Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo, discontinuita' tra il maestro e la Chiesa

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view post Posted on 23/1/2012, 13:41     +1   -1
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Dal mio punto di vista, siccome Gesù promise alla sua Chiesa l’assistenza infallibile del suo Spirito, quello che ha fatto la teologia cattolica non è tradire Gesù o il Gesù di Paolo, ma semmai solo sviluppare ciò che era implicito nel suo pensiero, così come nell’affermazione che Gesù è Dio contenuta nel prologo giovanneo sta implicita la conseguenza che se Maria era sua Madre, allora Maria sia la madre di Dio. Il Nuovo Testamento non conosceva questo titolo, ma esso è direttamente derivato da una delle cristologie presenti in esso. La Chiesa cioè ha il compito, datole da Dio, di approfondire e comprendere meglio la rivelazione che Gesù le ha lasciato, ma non per aggiungere casualmente ad essa, bensì come ripeto per sviluppare ciò che in essa è contenuto. Faccio spiegare questa cosa da J.R.R. Tolkien, l’autore del Signore degli Anelli, che era un devoto cattolico ma soprattutto un professore di Oxford, e traduttore di alcuni libri biblici per la versione inglese della Bibbia di Gerusalemme (la polemica qui è contro un presunto bisogno di un ritorno alla semplicità biblica capeggiata dai protestanti col Sola Scriptura):

I “protestanti” cercano nel passato la “semplicità” e il rapporto diretto che, naturalmente, benché presenti degli aspetti positivi o per lo meno comprensibili, è uno sbaglio inutile. Perché il “cristianesimo primitivo” è e rimarrà, nonostante tutte le ricerche, in gran parte ignoto; perché la “primitività” non è garanzia di valore ed è ed era per lo più riflesso di ignoranza. Gravi abusi erano un elemento del comportamento liturgico cristiano agli inizi come adesso. (Le restrizioni di San Paolo a proposito dell’eucarestia valgono a dimostrarlo!) Inoltre la “mia chiesa” non è stata concepita da Nostro Signore perché restasse statica o rimanesse in uno stato di eterna fanciullezza; ma perché fosse un organismo vivente (come una pianta), che si sviluppa e cambia all’esterno in seguito all’interazione fra la vita divina tramandatale e la storia – le particolari circostanze del mondo in cui si trova. Non c’è alcuna somiglianza tra il seme di senape e l’albero quando è completamente cresciuto. Per quelli che vivono all’epoca della sua piena crescita è l’albero che conta, perché la storia di una cosa viva fa parte della vita e la storia di una cosa divina è sacra. I saggi sanno che tutto è cominciato dal seme, ma è inutile cercare di riportarlo alla luce scavando, perché non esiste più e le sue virtù e i suoi poteri ora sono passati all’albero. Molto bene: le autorità, i custodi dell’albero devono seguirlo, in base alla saggezza che posseggono, potarlo, curare le sue malattie, togliere i parassiti e così via. (Con trepidazione, consapevoli di quanto poco sanno della sua crescita!) Ma faranno certamente dei danni, se sono ossessionati dal desiderio di tornare indietro al seme o anche alla prima giovinezza della pianta quando era (come pensano loro) bella e incontaminata dal male. “(da una lettera a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pagg.442-443.)

Questa idea di Tolkien si basa sul fatto che, anche secondo Paolo, la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, e le è stato affidato il compito di essere la colonna della verità, cioè di comprendere grazie all’aiuto del Paraclito ciò che Gesù ha insegnato agli apostoli.
Sicché, grazie al cielo, la teologia e la comprensione del mistero cristiano non sono rimasti fermi allo stadio in cui erano all’epoca di Paolo, perché la Chiesa ha di molto approfondito la propria rivelazione. Ma questo approfondimento non può essere incompatibile o contraddittorio con quanto Paolo afferma, perché è da esso che deriva l’approfondimento della Chiesa, come la pianta dal seme. Sicché parlare di differenze tra teologia del III secolo e teologia neotestamentaria non dice alcunché sulla liceità di queste differenze se prima non si stabilisce se queste differenze siano nel segno della continuità o della rottura. Il ritorno alle origini, come spiega bene Tolkien, non è un valore, ed anzi, è un ideale dannoso.

Ad maiora
 
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Elijah Six
view post Posted on 23/1/2012, 14:26     +1   -1




CITAZIONE (Polymetis @ 23/1/2012, 13:41) 
La Chiesa ha il compito non [di] aggiungere casualmente alla [Bibbia elementi nuovi], bensì [di] sviluppare ciò che in essa è contenuto.

(La polemica qui è contro un presunto bisogno di un ritorno alla semplicità biblica capeggiata dai protestanti col Sola Scriptura)

Non riesco a seguire il tuo ragionamento fino in fondo.
La questione mi pare essere: ciò che è contenuto nella Bibbia basta per la salvezza, o c'è bisogno di un'aggiunta?

Da un punto di vista protestante ciò che è contenuto nella Bibbia basta per salvarsi.
Da un punto di vista cattolico oltre alla Bibbia hanno importanza anche la tradizione e la chiesa. La cosa interessante però è che nel Concilio Vaticano II la tradizione è stata reputata come una forma diversa di quanto già presente nella Bibbia. Quindi la tradizione non contiene neppure per i cattolici un'aggiunta a livello di contenuto necessaria per la salvezza. Spiega semplicemente meglio e rende esplicito ciò che c'è di implicito nella Scrittura. Ma nulla di nuovo.

In tal senso non vedo poi una così grande differenza (sotto questo aspetto) tra protestanti e cattolici.

