Studi sul Cristianesimo Primitivo

Posts written by -Waylander-

view post Posted: 2/2/2012, 10:43     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 2/2/2012, 03:22) 
Way, non sono sicuro di riuscire a capire davvero il tuo discorso (ma non è colpa del maldidenti lancinante, anzi, tanto di cappello per un post del genere scritto in quelle condizioni).
Per me non c'è semplicemente nulla oltre la mappa. Il Gesù storico e il suo movimento sono un quadrante della mappa "Giudaismo in terra d'Israele nel I sec. ev", che è la mappa che noi stessi disegniamo di un territorio perduto e irraggiungibile.
Io sono d'accordo che dobbiamo cercare la particolarità, l'originalità, la distintività, la differenza di Gesù. Ma questa differenza per me si articola solo in relazione ad altri quadranti della mappa, e non alla mappa stessa (*eccetto che in un particolare senso, su cui vedi sotto):
dunque particolarità, originalità, differenza nel giudaismo, e non rispetto al giudaismo.

ma non c'è differenza tra le due cose. Quando Gesù rielabora elementi del giudaismo fa un atto creativo, quando vuole restaurare l'autentica fede di israele fa un atto creativo e questo lo pone sia dentro che fuori del giudaismo poiché quello di Gesù non è solo un altro giudaismo ma è un giudaismo che è andato oltre se stesso, modificandosi. Le "rotture interne" sono sempre generative di "eccedenze", di uscite da ciò che era prima per creare ciò che è dopo. Questo vale per ogni processo storico. Una cultura (e qui mi permetto di usare questo termine) che non trascendesse se stessa, che non fosse continuamente diversa da se stessa, che non uscisse continuamente da se stessa per esplorare nuovi territori (ed eventualmente acquisirli), non solo sarebbe una cultura morta ma non sarebbe neppure una cultura, poiché sarebbe la negazione stessa del divenire storico. La storia è un continuum di cambiamenti più o meno rapidi piuttosto che di salti, un dispiegarsi di ciò che è prima piuttosto che di voli pindarici. Eppure questa traslazione, questa differenza è qualcosa di altro rispetto a ciò che era prima. Io, a ben vedere, non sto dicendo qualcosa di diverso da te, lo leggo solamente in una chiave trasformativa per cui niente è uguale a ciò che era prima, niente può coincidere con ciò che era prima. Niente manda in tilt la mappa, per riprendere una tua immagine, semplicemente la aggiorna con le nuove modifiche, così che si ha di fatto una mappa differente: una mappa differente è qualcosa che sta fuori dell'insieme "mappe sinora esistenti" e che definivano operativamente e tassonomicamente tale insieme, pur rimanendo una mappa che descrive lo stesso territorio. I discepoli di Gesù, quando lo vedono risorto o hanno altri tipi di SMC, poco importa se sia vero o fossero fatti di amanita muscaria, divengono parte di questo cambiamento, recuperano nei loro ricordi questa "differenza", la rileggono, la reinterpretano, la ricreano così che essi stessi modificano e ricreano quel giudaismo di cui fanno parte ma che tuttavia in questo loro atto creativo continuamente trascendono. Il cristianesimo è un continuo atto di creazione/trasformazione che dura sino ai giorni nostri (cosa che rende del tutto velleitaria qualsiasi pretesa di ritorno alle origini) e che ha avuto origine nell'originalità di questo bizzarro predicatore errante che aveva una curiosa concezione di se stesso, tanto che credo si possa dire con Segal che il cristianesimo assieme al rabbinismo è erede del giudaismo antico (A.F. Segal: Rebecca's Children. Judaism and Christianity in the Roman World; Harvard University Press 1986). Giacché possiamo discutere a lungo se le differenze peculiari del cristianesimo lo pongono effettivamente fuori dal giudaismo in quanto tale o non solamente fuori da un determinato tipo di giudaismo.

P.S. Aspetto con piacere una tua opinione su Le Donne, che, preciso, è stato semplicemente uno stimolo per alcune mie previe riflessioni, tuttora in fase gestazionale.
view post Posted: 1/2/2012, 15:14     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 31/1/2012, 03:48) 
Caro Way, ...

Carissimo JW, purtroppo un mal di denti lancinante mi impedisce di essere lucido e anzi temo che se continua così sperimenterò di persona quei SMC sperimentati dai seguaci del Maestro dopo la resurrezione, così saprò dirvi di persona :651.gif:
Però una risposta seppur breve te la devo, per chiarire la mia posizione, anche perchè sono fortunato, infatti

CITAZIONE
"E ora aspettiamo il secondo tempo!"

tu stesso hai svolto questo compito per me. Concordo infatti con te in tantissimi punti e per quelli in cui non concordo, in particolar modo per una critica a Hurtado - Casey lo lascio fuori, rimandando alla critica dello stesso Hurtado - rimando a momenti di maggior lucidità.

Quello che era mio intenzione evidenziare nel mio ultimo post non è tanto la vaghezza e la vacuità del paradigma giudaismo o giudaismi (dici bene che le cose non cambiano poi tanto) o la loro staticità, ma sottolineare come si tratti di un piano puramente astrattivo. E per questo non c'è nulla di male, noi conosciamo per astrazione, è un momento ineludibile del processo cognitivo che non sia pura intuizione. Tuttavia io, nel citare il Menicocci intendevo affermare che il giudaismo di Gesù e Gesù stesso sono due piani storici distinti che non possono essere sovrapposti. Non c'è, perchè non ci può essere, identità tra Gesù e il giudaismo, sia perchè le identità non esistono nella storia sia perchè la differenza di piano implica uno scarto, scarto che è esattamente l'eccedenza, la particolarità, l'originalità, la differenza - puoi usare i termini che vuoi, rischiamo di finire in semantica - di Gesù rispetto all'ebraismo a lui coevo. Affermare che Gesù eccede o è diverso rispetto al giudaismo del suo tempo, non è negarne l'ebraicità ma storicizzarla ulteriormente, passare cioè ad un piano storico ulteriore e più profondo, dove si individuano quelle caratteristiche e particolarità che rendono un fenomeno storico unico. In questo senso l'eccedenza di Gesù rispetto al giudaismo è assiomatica. Si può non riuscire a individuarla, ma non si può non presupporla. Capisco perfettamente la tua reticenza in questo senso, tanto che crei addirittura un ulteriore piano astrattivo intermedio, la "mappa delle differenze" nella quale inserire la differenza di Gesù, come se la cosa fosse meno astratta e più descrittiva rispetto ai precedenti "giudaismi". Dicevo reticenza, perchè è ben chiaro anche a me il rischio che in questa ulteriore storicizzazione uno finisca per trovare esattamente ciò che cercava, ovvero una cripto-cristologia prepasquale più o meno elevata che salvi (come se ce ne fosse bisogno!) il dato teologico. Ritengo tuttavia che questo sia un rischio che si deve correre se si vuole storicizzare ulteriormente la figura di Gesù. Tanto è vero che implicitamente lo fai anche tu, come del resto tutti i cercatori delle varie quest, consapevole che il mero piano del giudaismo non è sufficiente.
Per riprendere allora la tua espressione sulla "mappa delle differenze" in modo da sfruttarla per provare a chiarire ulteriormente la mia posizione, mi rifaccio a un'immagine ancora una volta di Jonathan Z. Smith (che a sua volta la riprende da una celebre frase del 1931 del filosofo Alfred Korzybski):

“map is not territory”
(cf. J.Z. SMITH: Map is not territory. Studies in the History of Religions; University of Chicago Press 1993)

Questo sembra per certi versi intuitivo, ed ha vari utilizzi, nel nostro caso serve a indicare che tra un oggetto e la sua rappresentazione vi è necessariamente uno scarto ed è questo scarto che è significativo ai fini della ricerca storica: la mappa ci dice del territorio, ci permette di vederlo e rappresentarlo nel suo insieme, di astrarlo persino nella nostra mente, ma questo ha un costo, la perdita del dettaglio, al quale si rinuncia per altri vantaggi, ad esempio riuscire a vedere il territorio nel suo insieme in modo da individuare meglio una sua parte. Nel nostro caso specifico la mappa è il giudaismo coevo a Gesù e Gesù è una parte del territorio identificato su tale mappa. La mappa non può coincidere con il territorio perché o il territorio diviene pura astrazione oppure la mappa diviene territorio e quindi del tutto inutile ai fini della conoscenza. La cosa è stata espressa da Borges nel suo celebre “Del rigore della scienza”:

"In quell'impero, l'Arte della Cartografia raggiunse una tale Perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una Città e la mappa dell'Impero tutta una Provincia. Col tempo codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una mappa dell'Impero che uguagliava in grandezza l'Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo studio della cartografia, le Generazioni Successive compresero che quella vasta Mappa era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacere rovine della mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il paese non è altra reliquia delle Discipline Geografiche. (Suarez Miranda, Viaggi di uomini prudenti, libro quarto, cap. XLV, Lérida, 1658)"
(J.L. BORGES: L'artefice ; Mondadori, Vol. 1, p. 1253)

Va dunque anche bene affermare se si vuole che Gesù è completamente nel giudaismo purché si abbia chiaro che questa è solo una formula e che una simile affermazione è solamente la mappa sulla quale individuare la località Gesù per poterci arrivare. Se pensiamo che la mappa sia Gesù a tale Gesù non arriviamo mai, poiché rinunciamo a quello scarto tra i livelli che solo ci permette di arrivare a una realtà, quella del Gesù storico, che è certamente a sua volta descrittiva e astratta, ma a un livello storico maggiore. E’ questo scarto dal modello astratto primario, questo scarto tra i piani, che rappresenta e racchiude l’unicità, l’eccedenza o se preferisci la differenza tra Gesù e il mondo che lo circonda. Puoi scegliere il termine che preferisci. La “differenza”, termine che tu sembri preferire, forse perché meno minaccioso di una lettura teologica, mi indica comunque una devianza, una traslazione, uno scarto e quindi uno spostamento, ciò che era prima non è più, adesso è altro, un altro che ovviamente non può essere totalmente altro, pena l’incomunicabilità e totale estraneità fra i due, ma che non è neppure identico a ciò che era - e questo vale ovviamente anche per il rapporto tra il Gesù pre-pasquale e quello post-pasquale. Possiamo pertanto dire che non solo Gesù non è il giudaismo ma anche che è altro dal giudaismo, perché si muove su un piano differente. Ma allora il problema è: i discepoli di Gesù, quelli che lo hanno seguito per le strade della Galilea e della Giudea, quelli che non si sono dispersi dopo la sua crocefissione ma hanno sperimentato visioni e rivelazioni, su quale piano si pongono nei confronti del loro maestro? Sul piano del giudaismo o non piuttosto sul piano del Gesù dal loro vissuto e ricordato, del Gesù come unicum diverso dal giudaismo, seppure il giudaismo rimane ovviamente la cornice generale, l’immaginario, attraverso il quale e nel quale essi lo comprendono? Mi sembra evidente che le esperienze post-pasquali afferiscono al Gesù del piano particolare piuttosto che a quello generale e astratto del giudaismo.
Mi fermo qui sia perchè spero di essermi spiegato meglio, sia perché questo farà parte, se ne avrò il tempo e se il mal di denti mi darà tregua, della mia critica alla posizione di Hurtado, che pure condivido in tanti aspetti (quasi tutti).
Rinuncio altresì per il momento, per cause di forza maggiore, a specificare meglio la mia posizione sul metodo storico-critico che non rinnego affatto, semmai cerco di comprenderne più chiaramente i limiti così da poterlo usare più efficacemente. Ma davvero adesso devo mollare e andare a drogarmi col Brufen :35.gif:
view post Posted: 31/1/2012, 01:41     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 26/1/2012, 01:34) 
Way, anzitutto...

