MEGA-RISPOSTA A G. TRANFO LA QUESTIONE DELLA "COORTE" ROMANAE’ vero Giovanni (18,3) sostiene che ad arrestare Gesù si sia mossa un’intera coorte di soldati romani, insieme a guardie dei sommi sacerdoti e dei farisei. Non così invece secondo i sinottici, per i quali i romani interverranno solo in seguito, mentre l’arresto è una faccenda tutta ebraica. Dove si trova il ricordo più “storico”? In Giovanni, nei sinottici o in nessuno dei due? E’ difficile dirlo. Vorrei però notare che Giovanni va preso con le molle, tenendo sempre un occhio ai suoi possibili “interessi teologici”. E sicuramente ti sarai accorto che anche in questo racconto specifico gli interessi teologici non si fanno certo attendere: è credibile infatti che un’intera coorte romana retroceda impaurita e cada a terra, non appena Gesù conferma di essere colui che stanno cercando?
E un’altra cosa ancora: cosa mai ci stanno a fare le “guardie dei farisei” in questa scenetta? E’ noto come i farisei – a dispetto di tutta la radicale ostilità e i sistematici scontri con Gesù su cui gli evangelisti tanto insistono, riflettendo probabilmente le animosità che con essi avevano le comunità cristiane dopo il 70 – risaltino in tutti i racconti della passione per la loro totale assenza: le cose non stanno diversamente nemmeno in Giovanni, e infatti 18,3 e l’ultima volta in cui li si incontra, dopodiché lasciano completamente il palco ai sommi sacerdoti Anna e Caifa, ai capi dei sacerdoti e ai loro sottoposti. Ciò fa sorgere
il sospetto che anche in 18,3 Giovanni ci abbia infilato qualche cosa di suo: i subalterni dei romani, dei sommi sacerdoti e dei farisei, tutti insieme allegramente, mi fanno pensare che siano una trovata teologica di Giovanni, che può così rappresentare l’ostilità congiunta del mondo intero contro Gesù, la totalità delle forze negative di “questo mondo” unita nell’espellere Gesù.UN' OBIEZIONE RADICALE AL "GESU' RIVOLUZIONARIO POLITICO"Ma a questo punto, piuttosto che giocarci tutto puntando sulla discussione in merito all’attendibilità di Gv 18,3 , preferirei rispondere alla tua obiezione con un’altra obiezione.
Se veramente Pilato fosse stato al corrente che il movimento di Gesù intendeva stabilire il regno di Dio tramite una vera e propria sollevazione popolare, come è possibile che si sia limitato a decapitare la “testa” del movimento, infischiandosene invece di tutti gli altri, che poterono infatti rimanere indisturbati a Gerusalemme? Quando Roma sentiva l’odore di movimenti messianici e di liberazione che ribollivano, non ci andava di solito per il sottile: le truppe spedite contro Teuda, fecero fuori anche molti dei suoi seguaci, le cui teste furono portate indietro a Gerusalemme; e un destino simile toccò ai seguaci dell’Egiziano, macellati dalla fanteria pesante. Dagli Atti apprendiamo invece che i discepoli di Gesù poterono rimanere relativamente indisturbati a Gerusalemme, frequentando apertamente e tranquillamente il tempio, e se proprio ebbero qualche magagna, furono sempre i soliti sacerdoti, sadducei e soldati del tempio a causarle. Io credo che questa sia un’obiezione radicale alla tesi secondo cui il movimento di Gesù portasse avanti una causa rivoluzionaria: se così fosse stato, i discepoli avrebbero fatto compagnia al maestro sulla croce, o in quello stesso giorno o in quelli successivi.
SULLA "PACIFICITA'" DELL'INGRESSO IN GERUSALEMMENon dubito che la profezia di Zaccaria potesse essere ripresa anche in modo nient’affatto pacifico, come tu dici nel caso di Menahem. Specifico inoltre che non mi sento nemmeno di insistere più di tanto sulla portata che questa “entrata” potè effettivamente avere per il successivo svolgimento dei fatti: diversi studiosi non attribuiscono alcuna storicità a quest’episodio, altri l’affermano ma ne ridimensionano le proporzioni. Insomma, è un episodio controverso.
