questa mia recensione delle finalità didattiche: e i concetti da spiegare richiedono tante più parole quanto più questi concetti sono basilari. Non si può infatti giocare a fare gli storici senza avere alcuna base antichistica, perché è come tentare di costruire una casa partendo dal tetto. Dinnanzi a ciò, l’architetto che voglia dare lezioni a questi muratori inesperti su come si costruisca una casa, non può comunicare a spiegare il tetto, come avrebbero voluto i suoi interlocutori. Egli deve invece iniziare a spiegare loro come si costruisce una casa partendo dalle fondamenta, che sono il luogo giusto per iniziare. Sicché io, per ogni stramba affermazione di quel libro, non mi sono potuto limitare a commentare quell’affermazione, ma ho dovuto fare un lavoro di retroterra, per mostrare la genealogia dell’errore sin dalle fondamenta. Perché questi sono sostanzialmente errori di metodo, non di dati (sebbene ovviamente vi siano anche questi ultimi, meno gravi)

CITAZIONE
“per dirla con Carducci: "chi riesce a dire con venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace pure di tutte le altre cattiverie".



Frase interessante, ma non è detto sia applicabile. Può essere vero che chi dice in 20 parole ciò che può essere detto in 10 sia da censurare, ma temo tu abbia saltato un passaggio, cioè la dimostrazione che in questo caso si potesse dire quello che ho detto in 10 parole. Solo se prima si dimostra che un concetto si può dire in 10 parole, diventa esecrabile dirlo in 20, ma io non sono disposto a concedere che, per questo ambito, le 10 parole sarebbero state sufficienti. Penso invece d’essere stato troppo sintetico, visto che devo condensare in poche pagine gli anni di studi di antichistica che questi autori non hanno mai svolto. Esistono dei corposi manuali di metodologia storica, che questi autori probabilmente ignorano, e si tratta per l’appunto di testi voluminosi. Quindi queste mie poche righe sono relativamente sintetiche, vista la vastità del soggetto.
So bene però che le menti settarie rifuggono la complessificazione dei problemi, perché il fideismo settario richiede l'aproblematicità, e dunque quando qualcuno vuole spaccare il capello in quattro per vedere a fondo le cose, andando oltre la banalità della Torre di Guardia e delle due esposizioni ipnagogene, viene sempre guardato con malocchio. Costui infatti semina il dubbio nella appagante e semplice banalità concettuale in cui tutto il gruppo ha deciso di rinchiudersi per cullarsi nelle proprie certezze.

CITAZIONE
“Il paragrafo 6.1 del libro specifica e delimita con chiarezza gli obiettivi che la ricerca contenuta nel capitolo 6 si propone di ottenere. Tra quelli, non è menzionato in alcun modo il “tentativo di giustificare il rifiuto di tutta la letteratura geovista (ivi compresa la Traduzione del Nuovo Mondo) di riconoscere la croce quale strumento del supplizio di Gesù”. Il capitolo non verte in alcun modo sulla letteratura dei Testimoni di Geova (che il Polidori costantemente chiama “geovista”, proseguendo l’abitudine dei testi polemici cattolici italiani) che nel capitolo non viene né trattata né mai citata. “Dunque mi pare che sei tu che non capisco l'italiano, attribuendo all'autore obiettivi che, a quanto egli stesso dice, non si è mai posto. A quanto capisco io, non so tu, da quello che leggo sopra l'autore del VI capitolo si limita ad analizzare solo i testi polemici pubblicati in Italia, tra cui quello del Polidori che (guarda caso) non cita Luciano..”

Ho già detto che questa dichiarazione non dà nessun impedimento. In primo luogo perché nulla vieta ad un critico letterario di mostrare come un autore sia incoerente coi presupposti che dichiara, e che cioè cerchi di darsi una patina di scientificità, ma poi faccia tutt’altro. A questo primo livello si accusa dunque l’autore di dire il falso, e sarà oggetto di ulteriori indagini stabilire se dica il falso consapevolmente oppure no. Si possono dare infatti due scenari: il primo è quello di un autore che si ponga dei limiti, ma poi, spinto dalla sua foga polemica, senza accorgersene travalichi i criteri programmatici che s’era posto da solo. Il secondo scenario invece è quello di una consapevole manovra di occultamento, è il caso di un autore che dichiari una cosa, ma poi surrettiziamente porti avanti un’agenda con obiettivi non dichiarati lungo tutto il testo.
Non ci vuole un genio per leggere in questo testo quello che chiunque vi legge, cioè una difesa settaria della TNM, dove il tentativo di celarsi dietro un manto di imparzialità è così poco plausibile che non sappiamo che farcene delle dichiarazioni degli autori, contraddette poi nel corso di tutta l’opera.
Questi primi due scenari da me prospettati hanno in comune il riconoscimento che l’autore dichiari una cosa, ma ne faccia un’altra. Si può però arrivare ad un secondo livello, e cioè mostrare che l’autore non solo dichiara una cosa e poi ne fa un’altra, ma dichiari addirittura intenti programmatici diversi, contraddicendosi così esplicitamente.
La recensione arduiniana afferma: “Il paragrafo 6.1 del libro specifica e delimita con chiarezza gli obiettivi che la ricerca contenuta nel capitolo 6 si propone di ottenere. Tra quelli, non è menzionato in alcun modo il “tentativo di giustificare il rifiuto di tutta la letteratura geovista (ivi compresa la Traduzione del Nuovo Mondo) di riconoscere la croce quale strumento del supplizio di Gesù”. Il capitolo non verte in alcun modo sulla letteratura dei Testimoni di Geova (che il Polidori costantemente chiama “geovista”, proseguendo l’abitudine dei testi polemici cattolici italiani) che nel capitolo non viene né trattata né mai citata “

Ebbene, l’autore del capitolo sulla croce dice, oltre a quello che l’Arduini afferma, anche l’esatto contrario, allorché come ho già riportato scrive:

“È obiettivo di questa trattazione approfondire ulteriormentel’opportunità e le ragioni della resa traduttiva della TNM riguardo ai termini stauròs e xylon, nell’ambito degli autori latini e greci citati come fonti in letteratura” (p. 195)

1)Il capitolo, volendo indagare la ragionevolezza della TNM, contrariamente a quanto afferma Arduini nella recensione, verte dunque sulla letteratura geovista, essendo la TNM un prodotto della lettertatura geovista
1a)Da questo testo leggiamo che non v’è solo la pars destruens della critica alla critica della TNM, ma che esso comporta specularmente una pars construens, e cioè l’approfondimento dell’opportunità e delle ragioni della TNM.
2)Non si vuole analizzare solo la letteratura critica della TNM, ma la letteratura scientifica in generale cogli autori greci e latini ivi riportati. Tale letteratura infatti viene citata.
CITAZIONE
“si limita ad analizzare solo i testi polemici pubblicati in Italia, tra cui quello del Polidori che (guarda caso) non cita Luciano... ora, è davvero grottesco che <b>Polidori rimprovera a Frattini di omettere un testo che è omesso in tutta la letteratura polemica contro la TNM, compreso il saggio che lui stesso ha scritto e che pubblicizza come scientifico!”

Ma è falso. Come già scritto è falso che il libro faccia quello che la recensione gli attribuisce, infatti il libro si contraddice: esso afferma da una parte che vuole analizzare le fonti critiche verso la TNM, ma dall’altra parte afferma che vuole anche vagliare in generale le fonti greche e latine citate in letteratura, e quindi l’assenza di Luciano pesa.
Inoltre, come già detto, tra le fonti citate come critiche verso la TNM c’è l’articolo di Fregnani, che cita Luciano 4 volte, quindi come giustamente dice Teo stupisce l’assenza di Luciano, perché la sua analisi era richiesta da entrambi gli obiettivi che il libro si era posto: 1)L’analisi degli autori citati dai critici della TNM (dunque Fregnani incluso). 2)L’analisi delle fonti antiche citate in letteratura, al fine di vagliare la ragionevolezza della TNM.
Il fatto che Teo non citi Luciano si deve al fatto che il suo lavoro è una sorta di appendice, che non ha la pretesa di completezza che invece s’è dato il Frattini, allorché ha detto di voler analizzare gli autori antichi citati in letteratura.

CITAZIONE
“Non è pertinente, capisci? Gli autori per loro stessa ammissione parlano d'altro... sarebbe come chiedersi se credono negli UFO o se pensano che l'amatriciana si faccia con la pancetta o con il guancia”

Se la mia tesi è che gli autori, al di là delle loro dichiarazioni, portino avanti un’agenda segreta, allora il loro credo sulla croce è del tutto rilevante, ben più degli UFO se non altro.
Comunque non si tratta di un’agenda segreta, perché Frattini s’è lasciato sfuggire i suoi veri obiettivi, e ho già riportato la sua dichiarazione. Ma anche se non l’avesse fatto, qualcuno avrebbe mai potuto avere dei dubbi seri sugli obiettivi di questo libro? E tu, Barnabino, che sai benissimo che questo è un libro a tesi con lo scopo di difendere la TNM, non ti vergogni di venire qui a fare il difensore di ufficio, e negare questa ovvietà? Come ci si sente ad essere così spudoratamente in malafede nel parlare? Per mia fortuna, non sto scrivendo per te, per convincerti. So già che sai di aver torto, e sono perfettamente consapevole che sei già al corrente che questo è un libro di apologia della TNM e delle sue bislacche teorie. Scrivo per gli altri utenti, per i lettori, affinché non vengano ingannati circa l’obiettivo di questo libro. Basta comunque la lettura di un capitolo perché chiunque se ne faccia un’idea.