Caro JW, eccomi, seppur in ritardo, cosa di cui mi scuso, a tentare un abbozzo di risposta alle tue argomentazioni davvero ben elaborate ed esposte, ma del resto non mi aspetto nulla di meno da te. Devo dire tuttavia che in fondo mi lasciano un pochino perplesso, il che mi costringe a fare un passo indietro e provare a impostare come prima cosa alcuni capisaldi generali e metodologici, così che questo mia risposta sarà suddivisa in due parti. Non so tuttavia se riuscirò a includere ambedue queste parti o se dovrò differire la seconda parte per motivi di mancanza di tempo.

La questione oggetto di questa discussione mi sembra si divida in due: a) esiste ed è individuabile una "eccedenza" di Gesù rispetto al giudaismo al lui coevo? b) è questa eventuale eccedenza a determinare o quantomeno indirizzare la nascita delle prime comunità cristiane e di una cristologia che potremmo definire prima media (messianicità) e poi alta (divinità o comunque condivisione di attributi divini)? Oppure tale processo avviene totalmente o quasi totalmente a prescindere dagli insegnamenti e dall'operato del maestro di Galilea?

La seconda parte è in qualche modo conseguenza della prima e di come essa viene impostata. E allora vediamo impostarla in maniera a mio avviso più precisa, cominciando a problematizzare la definizione di cultura giudaica e di giudaismo. Se il termine cultura è creazione dell'illuminismo tedesco, in particolare di Herder, così che esso appare come una imposizione del tutto moderna, con una serie di precomprensioni che di fatto distorcono la prospettiva sino a rendere inutilizzabile in maniera non ambigua tale lemma, con il termine giudaismo, ma anche ebraismo, che invece troviamo già nel secondo libro dei Maccabei, in realtà non siamo messi molto meglio. Qual'è infatti la definizione di giudaismo applicabile alla prima metà del I secolo d.C.? Quali sono i suoi elementi caratteristici e imprescindibili, che cosa ne fa parte e cosa no? Quali sono insomma suoi limiti? L'importanza di riuscire a fare una simile operazione risulta immediatamente evidente: non è possibile prospettare univocamente l'appartenenza di qualcosa a qualcos'altro se non si è in grado di definire, ovvero delimitare, questo qualcos'altro. Diviene un'operazione puramente verbale e assai poco descrittiva di contenuti. Orbene, definire il giudaismo non è affatto semplice e mi sembra che tutt'ora sia una questione aperta, che ha visto proposte diverse soluzioni, da quella del Sanders a quella di Dunn, da Casey a Stegemann, tutte a mio avviso insoddisfacenti, questo perchè non esiste, sempre a mio modestissimo avviso, un common judaism, se non esprimibile in termini molto vaghi e quindi relativamente inutili ai fini della nostra questione:

"Jewish identity in antiquity was elusive and uncertain for two simple reasons. First, there was no single or simple definition of Jew in antiquity... . Second, there were few mechanisms in antiquity that would have provided empirical or 'objective' criteria by which to determine who was 'really' a Jew and who was not. Jewishness was a subjective identity, constructed by the individual..., other Jews, other gentiles, and the state"
(S. COHEN: The Beginnings of Jewishness. Boundaries, Varieties, Uncertainties; University of California Press 1999, p. 3)

La difficoltà a stabilire un'identità ebraica ha come diretta conseguenza la difficoltà a stabilire un giudaismo in quanto tale: ambedue infatti sono costruzioni immaginarie a cui si cerca di dare una pratica, sono percezioni o al massimo convenzioni sociali, sempre mobili peraltro, piuttosto che evidenze fattuali.
Chi è dentro e chi è fuori allora è una questione che dipende dai parametri, del tutto variabili e arbitrari che uno decide di adottare, allora come oggi:

"As much recent scholarship has shown, the question of who is a Jew and how one maintains Jewishness in antiquity is not a simple issue. There were some in antiquity who spoke as if Jewishness was a clearly definable entity. Such statements, however, were ideological pronouncements designed to enforce particular ideas about identity; they were not reflections of the reality on the ground, which remained complex, vague, and strongly debated. A wide range of practices, associations, beliefs, and social and ethnic groupings could factor into the claim that one did or did not maintain Jewish identity"
(E.K. BROADHEAD: Jewish Ways of Following Jesus. Redrawing the Religious Map of Antiquity; Mohr Siebeck 2010, p. 57)

Non è infatti un caso che noi registriamo una serie relativamente vasta di giudaismi spesso in competizione fra loro, che continuamente si rinfacciano la fedeltà o meno a un presunta quanto evanescente originaria giudaità (aaaargh!), che assumono posizioni teologiche assai variegate coprendo posizioni assai differenti e difficilmente compatibili e riducibili a un'unità. Insoma è uno scenario variegato e mobile, quello del giudaismo del primo seoclo, che si rifiuta di farsi ingabbiare in definizioni tipologiche. In questa situazione allora, non solo l'affermazione che Gesù appartiene totalmente alla cultura ebraica o al giudaismo del suo tempo diviene semplicemente una formula dai contenuti molto vaghi, ma sorge il problema inverso: che cosa significa essere eccedenti il giudaismo? Che cosa doveva fare o dire Gesù per essere eccedente rispetto a una compagine così variegata di diverse credenze? E' ovvio che più un insieme diviene vago e dai limiti indefiniti più diviene difficile parlare di una estraneità di una sua presunta parte, giacchè dovunque la si collochi tali limiti indefiniti diventano conglobanti. Eppure dobbiamo rispondere a questa domanda per dare un senso alla nostra discussione.
Credo allora che l'unico modo che avesse Gesù per eccedere il giudaismo a lui coevo, per andare oltre una mera ebraicità nullificante, era o di andare in giro dichiarandosi figlio di Giove Ammone e Nut, venuto a spezzare la ruota del karma per le anime reincarnate attraverso l'anticipazione del Ragnarok, ma la vedo difficile, oppure di elaborare una visione personale del giudaismo e del suo personale ruolo all'interno di esso attraverso una personale coniugazione di singoli elementi appartenenti all'immaginario e alla tradizione giudaici. Allora il termine eccedenza va inteso non come rottura radicale che colloca Gesù in una atemporalità aculturale e antistorica ma come originalità, come volontà di riformare più o meno radicalmente la società e la pratica devozionale del suo tempo. Tuttavia ai fini della nostra discussione bisogna tenere ben presente che una riforma è sempre una forma di rifondazione e tale rifondazione in realtà è sempre un superamento delle forme esistenti giacchè un ritorno sic et simpliciter a una immaginaria purezza delle origini è storicamente impossibile e priva di senso. Imporre o proporre una nuova visione dei rapporti sociali e cultuali all'interno del giudaismo, seppur in ambito escatologico, significava di fatto trascenderlo per farlo diventare qualcosa d'altro, qualcosa che si può pur sempre chiamare giudaismo, tra l'altro proprio a causa di quei contorni vaghi di cui sopra, ma che è qualcosa di diverso rispetto al punto di partenza originario. Vi è insomma una traslazione tra ciò che è prima e ciò che è o sarà dopo. Del resto le religioni non sono fisse, esse mutano costantemente anche quando si richiamano a tradizioni antiche:

“Rather than seeing religion as a static and strictly conservative force, we should see it as a dynamic and basically adaptive one. The dynamics of religion, as of all culture, may reproduce the ideas, moods, relationships, and institutions that produced it. However, for various reasons, religion is often unable or unwilling to do so. Contact with or outside interference from another society or religion may make it impossible or undesirable to reproduce the old systems. Changing social, technical, or even environmental circumstances may alter the practices, and the simple passing of generations may bring new ideas or new interpretations of old ideas… Even “traditional” religions were dynamic, and we cannot take any particular moment of such religions as the “true” or “traditional” one... In religion specifically and culture generally, the two most basic change processes are innovation and diffusion. In the former, an individual or group within the society invents or discovers some new idea, object, or practice—in the case of religion, a new entity to believe in, a new myth to tell, a new symbol to use, a new ritual to perform, etc. In the latter, an idea, object, or practice from another society is introduced into the first society, which entails further cultural processes such as contact, migration, intermarriage, invasion, or conquest. Whichever is the ultimate source of novelty, the course of change only begins with the appearance of the new item, as we will see below. We can be considerably more precise about the forms and outcomes of religious and cultural change. The result may be addition of an item to the preexisting repertoire. Evans-Pritchard comments, for instance, that several aspects of Nuer religion appeared to come from outside Nuer society, specifically from their Dinka neighbors. The kwoth nhial or “spirits of the air,” according to informants, “had all ‘fallen’ into foreign lands and had only recently entered into Nuerland and become known to them” (Evans-Pritchard 1956: 29). Beliefs about totems, nature sprites, and fetishes were also often attributed to the Dinka. Conversely, deletion may occur when an item is dropped from the repertoire, as when a society stops performing a certain ritual. Often, a reinterpretation of previous beliefs and practices takes place, with old forms given new meaning; this can occur due to changing social circumstances and experiences or the mere passing of the generations, new members bringing new perspectives. Other outcomes, or perhaps versions of the reinterpretation, include elaboration, in which a preexisting notion or practice is extended and developed, sometimes in quite unprecedented directions; simplification, in which a preexisting notion or practice is trimmed of detail or sophistication; and purification, in which members attempt to purge (from their point of view) false or foreign elements and to return to the “real” or “pure” form”.
(J.D. ELLER: Introducing Anthropology of Religion. Culture to the Ultimate; Routledge 2007, p. 161-162)

Ancora una volta allora ripropongo il caso di Lutero, che mi sembra significativo in questo ambito, per chiarire ulteriormente la mia posizione. E' discutibile che Lutero volesse abolire il cattolicesimo, molto più probabilmente egli desiderava riformarlo e riportarlo allo stato di grazia (peraltro del tutto immaginario) del periodo apostolico, quando l'idolatria e l'apostasia non erano ancora entrati nel corpo ecclesiale. Non vi è dubbio che Lutero fosse un cattolico di area tedesca e come tale ne avesse assorbito la cultura e gli immaginari. E tuttavia questa sua azione, che per certi versi è del tutto cattolica, ha avuto effetti dirompenti finendo per polarizzare la comunità cristiana dell'epoca attorno alla sua figura e finendo per porlo al di fuori della cattolicità, al di là delle sue effettive intenzioni e di quello che aveva scritto nelle sue Tesi, molte delle quali peraltro erano sottoscrivibili all'epoca così come oggi da parte cattolica. Tuttavia egli fu percepito quasi subito come un eretico, un corpo estraneo irriducibile alla cattolicità, sebbene la distanza che in quegli anni separava un protestante da un cattolico era probabilmente minore di quella che separava un esseno da un sadduceo. Allo stesso modo Gesù, pur muovendosi all'interno degli immaginari giudaici dell'epoca, finì, in realtà probabilmente abbastanza presto, per essere considerato un corpo estraneo da alcuni gruppi e fazioni non marginali, che sentivano lui e la sua predicazione come incompatibili e irriducibili alla loro interpretazione di cosa fosse giudaico e lecito, ma su questo tornerò nella seconda parte della mia esposizione. E' sufficiente per adesso, mi sembra, aver tratteggiato questa analogia situazionale per chiarificare cosa si debba intendere per eccedenza di Gesù rispetto al giudaismo del suo tempo. Sempre nella seconda parte cercherò di riempire di contenuti questa “eccedenza”.

