Studi sul Cristianesimo Primitivo

Un atto irresponsabile.

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peppetre
view post Posted on 3/9/2008, 14:35 by: peppetre     +1   -1




Un atto irresponsabile
Ignazio Marino - La Repubblica
Era il 1968 quando un gruppo di studiosi si pose il problema di dare
una nuova definizione alla morte. Nella storia dell´uomo, infatti, la
fine della vita ha sempre coinciso con l´arresto del battito
cardiaco: ogni eroe degno di questo nome è morto perché il suo cuore
ha smesso di battere, la letteratura e le opere d´arte ne danno ampia
testimonianza così come i vecchi manuali di medicina.

Parliamo di pochi decenni orsono, quando in ospedale per accertare la
morte si utilizzava il tanatografo, uno strumento che per venti
minuti misurava l´effettiva assenza del battito cardiaco e che oggi
si può trovare solo in qualche museo di storia della medicina.
Con i primi interventi di cardiochirurgia e con l´invenzione della
circolazione extracorporea apparve chiaro che la funzione del cuore
poteva essere sostituita da un meccanismo artificiale: la persona
continuava a vivere senza che il cuore battesse nel torace, purché il
cervello continuasse a ricevere il sangue. Molti segnali erano stati
registrati dai medici e l´idea che il cervello svolgesse un ruolo
determinante per la vita degli esseri umani era già ben consolidata.

Partendo da questi presupposti, si sviluppò un dibattito che vide
riuniti ad Harvard non solo medici ma anche giuristi, filosofi,
esponenti delle religioni perché l´obiettivo era trovare una
definizione alla morte che tenesse in considerazione anche gli
aspetti etici e il contesto in un dato momento storico. Da Harvard in
poi la morte dell´individuo si certifica nel momento in cui sono
cessate tutte le funzioni vitali del cervello in maniera
irreversibile, quello che viene definito in linguaggio semplificato
encefalogramma piatto. Tale condizione viene affermata dai medici
dopo sei ore di osservazione dell´encefalo e soltanto dopo questi
accertamenti il paziente viene dichiarato clinicamente morto. Il suo
cuore continua a battere e i polmoni a respirare se collegati a
sofisticati apparecchi, ma il cervello è morto e con esso la persona.

La nuova definizione di morte non fu dunque, solo il frutto di un
confronto tra scienziati, fu soprattutto la prima dichiarazione di
bioetica condivisa che ebbe un impatto concreto in tutto il mondo. La
morte cerebrale fu infatti alla base dello sviluppo della medicina
dei trapianti come la conosciamo oggi; permise la donazione degli
organi e il prelievo da donatori a cuore battente. Ed è grazie a quel
lavoro che oggi nel mondo si eseguono decine di migliaia di trapianti
d´organo ogni anno e si salvano, grazie a questa terapia, tantissimi
pazienti altrimenti destinati a morte certa.

La morte dunque poggia la sua definizione su certezze scientifiche
che non hanno motivo di essere messe in discussione. Del resto, è
certo che se un medico nutrisse il benché minimo dubbio sulla morte
di un individuo non procederebbe mai al prelievo degli organi. Ma
alla certezza scientifica si aggiunge anche la certezza morale,
riconosciuta dalla Chiesa cattolica anche attraverso un evento del
tutto eccezionale. Nell´agosto del 2000, ebbi infatti la fortuna di
assistere al discorso pronunciato da Giovanni Paolo II in occasione
del Congresso mondiale della The Transplantation Society.

Fu un evento speciale dato che il pontefice, per la prima volta
decise di recarsi ad un congresso scientifico e di fronte a migliaia
di esperti di trapianti di tutti i paesi del mondo affermò
che "l´esperienza umana insegna che l´avvenuta morte di un individuo
produce inevitabilmente dei segni biologici, che si è imparato a
riconoscere in maniera sempre più approfondita e dettagliata.
I cosiddetti criteri di accertamento della morte, che la medicina
oggi utilizza, non sono pertanto da intendere come la percezione
tecnico-scientifica del momento puntuale della morte della persona,
ma come una modalità sicura, offerta dalla scienza, per rilevare i
segni biologici della già avvenuta morte della persona. (…)In questa
prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento
della morte, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni
attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in
contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione
antropologica".

Attualmente c´è chi sostiene che la definizione di morte dovrebbe
essere rivista alla luce delle innovazioni tecnologiche che hanno
investito il mondo della medicina. Personalmente, credo che il modo
di definire la fine della vita sia corretto scientificamente ma
sostengo soprattutto che se qualcuno nutre dei dubbi li esponga nelle
sedi appropriate, portando alla conoscenza di tutti gli argomenti
scientifici a supporto di questa sua posizione.

In caso contrario, insinuare l´ipotesi che un individuo che fino ad
oggi viene definito morto, non lo è più, è un atto irresponsabile che
rischia di mettere in pericolo la possibilità di salvare centinaia di
migliaia di vite grazie alla donazione degli organi dopo la morte, un
atto generoso e dettato unicamente dal senso di solidarietà tra gli
esseri umani.


*L´autore è chirurgo e senatore del Pd
 
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