CITAZIONE
“Sei tu che lo deduci, lo trovi scritto da qualche parte? Io ho rigirato il testo e non l'ho trovato.”

Ebbene sì, l’ho trovato: “È obiettivo di questa trattazione approfondire ulteriormentel’opportunità e le ragioni della resa traduttiva della TNM riguardo ai termini stauròs e xylon, nell’ambito degli autori latini e greci citati come fonti in letteratura. In aggiunta verrà valutata la fondatezza delle critiche mosse sull'argomento dai testi di matrice cattolica..” (p. 195)

Come si vede nel programma prima v’è l’esposizione delle ragioni della TNM, poi e solo poi (“in aggiunta”) la demolizione delle critiche di matrice cattolica. Del resto, come dicevo, c’è un limiti alla plausibilità delle tue spudoratezze. Chiunque sappia fare due più due si rende conto che se voglio demolire le critiche contro qualcosa, è perché mi interessa difendere quel qualcosa. Ma non mi serve la tua ammissione Barnaban, so che sei in malafede e non me la darai mai, quello che mi interessa è solo mostrare dinnanzi alla piazza la spudoratezza dei tuoi sofismi, per esporli alla pubblica ilarità.

CITAZIONE
mi pare che l'autore arrivi, per altro, anche a tesi eccentriche anche per i testimoni di Geova stessi.

Esempi di tesi?

CITAZIONE
“Non necessariamente alla pars destruens deve seguire una difesa di qualcosa”

Già, non necessariamente, ma tu credi davvero che sia questo il caso ipotetico da te prospettato, e cioè il caso in cui la demolizione delle critiche a qualcosa non sia funzionale alla difesa di quel qualcosa? E credi dunque di poter dare a bere a qualcuno, in questo forum, che i tuoi amichetti criticando la letteratura cattolica non volessero ipso facto accreditare la correttezza della TNM? Trovo oltremodo implausibile che tu creda una cosa del genere. Certo una cosa siffatta non può essere creduta da nessun forumista, e siccome neanche tu vi credi, perché la scrivi? Non riesci a convincere neppure te stesso.
Non è un caso che queste critiche alle critiche della TNM, arrivino poi, guarda caso, a degli esiti giustificativi della TNM. Ecco come si conclude il libro, mostrandoci bene cosa animi gli autori: “Nel complesso degli aspetti e dei passi trattati, il testo della TNM risulta praticamente sempre tradotto nei limiti della libertà di scelta consentita ad ogni traduttore. La Traduzione del Nuovo Mondo è forse la migliore traduzione oggi disponibile? Come già spiegato, molto dipende da ciò che intendiamo con “migliore”. Se i nostri studi richiedessero di accostarci ad una Bibbia prima del dogma, senza dubbio alla TNM dovremmo concedere un posto d’eccellenza.” (p.282)


Più che l’agghiacciante sviolinata finale alla traduzione pattumiera del Nuovo Mondo, è l’inizio del brano che ci interessa, perché mostra il 2+2 di cui vi sto parlando, e cioè che demolire le accuse a qualcosa, significa difendere quel qualcosa. Il brano infatti dice che, alla luce di quanto trattato precedentemente “il testo della TNM risulta praticamente sempre tradotto nei limiti della libertà di scelta consentita ad ogni traduttore”. E dunque il testo ha prodotto una difesa della TNM. Questa era ovvio. Frattini nel sul capitolo sulla croce diceva infatti di voler valutare le ragioni e l’opportunità della resa geovista.
Tutto questo a conferma che i due aspetti, quello della demolizione della letteratura critica e quello della giustificazione della TNM, non sono ovviamente separabili, né sono mai stati separati nella settaria mens degli autori di questo pedestre libercolo.

Ad maiora
view post Posted: 18/3/2014, 16:48     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE
Eh sì, giusto due

Quando gli errori sono di metodo, non è possibile sbrigarsela in due righe. Purtroppo è come avere a che fare con gente che pretenda di fare il liceo senza aver prima frequentato le elementari, e dunque ogni singola cosa va spiegata prendendola dall'origine, pre-masticandola per renderla digeribile ai palati che altrimenti non avrebbero gli utensili per nutrirsene. Non è agevole dover fare la genealogia di ogni errore, perché ogni volta occorre ritornare ai fondamenti della disciplina. Anziché discutere dei particolari, stando sulle vette, bisogna ogni volta ricapitolare dall'inizio le basi del metodo.

Ad maiora
view post Posted: 17/3/2014, 19:42     Recensione: La Bibbia prima del dogma - Recensioni, News, Links e Bibliografie
Vorrei dire due parole sulle contro recensione fatta dagli autori del libro, perché mi sembra veramente significativa di come dei Testimoni di Geova, che rimangono tali, tentino di simulare una loro presunta scientificità, quando invece si tratta della solita apologetica geovista che, ne siano coscienti o meno, trasuda dalle loro righe. Del resto, gli anni passati a leggere la spazzatura storiografica delle varie Torre di Guardia e Svegliatevi non possono che lasciare un segno indelebile nella mente di chicchessia sul modo di concepire la storia. Questa gente è cioè irrimediabilmente rovinata, costretta ogni volta che sente le parole “filosofia” e “paganesimo “ a sussultare e a ritrarsi, addestrati come il cane di Pavlov a dei riflessi condizionati di reazione negativa ogni volta leggano queste due parole. Pavlov infatti aveva condizionato il proprio cane facendo precedere ogni pasto dal suono di una campanella. Dopo poco tempo ogniqualvolta Pavlov produceva quel suono, la bocca del suo cane cominciava a salivare come se stesse per mangiare, sebbene lo scienziato non somministrasse alcun alimento. Allo stesso modo nelle riviste dei TdG ogniqualvolta si parla di filosofia e paganesimo li si associa al satanismo e a qualcosa di negativo che li degradi, col risultato che, anche in questo libro, per screditare un autore antico agli occhi dei lettori e diminuire l’attendibilità delle sue descrizioni basta dire en passant che “il testo in questione è altamente filosofico, non cristiano, e chiaramente influenzato da religioni pagane”. Affermazione che ovviamente non ha nessuna rilevanza storica, giacché non si vede che cosa c’entri l’essere cristiani o pagani col sapere com’è fatta una croce.
Ma chiaramente questa affermazione, in un libro scritto da un TdG e indirizzato, senza tema d’essere smentiti, a rincuorare i loro confratelli, basta dire che un autore è “pagano” per compiere la magia della delegittimazione, e far scattare nella mente dei lettori un meccanismo automatico di accantonamento delle informazioni.
Le non meglio precisate “influenze pagane” sono un mantra tipicamente geovista, e non si vede che cosa c’entrino col fatto che Firmico Materno sapesse o meno com’è fatta una croce. Il problema non è infatti se Firmico Materno fosse pagano allorché stese la sua opera, ma perché Frattini ce lo venga a dire, facendo poi il finto tonto, e volendoci dare a bere che citando la sua religione non volesse affatto sminuirlo agli occhi dei lettori. Chi conosce la retorica geovista sa invece perfettamente che cosa significhino questa sequenza di appellativi dispregiativi indirizzati ad una persona: “il testo in questione è altamente filosofico, non cristiano, e chiaramente influenzato da religioni pagane”. Per i TdG si tratta infatti di un triplice peccato, non solo è filosofico ma è “molto filosofico “(che orrore dunque!), non cristiano (dunque inaffidabile), ed influenzato dalle religioni pagane (il fumo di Satana!). A questo punto immaginiamo i loro confratelli che si fanno il segno della croce scandalizzati dall’empio Firmico, anzi, il segno del palo! Li immaginiamo allorché nella loro mente, dinnanzi alle non meglio specificate “influenze pagane”, si figurano chissà quale sorta di stramberia, e nel loro cervello frulla il pensiero di un autore che vaneggia e riempie i suoi libri di follie insistenti per influsso del diavolo. Con che coraggio dunque gli autori della contro-recensione possono mentire così sfacciatamente, e venirci a dire che quelle belle frasi su Firmico non fossero un tentativo, neppure troppo velato, di screditarlo agli occhi dei lettori, sospingendolo nel confuso calderone delle filosofie pagane, che per i loro confratelli è un mare indistinto di fantasie demoniache? Dove starebbe, nello specifico, l’influsso pagano che avrebbe un’influenza tale da far sì che le informazioni sulla crocifissione descritte da Firmico non siano utilizzabili? O basta sventolare la parola “pagano” secondo loro per rigettare una fonte?
Ma procediamo con ordine. Per prima cosa bisogna notare che in fondo alla recensione gli autori attaccano Teo per via del giudizio di una commissione ministeriale sull’abilitazione al ruolo di professore associato. Ma un rapido sguardo ai dati mostra subito che i fatti in questione sono troppo torbidi per poter costituire un’arma polemica. Non difettiamo certo di prove a questo riguardo. Come ben specificato dal link al sito del Senato riportato da Teodoro, il peccato originale di questa commissione consiste in uno sciagurato raggruppamento tematico. Infatti la commissione doveva giudicare per una classe di concorso che metteva assieme la “storia del libro” e la “storia delle religioni” . Il risultato dell’unione di queste due materie così eterogenee è che gli esperti di un ramo non avrebbero saputo nulla dell’altro, e viceversa. In particolare se andiamo a vedere la lista dei commissari solo uno risulta del settore storico-religioso, mentre tutti gli altri sono competenti dell’altro, essendo come indicato professori di paleografia latina. Questa commissione cioè era simile ad un’ipotetica commissione che avesse dovuto abilitare all’insegnamento di “astrofisica e biologia”, senza che sia chiaro come un biologo possa giudicare lavori di astrofisica o un astrofisico lavori di biologia. Inoltre il solo componente che s’occupasse di materie storico-religiose era uno specialista non si cristianistica, ma di religioni del mondo classico (che i TdG definirebbero “pagane”). Se già a questo fatto che denota l’inadeguatezza della commissione si aggiunge che attualmente c’è un inchiesta in corso, non si può proprio dire che parliamo senza dare conto delle nostre asserzioni.