Quanto esposto sinora non è l'unico problema nella pretesa di un Gesù totalmente immerso nel giudaismo del suo tempo. Un altro problema deriva dal metodo utilizzato per giungere ad una simile conclusione. Tale metodo è, e mi sembra evidente, un metodo comparativo, cioè un metodo che mette a confronto quanto si ritiene sia gesuano con quanto si individua come giudaico. E sino a qui va bene, un'appartenenza culturale, sociale ecc. si individua appunto tramite una comparazione dei dati in nostro possesso. Tuttavia la questione gesuana appartiene all'ambito generale della Religionswissenschaft, la scienza o storia delle religioni, che sin da subito ha usato il metodo comparativo (cf. E.J. SHARPE: Comparative Religion. A History; 2a ed., Duckworth 2009) ma si è anche dovuta confrontare con le problematicità di tale metodo (cf G.FILORAMO: Comparativismo e storia delle religioni. Un rapporto difficile; Humanitas 52 (1997), Vol. 2, pp. 510-527), in particolare il rischio della creazione del tutto arbitraria di identità, la confusione tra i livelli di realtà e tra il piano fenomenologico e quello reale, nonchè il rischio di una astrazione fine a se stessa attraverso la creazione di modelli tipologici che non trovano corrispondenza nei dati culturali e storici effettivi, tanto che la critica contemporanea e soprattutto postmodernista, allergica a ogni metanarrativa essenzialista, ha destrutturato il comparativismo positivista e tipologico, così come quello fenomenologico, mettendolo in crisi, destrutturazione che si racchiude nella celebra frase di Jonathan Z. Smith: "in comparison a magic dwells" (J.Z. SMITH: Imagining Religion. From Babylon to Jonestown; University of Chicago Press 1982, pp. 19-35; ristampato come J.Z. SMITH: In comparison a magic dwells in K.C. PATTON, B.C. RAY (eds): A Magic Still Dwells. Comparative Religion in the Postmodern Age; University of California Press 2000, pp. 23-44), a indicare che la comparazione è sempre un atto creativo nell’istaurazione di rapporti e analogie. Lo stesso Smith peraltro non è giunto al rifiuto totale della comparazione ma piuttosto a una sua formulazione più estesa all’interno di una teoria storico-culturale e cognitiva della religione nella quale le differenze tra gli oggetti comparati risultano parimenti se non più significanti delle analogie:
“it is the category of the different that marks [a theoretical] advance”
(J.Z. SMITH: The End of Comparison in K.C. PATTON, B.C. RAY (eds): A Magic Still Dwells. Comparative Religion in the Postmodern Age; University of California Press 2000, p. 240).

E ancora:
“It is axiomatic that comparison is never a matter of identity. Comparison requires the acceptance of difference as the grounds of its being interesting, and a methodical manipulation of that difference to achieve some stated cognitive end. The questions of comparison are questions of judgment with respect to difference: What differences are to be maintained in the interests of comparative inquiry? What differences can be defensibly relaxed and relativized in light of the intellectual tasks at hand?”
(J.Z. SMITH: To Take Place. Toward Theory in Ritual; CSHJ, University of Chicago Press 1987, pp. 13–14)

Inutile dire quanto importante sia stata la riflessione metodologica di Smith nel campo della storia delle religioni e come essa sia un dato generalmente acquisito e condiviso:

“In una prospettiva storica , infatti, l’oggetto della ricerca non è l’elemento generale, ciò che è comune a tutti, bensì l’elemento particolare, la diversità, il fatto incomparabile. Il comparativismo storico trova la sua funzione precisamente nella valutazione di questi fatti incomparabili. Il modello fenomenologico (nel nostro caso il giudaismo – N.d.W.), astratto, viene utilizzato nel comparativismo storico come pietra di paragone per identificare, in una cultura, ciò che differisce dal modello stesso. Questo elemento, difforme rispetto al modello, diviene, proprio in virtù della sua difformità e particolarità l’oggetto della ricerca storica. Il modello fenomenologico vale pertanto come ipotesi di ricerca, come punto di partenza per orientare la ricerca storica nella ricerca delle particolarità… […]… La tipologia… è dunque solo il punto di partenza, e lo scopo della ricerca storica è proprio quello di scovare quanto sia irriducibile alla tipologia stessa, di vanificare ogni tipologia. La storicizzazione, secondo il metodo del comparativismo storico, contiene e presuppone un confronto tra fatti apparentemente simili. Ma ogni confronto è fatto in direzione di una storicizzazione ancora più spinta. In questo lavoro il comparativismo storico ha una funzione critica devastante sulle vecchie oggettivazioni e categorizzazione della fenomenologia religiosa…”
(M. MENICOCCI: Antropologia delle religioni. Introduzione alla storia culturale delle religioni; Altravista 2008, pp. 21-23)

Mi permetto allora di concludere con le parole del Filoramo precedentemente citato, poiché a mio avviso particolarmente significative per il caso che stiamo esaminando:
“La comparazione, anche quella storico-religiosa, è per definizione, come si ricordava all’inizio, una medaglia a due facce; per avere, di conseguenza, realmente corso, essa deve essere assunta nella sua complessità di confronto che mira a mettere in luce somiglianze e, nel contempo, differenze: dove quell’ ‘e’, appunto, non disgiunge ma congiunge i due momenti del procedimento cognitivo”.
(FILORAMO: art. cit., p. 516)

Riportando il tutto alla questione di un Gesù totalmente immerso nel giudaismo del suo tempo, si evince chiaramente che non solo non è possibile darsi una semplice identità come quella proposta, ma che proprio la ricerca e l’individuazione dell’eccedenza, della particolarità di Gesù è momento costitutivo del processo comparativo e quindi dell’indagine storica se essa vuole essere veramente esaustiva senza adagiarsi su modelli tanto astratti quanto precostituiti e in definitiva inutili a definire e illustrare effettivamente il fenomeno. Si da dunque come necessità stessa dell’analisi storica una diversità, una particolarità, una eccedenza di Gesù rispetto all’ambiente circostante. Il fatto che per noi questa particolarità sia di difficile individuazione non significa che essa non esista soprattutto che non vada presupposta e ricercata. Insomma, abbiamo trovato, ed è buona cosa, il Gesù ebreo, ma abbiamo perso il Gesù persona.

Pur essendomi dilungato sin troppo, e chiedo scusa di questo, mi preme aggiungere un altro paio di punti a questa mia prima parte.

Il primo è relativo al come la storia, gli eventi e il loro significato, viene trasmessa, recepita e rielaborata. Tu infatti mi ricordavi che “la memoria sociale è creativa oltre che conservativa”. Inutile dire che concordo, cosa del resto che mi sembrava evidente già nel mio intervento. Non è mia intenzione fare un trattato di metodologia storica, tuttavia voglio precisare che questa creatività, nei processi relativamente controllati come quelli che avvengono nelle società orali, non è una mina vagante ma segue delle preimpostazioni e dei binari così che è possibile rintracciare una continuità non solo negli avvenimenti ma anche e soprattutto nelle interpretazioni, giacchè, come ricorda il Pareyson in Verità e interpretazione, non esiste conoscenza senza interpretazione e dunque non si ha accesso a nessuna realtà storica, noi o gli evangelisti non fa differenza, se non attraverso qualche forma di interpretazione. Se questo è vero allora l’interpretazione degli evangelisti rimanda al Gesù della storia, la loro teologia non ce lo nasconde ma allo stesso tempo da una parte lo vela e dall’altra lo rivela, sia nella scelta di cosa tramandare sia nel modo che nella forma:

“Contemporary historians recognize that the gospel writers theologize events, that they construe Jesus typologically, and that they interpret the events in his life in terms of this scriptural text or that jewish theologoumenon. None of this, however, entails that we cannot learn about Jesus of Nazareth from them. Within an ancient Jewish context, memories of Jesus had to be theologized, construed typologically, and interpreted in the light of religious tradition. Otherwise he would have been forgotten. Thus typology is not just a literary device but a strategy of memory. Beyond that, Jesus and those who knew him must also, whiie he was yet alive, have construed his ministry within a religious narrative framework, which surely ups the odds that many of the interpretive strategies of the post-Easter period go back to the pre-Easter period”
(D.C. ALLISON: Foreword in A. LE DONNE: Historical Jesus. What can we know and how can we know it?; Eerdmans 2011, p. X)

Questo porta all’ultimo punto che intendo sottolineare: guardo sempre con sospetto quella Redaktionkritik per la quale tutto ciò che è teologico non è storico e che sviscerando il testo evangelico a mo’ di patologo forense pretende di individuare passi o brani autentici da separare da quelli non autentici. Io credo invece che i vangeli siano tutti autentici, giacchè sono, dall’inizio alla fine, interpretazione, e in quanto tali essi rimandano, nell’unico modo loro possibile, e per loro significativo, al Gesù della storia. I vangeli sono infatti fortemente interessati al Gesù della storia, che ovviamente essi non distinguono dal Gesù percepito, perché è nel Gesù della storia, nella persona in carne ed ossa ad esempio che le esperienze di rivelazione si mostrano vere soggettivamente e oggettivamente. Senza il Gesù della storia tali apparizioni o visioni fluttuerebbero in una atemporalità e insignificanza sconcertante sia per i “testimoni” diretti che per coloro che li ascoltavano che infine per gli agiografi. E allora risulta evidente che non sono d’accordo con te quando ad esempio sembri scartare la cacciata di Gesù da Nazareth o l’accusa di essersi fatto Dio come prodotti della teologia. Io vi vedo invece un tentativo di interpretare la situazione vissuta dalla comunità attraverso quanto accaduto al fondatore in un processo emulativo-esplicativo che è tipico dei movimenti religiosi, che leggono la propria attualità e le proprie problematiche alla luce del fondatore carismatico che ha informato la comunità. Per fare questo essi non inventano i fatti, giacchè sarebbe una rottura con l’evento madre, ma li rileggono alla luce della propria comprensione. Quando Giovannni dice che i giudei vogliono lapidare Gesù (Gv 10,33) può dirlo perché da una parte ha memoria di questo evento e dall’altra può dargli un significato poiché Giovanni “sa” che Gesù è Dio e dunque interpreta in tal senso la reazione di costoro, che è probabile da parte loro abbiano intravisto nelle parole o nelle azioni di Gesù una blasfemia da punire con la morte. Allo stesso modo ad esempio non concordo con Meier secondo il quale di Mc 7,1-23, ovvero la discussione di Gesù con i farisei sulla purità rituale, “nulla risale al Gesù storico”
(J.P. Meier: Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 4, Legge e amore; Queriniana 2009, p. 467), trovando molto più convincente la tesi di Crossley secondo cui Gesù non abolisce le leggi alimentari ma contesta ai farisei di accumulare divieti e proibizioni, le “tradizioni degli antichi”, con i quali si stravolge il senso della Torah dopo essersene appropriati, critica che è in linea con altre accuse di Gesù ai farisei (cf. J: CROSSLEY: The Date of Mark Gospel. Insight from the Law in Earliest Christianity; T&T Clark 2004, p. 183 e ss.).
Il fatto che gli evangelisti, ma anche Paolo, tendano a non inventare, è dimostrato anche dal fatto che in altre occasioni quando sarebbe loro stato utile si astengono dal farlo se non possono ricollegare determinate scelte e situazioni a quanto detto e fatto da Gesù: la loro discriminante sembra essere infatti proprio questa, la necessità di ancorare il presente nel passato reale o conosciuto come tale del loro maestro, come è tipico di questi movimenti. Questo è allo stesso tempo un processo conservativo, relazionale e creativo.

Infine permettimi un’ultima chiosa su questa tua frase: “Senza le esperienze di rivelazione successive quei due o tre ricordi non sarebbero stati il germe di nulla, ma solo la memoria della preghiera di un ebreo carismatico”. Concordo pienamente. Anzi, forse non ci sarebbe stata neppure questa memoria se non forse nei primi tempi. Il punto è che questo sarebbe avvenuto più o meno ugualmente se Gesù fosse andato in giro con addosso un cartello con la scritta “sono il Messia e YHWH, adoratemi” o se avesse detto a tutti apertamente che si sentiva il Figlio del Padre mandato a redimere il mondo dai suoi peccati in quanto quasi-Dio lui stesso. Nel senso che la crocefissione ha spazzato via inevitabilmente un sacco di pretese e comprensioni e speranze. Difficilmente il movimento di Gesù sarebbe continuato. Il Battista almeno era morto gloriosamente come un profeta e i suoi seguaci potevano pensare che comunque il suo insegnamento era valido. Gesù è morto della morte infame per eccellenza, quella del palo, difficilmente, senza le esperienze mistiche che i discepoli hanno vissuto, vere o false che siano, il movimento gesuano sarebbe sopravvissuto a lungo e quando anche fosse sopravvissuto si sarebbe riconfuso nel giudaismo coevo e noi non ne avremmo con ogni probabilità alcuna traccia.
view post Posted: 26/1/2012, 11:19     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 26/1/2012, 01:34) 
Way, anzitutto ti ringrazio e mi complimento per le argomentazioni sostanziose e impegnative. Benché sono in disaccordo su un sacco di cose, apprezzo l'impegno profuso. Siccome mi sono preso la briga di rispondere a un buon numero delle tue precedenti affermazioni, con il risultato di un post insopportabilmente lungo, mi sembra utile indicare (anche per gli altri lettori) la prima e la quinta delle mie repliche come fulcro del post.