Nel caso in cui sia realmente avvenuto (come io timidamente penso), ritengo perfettamente possibile che fosse un gesto che Gesù fece con intento sostanzialmente simbolico. Secondo Gerd Theissen “l’episodio implica un opposizione all’ingresso in città del prefetto in occasione di tutte le grandi feste celebrate nel tempio” (G. Theissen, “La dimensione politica dell’attività di Gesù” in W.Stegemann – B. Malina – G. Theissen,
Il nuovo Gesù storico, Paideia, 2006).
G. THEISSEN E LA "POLITICA SIMBOLICA" DI GESU'Penso che potrebbe esserti utile, o quantomeno interessarti, la lettura di questo saggio di Theissen (che è tra i più grandi ed insospettabili studiosi contemporanei, “papà” di tante letture del Gesù storico a forti tinte politico-sociali, da Horsley a Crossan).
La tesi di Theissen è che “
Gesù e il suo movimento ebbero il sogno di un potere dal volto umano e si aspettavano che esso si avverasse per opera di Dio il quale impone il proprio dominio senza violenza, così come crescono le piante. Ma Gesù e i suoi seguaci non restano passivi, partecipano alla realizzazione del regno di Dio e lo fanno mediante la rinuncia dimostrativa alla violenza, mediante azioni politiche simboliche e mediante la loro partecipazione a una sovranità clemente: nella loro vita sono essi stessi piccoli “sovrani”. (…) Nell’attesa della signoria di Dio egli (Gesù) ha operato anche politicamente. (…) La sua azione politica tende a ridurre la violenza al minimo, conduce la battaglia per il potere con una politica simbolica che legittima e delegittima e vuole rendere anche coloro che non hanno potere soggetti di potere”.
Secondo Theissen
Gesù si richiama ad un antico ideale di sovrano clemente, facendone un modello per i suoi seguaci.
Egli illustra tale ideale attraverso
tre punti: il comandamento di amare i nemici, l’esortazione a dominare servendo, la beatitudine degli operatori di pace. Il primo punto trova un analogia (oltre che in una massima attribuita al re spartano Aristone riportata da Plutarco: “
Quanto è meglio, amico, fare sì del bene agli amici, ma trasformare i nemici in amici”, che egli avrebbe detto in risposta ad un tale che avrebbe lodato la massima del sovrano precedente, per cui il re deve fare del bene agli amici ma del male ai nemici) nella
Lettera di Aristea, dove si trovano varie sentenze sulla necessità di un’autolimitazione del potere del re e sulla sua clemenza verso i nemici.
Secondo Theissen, “
la tradizione di Gesù riprende simili tradizioni applicandole a uomini semplici: uomini semplici, privi di potere politico, dovrebbero comportarsi come sovrani che con la generosità ottengono più di quanto potrebbero perdere. Anche l’uomo della strada deve praticare l’amore per il nemico: la clementia Caesaris. E anche questi uomini semplici diventeranno in questo modo “figli di Dio”, avranno cioè lo stesso titolo dei sovrani dell’antichità”.
Si tratta quindi di una sorta di politica della nonviolenza dimostrativa.
La stessa che emerge dal dialogo di Gesù con i figli di Zebedeo:
“
Sapete che coloro che sono ritenuti principi tengono i loro popoli sottomessi e coloro che hanno il potere usano la loro violenza. Ma tra di voi non è così, bensì quello di voi che vuol essere grande dovrà essere vostro servitore; e quello di voi che vuole essere il primo, dovrà farsi schiavo di tutti”.
Secondo Theissen anche qui Gesù riprende una tradizione presente nel mondo antico su di un sovrano magnanimo che concepisce il proprio potere in modo opposto e alternativo rispetto al “tiranno”, e cioè perfino come servizio e schiavitù.
Gesù immagina che quando Dio avrà instaurato la sua signoria, i suoi discepoli siederanno su dodici troni a giudicare e governare I’Israele restaurato (in quella che sarebbe una sorta di sovranità popolare rappresentativa);
il modello di sovranità che essi sono chiamati a mettere in pratica è però quello delineato in Mc 10,42-44 , totalmente antitetico alle sovranità vigenti nell’ordine attuale, quella di Roma come quella di Erode.