"Omnis praedicatio ecclesiastica sicut ipsa religio christiana Sacra Scriptura nutriatur et regatur oportet."
(Concilio Vaticano II, Dei Verbum, Cap. 6, Nr. 9)

Poi forse sarò io a sbagliare.

P.S.:
Il Sola Scriptura non vieta di reputare valido ciò che la tradizione ha reso esplicito basandosi su ciò che c'è di implicito nella Bibbia.
 
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view post Posted on 23/1/2012, 15:08     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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CITAZIONE (Elijah Six @ 23/1/2012, 14:26) 
CITAZIONE (Polymetis @ 23/1/2012, 13:41) 
La Chiesa ha il compito non [di] aggiungere casualmente alla [Bibbia elementi nuovi], bensì [di] sviluppare ciò che in essa è contenuto.

(La polemica qui è contro un presunto bisogno di un ritorno alla semplicità biblica capeggiata dai protestanti col Sola Scriptura)

Non riesco a seguire il tuo ragionamento fino in fondo.
La questione mi pare essere: ciò che è contenuto nella Bibbia basta per la salvezza, o c'è bisogno di un'aggiunta?

La questione IMHO mi sembra mal posta. Quello che è contenuto nella Bibbia non è statico ma continuo oggetto di comprensione (come del resto la figura di Gesù), tale comprensione a sua volta genera altra comprensione in una spirale ermeneutica continua. Il testo è fisso (e anche qui se ne potrebbe discutere) solo dal punto di vista della seguenza delle lettere e dei brani, non certo del significato. Per cui immediatamente ti si pone il problema se ciò che tu comprendi della Bibbia è veramente presente nella Bibbia e la risposta è che ovviamente non lo è: per quanti sforzi tu possa fare per contestualizzarla, anche la tua contestualizzazione risentirà delle tue precomprensioni, le quali a loro volta risentono degli immaginari sociali e personali che ti determinano. Noi "costruiamo" la Bibbia giorno dopo giorno. In questo senso la tradizione cattolica è Bibbia e la Bibbia è tradizione cattolica. Ma anche ortodossa, su questo non faccio differenza (sperando che Teodoro non mi fulmini :huh: ). La Chiesa, in quanto depositaria della tradizione ma anche del testo sacro, entra in questo circolo ermeneutico quale garante continua della verdicità di tale processo e dei suoi contenuti. Senza la Chiesa non hai la Bibbia ma un banale testo letterario messo insieme in diversi secoli al quale puoi far dire più o meno ciò che vuoi. Senza la Chiesa la spirale ermeneutica diventa del tutto arbitraria. La Bibbia diviene allora sufficiente in quanto fonte imprescindibile della spirale ermenutica e necessario punto di ritorno di tutte le comprensioni.
 
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negazionista
view post Posted on 23/1/2012, 15:40     +1   -1




Non solo la reductio ad iudaeum da un lato, ma anche l'infischiarsene del gesu' storico da parte dei primi credenti (fine II secolo, quando Pesce fa risalire la nascita del cristianesimo ad esempio) che formularono il dogma (che e' poi quello attuale) dall'altro lato dovrebbero indurre i credenti contemporanei a fare il salto della fede. Giusto? Difatti non capisco perche' sia Weiss che Waylander insistono nel sottolineare come Pesce sia interessante (e potenzialmente pericoloso) unicamente per la reductio ad iudaeum ? L'intervallo di discontinuita' temporale piuttosto prolungato per consentire la nascita della forma ''gentile'' del cristianesimo dovrebbe destare qualche preoccupazione sulla legittimita' della sua pretesa nel rifarsi al gesu' storico ebreo palestinese di due secoli prima?
grazie per le risposte.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 23/1/2012, 15:57     +1   -1




CITAZIONE (-Waylander- @ 23/1/2012, 13:31) 
CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 02:50) 
Per quanto riguarda le affermazioni di Pesce circa la completa appartenenza di Gesù al giudaismo del suo tempo, si tratta di acquisizioni ampiamente condivise nell'attuale panorama accademico. Se questo giudizio degli storici costituisca anche un problema teologico, dipenderà dal tipo di teologia che si ha.

più che altro dipende dal tipo di antropologia culturale e filosofica che si sostiene. Personalmente ritengo una simile formulazione del tutto ambigua (per questo è stata messa in corsivo?), in linea peraltro con altre formulazioni già viste. Davvero una persona può essere ridotta all'ambiente culturale nel quale si trova ad operare? Eppure per altre persone, che nessuno si sogna di definire divine, non abbiamo problemi a chiamarle innovatori, rivoluzionari, anticipatori dei tempi ecc. ecc. Non ci stupisce affatto per esempio vedere Lutero, monaco agostiniano, scardinare la teologia cattolica e dare vita alla modernità, di cui certamente è uno dei padri, in opposizione all'ambiente culturale e religioso nel quale si muoveva. E di esempi se ne potrebbero fare tanti, anche perchè se così non fosse, se gli esseri umani non trascendessero continuamente il loro ambiente saremmo ancora nelle caverne. Possiamo forse dire che JW appartiene completamente all'italianismo del suo tempo? E in cosa consiste questo italianismo? Spaghetti e mandolino conditi con un pochino di spirito mafioso, come allo Spiegel piace rappresentarci?
Certo, gli storici hanno bisogno di categorie attraverso le quali rendere maggiormente intellegibile la storia, tuttavia esse sono strumenti e non gabbie nel quale calare a forza eventi e persone. La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti. Del resto se Gesù non poteva che essere totalmente ebreo lo stesso vale per i suoi discepoli, che pertanto sono in perfetta corrispondenza culturale con il loro maestro. E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione. E allora non c'è Kant, Kierkegaard o Schleiermacher, e neppure Pesce, che tenga di fronte a Gigetto er contadino: "le pere non cascano lontano dall'albero", che ha in se la saggezza dei millenni.