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“Il paragrafo 6.1 del libro specifica e delimita con chiarezza gli obiettivi che la ricerca contenuta nel capitolo 6 si propone di ottenere. Tra quelli, non è menzionato in alcun modo il “tentativo di giustificare il rifiuto di tutta la letteratura geovista (ivi compresa la Traduzione del Nuovo Mondo) di riconoscere la croce quale strumento del supplizio di Gesù”. Il capitolo non verte in alcun modo sulla letteratura dei Testimoni di Geova (che il Polidori costantemente chiama “geovista”, proseguendo l’abitudine dei testi polemici cattolici italiani) che nel capitolo non viene né trattata né mai citata. “
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Anche qui pare proprio che i recensori vogliano prendere per il culo. Vogliono forse negare, spudoratamente, di non credere che Gesù fosse messo su una croce? E vogliono forse negare che in questo loro capitolo, tentando invano di demolire le prove del mos romanorum della crocifissione, essi vogliano dedurne che la resa della TNM è allora pienamente lecita? Perché questa dissimulazione? Inoltre se, come affermano, il loro capitolo è una risposta alla letteratura critica contro la TNM, che essi hanno vagliato, allora come possono dire che il loro libro non è ipso facto una difesa della letteratura geovista? Una cosa implica l’altra. Se si vuole smontare la letteratura critica verso la TNM, automaticamente si produrrà una difesa della TNM, che è per l’appunto un’opera letteraria di traduzione geovista. Se la letteratura critica verso i TdG vuole mostrare l’insostenibilità del loro rifiuto della crocifissione, automaticamente la critica di questa critica verrà ad essere una giustificazione del rifiuto dei TdG verso la croce. Non si può avere una cosa senza l’altra.

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“Il Polidori si sbilancia ancora in un giudizio personale indimostrato, secondo cui l’opera di Artemidoro sarebbe “destituita da Frattini di ogni utilità”, giudizio che non troverete né nel capitolo 6, né in tutto il libro in esame. L’affermazione esatta, riportata a p. 236, è che “l’opera di Artemidoro non è in alcun modo storica né descrive avvenimenti reali o in qualche modo accaduti” e spetta al Polidori l’onere di confutare questo nostro giudizio.”
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Il problema non è ovviamente se esista un giudizio di Frattini in cui con testuali parole si dica che Artemidoro è destituito di ogni utilità, bensì se sia questo il sunto che si possa trarre dalle osservazioni dell’autore, che altrimenti non si spiegherebbero. Frattini infatti distingue tra testi in cui l’autore antico sia stato spettatore dell’evento che descrive, testi invece dove riferisce un racconto che gli è stato fatto dal altri, e testi dove vengono descritti invece eventi di fantasia (ad esempio un romanzo che descriva la storia di due amanti immaginari). Non si capisce quale funzione possa mai avere questa classificazione, del tutto campata per aria per un’indagine come quella che verte sulla crocifissione, se essa non avesse lo scopo di sminuire l’importanza di alcune fonti. Il continuo ribadire, come una cantilena, che un autore in questo caso non sta descrivendo un evento accaduto realmente, ma un prodotto della propria immaginazione, vuole relegare un numero considerevole di fonti nell’insignificanza.
Naturalmente, può essere interessante, qualora si indaghi la natura di un evento specifico ed unico, sapere se l’autore che ce ne parla vi ha assistito o meno, ad esempio sapere se Tucidide ha assistito al discorso di Pericle che ci riporta. Nel caso della crocifissione invece, tutta questa macchina classificatoria non ha nessun senso. Non serve infatti essere presenti ad una specifica crocifissione, per sapere come si crocifigge, questo per il banalissimo fatto che le crocifissioni, solitamente utilizzate come monito per gli schiavi romani, erano pubbliche e frequenti. Così quando Plauto scrive delle commedie, dove alcuni schiavi parlano temendo di finire in croce e figurandosi già in anticipo i tormenti, non occorre che quello schiavo sia mai esistito perché noi si possa trarre delle informazioni utili dalla descrizione che fa della croce. Sarebbe come se noi scrivessimo un romanzo dove diciamo che uno dei protagonisti va in bicicletta, ma cade perché la sua sciarpa si impiglia nei raggi della ruota anteriore facendo inceppare il meccanismo. Non occorre che questa corsa in bicicletta del mio personaggio sia mai davvero esistita perché uno storico fra 2000 anni, volendo sapere com’erano fatte le bicicletta nel 2014, ne possa giustamente dedurre che le ruote alla mia epoca avevano dei raggi. Se nessuno storico ha mai adottato la classificazione delle fonti fatta dal Frattini per la crocifissione, è perché banalmente si tratta di un’operazione un po’ scema e priva di significato, e che ha il solo scopo di suggerire surrettiziamente ai lettori impreparati che certe fonti valgono di meno.
Ma che dire di fonti dove non solo si immagina un racconto (il tizio la cui sciarpa si impiglia nei raggi della bici), ma si fa anche del simbolismo? Anche qui il discorso non cambia. Infatti è sulla base della conoscenza dell’oggetto reale, che si cercano poi delle corrispondenze simboliche. Se ad esempio un autore dice che l’albero della nave col suo pennone assomiglia ad uno stauros, è perché da prima sa che lo stauros ha forma di croce, e poi, proprio per questo, ogniqualvolta vede oggetti cruciformi nella realtà, essi gli ricordano una croce. Se avesse avuto in mente stauroi a forma di palo, banalmente sarebbero stati oggetti paliformi a suscitare le sue associazioni mentali, mentre il fatto che egli tragga esempi da oggetti a forma di croce per paragonarli allo stauros, significa che era quella la forma che aveva in mente per questo strumento.
Similmente, se tra duemila anni le fragole saranno estinte, e uno storico volesse cercare di ricostruirne il colore basandosi su poesie d’amore del XX secolo, e noi leggessimo in uno di questi carmi “mia amata, le tue labbra infuocate sono del colore della fragola”, potremmo ovviamente dedurne che le fragole dovevano essere rosse come le labbra, e non certo blu. Non ce ne frega nulla che si tratti di poesia, immaginazione, o quant’altro, perché le metafore, le similitudini ed i paragoni utilizzati in contesto poetico si basano per l’appunto su oggetti reali. Artemidoro che cosa ci dice dunque? Egli ha in mente uno stauros cruciforme.
“Venire crocifissi e buon segno per tutti i naviganti, in quanto la croce e fatta di legni (ξύλων) e di chiodi come la nave, e l’albero maestro di questa e simile ad una croce” (ἡ κατάρτιος αὐτοῦ ὁμοία ἐστὶ σταυρῷ)". (Artemidoro, Oneirocritica 2.53).

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Ci dice che la croce è fatta di “legni” (al plurale) e di “chiodi” (e dunque ne ricaviamo che aveva in mente una croce fatta di almeno due legni e con dei chiodi), e che essa è simile all’albero maestro di una nave. E’ dunque lui stesso che ci dice di stare prendendo un oggetto del mondo reale come oggetto di paragone. Non si vede perciò quale impedimento possa essere che qui Artemidoro stia descrivendo dei sogni e non una crocifissione di un Caio qualsiasi vista di persona, ciò che conta è che ci dice che il sogno x (la croce) significa y (l’albero maestro) perché x nel mondo reale è simile ad y nella forma.
Artemidoro fa anche altri esempi: in Oneirocritica, 1.76 scrive che coloro che sognano di danzare saranno “crocifissi” (σταυρωθήσεται) a causa “delle loro braccia distese”(τὴν τῶν χειρῶν ἔκτασιν), anche qui dunque abbiamo un’immagina della croce con patibulum veicolata da un fatto reale, l’allargamento delle braccia nei danzatori.
Ma non solo: Artemidoro , parlando di questo strumento di morte, ci dice qualcosa di molto interessante: “La croce (ὁ σταυρὀς) infatti corrisponde alla morte, e chi sarà inchiodato su di essa prima deve portarla (πρότερον αὐτὸν βαστάζει). (Oneirocritica 2.56)

Dunque: punto 1) Per Artemidoro si è crocifissi su qualcosa di cruciforme, e punto 2) si viene inchiodati a ciò che si è trasportato.