Caro JW, ti ringrazio per il complimento, che proveniendo da te è particolarmente apprezzato, e ti ringrazio anche per il tempo che hai speso per rispondere alle mie modeste argomentazioni, che spero non abbiano tediato i lettori del forum, visto anche la loro sempre maggiore lunghezza. Oggi purtroppo non sono in grado a casua di pressanti impegni di abbozzare una risposta decente alle tue puntuali argomentazioni. Spero di riuscire a farlo nella giornata di domani, chiarendo ulteriormente la mia posizione critica.
Ogni bene!
view post Posted: 25/1/2012, 13:58     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 24/1/2012, 13:06) 
Caro Way, io invece ribadisco che il problema non è antropologico, ma solo cristologico. Dal punto di vista antropologico, non ho ovviamente nulla da obiettare all'idea che gli esseri umani non siano sistemi chiusi, bensì capaci di una certa universalità comunicativa, nonché di andar oltre l'esistente e creare nuove strade.
Ma questo, appunto, vale in linea di principio per tutti gli uomini e tutte le forme di espressione umane. Anche l'Antico Testamento ha avuto, attraverso il cristianesimo, un destino incomparabilmente più universale rispetto al suo contesto d'origine. Anche Giovanni il Battista ha trovato fortuna ed eco, sia con il cristianesimo sia con il mandeismo, in forme culturali profondamente diverse dall'universo culturale a lui proprio. E pure il Battista era un individuo forte, accentratore, originale e creatore di qualcosa di nuovo.
Perché dunque dovremmo dire che "c'è dunque nel messaggio gesuano e nell'agire gesuano qualcosa che trascende quello che sommariamente viene definito ebraismo e che si presta a letture e riletture transculturali e transteologiche", in modo speciale e diverso da come lo possiamo dire di qualunque altra figura o messaggio che trovi eco e fortuna aldilà del tempo e della cultura d'origine?
Io credo che nel Gesù storico (o in quello sinottico) ci sia qualcosa che trascende il variegato giudaismo ellenizzato del suo tempo solo per chi guarda a lui da un punto d'osservazione esterno ed altro (quale può essere la tradizione cristiana, o più in generale tutta la successiva cultura occidentale).

E qui stai cominciando a centrare il punto delle nostre divergenze. Mi sembra, ma ovviamente correggimi se sbaglio, tu abbia l'idea che effettivamente sia esistito un Gesù che prescinde dal modo con cui gli altri lo hanno percepito e ricordato, un sorta di monoblocco buttato lì in un dato momento storico e in un determinato luogo, che non può far altro che essere assimilato al suo contesto. Io credo invece che questo Gesù non è mai esistito, poichè non solo le persone cambiano continuamente nel corso della propria vita, e davvero il Gesù che si battezza nel Giordano è diverso dal Gesù che entra a Gerusalemme, ma esse sono "solo" in quanto percepite e ricordate e rielaborate. Al tuo Gesù statico, che al massimo ha qualche punta di originalità, ma che a ben guardare è insignificante, io oppongo un Gesù che non solo è determinato dal suo ambiente (in questo, sia chiaro, io non nego affatto la third quest) ma in un certo modo lo determina, che si pone dinamicamente nei suoi confronti a tal punto da generare un seguito ed idee nuove o quantomeno problematiche per l'ambiente stesso. Noi abbiamo a che fare con un Gesù ricordato e in nome di questo Gesù ricordato i suoi seguaci sono disposti seppur a fatica e controvoglia a separarsi dal giudaismo, che li sente alla fin fine come un corpo estraneo, tanto che Stefano e Giacomo fanno una brutta fine. E allora non possiamo non chiederci che cosa costoro hanno visto in quest'uomo, in quello che ha fatto e detto, da spingerli ad una scelta così radicale. E non possiamo certo rifugiarci nella terza generazione, quasi che il cristianesimo sia il parto dell'ellenismo, altrimenti visto che ci siamo ricicciamo fuori il θειοσ ανηρ di Reitzenstein e facciamo filotto. Ma in realtà si tratterebbe solamente di nascondere la polvere sotto il tappeto per posticipare la questione: perchè mai la terza generazione avrebbe dovuto trovare interessante e fare propria quanto predicava la seconda generazione se non perchè in essa trovava qualcosa di corrispondente e stimolante. Ma questo vale allora anche per il rapporto tra i discepoli diretti e i loro ascoltatori e ancora più indietro tra Gesù e i suoi seguaci. In questo senso allora il Gesù totalmente giudaico è una riduzione che impedisce o quantomeno ostacola la comprensione del rapporto tra Gesù e le comunità che ad esso si richiamano sin dall'inizio, giacchè non si può dare che queste comunità non trovino in lui la propria diretta ispirazione:

"the source of thought for Jesus' earliest followers was a vast store of written and oral tradition, all deemed revelatory and infallible; but the fundamental source of Christological thought within the Palestinian Jesus Movement was the one who founded and defined the Movement: Jesus from Nazareth".
(J.H. CHARLESWORTH: The Historical Jesus. An Essential Guide; Abingdon Press 2008, p. 59)

E allora che cosa è che determina quella che Hurtado chiama un'esplosione del culto di Gesù che ben presto giunge a rappresentarlo con caratteristiche divine, seppur nelle categorie ambigue del giudaismo dell'epoca (cf. R.M. Bowman, J.E. Komoszewski: Putting Jesus in His Place. The Case for the Divinity of Jesus; Kregel 2007). Chi compie tale operazione lo può fare solamente perchè trova proprio in Gesù lo spunto per una tale interpretazione, spunto che ritroviamo nei Vangeli, quando Gesù viene cacciato da Nazareth o quando viene accusato di farsi Dio, tanto per citare probabilmente gli episodi più noti. Per quanto si possa argomentare che si tratti di interventi redazionali, proprio il fatto che essi siano il risultato di riflessioni teologiche ci dice che essi sono un ricordo rielaborato di un avvenimento reale al quale queste comunità possono rifarsi per giustificare i propri motivi fondanti e distintivi. Non è pensabile che queste comunità inventino un Gesù ex nihilo, ma che piuttosto rielaborino, anche con momenti di discontinuità, ciò che di significativo avevano avvertito in questa figura.
Del resto è lo stesso Gesù che da una parte si richiama espressamente a tipologie veterotestamantarie e dall'altra sembra mostrarsi non semplicemente racchiudibile in esse; è egli stesso che costruisce continuamente la percezione che gli altri hanno di lui:

"This a crucially important point to remember when we're reading the stories about Jesus in the gospels. As we saw with Elijah typology, Jesus' story mirrors many stories of Hebrew Scripture. There can be no doubt that both perceptions and memories of Jesus were cast along narrative patterns in order to measure his historical significance and project meaning onto his legacy. This is true of how
the gospels pattern his larger narrative, but it is also true of how the first perceivers of Jesus interpreted his mission and identity. Indeed, by appealing to and mimicking Scripture, Jesus himself often defined the pattern by which these memories would be refracted".
(A. LE DONNE: Historical Jesus. What can we know and how can we know it?; Eerdmans 2011, p. 118)

E' Gesù stesso che partecipa alla contruzione della propria percezione e della propria memoria.

Ed allora un'interpetazione che de-finisce totalmente, e direi staticamente, Gesù nell'ebraismo a lui contemporaneo sembra incapace di rilevare la dinamicità di questi rapporti e quindi della nascita del cristianesimo:

"Contextual plausibility as formulated by Gerd Theissen provided the key for reading the Jesus-story. This allows Jesus and his movement to take their place within the variegated setting of different communities of interpretation which had been generated by the reception of the Hebrew Scriptures of the Second Temple period. Contextual plausibility does not mean that Jesus should be made to
conform to any one of the known groups of first-century Palestine, but implies only that 'positive connections can be established between the Jesus tradition and the Jewish context'. The criterion does not, therefore, exclude Jesus' own selection and reworking of various aspects of that shared tradition. Rather, it implies a distinctive and personal approach that was occasioned by the
circumstances of both the Galilean and Judean social and religious
worlds as he encountered them in his role as a prophet of restoration
during the reign of Antipas".
(S. FREYNE: Jesus a Jewish Galilean; A new reading of the Jesus story; T&T Clark 2004, p. 171)

Dunque ci deve essere stata una originalità di Gesù, una originalità che certo si esprime nelle forme culturali a lui coeve, ma che viene ricordata ed elaborata proprio perchè ha delle potenzialità espresse e non espresse in questo senso e che può addirittura esprimersi in forme culturali diverse. Abbiamo bisogno allora di qualcos'altro oltre all'ebraicità totale e totalizzante di Gesù per spiegare la nascita del cristianesimo:

"After all, a Jesus who can be placed within early Judaism but who cannot be understood in relation to early Christianity is no more historically plausible than a Jesus who can be combined with nascent Christianity while remaining an enigma as a Jew of his time"
(T. HOLMEN: An introduction to the continuum approach in T. HOLMEN (ed): Jesus from Judaism to Christianity. Continuum Approaches to the Historical Jesus; T&T Clark 2007, p. 4)

Cosa c'è allora di distintivamente gesuano che fonda le comunità cristiane che a lui si richiamano?

CITAZIONE
Cosa c'è di così trascendente rispetto al giudaismo del I sec. nell'annunciare la venuta imminente (o anche in qualche modo già in via di attuazione) del regno di Dio? Certamente questo concetto ha potuto conservarsi, trasformandosi, in un contesto di significato diverso come quello della teologia cristiana. Ma voler vedere il dopo contenuto nel prima, così da poter affermare l'universalità originaria del messaggio gesuano, è un'operazione storicamente scorretta.

ma qui nessuno sostiene che Gesù fosse un dissociato che si esprime ora come Giovanni, poi come Origene, poi come Agostino o i Padri Cappadoci, poi come San Tommaso e Ratzinger per poi riprendere a parlare come lo fa parlare Marco. Oltre che folle nessuno lo avrebbe capito. E invece costoro lo comprendono, almeno in parte, tanto che decidono di seguirlo. E lui a sua volta, per delle banali dinamiche di gruppo, non può che circondarsi di coloro che meglio, seppur non perfettamente, lo comprendono. Dunque devono avere un linguaggio e un immaginario comune, che non può che essere quello ebraico dell'epoca. Ma questa è solo una parte dell'equazione. La seconda parte è data dalla nascita di queste comunità, dalla loro progressiva rielaborazione e interpretazione dei ricordi del maestro: la Wirkungsgeschichte gesuana rimanda direttamente al Gesù storico, poichè la rifrazione mnemonica rimanda all'oggetto ricordato. E tanto più si ricorda e si sente la necessità di elaborare e rielaborare tanto più è significativo il ricordo originario e tanto più è forte l'impressione che genera il ricordo, e tanto più esso è significativo e "impressionante" tantomeno esso può essere ridotto e assimilato a ciò che lo circonda. E non vi è dubbio che Gesù viene ricordato in maniera e "quantità" (mi si passi l'espressione) sorprendente: questo significa che per coloro che lo ricordano Gesù si staglia sull'ebraismo a lui coevo e in qualche modo se ne distingue, ancor più e in maniera differente per esempio da Giovanni Battista, tanto che a un certo punto costoro preferiscono essere uccisi o cacciati dalle sinagoghe piuttosto che rinunciare a tale ricordo del Maestro e ritornare quietamente ed essere riassorbiti dal e nel giudaismo. E allora per me tre sono i punti significativi che distinguono la figura di Gesù dal resto dell'ebraismo.
Il primo punto è un messianesimo (ma anche una interpretazione della legge ebraica) che se certamente si riallaccia, e come potrebbe essere diversamente, alla tradizione messianica ebraica, ha dei punti originali che sembrano distinguerlo da quelli che lo precedono. Si tratta di un messianesimo che noi non riusciamo ancora a definire bene, forse perché lo stesso Gesù non era un teologo sistematico per cui è probabile che egli stesso non si sia preoccupato più di tanto di definirlo compiutamente o forse perché era una sorta di work in progress, una autocomprensione in continuo mutamento, ma che evidentemente risultava comprensibile almeno a grandi linea ai suoi interlocutori e abbastanza significativo da essere ricordato e trasmesso ad altri.
Il secondo punto è il regno escatologico che Gesù annunzia e che si presenta diverso, ad esempio, per quel che riesco a comprendere, da quello del Battista:

"Il Regno escatologico che Gesù proclamava , che sarebbe diventato l'oggetto dell'intensa speranza e della preghiera da parte dei discepoli di Gesù (Mt 6,10 e par.), intende esprimere il capovolgimento di ogni ingiusta oppressione e sofferenza, la concessione del premio concesso agli israeliti fedeli (le beatitudini), e la partecipazione gioiosa dei credenti (e anche di alcuni pagani!) al banchetto celeste con i patriarchi Israele"
(J.P. Meier: Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 2, Mentore messaggio e miracoli; 3a ed., Queriniana 2007, p. 465)

In questa predicazione del Regno troviamo mi sembra due interessanti traslazioni dei piani che la rendono significativa. La battaglia escatologica che si compie attorno a Gesù è innanzitutto spirituale contro le forze del male, i demoni che infestano il mondo e Israele, i cui agenti sono gli oppressori romani ma non solo, e che lo rendono impuro e incapace di accogliere il Regno. La dimensione politica sembra qui finire in secondo piano, per lasciare spazio piuttosto a un Regno spirituale di cui il Regno materiale è una conseguenza e un'immagine. Non è in questo mondo, con gli strumenti della politica e della lotta militare, che si combatte la battaglia per la restaurazione di Israele. La depoliticizzazione del Regno di Dio da una parte sembra aver determinato una rottura con il Battista e dall'altra sembra aver deluso non pochi e anche tra coloro che sono rimasti tale visione politica rimane in qualche modo ineliminabile, a testimonanza di quanto fosse difficile e sentita come "estranea" da parte di chi lo seguiva, che probabilmente oramai si aspettava un messia guerriero ed aveva difficoltà a seguire Gesù su questa strada (come del resto testimonia l'episodio dei dicepoli di Emmaus, essendo irrilevante se sia un episodio vero o inventato: rimanda a una realtà che le prime comunità gesuane ricordano tanto da sentirsi in dovere di riportarla e rielaborarla per poterla inglobare nella costruzione della propria concezione gesuana). Una simile depoliticizzazione apre la strada all'inclusione dei pagani, cosa che si trova anche nel VT ma che sembra essere stata marginale nella coscienza dell'ebraismo del secondo tempio rispetto alla restaurazione politica del Regno di Israele. Questa inclusione non mi pare di trovarla nel Battista, ad esempio, e dunque rappresenta un punto di rottura con i suoi seguaci e probabilmente qualcosa che Gesù ha elaborato nel tempo, ma qui tu saprai certamente dirmi meglio. Ad ogni modo essa sembra essere stata sufficentemente significativa per i seguaci di Gesù da sentirsi in dovere di riportarla. Ma una simile apertura ai pagani è già una forma di universalizzazione del messaggio ebraico, diviene già qualcosa che supera i limiti dell'ebraismo stesso, anche se di per se stessa non sarebbe stata sufficiente senza il terzo elemento.
Il terzo elemento è Gesù stesso, il modo con cui egli si presenta e si concepisce e cerca di essere percepito. Ci troviamo certamente davanti a una figura carsimatica che con il passare del tempo elabora una autocomprensione del proprio essere e agire nella quale egli stesso assume un ruolo sempre più fondamentale rispetto a ciò che lo circonda. Tu ricordi giustamente che anche la figura del Battista era forte, accentratrice e per certi versi originale, tuttavia mi sembra che essa venisse percepita dai suoi seguaci come appartenente al profetismo ebraico e che lo stesso Battista tale si considerasse. In Gesù, proprio per la traslazione dei piani operata, vi è una autoconcezione diversa e più radicale di strumento diretto dell'avvento del Regno, il Figlio non solo fa e realizza il volere del Padre ma senza il Figlio tale volere non si può realizzare, è nel Figlio che la δυναμισ del Padre si esprime e si realizza nel mondo, Gesù non si concepisce come un profeta qualunque o un banale Theudas che raccoglie qualche seguace più o meno esaltato. Gesù è l'innesco della realizzazione del Regno che divamperà come un incendio. In quanto innesco il Regno è già presente e si esprime nei miracoli e nelle guarigioni, nella dimostrazione che la potenza di Dio è già presente, tuttavia tale Regno si realizzerà in un tempo che è noto solo al Padre. Qui Gesù sembra oscillare ancora una volta tra due differenti concezioni, ma questo non è molto significativo per il nostro discorso, ciò che ci interessa è come Gesù si percepisse come unico e come tale si presentasse ai suoi interlocutori. Quello che è significativo è come questo aspetto sia stato recepito assieme agli altri due. E mi sembra non esservi dubbio che questa combinazione sia risultata significativa per coloro che diverranno i suoi discepoli e che si sia imposta nell'immaginario dei suoi seguaci a tal punto da essere sopravvissuta alla morte del Maestro, così da poter essere rielaborata per essere adattata alle nuove contingenze ed essere proposta più o meno presto anche agli ebrei della diaspora e ai gentili. Gesù non eccede l'ebraismo in un aspetto particolare, ma la somma delle parti lo fanno percepire, almeno ad alcuni, come un unicum che ha in se la possibilità di essere ricordato, predicato, venerato e adorato.

CITAZIONE
Per non parlare poi del caso eclatante delle leggi di purità (o, se si preferisce, quello del sabato): Gesù sosteneva (sulla scia del Battista) una halakhà che dà priorità alla purità morale su quella rituale, o meglio secondo la quale non si può essere ritualmente puri finché si è moralmente impuri (Mt 23,25-26/Q). Una concezione simile la troviamo a Qumran (1QS 3,6-9 e 5,13-15).
Quanto non-universalizzabile fosse questa parte del messaggio gesuano (nient'affatto irrilevante, essendo strettamente legata al tema del pentimento e alla questione del battesimo) lo dimostra in modo eclatante il cristianesimo che conosciamo, in cui tale halakhà è semplicemente scomparsa, lasciando posto all'idea che quello che conta è solo ed esclusivamente la purità morale, mentre l'impurità rituale nemmeno esiste.

esattamente, l'accentramento di tutto su se stesso, l'universalizzazione del concetto di salvezza e partecipazione al banchetto celeste, la traslazione della lotta da politica a spirituale, la priorità dell'aspetto morale su quello rituale, hanno già in se questo esito: i suoi discepoli, nel ricordare il Maestro, e quindi nel ripensarlo, non hanno fatto altro che portare a compimento tale processo.

CITAZIONE
In breve: la figura e il messaggio di Gesù possono certamente essere considerati universali(zzabili) nel senso in cui ogni individuo e ogni espressione umana può suscitare effetti e avere fortuna in mondi culturali diversi da quello originario. Tutto questo però solo all'ovvio prezzo di significative trasformazioni. Che queste trasformazioni fossero virtualmente contenute nell'impulso originario, al punto da qualificare tale impulso come un "unicum", è qualcosa di lecito solamente al teologo e assolutamente proibito allo storico.

come vedi non sono d'accordo, e con me non sono d'accordo neppure i suoi primi seguaci. Direi che sono in buona compagnia ;)

CITAZIONE
La "riduzione" di Gesù al giudaismo, in quanto operazione di critica storica, non è affatto una riduzione, così come non è una riduzione affermare che Giovanni il Battista - diversamente da quanto afferma la sua millenaria Wirkungsgeschichte - non fu né il precursore né il testimone (né il cugino) di Gesù. Si tratta non di ridurre ma di (tentare di) riconoscere (attraverso nostre costruzioni artificiali, probabilistiche e sempre provvisorie) quale fosse la fisionomia originaria di tali personaggi nel loro proprio contesto storico.

Per quanto scritto sopra, continuo a ritenerla una riduzione, almeno sino a che non ingloberà in un processo unico e continuo anche la ricezione del pensiero e dell'agire di Gesù da parte dei suoi seguaci, ovvero le prime comunità cristiane. Senza di esse ci troviamo dinanzi a una distorsione, o limitazione che dir si volgia, dell'analisi storica, e credo che la ricerca sul Gesù storico, in un futuro più o meno prossimo, non potrà fare a meno di tenerne conto, come del resto ad esempio già le opere del Dunn e altri sembrano indicare.

Edited by -Waylander- - 25/1/2012, 19:13
view post Posted: 24/1/2012, 12:19     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (negazionista @ 24/1/2012, 11:23) 
CITAZIONE
Che cosa ha colpito talmente tanto chi lo ha seguito da far sì che la memoria del maestro non sbiadisse progressivamente e velocemente nella cultura ebraica del tempo (e dei discepoli stessi), sino a rifondersi completamente con essa e di fatto scomparire in quanto indistinguibile. Che cosa di così diverso hanno percepito queste persone da tenere viva una memoria che non è stato possibile, nonostante le spinte in questo senso, riassimilare nella cultura ebraica nella quale tutti essi erano immersi? Qual'è questo punto di rottura che ha impedito questo processo che all'epoca sarebbe stato del tutto naturale?

Pesce direbbe che non e' stato Gesu' in se stesso l'oggetto dell'attenzione dei primissimi discepoli, ma la sua mistica concentrazione su Dio, a cui rendeva partecipe chi lo seguiva.
Semplificando rozzamente, non guardavano il dito, ma il cielo a cui il dito puntava, insomma :) .

Mi sfugge cosa dovrebbe significare, visto che i vangeli sono assolutamente cristocentrici, tanto più se in qualche modo vanno considerati nel genere delle biografie greco-romane.

CITAZIONE (Elijah Six @ 23/1/2012, 18:42) 
Io sto solo dicendo che entrambe le confessioni si orientano al giorno d'oggi prevalentemente sulla Bibbia, e che quindi attribuire tra virgolette la colpa della nascita della ricerca sul Gesù storico al principio del sola scriptura mi sembra discutibile.

e infatti non ci penso nemmeno. Quello che intendevo dire è che con Lutero, e Agostino prima (non a caso Lutero è agostiniano), abbiamo un cambiamento di paradigma dal sociale al personale e l'interpretazine personale della Bibbia, sepuur guidata dalla Spirito Santo, ne è l'espressione più evidente e da essa deriveranno tutta una serie di conseguenze. Tutto qui, nessuna "colpa".
view post Posted: 24/1/2012, 10:50     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 15:57) 
CITAZIONE (-Waylander- @ 23/1/2012, 13:31) 
più che altro dipende dal tipo di antropologia culturale e filosofica che si sostiene. Personalmente ritengo una simile formulazione del tutto ambigua (per questo è stata messa in corsivo?), in linea peraltro con altre formulazioni già viste. Davvero una persona può essere ridotta all'ambiente culturale nel quale si trova ad operare? Eppure per altre persone, che nessuno si sogna di definire divine, non abbiamo problemi a chiamarle innovatori, rivoluzionari, anticipatori dei tempi ecc. ecc. Non ci stupisce affatto per esempio vedere Lutero, monaco agostiniano, scardinare la teologia cattolica e dare vita alla modernità, di cui certamente è uno dei padri, in opposizione all'ambiente culturale e religioso nel quale si muoveva. E di esempi se ne potrebbero fare tanti, anche perchè se così non fosse, se gli esseri umani non trascendessero continuamente il loro ambiente saremmo ancora nelle caverne. Possiamo forse dire che JW appartiene completamente all'italianismo del suo tempo? E in cosa consiste questo italianismo? Spaghetti e mandolino conditi con un pochino di spirito mafioso, come allo Spiegel piace rappresentarci?
Certo, gli storici hanno bisogno di categorie attraverso le quali rendere maggiormente intellegibile la storia, tuttavia esse sono strumenti e non gabbie nel quale calare a forza eventi e persone. La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti. Del resto se Gesù non poteva che essere totalmente ebreo lo stesso vale per i suoi discepoli, che pertanto sono in perfetta corrispondenza culturale con il loro maestro. E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione. E allora non c'è Kant, Kierkegaard o Schleiermacher, e neppure Pesce, che tenga di fronte a Gigetto er contadino: "le pere non cascano lontano dall'albero", che ha in se la saggezza dei millenni.