Definendo Gesù completamente o integralmente ebreo, io intendo rifiutare precisamente l’idea di una sua eccedenza/trascendenza rispetto al giudaismo in cui egli crebbe ed agì, trascendenza – anche solo a livello “implicito” – che era invece la cifra ermeneutica della ricerca storica su Gesù della cosiddetta New o Second Quest*, e con la quale non a caso anche la teologia cattolica (progressista) riuscì a intrattenere un fecondissimo dialogo, che produsse la grande stagione delle cristologie di Duquoc, Kasper, Schillebeeckx, Küng, O’Collins, e che continua a prolungarsi ancor oggi in lavori come quello di Maurizio Gronchi (2008), che nella parte storico-biblica è totalmente dominato dall’idea dell’eccedenza di Gesù.
E su tutto questo io ritengo che la cosiddetta Third Quest, ovvero tutta la florida varia produzione storiografica verificatasi soprattutto sulla scia dei lavori di Sanders e Vermes, sia completamente nel giusto nell’enfatizzare l’ebraicità di Gesù, il che non costituisce affatto una reductio ma piuttosto una recognitio.
Per quanto si vorrà dire che l’ermeneutica stessa attraverso cui questi studi approcciano i testi ne influenza i risultati (il che è sempre un po’ vero), a mio parere si tratta di un’ermeneutica che trova conforto nei testi stessi e non si impone su di essi con violenza e facendovi torto. Non c’è niente nei vangeli sinottici (e per chi ne accetta l’esistenza, anche nel primitivo Vangelo dei Segni da cui si sviluppò il Vangelo di Giovanni) che induca a pensare che Gesù fu ed intese essere o fare qualcosa di eccedente e trascendente la fede ebraica che animava le sue azioni. Naturalmente egli ebbe i suoi punti di originalità, ma non vi era alcun germe in ciò che egli era e faceva che dovesse necessariamente portare alla nascita sia di forme messianiche di giudaismo incentrate sul suo culto, sia - a maggior ragione - di una nuova e altra religione.
Certamente egli nel corso del suo ministero storico suscitò un forte impatto, e quindi una serie di effetti che a loro volta ebbero altri effetti. Ma che le cose andarono come andarono, fu frutto di eventi, circostanze e processi storici che mai avrebbero sfiorato la sua mente (e che il credente può a buon diritto considerare nell’ottica della Provvidenza e della Rivelazione storica di Dio), sicché andare alla ricerca “a ritroso” della cristologia implicita in Gesù (se con ciò s’intende qualcosa di più e di diverso da una possibile ma controversa autocomprensione messianica di Gesù) è un’operazione lecita esclusivamente in sede teologica, ma errata e inaccettabile in sede storica. Su tutto questo sto certamente dalla parte di Pesce.
Al tempo stesso convengo con te che può essere problematico parlare di discontinuità tra Gesù e le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio. Proprio perché la storia conosce solo novità relative, possiamo parlare di discontinuità solo allorché isoliamo dei singoli punti all’interno del continuum storico e istituiamo un confronto. Ma si tratta appunto di una nostra operazione di astrazione, lecita a patto che la si riconosca come tale, pena lo scadere in slogan.
 
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Elijah Six
view post Posted on 23/1/2012, 18:42     +1   -1




CITAZIONE (-Waylander- @ 23/1/2012, 15:08) 
La questione IMHO mi sembra mal posta.

Ciao Way,
quello che volevo semplicemente dire (ma che non ho detto e lo preciso ora) è che la sfida principale mi sembra essere la rivendicazione dopo la Aufklärung dell'autonomia della ragione (una ragione non più al servizio della fede, ma una ragione se vuoi ribelle, una mina vagante), e non tanto il principio protestante del sola scriptura.
Dal mio punto di vista il principio di sola scriptura non rappresenta al giorno d'oggi per il cattolicesimo un vero problema (nel senso che dopo il Concilio Vaticano II si è chiarita la funzione di orientamento della Scrittura per la tradizione - o sbaglio? - e quindi ci si è tra virgolette avvicinati al modo di pensare protestante).

Buona serata

Edit:
Che poi in ambito cattolico sia la Chiesa a fare da garante per la giusta interpretazione delle Scritture, mentre in ambito protestante (prendiamo Lutero) è Cristo (Cristo quale criterio per analizzare e persino criticare la Bibbia stessa - secondo Lutero la predicazione di Cristo è chiara e non necessita di interpretazioni, non il resto della Bibbia), è chiaro. Non sto negando tale differenza (e non mi interessa nemmeno stabilire o esprimere un giudizio su quale sia la posizione più valida). Io sto solo dicendo che entrambe le confessioni si orientano al giorno d'oggi prevalentemente sulla Bibbia, e che quindi attribuire tra virgolette la colpa della nascita della ricerca sul Gesù storico al principio del sola scriptura mi sembra discutibile. La nascita della ricerca sul Gesù storico è attribuibile piuttosto all'autonomia raggiunta dalla ragione dopo la Aufklärung.
Un'autonomia che ha portato i vari Kant, Schleiermacher, Kierkegaard, e co. a concepire la fede in modo diverso nel tentativo di stare al passo coi tempi.
Un'autonomia che rappresenta una bella sfida per chi è e vuole restare neotomista e quindi del parere che la ragione non ha il diritto di essere autonoma.