Quello che Frattini non spiega è come tutto ciò possa rientrare nella sua pretesa di aver smontato il mos romanorum della crocifissione. Infatti le parole di Artemidoro non lasciano scampo ai TdG: se il risultato finale è una croce a due braccia, e si viene crocifissi a ciò che viene portato, allora si danno solo due ipotesi: 1)O il condannato portava la croce intera. 2)O portava il patibulum orizzontale, che poi veniva issato un palo pre-esistente sul luogo (perché come ripetiamo il risultato finale dev’essere la croce a due braccia descritto da Artemidoro).
Il problema è che nessuna di queste due ipotesi è compatibile con le ricostruzioni dei TdG in generale o di Frattini. I Testimoni di Geova infatti sostengono che Cristo portò il palo verticale, e che poi quello stesso palo fu piantato per terra e Cristo venne inchiodato ad esso ( e questa sì che è una pratica senza NESSUNA attestazione nelle fonti antiche), Frattini invece sostiene che le fonti in cui si parla del trasporto del patibulum, non necessariamente implicano che quel patibulum fosse poi issato su un palo, e che dunque il condannato poteva benissimo dismettere a terra il patibulum, e poi venire appeso su un palo semplice, o non venire appeso ad alcunché. Il problema è che quest’idea non è applicabile al testo di Artemidoro, perché lui dice che chi è appeso alla croce “prima se LA porta”, e dunque lo stauros non veniva affatto mollato per terra sul luogo del supplizio, e sappiamo che Artemidoro ha in mente lo stauros su cui il condannato alla fine è appeso come qualcosa di crucififome (perché è fatto di legnI, perché è simile all’albero della nave, e perché i crocifissi hanno le braccia distese come i danzatori, ecc.).
Si noti poi che Artemidoro usa un presente acronico, non dice infatti “a volte chi è appeso alla croce, prima se la porta”, bensì “chi è appeso alla croce, prima se la porta”, dando per scontato che avvenga comunemente così, un po’ quando noi diciamo utilizzando sempre il presente: “chi lavora sodo, raccoglie i frutti del suo sudore”, e nella nostra mente intendiamo che avviene per lo più così.
Ecco dunque la procedura romana della crocifissione, esattamente identica a quella dei Vangeli, che Frattini invece si lamenta di non trovare nelle fonti. La prova cioè di quanto sia sciocca la sua idea di seguire il divo Samuelsson e leggere testimonianze come quelle plautine, nelle quali si dice “porti il patibulum per la città, poi sia appeso alla croce” (carbonaria fr. 2) come se il condannato mollasse sul luogo dell’esecuzione ciò che aveva portato sin là, e poi fosse appeso ad uno strumento del tutto indipendente dal precedente. Ciò non coincide né con la ricostruzione che i TdG danno della morte di Cristo, il quale avrebbe portato lo strumento cui fu poi appeso (sebbene per loro era lo stipes), e soprattutto non torna con chi come Artemidoro ci dice che “chi è appeso alla croce, prima se la porta” (Oneirocritica 2,56)
Cos’hanno dunque da dire Frattini e soci sul fatto che Artemidoro ha in mente uno stauros cruciforme, col previo trasporto dello stesso strumento a cui poi si verrà inchiodati? Ebbene non dicono un emerito nulla. Si limitano alle loro considerazioni di cui abbiamo già previamente smascherato l’insignificanza, e cioè affermano: “È chiaro, sia dal titolo che dai passi considerati, che l’opera di Artemidoro non è in alcun modo storica né descrive avvenimenti reali o in qualche modo accaduti. Il senso simbolico attribuito al vocabolo stauròs è evidente dalle affermazioni che lo stauròs simboleggerebbe “nozze, società, ricchezze” o che l’essere appesi allo stauròs è un “buon segno per tutti i naviganti e … per un povero”.” (p. 236)

Quello che noi attendiamo in grazia di sapere invece è che cosa c’entri il fatto che Artemidoro faccia un discorso simbolico, allacciando sogni ad oggetti concreti, con l’utilità delle informazioni che ci dà sul modo di crocifiggere dei romani. Il fatto che qui si tratti del commento di sogni, non è mai stato ovviamente considerato un particolare sminuente da nessuno storico di professione, e forse Frattini dovrebbe chiedersi perché. Come abbiamo già detto infatti non ce ne importa nulla del fatto che Artemidoro compari alcuni particolari di altri oggetti alla croce all’interno di sogni, visto che egli è così specifico da dirci anche in che cosa quegli oggetti sognati ricordano una croce vera, e cioè nella forma. E’ lui stesso dunque a dirci che cosa leghi questi sogni alla concretezza, e in quali loro particolari possono essere usati per ottenere informazioni sulla croce reale. Un po’ come nel verso poetico inventato da me sopra, nel quale dico che le labbra della fanciulla che descrivo hanno il colore delle fragole, sono io stesso a dirvi che il legame tra le fragole e le labbra sta nel colore, e dunque voi storici del futuro siete autorizzati a dedurne che le ormai estinte fragole erano rosse.
Continuano poi col loro delirio, dicendo che la descrizione di Artemidoro non accenna in alcun luogo alla “procedura romana”, quando invece parla del particolare saliente che fa saltare i piani di tutti i TdG e del divo Samulesson, cioè che si veniva appesi allo stesso strumento che si portava. E osano chiosare che il testo di Artemidoro se preso sul serio dovrebbe implicare quello che gli studiosi oggi negano, cioè il previo trasporto della croce intera.
Con loro buona pace, gli studiosi invece si appoggiano su Artemidoro proprio per ricavare il contrario, perché il lessema stauros sta tanto per la croce intera quanto per il solo patibulum, definito così per metonimia in quanto parte della croce, e dunque gli studiosi da sempre leggono il brano senza alcun problema come attestazione del trasporto del patibulum, al quale si veniva inchiodati prima di essere issati sulla croce.
Ciò che il brano invece esclude del tutto sono le ricostruzioni che i TdG fanno del supplizio del Golgotha: 1)Esclude la testi frattiniana ripresa dal divo Samuelsson che si mollasse il patibulum dopo averlo trasportato e si venisse appesi su un palo semplice, perché Artemidoro dice che lo stauros cui si è inchiodati è lo stesso che è stato trasportato. E 2) esclude la tesi della letteratura geovista secondo cui si portava il solo palo verticale e sempre a quello si veniva appesi, perché Artemidoro descrive la stauros esito finale della procedura come cruciforme, e dunque non è possibile che si tratti di un trasporto di stipes e successiva sospensione al solo stipes.
L’analisi che Frattini fa di Artemidoro è dunque 1)carente, perché accecato com’è dalla Torre di Guardia non riesce a leggere in questa fonte quello che tutti gli storici vi vedono, cioè l’ennesima testimonianza della procedura romana della crocifissione 2) metodologicamente folle, nella misura in cui si dilunga a dirci, come se la cosse fosse di qualche rilievo, che qui Artemidoro non parla di eventi storicamente accaduti ma di sogni. Invece parla di eventi concreti, riallacciandoli a sogni.
Una piccola parentesi: gli autori ricordano (p. 275-276), illudendosi che sia rilevante, che l’altro termine per croce, cioè xylon (legno), è singolare, e ne ricavano sia più probabile dunque che trattavasi di un solo legno, anziché di due. E’ vero che se ci fosse stato il plurale, cioè xyla, si sarebbe trattato certamente di due legni, ma non è vero l’inverso, cioè che xylon designi un solo pezzo di legno. Infatti il termine indica in greco qualsiasi opera fatta in legname, non in virtù però del numero dei legni di cui è composta, ma del materiale (cioè il legno). Vale a dire che qualsiasi oggetto, anche una nave, che ovviamente è fatta di centinaia di legni, in greco è detta xylon al singolare, perché questa parola rimanda semplicemente al materiale di cui le cose sono fatte. Anche in italiano del resto, sebbene oggi sia un po’ desueto, una nave poteva essere detta “legno”. Sicché la croce è definita “il legno” perché fatta di legno, indipendente dal numero di legni che vi si trovassero.

CITAZIONE
““l’opera di Artemidoro non è in alcun modo storica né descrive avvenimenti reali o in qualche modo accaduti” e spetta al Polidori l’onere di confutare questo nostro giudizio.””

E invece riporta eventi reali e realmente accaduti. Il primo luogo perché i sogni sono reali, sono qualcosa che, a differenza di un “cerchio quadrato”, esistono, e ognuno di noi li fa ogni notte. Ma soprattutto perché, come già detto, è Artemidoro stesso a dirci in quale loro parte i suoi sogni si aggancino alla realtà, ad esempio nella forma degli oggetti sognati. Nelle sue comparazioni artemidoriane ergo il secondo membro è sempre la realtà. Quando ad esempio dice:
“Le persone che vogliono vivere nel loro paese, che lavorano la propria terra e che temono di venire scacciate da qualche luogo vengono espulse in seguito a questo sogno, che non le lascia restare dove si trovano: infatti la croce impedisce di tenere i piedi sulla terra.” (par. 53)

Qui Artemidoro ci dice perfettamente in che cosa il sogno il sogno e la realtà si assomigliano. Siccome il crocifisso non tiene i piedi per terra in quanto rialzato (realtà), allora chi sogna la croce non terrà i piedi attaccati allo stesso luogo a lungo e presto si dovrà trasferire. Da questa notizia ricaviamo che, generalmente, ai crocifissi non era concesso toccare coi piedi il suolo. L’operazione è perfettamente logica e legittima, perché è Artemidoro stesso a dirci a quali condizioni reali dei crocifissi egli si richiami per interpretare i sogni.