Definendo Gesù completamente o integralmente ebreo, io intendo rifiutare precisamente l’idea di una sua eccedenza/trascendenza rispetto al giudaismo in cui egli crebbe ed agì, trascendenza – anche solo a livello “implicito” – che era invece la cifra ermeneutica della ricerca storica su Gesù della cosiddetta New o Second Quest*, e con la quale non a caso anche la teologia cattolica (progressista) riuscì a intrattenere un fecondissimo dialogo, che produsse la grande stagione delle cristologie di Duquoc, Kasper, Schillebeeckx, Küng, O’Collins, e che continua a prolungarsi ancor oggi in lavori come quello di Maurizio Gronchi (2008), che nella parte storico-biblica è totalmente dominato dall’idea dell’eccedenza di Gesù.

ma vedi, JW, qui il problema non è Gesù, anche se ovviamente poi il discorso vi è incentrato, ma una questione generale di come si concepisce l'essere umano, se cioè esso può essere ridotto a prodotto culturale e non mantenga invece una propria autonomia esistenziale e di pensiero. Se da una parte infatti noi siamo il prodotto della storia (e quindi di una cultura) e non si danno esseri umani al di fuori di essa, è anche vero mi sembra che vi è negli esseri umani una universalità comunicativa e comprensiva, una capacità continua di superare le proprie barriere culturali e storiche. Questo, ce lo dice la storia, la sociologia e la psicologia ed è tanto più vero per le personalità forti, quelle che si "impongono" agli altri, che in qualche modo emergono dall'anonimato del gruppo sociale nel quale si muovono: più forte è la personalità e più forte è l'autonomia culturale e la possibilità di incidere sul proprio ambiente.
Non so cosa significhi eccedenza, gli esseri umani non sono otri che si riempiono di qualcosa, e la trascendenza è un termine teologico della scolastica che ho difficoltà ad applicare in generale e in particolare ad un ebreo del primo secolo.
Ciò che una persona è, la sua cultura personale e la cultura nella quale vive sono termini non solo vaghi ma in continuo cambiamento: due grandezze indefinite proprio perchè tali non sono mai sovrapponibili se non del tutto arbitrariamente. L'affermazione che Gesù, o JW o Waylander ecc., è totalmente immerso nella cultura giudaica del suo tempo non è una affermazione meramente storica ma ancor prima ideologica, è una pre-comprensione dell'umano e della storia, un minimalismo ermeneutico arbitrario tanto quanto pensare che Gesù pensasse in termini neoplatonici di consustanzialità , trinità e ammennicoli filosofici vari.

CITAZIONE
E su tutto questo io ritengo che la cosiddetta Third Quest, ovvero tutta la florida varia produzione storiografica verificatasi soprattutto sulla scia dei lavori di Sanders e Vermes, sia completamente nel giusto nell’enfatizzare l’ebraicità di Gesù, il che non costituisce affatto una reductio ma piuttosto una recognitio.

ma un discorso è enfatizzare, altra cosa ridurre. Una cosa è ricondurre Gesù all'ambito dell'ebraismo, cosa peraltro scontata una volta che si hanno chiari i principi dell'antropologia e della sociologia, una cosa è immergercelo a forza. Mi sembra infatti che in questo caso ci troviamo all'estremo dell'oscillazione del pendolo in opposizione a chi precedentemetnte vedeva un gesù del tutto estraneo all'ebraismo. Ma queste oscillazioni fanno parte delle azioni e reazioni della ricerca storica e non mi stupirebbe affatto se tra dieci o venti anni qualcuno pubblicasse uno studio dal titolo "Gesù fuori dal giudaismo" o qualcosa di simile, rivalutando fortemente il criterio della discontinuità in opposizone a quello della continuità.

CITAZIONE
Per quanto si vorrà dire che l’ermeneutica stessa attraverso cui questi studi approcciano i testi ne influenza i risultati (il che è sempre un po’ vero), a mio parere si tratta di un’ermeneutica che trova conforto nei testi stessi e non si impone su di essi con violenza e facendovi torto. Non c’è niente nei vangeli sinottici (e per chi ne accetta l’esistenza, anche nel primitivo Vangelo dei Segni da cui si sviluppò il Vangelo di Giovanni) che induca a pensare che Gesù fu ed intese essere o fare qualcosa di eccedente e trascendente la fede ebraica che animava le sue azioni.

neanche Gandhi riguardo all'induismo, eppure noi percepiamo la sua opera e il suo operato come universali. Questo perchè le azioni umane in quanto tali sono umane e quindi riconoscibili da tutti, anche se ognuno le interpreterà secondo le proprie categorie culturali e i propri immaginari religiosi. Le stesse singole persone non sono in grado di percepire i limiti del proprio pensiero, anche perché lo cambiano continuamente, figuriamoci se sono in grado di farlo degli storici dopo duemila anni che usano testi scritti da altri. Gesù non aveva affatto bisogno e con ogni probabilità non ne aveva neppure l'intenzione di fare qualcos'altro che non fosse ebraico, anche perchè non sarebbe stato compreso, e infatti per certi versi sono gli stessi scritti neotestamentari a presentarci un Gesù che a volte aveva difficoltà a rendersi comprensibile, il punto è che ciò che è ebraico non è chiuso finito in se stesso ma si sovrappone alle altre forme culturali passate e presenti a causa dei suoi elementi di umanità e universalità. E qui arriviamo alla differenza tra messaggio e strumento di comunicazione del messaggio. Se lo strumento non poteva che esere ebraico, pena l'incomunicabilità, il contenuto è aperto all'universalità, tanto è vero che nasce il cristianesimo ovvero una comprensione di Gesù, della sua vita e del suo operato, che trascende i limiti, peraltro, ripeto, vaghi della sua cultura ebraica contemporanea, o se vuoi legge i tratti ebraici traducendoli in altre forme culturali, ma sono chiavi di lettura che puntano alla stessa realtà, così come la scolastica non è la fede cattolica ma una sua comprensione teologica figlia della cultura del suo tempo e che rimanda alle stesse realtà di cui in altri termini parlavano Origene o Agostino. C'è dunque nel messaggio gesuano e nell'agire gesuano qualcosa che trascende quello che sommariamente viene definito ebraismo e che si presta a letture e riletture transculturali e transteologiche (aaargh!).

CITAZIONE
Naturalmente egli ebbe i suoi punti di originalità, ma non vi era alcun germe in ciò che egli era e faceva che dovesse necessariamente portare alla nascita sia di forme messianiche di giudaismo incentrate sul suo culto, sia - a maggior ragione - di una nuova e altra religione.

la storia non conosce necessità, anche perchè gliele abbiamo tolte noi a priori, in quanto non siamo in grado di riconoscerle. Ma il punto è che Gesù è una figura accentratrice, crea attorno a se un gruppo che lo segue in opposizione a volte o spesso anche ai propri clan familiari e alle strutture sociali. Si presenta come un'alternativa, come qualcosa di diverso rispetto a ciò che esiste, anche se ovviamente nei termini che i suoi interlocutori possono capire e trovare interessanti. Se una figura umile ma forte come San Francesco, che certo non pensava di essere divino, ha creato, seppure non per sua completa volontà, un movimento e un ordine che a lui si ispira e che ancora oggi a distanza di secoli rilegge la sua vita e le sue opere approfondendole sempre di più sia in azioni concrete che in studi storici, allora Gesù doveva avere ben presente che cosa stava facendo, che stava creando un movimento particolare. Semmai è da vedere come mai tale movimento, contrariamente a quanto accade per altri personaggi del mondo ebraico dell'epoca, è continuato anche dopo la sua morte. Che cosa ha colpito talmente tanto chi lo ha seguito da far sì che la memoria del maestro non sbiadisse progressivamente e velocemente nella cultura ebraica del tempo (e dei discepoli stessi), sino a rifondersi completamente con essa e di fatto scomparire in quanto indistinguibile. Che cosa di così diverso hanno percepito queste persone da tenere viva una memoria che non è stato possibile, nonostante le spinte in questo senso, riassimilare nella cultura ebraica nella quale tutti essi erano immersi? Qual'è questo punto di rottura che ha impedito questo processo che all'epoca sarebbe stato del tutto naturale? Personalmente ritengo che questo punto di rottura sia proprio il modo con cui Gesù concepiva se stesso e si presentava agli altri, un modo dalle forme pienamente ebraiche eppure non riducibili sic et simpliciter ad esse.

CITAZIONE
certamente egli nel corso del suo ministero storico suscitò un forte impatto, e quindi una serie di effetti che a loro volta ebbero altri effetti. Ma che le cose andarono come andarono, fu frutto di eventi, circostanze e processi storici che mai avrebbero sfiorato la sua mente (e che il credente può a buon diritto considerare nell’ottica della Provvidenza e della Rivelazione storica di Dio)

ma qui non si parla di una preveggenza di Gesù, quasi che lui dicesse faccio questo perchè poi fra tre secoli ne deriverà quest'altro che poi causerà quest'altro ancora. Anche perchè questo è del tutto al di fuori della portata dello storico. Qui si discute se egli si automprendesse e si presentasse come qualcosa di più di un rabbi ebraico itinerante e se questo sia traducibile in forme ed espressioni culturali diverse che tuttavia non tradiscono questa autocomprensione ma la esplicitano o comunque la rileggono adattandola ai nuovi interlocutori. Il problema sta tutto qui, se il cristianesimo è il tradimento di Gesù o una sua implementazione, una sua traslazione in forme culturali diverse ma che rimandano sempre al punto originario, così che il cristianesimo è un ebraismo che ha assunto una diversa forma culturale.

CITAZIONE
sicché andare alla ricerca “a ritroso” della cristologia implicita in Gesù (se con ciò s’intende qualcosa di più e di diverso da una possibile ma controversa autocomprensione messianica di Gesù) è un’operazione lecita esclusivamente in sede teologica, ma errata e inaccettabile in sede storica.

e qui torniamo al punto di partenza, il Gesù ebraico è appunto una riduzione storica, una costruzione arbitraria esattamente come il Gesù storico (ri)creato dagli storici negli ultimi duecento anni. Ma davvero gli esseri umani possono essere ridotti alla loro mera storicità, ovvero solamente a ciò che la storia, con i propri limiti strumentali, può percepire? Noi ci approcciamo al Gesù della storia attraverso documenti scritti da persone che del Gesù storico non sapevano che farsene, ad essi interessava ciò che egli era per loro, in che modo interpretare le esperienze che loro o quelli vicino a loro avevano vissuto. Ed è evidente che hanno difficoltà sin dall'inizio a ricondurre il tutto a una "banale" ebraicità. E' proprio per il fatto che la figura di questo rabbi li abbia colpiti così fortemente che essi sentono la necessità di ricordarlo e di comprenderlo, e più comprendono più ricordano e più ricordano più comprendono in una spirale ermenutica senza soluzione di continuità che giunge sino a noi.