Infine, sempre secondo Theissen, anche la beatitudine degli operatori di pace s’inquadra nell’ideale alternativo di una sovranità “clemente”. “Facitore di pace” era infatti un attributo ricorrente nei sovrani antichi (non ultimo Augusto).
IL JESUS SEMINAR: L' "IMPERO DI DIO" COME ALTERNATIVA RADICALE ALL'IDEA STESSA DI "IMPERO" (Brokerless Kingdom)Anche secondo secondo gli autori che ruotano intorno al Jesus Seminar l’ “Impero di Dio” che Gesù proclama e realizza nell’esistenza itinerante insieme ai suoi seguaci, totalmente al di fuori del sistema clientelare romano, è un’alternativa radicale all’Impero di Roma e alla realized eschatology di Augusto.
Ma, ripeto, è un ALTERNATIVA RADICALE: ossia
un ideale utopico totalmente alternativo rispetto ad ogni struttura di potere, un egualitarismo radicale, quello che Crossan chiama brokerless Kingdom. Ora, io non vorrei proprio diventare l’avvocato di Crossan e del Jesus Seminar! Però anche i loro lavori mi sembrano cogliere nel giusto almeno in questo aspetto per cui il Regno che Gesù annunciava era qualcosa di decisamente politico e sociale, ma in senso
radicalmente alternativo rispetto a tutte le consuete sovranità, comprese quelle che avevano in mente i movimenti messianici tradizionali.
La differenza è che per Crossan & Co. tale “Impero” si realizza nel “qui ed ora” della vita egualitaria dei radicali/mendicanti itineranti, mentre per Theissen si tratta di un’utopia che non è realizzabile al di fuori di un intervento miracoloso e trasformativo da parte di Dio. E io, evidentemente, sto con Theissen.
Che poi, se ci pensi, la prospettiva "mia" e di Theissen (meno invece quella del Seminar) è più o meno la stessa di
Mauro Pesce. Come ti sarai accorto anche Pesce sostiene a chiare lettere gli stessi elementi su cui insisto anch’io:
a) un’escatologia imminente che dipende
b) da un intervento soprannaturale di Dio, e non da strategie politico-militari, e che presenta nondimeno
c) evidenti risvolti di tipo sociale.
Ci sarebbero altre cose a cui rispondere (ad es. il gesto nel tempio), ma penso che quanto detto sia più che sufficiente: le tue vedute (ho spulciato un po’ il tuo sito) mi sono abbastanza chiare, e penso che altrettanto lo siano le mie ai tuoi occhi. Io sono convinto che la predicazione di Gesù avesse forti implicazioni di ordine sociale e politico, ma, soppesando il complesso delle tradizioni evangeliche, mi sembra che non sia proprio possibile sostenere che egli intendesse instaurare il regno di Dio in modo rivoluzionario, attraverso una campagna di liberazione militare. E mi pare che in favore di tale conclusione (cioè: “
politica sì, ma senza violenza”) propenda una considerevole varietà di studiosi, appartenenti alle aree più diverse, e non sospettabili di “interessi confessionali”: da Theissen (che, se proprio si vuole, è il più “teologico” di tutti) a Pesce, da Horsley a Crossan.
THEISSEN: IL MOVIMENTO DI GESU' COME RIFORMULAZIONE DEI PRECEDENTI MOVIMENTI DI LIBERAZIONE E RINNOVAMENTO, SULLA BASE DELL' ESPERIENZA DEI LORO FALLIMENTIIo, evidentemente non condivido quella che si potrebbe chiamare (mutuando la thoroughgoing eschatology di Schweitzer, in cui mi riconosco io) la tua
thoroughgoing revolutionary politics.
Non credo cioè che nel giudaismo del secondo tempio ci fosse spazio solo per dei messianismi di tipo rivoluzionario, e non anche per delle linee alternative, che magari si formavano proprio in seguito ai ripetuti fallimenti dei messianismi tradizionali.