Edited by Elijah Six - 23/1/2012, 19:50
 
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negazionista
view post Posted on 23/1/2012, 19:27     +1   -1




CITAZIONE
Al tempo stesso convengo con te che può essere problematico parlare di discontinuità tra Gesù e le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio. Proprio perché la storia conosce solo novità relative, possiamo parlare di discontinuità solo allorché isoliamo dei singoli punti all’interno del continuum storico e istituiamo un confronto. Ma si tratta appunto di una nostra operazione di astrazione, lecita a patto che la si riconosca come tale, pena lo scadere in slogan.

Può chiarire in sintesi il Weiss cosa intende per discontinuità tra gesù e
le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio, e se nel far questo concorda in sostanza col pesce-pensiero?


CITAZIONE
La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti.

Perdonami Waylander, ma l'assoluta ebraicità di Gesù è davvero confermata a più riprese dalla Third Quest. Non capisco perchè desideri a tutti i costi vedere una ribellione di Gesù all'ebraismo del tempo... Potresti per piacere esplicitare meglio quali sarebbero i problemi teologici che deriverebbero da questo assunto in sede storica ormai conclamato ?
a par mio, continuo a non vederli, se non si accompagna la reductio ad judaeum alla natura esclusivamente e squisitamente ''gentile'' del 'vero' cristianesimo nascente (non Paolo e nemmeno Giacomo, dunque).
(rispondimi in mp se vuoi)

CITAZIONE
E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione

Attenzione al fatto che pesce riconosce l'ebraicità di paolo e company, pur con alcune differenze rispetto a gesù, ma fa sopraggiungere la discontinuità vera solo tra Paolo e la terza forma di cristianesimo, che non annoverava più alcun ebreo ormai tra le sue fila, in quanto squisitamente di natura gentile.
E tra ebraismo e gentilismo perfino un cieco si accorgerebbe che c'è c'è discontinuità, mi si passi tale slogan.
Elia Six, un giudizio :) ?
 
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Elijah Six
view post Posted on 23/1/2012, 20:21     +1   -1




CITAZIONE (negazionista @ 23/1/2012, 19:27) 
Elia Six, un giudizio :) ?

Martin Lutero non aveva alcuna intenzione di rompere con il cattolicesimo. Ma a causa di quello che ha fatto (Hier stehe ich, ich kann nicht anders. Gott helfe mir. Amen), la conseguenza è stata la riforma protestante.

Gesù il Nazareno non aveva probabilmente intenzione di rompere con il Giudaismo. Ma a causa di quello che ha fatto (è risorto, così secondo i suoi seguaci, e non parliamo di una risurrezione come quelle nell'antico testamento [il tornare in vita per poi di nuovo morire in tarda età], ma di una risurrezione in un corpo non corruttibile), la conseguenza è stata a lungo andare una spaccatura definitiva tra giudeo-cristiani e giudei non seguaci di Gesù.

Quindi il fondatore del cristianesimo non è stato il Gesù storico (e su questo gli storici hanno ragione), bensì il Cristo risorto. La risurrezione è il motivo. Senza di essa non penso che ci sarebbe stata una spaccatura.

Quello che poi tu eventualmente sei curioso di sapere è:
1) Perché la risurrezione di Gesù ha coinvolto anche i pagani e non solo i giudei?
2) Come si è arrivati ad avere più pagano-cristiani (se non solo) rispetto a giudeo-cristiani?

Domande legittime.
(Vuoi una risposta?)