CITAZIONE
Su tutto questo sto certamente dalla parte di Pesce.

ah ma di questom non dubitavo ;)

CITAZIONE
Al tempo stesso convengo con te che può essere problematico parlare di discontinuità tra Gesù e le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio. Proprio perché la storia conosce solo novità relative, possiamo parlare di discontinuità solo allorché isoliamo dei singoli punti all’interno del continuum storico e istituiamo un confronto. Ma si tratta appunto di una nostra operazione di astrazione, lecita a patto che la si riconosca come tale, pena lo scadere in slogan.

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view post Posted: 23/1/2012, 15:08     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (Elijah Six @ 23/1/2012, 14:26) 
CITAZIONE (Polymetis @ 23/1/2012, 13:41) 
La Chiesa ha il compito non [di] aggiungere casualmente alla [Bibbia elementi nuovi], bensì [di] sviluppare ciò che in essa è contenuto.

(La polemica qui è contro un presunto bisogno di un ritorno alla semplicità biblica capeggiata dai protestanti col Sola Scriptura)

Non riesco a seguire il tuo ragionamento fino in fondo.
La questione mi pare essere: ciò che è contenuto nella Bibbia basta per la salvezza, o c'è bisogno di un'aggiunta?

La questione IMHO mi sembra mal posta. Quello che è contenuto nella Bibbia non è statico ma continuo oggetto di comprensione (come del resto la figura di Gesù), tale comprensione a sua volta genera altra comprensione in una spirale ermeneutica continua. Il testo è fisso (e anche qui se ne potrebbe discutere) solo dal punto di vista della seguenza delle lettere e dei brani, non certo del significato. Per cui immediatamente ti si pone il problema se ciò che tu comprendi della Bibbia è veramente presente nella Bibbia e la risposta è che ovviamente non lo è: per quanti sforzi tu possa fare per contestualizzarla, anche la tua contestualizzazione risentirà delle tue precomprensioni, le quali a loro volta risentono degli immaginari sociali e personali che ti determinano. Noi "costruiamo" la Bibbia giorno dopo giorno. In questo senso la tradizione cattolica è Bibbia e la Bibbia è tradizione cattolica. Ma anche ortodossa, su questo non faccio differenza (sperando che Teodoro non mi fulmini :huh: ). La Chiesa, in quanto depositaria della tradizione ma anche del testo sacro, entra in questo circolo ermeneutico quale garante continua della verdicità di tale processo e dei suoi contenuti. Senza la Chiesa non hai la Bibbia ma un banale testo letterario messo insieme in diversi secoli al quale puoi far dire più o meno ciò che vuoi. Senza la Chiesa la spirale ermeneutica diventa del tutto arbitraria. La Bibbia diviene allora sufficiente in quanto fonte imprescindibile della spirale ermenutica e necessario punto di ritorno di tutte le comprensioni.
view post Posted: 23/1/2012, 13:31     Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 02:50) 
Per quanto riguarda le affermazioni di Pesce circa la completa appartenenza di Gesù al giudaismo del suo tempo, si tratta di acquisizioni ampiamente condivise nell'attuale panorama accademico. Se questo giudizio degli storici costituisca anche un problema teologico, dipenderà dal tipo di teologia che si ha.

più che altro dipende dal tipo di antropologia culturale e filosofica che si sostiene. Personalmente ritengo una simile formulazione del tutto ambigua (per questo è stata messa in corsivo?), in linea peraltro con altre formulazioni già viste. Davvero una persona può essere ridotta all'ambiente culturale nel quale si trova ad operare? Eppure per altre persone, che nessuno si sogna di definire divine, non abbiamo problemi a chiamarle innovatori, rivoluzionari, anticipatori dei tempi ecc. ecc. Non ci stupisce affatto per esempio vedere Lutero, monaco agostiniano, scardinare la teologia cattolica e dare vita alla modernità, di cui certamente è uno dei padri, in opposizione all'ambiente culturale e religioso nel quale si muoveva. E di esempi se ne potrebbero fare tanti, anche perchè se così non fosse, se gli esseri umani non trascendessero continuamente il loro ambiente saremmo ancora nelle caverne. Possiamo forse dire che JW appartiene completamente all'italianismo del suo tempo? E in cosa consiste questo italianismo? Spaghetti e mandolino conditi con un pochino di spirito mafioso, come allo Spiegel piace rappresentarci?
Certo, gli storici hanno bisogno di categorie attraverso le quali rendere maggiormente intellegibile la storia, tuttavia esse sono strumenti e non gabbie nel quale calare a forza eventi e persone. La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti. Del resto se Gesù non poteva che essere totalmente ebreo lo stesso vale per i suoi discepoli, che pertanto sono in perfetta corrispondenza culturale con il loro maestro. E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione. E allora non c'è Kant, Kierkegaard o Schleiermacher, e neppure Pesce, che tenga di fronte a Gigetto er contadino: "le pere non cascano lontano dall'albero", che ha in se la saggezza dei millenni.
view post Posted: 18/1/2012, 01:10     Aiuto per acquisto libri rari - Recensioni, News, Links e Bibliografie
Alcuni puoi risparmiare di comprarli, come quello dello Szekely, uno che si è inventato di aver trovato un vangelo esseno in aramaico negli archivi vaticani. Stiamo ancora ridendo. Altri proprio perchè datati si potrebbero trovare in pdf digitalizzati da qualche università (ma francamente non ho cercato).
Per quelli più moderni li puoi comprare online su amazon o ibs. Io inizierei con i 4 volumi del Meier e il Theissen. E già con questi ne hai per un bel po'. Se poi ti capita puoi leggere, tra gli altri, anche questo libretto:

E. Prinzivalli (ed): L'enigma Gesù. Fonti e metodi della ricerca storica; Carocci 2008

Ed è solo per iniziare. Il resto lo lascerei perdere.
Inoltre, prima di gingillarti con il Tischendorf e simili, non sarebbe meglio leggere, chennesò, Aland, Elliott, Parker, Metzger, Wallace, persino Ehrman (nella versione studioso serio) tanto per citarne alcuni? Sarebbe più sensato e utile se vuoi iniziare ad approfondire la filologia neotestamentaria.

P.S. La vecchia enciclopedia cattolica la trovi online. Quella nuova è solo in inglese e viene uno sproposito, e non so quanto ti convenga. Piuttosto vi sono altri volumi che dovresti avere o quantomeno leggere.
view post Posted: 11/1/2012, 11:16     Posizione della semi-inesistenza storica - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (lino85 @ 9/1/2012, 22:08) 
Ma sia la storia tramandata che quella ricostruita sono rielaborative in modo diverso e per dei motivi diversi: le narrazioni basate sulla memoria dell'esperienza personale (e anche spesso sulla memoria di tradizioni precedenti) sono rielaborative a causa del fatto che, oltre al fatto che l'attenzione nelle esperienze non è mai uguale a tutti gli eventi in tutti i loro particolari, la memora spesso deforma la narrazione inserendo o modificando ricordi in base all'influenza di altri ricordi, dato che accade che certe esperienze nel corso del tempo vengono trascurate e in seguito, con l'accadere di altre esperienze vengono rielaborate in modo diverso. A ciò si aggiunge ovviamente il fatto che il bagaglio di interessi valoriali e ideologici, porta in tal caso a un processo questa volta consapevole che fa sì ad esempio che la stessa partita venga ricordata in modo diverso dalle due tifoserie opposte di testimoni.

La storia ricostruita invece è rielaborativa è soggettiva per motivi ben diversi, ovvero per il fatto che noi non abbiamo tutti i frammenti provenienti da tutti i punti di vista che hanno avuto esperienza della stessa esperienza e che non abbiamo neppure (almeno nel momento in cui lo storico tenta la ricostruzione) alcun frammento che testimoni cosa è accaduto in quel momento almeno da un solo punto di vista. E' solamente perchè non si possiedono tutte le tessere del puzzle che fa sì che ci siano sempre ricostruzioni storiche che hanno sempre un margine di soggettività e che in tal modo due storici usando gli stessi materiali di partenza possono arrivare a ipotesi anche diverse su quali particolari eventi che hanno causato quelle storie testimoniate. Tuttavia sarà sempre possibile essere d'accordo su quali ipotesi sono le più probabili riguardo agli eventi su cui abbiamo più testimonianze e più punti di vista.

Il punto è quindi proprio questo: con le singole narrazioni tramandate, essendo originate da processi di memoria molto rielaborativi e creativi che sono dovuti all'esperienza del soggetto, trovo piuttosto arduo tentare di immaginare una "storia ricordata" uguale per tutti i testimoni di quegli eventi. Insomma, per conoscere le cause di quella esperienza ricordata dovremmo forse sapere le vicende biografiche di ogni singolo autore (senza contare poi che certo non tutte le narrazioni sono tratti da testimoni oculari diretti, ma sono tratte a sua volta da altre tradizioni).

perdonami ma mi sembra tu sia legato a un concetto di histoire événementielle nel senso più stretto del termine, quasi positivista, come se la storia fosse una sequenza di avvenimenti fissi e incatentati uno all'altro da recuperare e rimettere in fila. Ma le cose sono molto più complicate. Come insegna il Marrou, le fonti, persino quelle archeologiche, non sono uno specchio obiettivo della realtà storica ma sono già una sua interpretazione. Noi non abbiamo dati di fatto puri non perchè non conosciamo tutto, cosa peraltro impossibile, ma proprio perchè tali dati non esistono. Tuo padre è tuo padre, eppure tu e tua madre ne avete inevitabilmente un ricordo o avete con lui un rapporto diverso, eppure è la stessa persona. Per cui o riduciamo la storia al minimo dei fatti ovvero degli eventi documentabili in maniera certa, il che significa da una parte gettarla nell'insignificanza e dall'altra rischiare di buttare a mare gran parte della storia antica, ma anche di quella moderna, giacchè anche in essa le manipolazioni, le falsificazioni e le interpretazioni sono numerose, oppure dobbiamo approcciarci alla storia in maniera diversa, più dinamica, tenedo conto dei meccanismi con cui gli avvenimenti arrivano sino a noi. E allora ecco che la tradizione, il ricordo, persino le sensazioni tornano a far parte delle storia e della ricerca storica, non solo in relazione a ciò a cui rimandano, ma in se stesse, poichè se capiamo perchè un seguace di Gesù ha ritenuto importante trasmettere ad altri determinati presunti eventi o discorsi del maestro comprendiamo meglio non solo la ricezione ma anche ciò che la ha determinata: in questo senso allora, per tornare all'argomento del forum, non si può scartare o sottovalutare la continuità tra l'attività di Gesù e quello che i suoi discepoli hanno prima percepito e poi trasmesso.

CITAZIONE
Come già detto, mi pare proprio che sia questo il punto in cui io sono scettico, secondo me è inevitabile che certi ricordi vengano deformati a causa dell'associazione di essi con ricordi successivi, è dunque la scremazione mi pare inevitabile in tal caso, un tipico processo della memoria è proprio quello di rileggere ricordi di esperienze più lontane a causa dell'influenza con ricordi di esperienze più vicine nel tempo. E' un fenomeno abbastanza noto e di cui bisogna tenerne conto. Cercherò comunque di leggere qualcosa del lavoro di Le Donne al riguardo.