CITAZIONE
“Il giudizio che è stato da noi riportato relativamente al carattere filosofico e non cristiano dell’opera – molto tarda – di Firmico Materno, in realtà non è nostro (né appartiene ai Testimoni di Geova, come insinua il Polidori), ma è tratto da una delle nostre molte letture di preparazione a questa ricerca. Per la precisione, Jean Rhys Brahm dell’Hunter College di New York, autore della traduzione dei “Matheseos Libri VIII” di Firmico Materno (edizione del 1975, Noyes Press) scrive quanto segue nella sua prefazione all’opera: “Magic, philosophy, science and theology combine in strange ways in the thinking of the last centuries of the Roman empire. For some time the study of these complexities had been one of my interests. The example of Firmicus Maternus was suggested to me by Professor Larissa Bonfante Warren of New York University” (p. VII). E nell’introduzione all’opera l’autore sottolinea: “Since the astrological work is strongly imbued with pagan philosophical attitudes, we could assume Firmicus was converted to Christianity between the writing of the two works.” (P. 1) Chiarito questo punto, spero sia evidente al lettore che la religione personale di Firmico non arricchisce né sminuisce la sua descrizione, né della procedura romana di esecuzione né della forma dello stauròs: e sinceramente non comprendiamo come potrebbe avvenire, visto che nei testi di questo autore mancano in toto entrambi i riferimenti.”

Non vedo nel testo di Teodoro alcun tentativo di dire che sarebbe un’idea personale dei TdG il fatto che Firmico Materno fosse pagano al momento della stesura del testo, e non è neppure questo l’oggetto del contendere. Lo era davvero pagano, ma ciò, come per il caso di Artemidoro, è del tutto irrilevante. Quello che Teodoro rimprovera è la mentalità geovista chiaramente soggiacente all’argomentazione, secondo cui dire che un filosofo è pagano, equivale a squalificare i passi in cui parla della croce come fantasticherie. Anche qui, non c’è alcun bisogno che Firmico ci descriva una crocifissione a cui egli assistette in particolare, ci basta sapere che egli sapesse come si crocifiggeva, per poter ricavare informazioni utili dai passi in cui egli parla della croce.
A che altro potrebbe servire infatti un’introduzione di questo tipo, se non per un tentativo assai poco velato di sminuire un testimone agli orecchi sensibili alla parola “paganesimo”? Ecco quel che scrivono Frattini&Co.: “Occorre premettere che si tratta di un’opera molto tarda (appartiene al IV sec.), senza ambizioni di offrire al lettore una documentazione storica, al contrario orientata unicamente all’interpretazione astrologica. Il testo in questione è altamente filosofico, non cristiano, e chiaramente influenzato da religioni pagane.”

Già, “occorre premettere che”, ossia, prima di leggere queste fonti, sappiate che il loro autore è un cattivone pagano, e dunque satanico, uno di quei terribili filosofi che parlano di nulla, e dai quali ogni persona pia deve guardarsi.
Se non era questo lo scopo della premessa, ci spieghi Frattini che senso ha dire in ordine al tema in oggetto che un testo “è influenzato da religioni pagane”, e che rilevanza possa mai avere ciò negli eventuali dettagli sulla croce che noi riuscissimo a ricavare dai suoi testi? Si può provare forse che un particolare influsso pagano abbia agito su di lui annebbiandogli la mente su quale fosse la forma della croce? O basta essere pagani per essere obnubilati in qualsiasi cosa si scriva?
Quanto al fatto che questo testo sia tardo, gli autori paiono quanto meno confusi, infatti a pag. 267 attribuiscono l’opera al IV secolo, mentre a pag 270 al V secolo. L’opera fu scritta, per chi fosse interessato, ad inizio IV secolo, nel 335 circa, e se è tarda rispetto a tutte le altre, certo non è tarda per i nostri scopi, cioè trarre indizi su come si crocifiggesse, visto che nel 335 l’impero romano stava ancora in piedi, e Firmico, nato a inizio IV secolo, sapeva dunque perfettamente come si crocifiggesse.
Ma veniamo al testo di Firmico vero e proprio: che cosa dice? Perché tutti gli studiosi, che non abbiano le allucinazioni indotte dalla WTS come Frattini, lo citano e lo ritengono importante? E soprattutto perché, ancora una volta, è del tutto irrilevante che il contesto sia astrologico? Perché, da capo, Firmico usa l’astrologia per predire eventi reali che capitano nella vita di tutti noi, e dunque, non si vede perché, se nella descrizione di un evento causato dalle stelle, si lascia sfuggire qualche dato per noi utile, non dovremmo poterlo utilizzare, o questo dato sarebbe squalificato. Sarebbe come se uno storico, tra duemila anni, trovasse un oroscopo di una nostra rivista, nel quale si legge: “ se Saturno transita nei Gemelli, avrete sfortuna coi mezzi di trasporto, state attenti a non rimanere con l’auto senza benzina!”. Ecco, il testo di Firmico Materno funziona così: prima si dà la configurazione astrale, e poi l’effetto che ne deriva. Che cosa può ricavare lo storico del 4000 d.C. da noi immaginato, leggendo il frammento di oroscopo dei suoi antenati? Bene, ne dedurrà, lecitamente e saviamente, che le automobili nel 2014 funzionavo ancora per lo più a benzina. E che cosa mai c’entra con la correttezza di questa deduzione il fatto che essa sia preceduta da un “se Saturno è nel segno dei Gemelli”? Non c’entra un emerito nulla, se non ovviamente per la testa condizionata pavlovianamente dei TdG che appena sentono “oroscopo” impazziscono e si ritraggono da un testo. Un testo di astrologia, così come un testo di cucina, un romanzo, o qualsiasi altra tipologia testuale, possono contenere informazioni storicamente utili, date dagli autori en passant. Certo, alla nostra astrologa del 2014 mai sarebbe venuto in mente che la sua frase “state attenti a non rimanere con l’auto senza benzina” sarebbe potuta servire ad uno storico del 4000 per trovare conferma che nel 2014 esistevano ancora le auto a benzina, ma così è, ed è perfettamente lecito fare una cosa del genere.
In Firmico Materno abbiamo dunque questo testo, ma non siamo certi che Frattini si sia reso conto della sua portata, visto che cita una traduzione inglese non letterale sul punto che ci interessa, e giacché è lecito dubitare delle competenze antichistiche degli autori di questo libro, ignoriamo quanto essi possano penetrare da soli all’interno dei testi latini senza l’ausilio di traduzioni stampella. Una traduzione inglese come ripeto non letterale, come del resto ogni traduzione, perché il curatore anglofono non poteva sapere che a noi serviva proprio quel punto che lui, per brevità, ha tralasciato. Ecco il testo latino come riportato da Frattini: “Si vero cum his Saturnus fuerit inventus, ipse nobis exitium mortis ostendit.
Nam <in> istis facinoribus deprehensus severa anim advertentis sententia patibulo subfixus in crucem tollitur”.

A parte la trascrizione errata delle fonti cui questo libro ci ha abituato, visto che è “animadvertentis”e non “anim advertentis”, il testo è reso liberamente in inglese: “If Saturn is found with the other planets, he shows us the kind of death. The native will be apprehended in his crimes, sentenced by the court, and raised on the cross».

Vale a dire che questa particolare configurazione astrologica sarò un pasticcio per i criminali in quanto saranno arrestati per i loro crimini, condannati, e crocifissi.
Ora possiamo notare che la locuzione “patibulo subfixus in crucem tollitur” viene resa con un misero “raised on the cross”, mentre si omette nella traduzione la prima parte, la quale dice: “inchiodato al patibulum, è issato sulla croce”.
Meglio traduce l’edizione delle Belles Lettres: “Mais si Saturne s’est trouvé avec eux, il nous révèle le malheur de la mort : en effet le natif, arrête pendant ces crimes, est fixé au gibet et dressé sur une croix par une sévère sentence du juge « .

Quindi Firmico s’è lasciato sfuggire la preziosa informazione che prima di venire issati sulla croce, si veniva inchiodati al patibulum, esattamente come l’astrologa del mio esempio s’era lasciata sfuggire che generalmente le auto vanno a benzina nel 2014. Che cosa c’entra in tutto ciò e che cosa ha a che fare con l’attendibilità storica di questa informazione, il fatto che sia all’interno di un oroscopo? Non c’è dato saperlo. Frattini non commenta alcunché a proposito di questa informazione in cui Firmico ci dà notizia, come le altre fonti, di un duplice momento nella procedura della crocifissione, e si limita a ribadire il suo mantra del nulla: “È chiaro, anche in prima lettura, che il passo non ha nulla a che vedere con la descrizione di una crocifissione. Al contrario, si tratta di istruzioni per l’interpretazione dei sogni dalla rilevanza storica molto dubbia.” (p. 267-268)

Non si può essere più in disaccordo, e si deve capovolgere tutto quello che c’è scritto: assistiamo in effetti alla descrizione di una crocifissione, infatti ci viene descritto qualcuno che viene inchiodato ad un patibulum prima di essere appeso alla croce. Certo, è una menzione breve, ma c’è. E il fatto che ciò sia all’interno di un oroscopo, cioè che si vaticini questo evento nei riguardi di un malcapitato, non si vede che cosa c’entri col fatto che qui si ha per l’appunto la descrizione di una crocifissione.