Edited by Elijah Six - 23/1/2012, 20:38
 
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view post Posted on 23/1/2012, 22:09     +1   -1
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Siccome noi filosofi amiamo mettere in crisi qualsiasi sapere, solitamente ci mettiamo a domandare socraticamente cosa significhi qualsiasi concetto che l’interlocutore dà per scontato al fine di condurre tutto all’inanità.
I discorsi sulla “cultura” nella filosofia contemporanea hanno fatto questa fine, perché tutti i tentativi di stabilire cosa mai significhi “cultura” si sono rivelati pieni di buchi. Quando si dice che Gesù non è mai uscito dalla cultura ebraica, cosa si intende con questa frase? E cosa vuol dire in particolare “cultura ebraica”? Ho l’impressione che non solo di Gesù, ma di chiunque esista, si deve dire che trascenda, e al contempo non trascende, la sua cultura di partenza, a seconda di cosa intendiamo per “la cultura x” e per “trascendimento”. +
Way diceva giustamente, a mo’ di esempio, che non si vede proprio cosa vorrebbe dire che ciascuno di noi non trascende la cultura italiana… Anche ammesso che si possa stilare un elenco di quelli che sarebbero i punti della cultura italiana, viene da chiedersi di chi mai si possa dire che si adegui a tutti quei punti. A meno che ovviamente non si intenda “cultura italiana” come la somma di tutte le culture di tutti i singoli italiani, ma allora la cosa diventa un’ovvietà, perché la mia cultura potrebbe essere diversissima da quella degli altri ma, in quanto esistente, diventerebbe a buon diritto cultura italiana, perché anch’io sono italiano. Similmente quando Paolo parla di Gesù come messia crocifisso che mette la legge in croce, dice qualcosa mai udito dagli altri giudei, eppure è un giudeo a dire quelle parole ,e dunque esse vanno del tutto iscritte nella storia della cultura ebraica.
Quando si dice che Gesù è rimasto all’interno della cultura ebraica, cosa si intende dunque? Molti sostengono che l’ebraismo non esista, ed esistano solo tanti “ebraismi”, al plurale, ma qual è il minimo comune denominatore?
Per definire una cultura molti allora negano esista un “minimo comune denominatore”, e ricorrono al concetto di “somiglianze di famiglia” di Wittgenstein, ben esemplificato dagli anelli del simbolo delle olimpiadi: non esiste cioè un’intersezione centrale che raggruppi tutti i cerchi, però l’insieme dei cerchi è legato per via di intersezioni intermedie.
O forse quando si dice che Gesù è rimasto all’interno della cultura ebraica si intende dire che i suoi pensieri, i suoi riferimenti culturali, erano già tutti attestati nel pensiero del giudaismo medio?
Anche qui bisogna vedere cosa intendiamo. A me sembra che quando si dice che Gesù è rimasto totalmente all’interno dell’ebraismo in realtà anziché parlare di “riferimenti culturali” si stia parlando di un’agenda teologica, cioè che chi parli dell’ebraicità di Gesù in realtà non si limiti a parlare dei suoi modi di dire, delle figure metaforiche che usava mutuate dal contesto sociale, ma in realtà voglia parlare della sua teologia, ed in particolare voglia asserire che il suo rapporto con Dio era quello di chi si concepisca come un uomo, e non come un Dio, perché com’è noto i pii ebrei non si ritengono Dio Onnipotente…
Infatti abbiamo letto in questa discussione che se Gesù si fosse proclamato Dio sarebbe uscito dall’ebraismo, e io mi chiedo: ma è davvero così?
Se io fossi un pazzo, e credessi di essere l’incarnazione di Gesù Cristo, voi direste che sono uscito dalla cultura cristiana o mi sono alienato da essa? Non direi proprio: certamente sto pronunciando una dottrina non ortodossa per le religioni cristiane attualmente esistenti, che ritengono Cristo in Cielo, ma in realtà il mio riferimento culturale, il concetto che ho elaborato, è del tutto radicato nel cristianesimo come insieme di immagini di riferimento, anche se non corrisponde alla teologia di alcuna Chiesa esistente. Se dicessi di essere la reincarnazione di Budda, forse potreste dirmi che sono uscito dalla cultura cristiana, ma se affermo di essere Cristo, o la Madonna, per quanto la mia affermazione sia eretica, mi starei muovendo in un ambito del tutto occidentale e cristiano a livello di immaginario di riferimento.
Sicché francamente l’ipotesi che Cristo si credesse Yahweh in persona, non vedo in alcun modo come farebbe uscire Gesù dall’orizzonte dalla cultura ebraica, al massimo lo faceva uscire dall’ortodossia di chi fosse Yahweh secondo i gruppi dell’epoca. La storia ebraica è piena di figure che danno una declinazione nuova ad elementi dell’immaginario del loro popolo, è il caso ad esempio di un messia come Sabbatai Zevi: chi avrebbe mai pensato che il messia comandasse la disobbedienza dalla Legge? Nonostante ciò chi mai direbbe che il sabbatianesimo, pur col suo antinomismo, non è un movimento ebraico? Eppure rompe con tutto….
Ho cioè l’impressione che chi parla di cultura ebraica per dire che Gesù non ne è mai uscito in realtà, più che parlare di cultura, stia parlando di una precisa agenda teologica prestabilita, volta a fariseizzare Cristo, o ad essenizzarlo, se l’ipotesi affascina, quanto al suo modo di concepire DIo.
Ricapitolando:
1)Non so cosa voglia dire “cultura”.
2)Non so cosa voglia dire “cultura ebraica”.
3)Non so cosa voglia dire che una persona è immersa in una cultura e non ne esce.

Il fedele, specie se è filosofo, non può che guardare con molto sospetto l’inestricabile groviglio di concetti, elaborati dell’Occidente, tra cui quello di “cultura” o quello di “religione”, che molti storici usano senza minimamente riflettere sulla loro artificialità. L’aleatorietà delle ricostruzioni storiche quando entrano in gioco questi concetti, è anch’essa qualcosa che non viene percepita dai più, Vien voglia di dire: attaccatevi pure alla Third Quest, dopo la First e la Second Quest noi aspettiamo la Fourth tra una decina d’anni, e la Fifth tra una trentina.


Ad maiora
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 24/1/2012, 01:31     +1   -1




CITAZIONE (negazionista @ 23/1/2012, 19:27) 
Può chiarire in sintesi il Weiss cosa intende per discontinuità tra gesù e
le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio, e se nel far questo concorda in sostanza col pesce-pensiero?

Brevissimamente. Prendi le lettere di Paolo, il Vangelo di Matteo, il Vangelo di Giovanni e il Vangelo di Tommaso.
Dalla lettura di questi testi si ricavano sistemi religiosi chiaramente differenti, tutti incentrati sulla figura di Gesù e tutti in misura maggiore o minore discontinui rispetto alle forme religiose, etiche, sociali che attribuiamo al Gesù storico. Tutti però presuppongono, riprendono e intervengono su una tradizione ad essi anteriore e sono cioè l'esito di processi storici e sviluppi comunitari graduali, e non di invenzioni a tavolino.
Prendi l'articolo di Pesce sul Vangelo di Giovanni e le fasi giudaiche del giovannismo. Pesce ritiene che la forma finale del Quarto Vangelo rifletta un sistema religioso autonomo - il "giovannismo" - divenuto estraneo a quel giudaismo a cui i gruppi di tendenza giovannista erano invece precedentemente appartenuti o ancora appartenevano.
Se il "giovannismo" di Pesce è un sistema religioso molto lontano dal Gesù storico, il suo "giudeo-giovannismo" lo è già meno (ad es. Pesce pensa che questo giudeo-giovannismo fosse interessato alle questioni della purificazione rituale e della remissione dei peccati secondo una concezione prossima a quelle di Gesù e del Battista).
 
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negazionista
view post Posted on 24/1/2012, 09:17     +1   -1




Elia, le risposte (storiche) penso di trovarle nel libro di Pesce.