Ma certo che vi è una scremazione, una interpretazione, ma essa avviene già quando Gesù era in vita e predicava, basta constatare che qualcuno lo segue, altri sono solamente vagamente interessati mentre altri se ne fregano altamente o addirittura lo deridono o lo contrastano. Già i suoi discepoli, quelli che camminavano assieme a lui, fanno un'opera di interpretazione sia della persona che degli avvenimenti ad essa legati e trasmettono questa interpretazione, questa lettura, a coloro che vengono dopo. Ma questa non è una falsificazione o una distorsione della realtà storica, è semplicemente il modo con cui gli esseri umani si approcciano alla realtà, che siano discepoli, amici o storici. Questa ricchezza di interpretazioni se da una parte complica il processo di ricostruzione storica, dall'altro rappresenta una ricchezza, poichè ci fornisce numerose diverse sfaccettature di una persona o di un evento singolo o di una serie di eventi, insegnandoci che è proprio questa varietà a descrivere meglio ciò che ci interessa, piuttosto che una singola fotografica descrizione, ammesso e non concesso che essa possa esistere. Curiosamente proprio i primi cristiani si sono resi conto di questa cosa, ovvero di come non sia possibile racchiudere un evento complesso in una descrizione semplice che abbia allo stesso tempo una pretesa esaustiva, finendo per accettare ben quattro vangeli distinti, con le loro differenze, sin dai primi decenni del II secolo, laddove sembrerebbe a noi più logico la scelta di uno solo di essi, quello più "fedele".
view post Posted: 11/1/2012, 10:33     Letteratura cristiana dei primi secoli - Letteratura cristiana antica
Mah, mi sembra un approccio quantomeno problematico quello di andare in biblioteca e di fatto leggere a casaccio autori del II o del IV secolo, come se fossero la stessa cosa. Molto meglio iniziare da dei libri introduttivi sulla patrologia e la letteratura cristiana antica. In italiano ci sono ad esempio quelli della Prinzivalli scritti assieme anche ad altri autori, tutti esperti del settore, nel quale spesso vengono riportati anche alcuni brani, come questo:

http://www.ibs.it/code/9788810453032/simon...-cristiana.html

Comincia con questo, o con qualcosa di simile, poi se vuoi puoi cominciare ad approfondire i singoli autori.
view post Posted: 9/1/2012, 15:17     Posizione della semi-inesistenza storica - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (lino85 @ 6/1/2012, 11:52) 
Sul recupero del concetto di "ricordo" immagino ti stia riferendo a James Dunn, vero?

solo in parte, in realtà mi riferisco a tutto quel "movimento" che studia le modalità e il valore della trasmissione orale e delle tradizioni, peraltro non solo per quel che riguarda il cristianesimo primitivo. Mi sembra peraltro uno studio necessario dal momento che il cristianesimo delle origini, con la sua diffidenza per gli scritti, è essenzialmente un movimento orale, di rapporti interpersonali. In particolare tuttavia mi riferivo piuttosto all'impostazione di Le Donne su percezione, memoria e interpretazione. In questo senso la storia è ciò che viene ricordato del passato, e viene ricordato perchè significativo per un motivo o per l'altro.

CITAZIONE
Io sinceramente mi trovo un po' perplesso di fronte a questo approccio perchè ritengo che la memoria, sia individuale che collettiva, sia qualcosa di ben poco fotografico e di troppo (anche inconsapevolmente) rielaborativo, ricostruttivo e creativo riguardo all'esperienza vissuta o tramandata (dovremmo leggere testi di psicologia della memoria al riguardo, ma mi pare sia un fatto assodato).

perchè, le opere storiografiche non sono rielaborative, ricostruttive, deformanti e ipotizzanti?

CITAZIONE
Anche ammettendo che un "nocciolo" sia stato trasmesso con precisione in forma orale mentre altri particolari minori variano (vedi l'esempio di Dunn nel Jesus remembered dellla guarigione del servo del centurione) non mi sembrano portino a risultati diversi da quelli portati ad esempio da Bultmann con la sua teoria letteraria delle forme, o sbaglio? Mi interesserebbe approfondire questo tema.

Ciao.

A questo punto dovresti provare a leggere appunto Le Donne, che cerca di superare il fossato tra avvenimento e ricordo, proprio riflettendo su come funzioni la memoria: non si arriva al Gesù della storia (o almeno non ci si avvicina) scremandolo dai ricordi e dalle interpretazioni dei suoi seguaci, ma al contrario utilizzandole, cercando di comprendere perchè e come una determinata cosa è stata ritenuta sufficientemente importante da essere ricordata, tramandata, rielaborata e assimilata.
view post Posted: 6/1/2012, 11:11     Posizione della semi-inesistenza storica - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (negazionista @ 5/1/2012, 19:23) 
Hai sottolineato in quel riassunto solo fatti. Io avrei dei dubbi quando Waylander afferma che da solo Gesù ha cambiato il corso della storia e cose simili:

veramente io ho detto una cosa diversa, qualcosa più sulla riga del dantesco "poca favilla gran fiamma seconda", e che ci sia stato un grande incendio dopo Gesù mi sembra innegabile. Non ho affatto affrontato la questione se egli lo abbia causato direttamente , se lo abbia voluto, se lo abbia previsto o se semplicemente questo è avvenuto come a volte accade nella storia, che certi personaggi ed eventi hanno effetti assai maggiori di quanto potesse sul momento sembrare.


CITAZIONE
presi isolatamente, quell'insieme di episodi elencati dalla Fredriksen non dicono granchè sull'influenza effettiva di Gesù:

infatti non ne hanno la pretesa
CITAZIONE
uno può affermare che c'è stata continuità tra il pensiero gesuano e quello dei discepoli, oppure può affermare il contrario.

uno può affermare tante cose, tuttavia la storia è un continuum, non procede a sbalzi o per settori, anche se questa può essere l'impressione che da il lavoro dello storico, ma è un errore di prospettiva derivante dagli strumenti usati e dalla frammentarietà di ciò che la storia stessa ci ha tramandato.

CITAZIONE
Io sospenderei il giudizio, semplicemente, per assenza di informazioni aggiuntive al riguardo, e temo che lo si debba sospendere per sempre, a meno di non trovare altre testimonianze sul Gesù storico. Inoltre non mi serve passare al setaccio le interpretazioni: posso semplicemente trovare un'altra che la contraddice, il che conferma la mia ipotesi di fondo: tot capita tot sententiae.

ciao

sospendere il giudizio non serve a niente, e infatti non è fare storia. Con questo principio inoltre qualsiasi attività umana risulterebbe praticamente impossibile, poichè nessuno di noi ha la conoscenza perfetta e totale del reale.
view post Posted: 5/1/2012, 10:52     Posizione della semi-inesistenza storica - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (negazionista @ 4/1/2012, 17:01) 
e per il semplice fatto che entrambi condividono un aspetto, vale a dire il loro basarsi su descrizioni - piuttosto ''audaci'' - compiute rispettivamente dagli storici e dai teologi: sono cioè solo punti di vista su cui ''scommettere'' (nel senso buono del termine, certo, ma si tratta pur sempre di una scommessa).
La conseguenza di tale posizione sarebbe però la stessa dei miticisti: il risultato di ''nientificare'' Gesù dal punto di vista storico, considerati vani e falliti tutti i tentativi di sapere di più sulla sua vera concezione del mondo, portando come prova l'enorme disparità di vedute "scientifiche" in merito: un Gesù evanescente, dunque...

il problema della tesi miticista è proprio questa inferenza tra scarsa conoscenza e non esistenza, ma non è consequenziale che ciò che è poco conosciuto, o addirittura per nulla, non esista o non sia esistito. Del resto non è affatto vero che di questo personaggio non sappiamo nulla, questo ad esempio è il riassunto fatto dalla Fredriksen un bel po' di anni fa e che mi sembra tuttora valido:
"Jesus of Nazareth was probably born in the final years of the reign of Herod the Great. He died in Jerusalem when Caiaphas was High Priest and Pilate the Roman prefect. His active ministry began sometime after his encounter with John the Baptist, who was, himself, a prophet of impending apocalyptic redemption. Jesus taught, traveled, and healed primarily in the lower Galilee. He called twelve disciples. He ate with sinners. He exorcised demons, healed the sick, and much of his teaching, mediated frequently through parables, concerned the kingdom of God.
However long his public teaching lasted-one year according to Mark, perhaps three according to John-it ended not in the Galilee but in Jerusalem, where Jesus journeyed for Passover. On or just before Passover, he was secretly arrested by a force sent out by the priestly authorities, brought before Pilate, and crucified for sedition.
Shortly thereafter, his followers, most of whom had fled at his arrest, proclaimed him to be raised from the dead. Eventually, other Jews such as Paul, who had not known Jesus, also had experiences of the risen Christ. [...] Jesus' followers regrouped, gave up the movement's Galilean roots, and settled in Jerusalem, continuing to preach about the kingdom and, also, about Jesus. Within very few years, this gospel spread to the diaspora, where the new communities began to absorb significant numbers of Gentiles. Gentiles were not required to convert to Judaism; yet these communities, whether mixed or exclusively Gentile, continued to place themselves within the traditions of Israel, to regard Jewish scripture as sacred, and to await the kingdom, increasingly identified with the return of Jesus, also spoken of as 'Christ', 'Son', and 'Lord'. This is a fairly uncontroversial gloss of the history of the early movement around Jesus” (P. FREDRIKSEN: What You See Is What You Get. Context and Content in Current Research on the Historical Jesus; Theology Today, 52.1 [1995] p. 76-77).

Quello che tu chiami agnosticismo forte sembra essere il tentativo di allestire una faccia presentabile per le varie teorie miticiste, astenendosi dal compiere l'ultimo passo deciso, quello della negazione tout court, ma facendo il passettino timido dell'insignificanza, ovvero ciò che si sa è talmente poco da essere praticamente irrilevante, sottintendendo che ciò che è insignificante e irrilevante può anche essere eliminato. E qui è l'altro grosso, enorme, problema della teoria miticista, l'impronta storica di Gesù non è affatto modesta ma dirompente sin dal suo inizio e con effetti che durano su larga scala ancora oggi, così che eliminare questo tizio dalla storia crea un buco tale che nessun theios aner più o meno gnosticheggiante, nessun archetipo sapienziale ebraico, nessun Giovanni di Gamala è in grado di colmare, come dimostrano i patetici tentativi di Freke & Gandy o di Acharya S, piuttosto che di Doherty o degli arpiolidi.
Tuttavia, se vogliamo dare a cesare quel che è di cesare, questa posizione paramiticista o agnosticismo forte ha il merito di porre in questione quel peccato originale di matrice positivista di cui sembra soffrire ancora oggi la ricerca storica su Gesù, nonostante lo storicismo positivista sia stato spazzato via oramai da decenni, ovvero l'idea che sia esistito una sorta di personaggio monolitico (immaginario, a questo punto, direi io,) che non aspetta altro che di essere ripulito, con procedimenti sempre più sofisticati, dalle incrostazioni dei ricordi dei suoi seguaci per ritornare al suo aspetto originario, un po' come una statua romana ripescata in fondo al mare, che va ripulita dei secolari sedimenti che il mare stesso, che ne ha permesso la conservazione, vi ha depositato. Ecco allora l'avvertimento intrinseco nell'agnosticismo forte (e direi anche nella teoria miticista): attenzione che a furia di scrostare si finisce per non avere niente in mano. In questo senso le teorie miticiste e agnostiche non si pongono in contrasto con il Gesù della fede, sono due universi talmente separati da essere di fatto incomunicanti, ma con il Gesù storico, evidenziandone, seppur con metodi spesso errati e scopi fantasiosi, i limiti gnoseologici. Del resto, come abbiamo già detto, sembriamo vivere da almeno un decennio, un periodo di stasi se non di riflusso "conservatore" in questo settore. Mi sembra che tale stasi si possa superare proprio con un recupero del concetto di "ricordo" in ambito storiografico, e quindi un maggiore utilizzo di quella che è la Traditio cristiana espressa non solamente attrraverso gli scritti neotestamentari ma attraverso anche e soprattutto le varie forme cultuali, liturgiche, sociali e culturali che sin da subito hanno caratterizzato il movimento post-gesuano (come mi sembra sia ad esempio orientato Pesce, tanto per rimanere in Italia), in particolare attraverso il recupero della patristica, ovvero della letteratura cristiana antica, fenomeno che mi sembra stia avvenendo negli ultimi anni tra gli studiosi soprattutto di estrazione evangelica, forse i più attivi nel mondo anglosassone, che tradizionalmente hanno generalmente trascurato questo campo di studi.
Il ripensamento delle categorie storiografiche e il recupero della tradizione del cristianesimo primitivo potrebbe (e dico potrebbe perchè ovviamente non ho la palla di vetro) fornire nuove strade per superare quella che mi sembra oramai una sorta di impasse nella ricerca sul Gesù storico, accantonando così le pretese miticiste e simil-miticiste.
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