CITAZIONE
“La lamentata omissione di un testo – non meglio specificato – dell’autore Luciano, è ancora una volta indice della superficialità della revisione del Polidori. Si noti che a p. 209, in inizio di paragrafo 6.4 che contiene la tabella n. 3 con l’elenco delle fonti primarie, è chiaramente dichiarato l’ambito, affermando “Questo paragrafo elenca le fonti primarie citate nella letteratura critica verso la TNM.” Ora, nessuno dei testi consultati e citati in bibliografia menziona in alcun modo passi specifici dell’autore Luciano”

E’ vero che nella pagina indicata gli autori dicono di voler analizzare le fonti citate dai critici, il problema è che non si limitano a quello. Nei capitoletti precedenti infatti si fa un’analisi della letteratura scientifica sulla crocifissione, e si riportano anche le fonti scientifiche citate dall’appendice della TNM. In seguito a ciò, ci si esprime in questi termini:
“È obiettivo di questa trattazione approfondire ulteriormente l’opportunità e le ragioni della resa traduttiva della TNM riguardo ai termini stauròs e xylon, nell’ambito degli autori latini e greci citati come fonti in letteratura, del contesto biblico e limitatamente all'ambiente e al periodo storico immediatamente precedente e successivo agli avvenimenti in esso descritti (ca. 200 a.C. fino al 200 d.C.). In aggiunta verrà valutata la fondatezza delle critiche mosse sull'argomento dai testi di matrice cattolica..” (p. 195)

Sicché nel capitolo Frattini fa affermazioni contraddittorie. Da un lato, povero, vorrebbe riscrivere quello che affermano tutte le enciclopedie antichistiche, da quelle oxoniensi in giù, facendo un vaglio delle fonti citate nella letteratura; solo in seguito invece, dice di voler analizzare le fonti citate dai critici della TNM.
Io non so se i critici della TNM in bibliografia a questo libro abbiano mai citato Luciano, sono infatti a Parigi e sarebbe ben difficile reperire questi libri per verificarlo, ma ciò è irrilevante, visto che il capitolo si propone altrove non solo di analizzare la letteratura critica ma anche la letteratura in generale sul tema, e questa certamente cita anche Luciano. Solo in seguito, in aggiunta, si dice di voler analizzare la letteratura cattolica polemica contro i Testimoni di Geova.
A ciò si aggiunga un fatto: tra le fonti critiche vagliate viene anche citato l’articolo del prof. Fregnani, lasciandolo per ultimo: “Il testo del prof. Fregnani, consultato e disponibile solo online, riprende diverse fonti primarie. La tabella n.3 elenca tutte le fonti primarie citate, menzionando l’autore, il periodo di appartenenza e classificandole per rilevanza”. (p. 209)

Essendo questo un riferimento web e non cartaceo, ho potuto verificarlo anche da Parigi, posso così dirvi che Fregnani cita nella sua pagina Luciano 4 volte, oltre a mettere a piè pagina in bibliografia dei link al sito di Achille Lorenzi, dove sono contenuti articoli di Achille Aveta e Andrea Nicolotti, nei quali si parla di Luciano.

Sicché è pure falso che la letteratura dei critici cui stavano rispondendo non citi Luciano. E’ vero che Fregani cita Luciano 4 volte senza dare le coordinate dei passi, dandole per scontate evidentemente, visto che sono tra le più ricorrenti nella letteratura. Ma viene da chiedersi che cosa ci volesse al Frattini, se davvero conosce bene le fonti primarie su questo tema, a capire a quali passi Fregnani faceva menzione, visto che fanno parte della sua argomentazione. E se non li conosceva, il che sarebbe indegno di chi scriva un capitolo sullo stauros, gli ci sarebbe voluto molto a googlare “Luciano” e “stauros” per trovare facilmente quello che cercava, visto che è un tema ricorrente nelle polemiche contro i TdG?

In conclusione la contro-recensione mente per due motivi:
1)Non è vero che lo scopo del capitolo fosse analizzare solo la letteratura critica contro i TdG, infatti gli autori hanno la pretesa di un vaglio della letteratura in generale per mostrarne la fondatezza o l’infondatezza.
2)Non è vero che i critici non citano Luciano. Fregnani, che ho potuto consultare perché online a differenza degli altri, cita Luciano 4 volte. Un minimo di serietà avrebbe richiesto di fare un supplemento d’indagine.


CITAZIONE
“Il Polidori accenna a problemi “sul piano metodologico” che sarebbe interessante conoscere, visto che non vengono indicati. Le osservazioni sull’ortografia sono motivate, perlomeno limitatamente alla prima edizione del testo dell’opera.[…] Come normale per ogni testo pubblicato in letteratura, gli eventuali errori di copia e trascrizione verranno corretti nelle prossime edizioni.”

L’errore metodologico, anzi il peccato originale, non è già sufficientemente incarnato dal voler scrivere a proposito di una lingua che si dimostra di non conoscere? Teodoro ha contato una settantina di errori in un libro di poche centinaia di pagine, una media di errori strepitosa. Questi sono possono dunque essere catalogati come refusi frutto della distrazione, ma come l’inevitabile frutto dell’incompetenza, l’amaro risultato che si ottiene quando si vuole scrivere a proposito di una lingua che non si conosce. Tre errori possono sono refusi, settanta sono dilettantismo ed ignoranza. Inoltre non si tratta solo di accenti, spiriti e consonanti sbagliate, ma anche di errori “concettuali” a livello grammaticale, come l’inserzione di aumenti nei prefissi, e tutta una serie di fenomeni che dimostrano come gli autori maneggino parole di cui non capiscono la struttura grammaticale. E come potrebbero, non conoscendo il greco?
Quanto ad altri errori metodologici, sono quelli che si sono visti pure qui, in questa recensione, come la catalogazione dei testi di cui s’è parlato sopra, o la follia di mettersi a discettare sulla datazione dei manoscritti che riportano le fonti, come se questo fosse rilevante per il tema in oggetto, di cui ci occuperemo sotto.

CITAZIONE
“Questa è stata prontamente rivista e mandata in stampa già all’inizio di febbraio 2014, vale a dire prima della pubblicazione delle osservazioni critiche del Polidori che, come già sottolineato, non sono aggiornate. “

Può darsi che la ristampa preceda questa particolare recensione critica di Teodoro, ma non precede il disvelamento di questi errori che io e Teo facemmo nel forum infotdgeova, nella discussione “libro la Bibbia prima del dogma”, in particolare i miei interventi sono del 17 gennaio. Siamo certi infatti che autori in grado di scrivere ripetutamente kulon non si sarebbero mai accorti della mostruosità della loro disgrafia neppure se avessero riletto il libro 10 volte prima di mandarlo in stampa (cosa che tra l’altro probabilmente avevano già fatto anche per la prima edizione, ma se non si conosce il greco, come puoi trovare errori nel greco?) Se gli autori saranno così gentili da inviarmi una copia autografata della loro nuova edizione sarò lieto di fargli da correttore di bozze indicando loro gli errori che certamente avranno lasciato anche in questa seconda ristampa.

CITAZIONE
“La tabella n. 3 alle pagine 211-13 rappresenta effettivamente un nostro contributo originale in quanto non riscontrato in letteratura. Il Polidori sembra sorpreso dall’informazione presente nella sesta colonna, cioè la datazione delle copie manoscritte delle opere, per come ci sono pervenute. Valutare l’antichità e la qualità dei manoscritti disponibili non è però nulla di bizzarro: si veda a questo proposito l’osservazione del Corsani, nella sua “Introduzione al Nuovo Testamento” (1972, Editrice Claudiana) a proposito del testo del NT in confronto con altre opere dell’antichità:
Non è fuori luogo, a questo punto, un rapido confronto con la trasmissione del testo delle opere dell’antichità. L’Iliade di Omero è giunta a noi in due onciali, 188 minuscoli e 457 papiri; però, eccezion fatta per Omero e Virgilio, gli altri scritti dei classici hanno una debolissima attestazione testuale: le Storiedi Velleio Patercolo sono pervenute all’epoca moderna in un solo MS, neppure completo (fra l’altro, è anche andato perduto dopo essere stato trascritto nel XVI sec.); i primi sei libri degli Annali di Tacito sono anche pervenuti in un solo MS del IX secolo. Lo stesso può dirsi di molte opere dei primi scrittori cristiani. Un secondo punto di vantaggio del NT è che i suoi MSS datano a un’epoca relativamente molto vicina alla loro data di composizione: salvo le lettere di Paolo, che sono degli anni 50 e 60, gli altri scritti del NT risalgono all’ultimo terzo del I secolo. […] A fronte di questa situazione sta quella dei classici, ove il principale MS delle tragedie di Sofocle a noi pervenuto è stato scritto 1400 anni dopo la morte del poeta; lo stesso vale per Eschilo, Aristofane e Tucidide, mentre la distanza sale a 1600 anni per Euripide, e scende a 1300 e 1200 per Platone e Demostene.
È davvero difficile comprendere il senso del ragionamento del Polidori.”