Tuttavia vorrei concedermi alcune due critiche a KIerkegaard.
Sembra mancare di un certo grado di socialita' quando restringe la fede ad un solo fatto individuale. MI sembra un Max Stirner sotto mentite spoglie *. Laddove Stirner vuole fondare ''la sua causa sul nulla'' Kierkegaard, parafrasando l'autore dell'Unico e la sua proprieta', ''vuole fondare la sua Fede sul nulla''. Entrambi presuppongono insomma un nichilismo di fondo preso a priori come un fatto esterno oggettivo (anche se poi soggettivizzano tutto, a tal punto e' enorme il loro ego).
Provate a sostituire ne L'unico e la sua proprieta' ogni occorrenza del termine ''IO'' con il termine ''Fede'', e il risultato non si allontana poi molto da un'opera di KIerkegaard.
La seconda critica che muovo discende dalla prima: viene a mancare qualsiasi supporto razionale all'attivita' di proselitismo verso i non cristiani, se si accetta di cattolicizzare kierkeggard. Infatti, un seguace del filoso danese non avrebbe alcun motivo di convertire al cristianesimo neppure un suo caro piu' prossimo, dato che assume a priori, e tanto piu' ora in un mondo globalizzato dove tutti sanno chi piu' o chi meno il significato del messaggio cristiano, che ciascun essere umano nell'istante presente ha gia' compiuto nella propria coscienza individuale la personale scelta al riguardo della fede, se accettarla o meno. Risulterebbero inutili aggiunte qualsiasi ulteriore discorso del Messori di turno, ridotto a mero rumore di fondo (se non condannato come propaganda cristianista), capace solo di distrare l'assoluto silenzio in cui e' (e deve essere) immerso il singolo, per il filosofo danese.
Da ultimo, non accetto l'idea di considerare la cristianita', considerato come opposto e travisamento del cristianesimo, come un male assoluto. Da par mio, ad esempio ,sono orgoglioso di vivere in un paese di tradizione cristiana che si mantiene cristianista anche se non autenticamente cristiano, dato che qualsiasi alternativa sembra prestarsi a mali maggiori, vedi come si vive nelle realta' islamiche ad esempio, dove chi vuole pensare liberamente e' costretto, volente o nolente, a fare il solitario KIerkegaard per davvero.

(mi si perdoni l'uso degli apostrofi a mo' di accenti, ma la tastiera ne e' priva).

Inoltre l'idea di un IO unico delegato a rappresentare la coscienza individuale mi suscita parecchi dubbi: che cos'e' l'IO ed eventualmente, da quanti ulteriori IO e' formato ?

Penso di approvare maggiormente la linea di Waylander e Polymetis. IL protestante che accetta sul piano storico il dibattito critico su ogni singolo passo del vangelo mentre sul piano della fede riduce tutto per fede al mero letteralismo biblico, mi sembra davvero un Giano Bifronte (se Elia lo e', voglio dire, se e' protestante, mi si perdoni la frecciatina).
L'idea poi che il cattolico debba farsi protestante per risolvere eventuali problemi generati dal metodo storico, ricorrendo in pratica all'omnia munda mundis di Lutero tramite Kierkegaard mi sembra produrre un intimismo, un ripiegamento su se stesso (un egoismo di fondo, valido a salvare la propria di fede ma non quella degli altri) paragonabile per contenuto reale, all'operazione di ritorno al gesu' storico, come e' stata validamente commentata da Teodoro Studita.

MI spiace pero' che Waylander e Polymetis non riescano ad accettare d'altro canto la reductio ad Judaeum con la stessa facilita' di Weiss ed Elia.

* in fondo i due sono accomunati dalla critica ad Hegel. Definirei Stirner un Kierkegaard ateo.

saluti
 
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view post Posted on 24/1/2012, 10:50     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 15:57) 
CITAZIONE (-Waylander- @ 23/1/2012, 13:31) 
più che altro dipende dal tipo di antropologia culturale e filosofica che si sostiene. Personalmente ritengo una simile formulazione del tutto ambigua (per questo è stata messa in corsivo?), in linea peraltro con altre formulazioni già viste. Davvero una persona può essere ridotta all'ambiente culturale nel quale si trova ad operare? Eppure per altre persone, che nessuno si sogna di definire divine, non abbiamo problemi a chiamarle innovatori, rivoluzionari, anticipatori dei tempi ecc. ecc. Non ci stupisce affatto per esempio vedere Lutero, monaco agostiniano, scardinare la teologia cattolica e dare vita alla modernità, di cui certamente è uno dei padri, in opposizione all'ambiente culturale e religioso nel quale si muoveva. E di esempi se ne potrebbero fare tanti, anche perchè se così non fosse, se gli esseri umani non trascendessero continuamente il loro ambiente saremmo ancora nelle caverne. Possiamo forse dire che JW appartiene completamente all'italianismo del suo tempo? E in cosa consiste questo italianismo? Spaghetti e mandolino conditi con un pochino di spirito mafioso, come allo Spiegel piace rappresentarci?
Certo, gli storici hanno bisogno di categorie attraverso le quali rendere maggiormente intellegibile la storia, tuttavia esse sono strumenti e non gabbie nel quale calare a forza eventi e persone. La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti. Del resto se Gesù non poteva che essere totalmente ebreo lo stesso vale per i suoi discepoli, che pertanto sono in perfetta corrispondenza culturale con il loro maestro. E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione. E allora non c'è Kant, Kierkegaard o Schleiermacher, e neppure Pesce, che tenga di fronte a Gigetto er contadino: "le pere non cascano lontano dall'albero", che ha in se la saggezza dei millenni.