Sempre secondo Theissen
il movimento di Gesù dev’essere inquadrato in un linea di sviluppo che procede proprio tenendo conto dei fallimenti degli altri movimenti di rinnovamento giudaici (ad es. Simone, Athronge, Giuda il Galileo, e il Battista stesso).
Già il movimento di rinnovamento del Battista “si distingueva da quelli precedenti perché non si rivolgeva contro i dominatori stranieri romani ma criticava il proprio popolo”, sia in direzione di Antipa, colpevole di essersi allontanato dalle tradizioni del suo popolo, sia in quella di tutto il popolo in generale, che doveva convertirsi e non confidare più sulla propria elezione.
“
Al posto della ribellione extrapunitiva contro gli stranieri, nel Battista fece la sua comparsa un’autoaccusa intrapunitiva degli ebrei”. In questa stessa linea si pone quindi
il movimento di Gesù, il quale è appunto “
una nuova formulazione della fede giudaica (o della sua rivitalizzazione) che ha imparato dai fallimenti dei precedenti movimenti di rinnovamento e di opposizione, oppure li ha corretti con più o meno numerosi tentativi per prova ed errore, là dove la realtà li confutava.
La speranza messianica viene modificata e riformulata (…) e il mistero della persona di Gesù viene privato delle aspettative tradizionali verso un Messia o un Figlio di Davide. L’anelare radical-teocratico (Sehnsucht) verso una collaborazione all’instaurazione della signoria esclusiva di Dio, viene trasformato in un radicalismo etico e in tal modo sottratto al conflitto con il potere politico” (è una mia vacillante traduzione dall’originale tedesco del saggio “Jesus – Prophet einer millenaristischen Bewegung” in G. Theissen,
Jesus als historische Gestalt).
Il movimento di Gesù, in sostanza, fa esperienza dei fallimenti dei movimenti di rinnovamento e di liberazione che lo precedono, e finisce così per elaborare una peculiare visione politica, che si potrebbe chiamare “politica simbolica” o “anti-politica”, che lo sottrae maggiormente al potere e alla presa dell’ Impero (o almeno, visto che la fine di Gesù è comunque sempre la stessa, avrebbe dovuto!).
AMMISSIONE DELLE MIE LIMITATISSIME CAPACITA'Ecco, io la vedo così. Sono perfettamente cosciente che
le mie opinioni si basano su una conoscenza solo di “seconda mano”: oltre a non conoscere una parola né di greco né di ebraico, non ho ancora nemmeno avuto la possibilità di leggermi Giuseppe Flavio, o, che so, la Mishnah. Il mio interesse per l’argomento non è più vecchio di uno-due anni, e, da autodidatta, ho ritenuto che il modo più sensato di procedere per farmi un idea sul problema del Gesù storico, fosse di leggere quante più opere possibili di tutti gli studiosi principali e di correnti differenti: Sanders, Vermes, Ehrman, Allison, Fredriksen, Luedemann, Meier, Theissen, Gnilka, Schlosser, Dunn, Horsley, Crossan, Borg, Barbaglio, Pesce, Jossa, e chi più ne ha più ne metta. Piano piano, spulcia qua, spulcia là, sto facendo confidenza con tutti, e ritengo che questo modo di procedere (conoscere tutti i maggiori orientamenti attuali della ricerca), per chi non ha tempo o capacità di farsi una competenza di “prima mano”, sia il meno peggio.
Mi rendo quindi perfettamente conto di non poter dialogare “da pari a pari” con te: ciò che posso offrirti è la visione che ho maturato riflettendo sul lavoro che altri hanno fatto.
Se poi TUTTI questi altri sono completamente fuori strada, pazienza: vuol dire che sono fritto!NO AI VOLI PINDARICI, O ALLE "AGENDE TEOLOGICHE" NASCOSTENon ritengo però meritato il giudizio secondo cui l’ “ipotesi” da me presentata (che poi è in buona parte quella di Paula Fredriksen, studiosa americana non passibile di sospetti confessionali, anzi, di accentuatissima sensibilità giudaica) costituirebbe un “volo pindarico” escogitato per salvaguardare l’architettura neotestamentaria e la teologia cristiana. Anzitutto, non credo che l’ipotesi di Fredriksen costituisca un “volo pindarico”, ritengo anzi che sia l’ipotesi che riesce a spiegare nel modo migliore il maggior numero di fatti (e ti rinvio quindi volentieri alla lettura diretta del suo volume principale:
Jesus of Nazareth, King of the Jews).