La loro ingenuità è davvero toccante. Il brano di Corsani infatti si basa su un ragionamento esattamente inverso all’effetto che i TdG vorrebbero ottenere. Ogni volta che un autore infatti dice qualcosa che scombina i loro piani a proposito della loro fantasiosa ricostruzione della crocifissione, essi si affrettano a tentare di sminuire il valore della fonte citata, dicendo che i manoscritti che ce la tramandano sono tardi: con quale altra intenzione, ci chiediamo noi, se non quella di suggerire surrettiziamente al lettore che il brano potrebbe essere interpolato? Eppure ciò viene fatto in assenza di qualsivoglia tradizione testuale alternativa che ometta i passi in questione, e quindi, che ragione vi sarebbe di dubitare dell’autenticità dei passi senza alcun indizio contrario alla loro originalità? Che motivo di sospetto dovrebbe mai essere infatti il fatto che questi manoscritti sono medievali? Visto che la maggioranza delle opere dell’antichità a noi pervenute ci è giunta solo tramite manoscritti medievali, se dovessimo dubitare di questi passi sullo stauros per questo solo motivo, dovremmo semplicemente dubitare di tutta la letteratura greca e latina a noi pervenuta, quale che sia l’informazione che ci trasmette. E’ questo che i geovisti nel loro dilettantismo astoricista, disavvezzo all’uso delle fonti antiche, non hanno compreso, e cioè che il brano di Corsani che citano si basa su un presupposto che è esattamente opposto a quello che essi surrettiziamente vorrebbero veicolare. Il ragionamento di Corsani infatti è che se gli studiosi, come generalmente fanno, ritengono attendibili fino a prova contraria le informazioni che ci danno gli autori antichi, e che sono di attestazione medievale, allora a maggior ragione non v’è motivo di dubitare dell’affidabilità del Nuovo Testamento, che ha una tradizione manoscritta incredibilmente migliore di tutto il resto della letteratura latina e greca profana. Ma, per l’appunto, la premessa è che: siccome ci fidiamo di Tucidide per sapere come andò la Guerra del Peloponneso, pur essendo questo conservato solo su copie medievali, allora tanto più occorre fidarsi del Nuovo Testamento, che è conservato su copie quasi coeve ai testi originali.
Il punto è proprio questo: che senso ha mettersi a catalogare i manoscritti che ci danno informazioni sulla crocifissione in base alla loro antichità, nel chiaro tentativo di insinuare sospetti infondati, se per la verifica di qualsiasi altra tradizione o informazione sull’antichità avremmo a che fare con manoscritti delle medesime date? Ad esempio, che facciamo se vogliamo verificare che ai vincitori alle olimpiadi antiche si mettesse sul capo una corona di ulivo? Semplice, ci mettiamo a verificare quali sono gli autori antichi che ne parlano… E, siccome, come ci ricorda bene Corsani, pressoché tutto quello che ci è arrivato è su manoscritti di epoca medievale, ancora una volta scopriremmo che tutti gli autori che ci interessano per verificare se i campioni delle olimpiadi portassero corone d’ulivo ci sono stati tramandati da copie medievali.
Questa è la regola, e vale per il 90% di quello che c’è arrivato, fatto salvo qualche papiro che le sabbie d’Egitto ci hanno fortunosamente conservato grazie al clima secco di quel paese, e che magari ci riporta delle bucherellate righe di qualche poeta. Ma ciò sarebbe un divagare: il punto è che come ripeto qualsiasi verifica delle usanze dell’antichità che si basi sugli autori superstiti andrebbe incontro al medesimo fatto, cioè di doversi basare su copie di questi autori di epoca medievale. Dunque, in assenza di qualsiasi segno di manipolazione, ad esempio manoscritti con lezioni differenti, che cosa mai ci potrebbe fregare, al fine di indagare la crocifissione, del fatto che le copie delle commedie di Plauto sono di epoca medievale? Non ce ne frega nulla, perché vale per tutta la letteratura greca e latina, e dunque questo fatto in sé non significa assolutamente niente, non è un fattore cioè che possa indurre a sospettare alcunché circa queste fonti, a meno di non volersi mettere a sospettare tutto. Ma questo punto, vi avviso che potremmo avere dei problemi addirittura a sapere chi uccise Giulio Cesare.
La verità è che gli autori di questo libro, non so se rendendosi conto della fesseria della loro operazione o meno, volevano insinuare, facendo conoscere ai lettori la datazione medievale dei manoscritti delle opere che distruggono le loro tesi, che essi sarebbero da prendere con un surplus di spirito critico. Osate forse negare che fosse questa la vostra strategia?
Purtroppo per loro, questo modo di procedere non ha senso, perché banalmente è questo il livello di antichità delle fonti manoscritte con cui si lavora quale che sia l’argomento antico da studiare, che sia l’albero genealogico di un imperatore o per l’appunto la crocifissione, in quanto la pressoché totalità di ciò che c’è pervenuto risale alle copie su pergamena medievali. Dunque mettersi a dire davanti ad una fonte antica “premettiamo che c’è giunta su manoscritti tardi”, quando non c’è nessuna altra ragione per sospettare il testo, è semplicemente pleonastico e anzi ingenuo, oppure, se non è stato fatto con ingenuità, è indice di una strategia volta ad instillare un ingiustificato sospetto in queste fonti.

CITAZIONE
“È davvero difficile comprendere il senso del ragionamento del Polidori.”

Quello che è davvero difficile capire è chi vi abbia dato licenza di giocare a fare gli storici, ignorando la lingua e il metodo per approcciarvi alle fonti che dovreste trattare.

CITAZIONE
“ Il Polidori rivolge tutta la sua attenzione alla sola seconda parte delle conclusioni generali, probabilmente saltando la lettura dei paragrafi precedenti e attribuendo all’autore il collegamento tra Barnaba, Giustino, Tertulliano, il logos e il X platonici e la mistica religiosa del tempo. A tal riguardo è stato citato il Rahner, come anche il Grigg e il Bousset (p. 244 del nostro libro) autori che probabilmente sono sfuggiti alla revisione poco attenta del Polidori.”

Il vostro fraintendimento di Teodoro qui è totale. Egli infatti non s’è certo sognato di attribuire a Frattini come fosse sua originale la tesi che alcuni Padri della Chiesa abbiano visto nei testi platonici un richiamo alla croce, semmai ha attribuito agli autori del libercolo la tesi secondo cui l’idea dei Padri che lo stauros sia cruciforme dipenderebbe da questi influssi platonici.
Il che è esattamente quello che Frattini sostiene allorché scrive che l’idea di una croce a due braccia non deriverebbe dalla storia concreta, bensì da un’influenza mistica platoneggiante (con buona pace delle fonti scritte antiche e addirittura iconologiche con graffiti di crocifissi su muri e gemme, che invece testimoniano la nuda storicità delle croci). Scrive che la forma della croce da noi recepita: “sarebbe basata non su fonti propriamente storiche, bensì sulle visioni mistiche dello pseudo Barnaba, di Giustino e, molto più tardi, di Tertulliano, direttamente legate al logos e alla forma del X platonici (sic) oltre che al simbolismo mistico cristiano del loro ambiente” (p. 276).

Insomma, siamo vittima di visioni mistiche di autori influenzati dal platonismo, che avrebbero presumibilmente forgiato in se stessi l’idea di questa croce partendo dai testi latonici. Teo non ha detto che sia errato che questi autori si richiamano a temi platonici, bensì ha detto che è del tutto errato pensare che siano questi temi platonici ad aver determinato in questi autori l’idea che lo stauros fosse cruciforme. A che serve infatti da parte di Frattini citare Rahner o altri? Questi studiosi non sostengono ovviamente nulla di quanto egli afferma, perché il ragionamento da fare, e che infatti questi autori fanno, è l’esatto opposto: e cioè PRIMA gli autori cristiani sapevano che lo stauros era cruciforme, e poi, proprio perché sapevano che era cruciforme, sono andati alla disperata ricerca in tutti i testi pagani di profezie su questa croce, trovando tra l’altro dei paralleli tiratissimi, proprio perché non hanno inventato la croce partendo da questi testi platonici, ma, al contrario, avevano una croce in partenza ed hanno cercato disperatamente di trovarla in testi che ovviamente non la contenevano. Se gli autori in questione avessero creduto che Cristo fosse stato appeso ad un palo, banalmente si sarebbero messi a cercare disperatamente negli autori platonici allusioni a oggetti paliformi.
Questo dice Rahner, cioè che questi Padri della Chiesa, proprio perché sapevano dapprima della croce di Cristo, vi cercano anticipazioni nei pagani. Né Rahner né altri invece si sognano di sposare la ridicola tesi di Frattini secondo cui è a partire da queste fonti pagane che Barnaba abbia costruito la croce. Anche perché, diciamocelo, a nessuno sano di mente, leggendo nel Timeo del X celeste, sarebbe potuto vedere in mente di ricavarvi uno strumento di crocifissione del proprio messia. E’ solo se prima si sa che lo strumento di supplizio è cruciforme che allora, vedendo in un testo che parla di tutt’altro un oggetto incrociato, scatta in noi il collegamento mentale con la croce che avevamo previamente in testa.
Lo stesso vale per la ricerca di paralleli nell’antico testamento: perché è importante che Barnaba si sforzi di vedere una Tau nell’Antico Testamento, anche dove ovviamente non c’era? Ma perché significa che egli aveva un mente come oggetto di partenza per lo stauros un oggetto cruciforme. E non c’entra nulla il fatto che il suo collegamento ovviamente non sia un’esegesi corretta dell’Antico Testamento: ciò che conta, e che ci fa conoscere il suo pensiero sullo stauros, non è se davvero nell’Antico Testamento ci fosse un Tau celato nella numerologia; ciò che ci fa conoscere il pensiero di Barnaba sulla croce è il fatto che egli si sia sforzato di trovare questo Tau nell’Antico Testamento, indipendentemente dal fatto che avesse ragione di vedervelo o meno. Se invece avesse creduto che Gesù fosse morto su un palo, banalmente si sarebbe messo a cercare corrispondenze di altro tipo, magari sulla lettera iota (che è come la nostra I maiuscola). Ecco dunque perché occorre stare attenti a non fare ragionamenti al rovescio: non è che Barnaba si sia inventato la croce, perché ha trovato un tau nell’Antico Testamento; al contrario, ha cercato e trovato nell’Antico testamento un Tau che non c’era, proprio perché era spinto dalla volontà di rinvenire nelle scritture ebraiche tracce della croce su cui sapeva era morto il suo Signore. Ed è anche in questo punto che vediamo un’ennesima ingenuità storica del Frattini, allorché si mette a cercare di dimostrare che Barnaba errò nel vedere nell’Antico Testamento una croce, ed egli si illude che una cosa del genere sia rilevante. Ma non c’entra nulla: il fatto che Barnaba sbagli non ha nulla a che vedere col fatto che, proprio per il suo errore, noi possiamo sapere che egli credeva che Cristo morì su una croce.