Definendo Gesù completamente o integralmente ebreo, io intendo rifiutare precisamente l’idea di una sua eccedenza/trascendenza rispetto al giudaismo in cui egli crebbe ed agì, trascendenza – anche solo a livello “implicito” – che era invece la cifra ermeneutica della ricerca storica su Gesù della cosiddetta New o Second Quest*, e con la quale non a caso anche la teologia cattolica (progressista) riuscì a intrattenere un fecondissimo dialogo, che produsse la grande stagione delle cristologie di Duquoc, Kasper, Schillebeeckx, Küng, O’Collins, e che continua a prolungarsi ancor oggi in lavori come quello di Maurizio Gronchi (2008), che nella parte storico-biblica è totalmente dominato dall’idea dell’eccedenza di Gesù.

ma vedi, JW, qui il problema non è Gesù, anche se ovviamente poi il discorso vi è incentrato, ma una questione generale di come si concepisce l'essere umano, se cioè esso può essere ridotto a prodotto culturale e non mantenga invece una propria autonomia esistenziale e di pensiero. Se da una parte infatti noi siamo il prodotto della storia (e quindi di una cultura) e non si danno esseri umani al di fuori di essa, è anche vero mi sembra che vi è negli esseri umani una universalità comunicativa e comprensiva, una capacità continua di superare le proprie barriere culturali e storiche. Questo, ce lo dice la storia, la sociologia e la psicologia ed è tanto più vero per le personalità forti, quelle che si "impongono" agli altri, che in qualche modo emergono dall'anonimato del gruppo sociale nel quale si muovono: più forte è la personalità e più forte è l'autonomia culturale e la possibilità di incidere sul proprio ambiente.
Non so cosa significhi eccedenza, gli esseri umani non sono otri che si riempiono di qualcosa, e la trascendenza è un termine teologico della scolastica che ho difficoltà ad applicare in generale e in particolare ad un ebreo del primo secolo.
Ciò che una persona è, la sua cultura personale e la cultura nella quale vive sono termini non solo vaghi ma in continuo cambiamento: due grandezze indefinite proprio perchè tali non sono mai sovrapponibili se non del tutto arbitrariamente. L'affermazione che Gesù, o JW o Waylander ecc., è totalmente immerso nella cultura giudaica del suo tempo non è una affermazione meramente storica ma ancor prima ideologica, è una pre-comprensione dell'umano e della storia, un minimalismo ermeneutico arbitrario tanto quanto pensare che Gesù pensasse in termini neoplatonici di consustanzialità , trinità e ammennicoli filosofici vari.

CITAZIONE
E su tutto questo io ritengo che la cosiddetta Third Quest, ovvero tutta la florida varia produzione storiografica verificatasi soprattutto sulla scia dei lavori di Sanders e Vermes, sia completamente nel giusto nell’enfatizzare l’ebraicità di Gesù, il che non costituisce affatto una reductio ma piuttosto una recognitio.

ma un discorso è enfatizzare, altra cosa ridurre. Una cosa è ricondurre Gesù all'ambito dell'ebraismo, cosa peraltro scontata una volta che si hanno chiari i principi dell'antropologia e della sociologia, una cosa è immergercelo a forza. Mi sembra infatti che in questo caso ci troviamo all'estremo dell'oscillazione del pendolo in opposizione a chi precedentemetnte vedeva un gesù del tutto estraneo all'ebraismo. Ma queste oscillazioni fanno parte delle azioni e reazioni della ricerca storica e non mi stupirebbe affatto se tra dieci o venti anni qualcuno pubblicasse uno studio dal titolo "Gesù fuori dal giudaismo" o qualcosa di simile, rivalutando fortemente il criterio della discontinuità in opposizone a quello della continuità.

CITAZIONE
Per quanto si vorrà dire che l’ermeneutica stessa attraverso cui questi studi approcciano i testi ne influenza i risultati (il che è sempre un po’ vero), a mio parere si tratta di un’ermeneutica che trova conforto nei testi stessi e non si impone su di essi con violenza e facendovi torto. Non c’è niente nei vangeli sinottici (e per chi ne accetta l’esistenza, anche nel primitivo Vangelo dei Segni da cui si sviluppò il Vangelo di Giovanni) che induca a pensare che Gesù fu ed intese essere o fare qualcosa di eccedente e trascendente la fede ebraica che animava le sue azioni.

neanche Gandhi riguardo all'induismo, eppure noi percepiamo la sua opera e il suo operato come universali. Questo perchè le azioni umane in quanto tali sono umane e quindi riconoscibili da tutti, anche se ognuno le interpreterà secondo le proprie categorie culturali e i propri immaginari religiosi. Le stesse singole persone non sono in grado di percepire i limiti del proprio pensiero, anche perché lo cambiano continuamente, figuriamoci se sono in grado di farlo degli storici dopo duemila anni che usano testi scritti da altri. Gesù non aveva affatto bisogno e con ogni probabilità non ne aveva neppure l'intenzione di fare qualcos'altro che non fosse ebraico, anche perchè non sarebbe stato compreso, e infatti per certi versi sono gli stessi scritti neotestamentari a presentarci un Gesù che a volte aveva difficoltà a rendersi comprensibile, il punto è che ciò che è ebraico non è chiuso finito in se stesso ma si sovrappone alle altre forme culturali passate e presenti a causa dei suoi elementi di umanità e universalità. E qui arriviamo alla differenza tra messaggio e strumento di comunicazione del messaggio. Se lo strumento non poteva che esere ebraico, pena l'incomunicabilità, il contenuto è aperto all'universalità, tanto è vero che nasce il cristianesimo ovvero una comprensione di Gesù, della sua vita e del suo operato, che trascende i limiti, peraltro, ripeto, vaghi della sua cultura ebraica contemporanea, o se vuoi legge i tratti ebraici traducendoli in altre forme culturali, ma sono chiavi di lettura che puntano alla stessa realtà, così come la scolastica non è la fede cattolica ma una sua comprensione teologica figlia della cultura del suo tempo e che rimanda alle stesse realtà di cui in altri termini parlavano Origene o Agostino. C'è dunque nel messaggio gesuano e nell'agire gesuano qualcosa che trascende quello che sommariamente viene definito ebraismo e che si presta a letture e riletture transculturali e transteologiche (aaargh!).