Naturalmente è ovvio che QUALSIASI IPOTESI presenta necessariamente dei punti deboli, e, ogni studioso onesto dovrebbe ammettere (se non pubblicamente, almeno in cuor suo) i punti in cui la propria ipotesi esplicativa funziona un po’ farraginosamente, oppure funziona bene ma a patto di ignorare o di stravolgere tutta una serie di testimonianze contrarie. E’ evidente che, dal mio punto di vista – per quel po’ di bagaglio di conoscenze che mi sono fatto – la visione che mi proponi tu è tutt’altro che solida e inattaccabile …
Ma, al di là delle inevitabili divergenze d’opinione, vorrei almeno che non si pensasse che l’ipotesi esplicativa da me avvalorata sia tale solo in quanto funzionale ad una visione teologica. Anzitutto per il semplice fatto che tale posizione, o versioni analoghe, viene sostenuta da autori che non hanno alcun tipo di interesse teologico (ad es. Sanders, Fredriksen, Pesce).
In secondo luogo, perché se mi fossi scelto la ricostruzione storica che meglio avesse dato fondamento alle mie opinioni teologiche, mi sarei rivolto a ben altri lidi (e magari nemmeno avrei mai aperto un libro sull’argomento, visto che di spendere centinaia e centinaia di euro per leggere tutta la principale bibliografia recente non me l’ha comandato né il medico, né il confessore, né, tanto meno, il buon senso!
). In terzo luogo, perché non è cortese insinuare che le opinioni del proprio interlocutore siano funzionali ad un’ “agenda” di ordine diverso da quello della pura onestà storica: evidentemente potrei rivolgerti la stessa osservazione, insinuando che anche il tuo lavoro è fatto ad arte per destituire di ogni fondamento la fede cristiana (e immagino in effetti che questo sia un ritornello nient’affatto nuovo alle tue orecchie!).
P.S.: MA LA RICERCA STORICA E' POI VERAMENTE SUFFICIENTE PER PERDERE LA FEDE?Detto questo, concludo con una piccola osservazione in merito a questa tua frase:
“
Io un pò vi invidio perchè pur rendendovi conto di tutto questo (perchè sono sicuro che ve ne rendete conto) riuscite a mantenere la vostra fede. Io non ci sono riuscito ma comunque vi stimo”
Io, dopo un paio d’anni di immersione negli studi storici, ho cominciato in effetti a guardare in modo un po’ diverso certi aspetti della mia fede, riformulando varie cosette; ma devo dire che – onestamente – non mi sono reso ancora conto di “qualcosa” che, una volta scoperto, dovrebbe necessariamente mettere in scacco per sempre tale fede. Non posso dire ora come reagirei qualora un giorno me ne rendessi effettivamente conto: se cioè finirei per chiudere con la fede oppure con i libri di storia.
Ma forse un’alternativa così radicale non è nemmeno necessaria.
Io sono d’accordo con Pesce quando afferma che la ricerca storica è qualcosa di ben distinto dalla fede, e che non ha dirette implicazioni, né positive né negative, su di essa. In effetti ritengo che sia possibile continuare ad essere credente anche una volta che si sia giunti a conclusioni decisamente scettiche o negative circa l’attendibilità dei ritratti evangelici di Gesù. Si pensi soltanto a Bultmann! Storia e fede sono cose distinte, se uno riesce ad armonizzarle, tanto meglio; altrimenti non è detto che debba per forza buttare l’una per tenere l’altra. Non c’è nessun tipo di risultato della ricerca storica su Gesù, anche il più scettico, che conduca automaticamente alla perdita della fede. Se lo fa, è perché sono intervenuti fattori di ordine differente, solitamente di tipo filosofico.
Grazie (e al tempo stesso SCUSA!) per la pazientissima lettura!Edited by JohannesWeiss - 9/4/2008, 04:59