CITAZIONE
“È infine doveroso rimarcare che il giudizio del Polidori sulla conclusione evita di menzionare, per motivi non spiegabili, il risultato più diretto e sostanzioso dell’esame dei testi citati, cioè l’inesistenza praticamente assoluta, nei testi analizzati, di una tecnica di crocifissione tipica “romana””

Dobbiamo a questo punto ridere o piangere? Rimandiamo gli autori dunque ad una più savia lettura delle fonti, e facciamo loro presente che l’esistenza del mos romanorum descritto degli studiosi si poteva anche ricavare a monte già da chi si limiti a descrivere la fase finale del supplizio, cioè la croce bell’e fatta. A partire da questo infatti, che ha solide attestazioni sia letterarie sia iconolografiche (il graffito del Palatino, la taberna di Pozzuoli, il crocifisso della collezione Peirere di Parigi), ci sono solo tre vie per spiegare come si sia potuti arrivare ad una croce siffatta:
1)Immaginare che il crucifer si fosse portato l’intera croce con sé e poi vi fosse stato affisso, ma questo sia i TdG che gli studiosi lo negano.
2)immaginare che si venisse direttamente appesi alla croce raffigurata in questi luoghi e descritta dagli autori, senza il previo trasporto di alcunché: ma questa idea contraddice sia quello che leggiamo nei Vangeli (e la ricostruzione che ne dà la WTS), e contraddice altri autori quali Plutarco, o Artemidoro, il quale è chiaro nel dire che “chi è appeso alla croce, prima se la porta”.
3) ultima opzione: immaginare che il crucifer si fosse portato solo il patibulum, e che poi esse venisse issato sulla croce, come vediamo sul portone di Santa Sabina.

Conclusione: a prescindere dall’esistenza o meno, che comunque è massiccia, di fonti su un uso romano precedente alla crocifissione, già la sola considerazione dell’esito finale, cioè lo stauros cruciforme descritto tanto dagli scrittori quanto raffigurato dai reperti iconografici, di per sé porta alla necessaria conclusione che si fosse arrivati a quella croce trasportando il patibulum (essendo il trasporto della croce intera escluso per comune accordo da ambo le parti per ragioni di peso, ed essendo il trasporto del solo stipes con inchiodatura ad esso escluso dall’esito cruciforme di cui parlano queste fonti).
E dunque la smettano di fare gli ingenui, con la loro paranoia ermeneutica, e non facciano finta di non capire che quando Plauto scrive: “patibulum ferat per urbem, deinde adfigatur cruci”, non sta certo dicendo che ha mollato il patibulum per terra e poi è salito su un palo. Ciò contraddice tutte le fonti, compreso l’odiato Firmico Materno che ci dice che prima di venire issati sulla croce si veniva inchiodati al patibulum “Patibulo
suffixus in crucem tollitur”.
Ve lo spiega pure Agostino il meccanismo, che qui ovviamente non cito come Padre della Chiesa, ma come persona che coi romani ci viveva e dunque sapeva di cosa parlava. Commentando un passo paolino in cui si parla della “lunghezza, larghezza, altezza e profondità dell’amore” di Cristo, Agostino vi vede un simbolo delle 4 braccia della croce, le quali, ci dice en passant, si ottengono allorché durante l’esecuzione si inchioda la traversa sul palo verticale:

“Non senza ragione quindi scelse questo genere di morte, ma solo per apparire anche in ciò maestro della larghezza, lunghezza, altezza e profondità del suo amore (Ef 3,18). La larghezza sta nella traversa che s'inchioda sopra la croce e simboleggia le opere buone, giacche su di essa vengono distese le mani. La lunghezza e nella parte che si vede dall'alto della croce sino a terra: ivi si sta per cosi dire dritti, cioè si persiste e si persevera; virtù che e attributo della longanimità. L'altezza, e nella parte della croce che, a partire dal punto dove e inchiodata la traversa, sopravanza verso l'alto, cioè verso il capo del crocifisso, poiché l'aspettativa di coloro che sperano e rivolta verso il cielo. La parte della croce che non e visibile, perche confitta nella terra non si scorge, ma da cui si eleva tutto, significa la profondita della grazia concessa gratuitamente.” (Lettere, 140, 26)

Anche qui, non vorrei ripetermi, ma visto che abbiamo a che fare con persone senza una preparazione antichistica sarà il caso di rimasticare più volte gli stessi concetti per renderli omogeneizzati digeribili . Non ha nessuna rilevanza che qui Agostino stia commentando un passo paolino vedendovi un simbolo, quello che conta è che, nel fare ciò, egli vi veda un riferimento alla croce materiale, e ci dica pure dove sta il collegamento tra simbolo e materialità concreta della croce. Il parallelo, ci dice Agostino, è che poiché la croce ha 4 braccia in virtù del fatto che la traversa viene inchiodata sul palo verticale, allora essa ha 4 dimensioni come quelle descritte nel passo paolino sull’amore di Cristo.

Tout se tient come dicono i francesi, tutto converge, come diciamo noi, ovviamente per chi non voglia accecarsi volutamente, e non abbia una tesi settaria da bottega che va difesa a tutti i costi.
Quello che vorremmo chiedere a Frattini, impegnato vanamente a contendere cogli accademici che scrivono i dizionari antichistica a proposito del mos romanorum della crocifissione, è in quali fonti egli invece abbia rivenuto la tipologia di procedura che i Testimoni di Geova ricostruiscono per la morte di Cristo, la quale sarebbe un unicum assoluto. Ed in particolare, in quali testi abbiano mai tratto queste informazioni:
1)Esiste un solo testo da cui sia lecito trarre che il legno portato dal crucifer fosse inequivocabilmente quello verticale? Giacché i testi non ambigui, parlano tutti di quello orizzontale, e dunque i testi ambigui vanno letti alla luce di questi altri chiari.
2)Esiste un solo testo in cui si dica che il legno verticale portato, fosse poi piantato in loco, con grande dispendio di mezzi e tempo?
3)Esiste un solo testo che dica che il legno verticale che si era portato, è quello a cui si veniva poi inchiodati?

Ecco, io vorrei che voi, amici lettori, non cadeste nel solito giochetto dei TdG, i quali amano limitarsi a tentare, vanamente, di distruggere le prove altrui, ma poi non portano niente a sostegno della loro ipotesi invece. Si limitano cioè alla pars destruens della tesi altrui, senza avere alcuna pars construens che suffraghi in positivo le loro ricostruzioni.
Invece di combattere lo stauros cruciforme e il mos romanorum che lo produceva, i quali hanno testimonianze letterarie profane, patristiche, epigrafiche, glittiche, e archeologiche in generale, inizino a spiegarci Arduini&Co. dove sarebbe attestata altrove in letteratura la stramba ricostruzione che la loro conventicola dà della morte di Cristo.
Ho terminato la mia contro-recensione della contro-recensione, limitatamente alla parte del libro sulla crocifissione che, come ripeto, è una delle poche che ho letto; spero però che si sia ricavato a sufficienza da questo prelievo a campione quello che volevo trasmettere, cioè che abbiamo a che fare con persone non abituate a lavorare coi testi antichi, e per forza di cose dunque soggette a ragionamenti campati per aria, oltre a incomprensioni della lingua in cui queste fonti ci sono pervenute. Ab uno disce omnis.

Ad maiora

Edited by Polymetis - 18/3/2014, 16:44
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