CITAZIONE
Naturalmente egli ebbe i suoi punti di originalità, ma non vi era alcun germe in ciò che egli era e faceva che dovesse necessariamente portare alla nascita sia di forme messianiche di giudaismo incentrate sul suo culto, sia - a maggior ragione - di una nuova e altra religione.

la storia non conosce necessità, anche perchè gliele abbiamo tolte noi a priori, in quanto non siamo in grado di riconoscerle. Ma il punto è che Gesù è una figura accentratrice, crea attorno a se un gruppo che lo segue in opposizione a volte o spesso anche ai propri clan familiari e alle strutture sociali. Si presenta come un'alternativa, come qualcosa di diverso rispetto a ciò che esiste, anche se ovviamente nei termini che i suoi interlocutori possono capire e trovare interessanti. Se una figura umile ma forte come San Francesco, che certo non pensava di essere divino, ha creato, seppure non per sua completa volontà, un movimento e un ordine che a lui si ispira e che ancora oggi a distanza di secoli rilegge la sua vita e le sue opere approfondendole sempre di più sia in azioni concrete che in studi storici, allora Gesù doveva avere ben presente che cosa stava facendo, che stava creando un movimento particolare. Semmai è da vedere come mai tale movimento, contrariamente a quanto accade per altri personaggi del mondo ebraico dell'epoca, è continuato anche dopo la sua morte. Che cosa ha colpito talmente tanto chi lo ha seguito da far sì che la memoria del maestro non sbiadisse progressivamente e velocemente nella cultura ebraica del tempo (e dei discepoli stessi), sino a rifondersi completamente con essa e di fatto scomparire in quanto indistinguibile. Che cosa di così diverso hanno percepito queste persone da tenere viva una memoria che non è stato possibile, nonostante le spinte in questo senso, riassimilare nella cultura ebraica nella quale tutti essi erano immersi? Qual'è questo punto di rottura che ha impedito questo processo che all'epoca sarebbe stato del tutto naturale? Personalmente ritengo che questo punto di rottura sia proprio il modo con cui Gesù concepiva se stesso e si presentava agli altri, un modo dalle forme pienamente ebraiche eppure non riducibili sic et simpliciter ad esse.

CITAZIONE
certamente egli nel corso del suo ministero storico suscitò un forte impatto, e quindi una serie di effetti che a loro volta ebbero altri effetti. Ma che le cose andarono come andarono, fu frutto di eventi, circostanze e processi storici che mai avrebbero sfiorato la sua mente (e che il credente può a buon diritto considerare nell’ottica della Provvidenza e della Rivelazione storica di Dio)

ma qui non si parla di una preveggenza di Gesù, quasi che lui dicesse faccio questo perchè poi fra tre secoli ne deriverà quest'altro che poi causerà quest'altro ancora. Anche perchè questo è del tutto al di fuori della portata dello storico. Qui si discute se egli si automprendesse e si presentasse come qualcosa di più di un rabbi ebraico itinerante e se questo sia traducibile in forme ed espressioni culturali diverse che tuttavia non tradiscono questa autocomprensione ma la esplicitano o comunque la rileggono adattandola ai nuovi interlocutori. Il problema sta tutto qui, se il cristianesimo è il tradimento di Gesù o una sua implementazione, una sua traslazione in forme culturali diverse ma che rimandano sempre al punto originario, così che il cristianesimo è un ebraismo che ha assunto una diversa forma culturale.

CITAZIONE
sicché andare alla ricerca “a ritroso” della cristologia implicita in Gesù (se con ciò s’intende qualcosa di più e di diverso da una possibile ma controversa autocomprensione messianica di Gesù) è un’operazione lecita esclusivamente in sede teologica, ma errata e inaccettabile in sede storica.

e qui torniamo al punto di partenza, il Gesù ebraico è appunto una riduzione storica, una costruzione arbitraria esattamente come il Gesù storico (ri)creato dagli storici negli ultimi duecento anni. Ma davvero gli esseri umani possono essere ridotti alla loro mera storicità, ovvero solamente a ciò che la storia, con i propri limiti strumentali, può percepire? Noi ci approcciamo al Gesù della storia attraverso documenti scritti da persone che del Gesù storico non sapevano che farsene, ad essi interessava ciò che egli era per loro, in che modo interpretare le esperienze che loro o quelli vicino a loro avevano vissuto. Ed è evidente che hanno difficoltà sin dall'inizio a ricondurre il tutto a una "banale" ebraicità. E' proprio per il fatto che la figura di questo rabbi li abbia colpiti così fortemente che essi sentono la necessità di ricordarlo e di comprenderlo, e più comprendono più ricordano e più ricordano più comprendono in una spirale ermenutica senza soluzione di continuità che giunge sino a noi.

CITAZIONE
Su tutto questo sto certamente dalla parte di Pesce.

ah ma di questom non dubitavo ;)

CITAZIONE
Al tempo stesso convengo con te che può essere problematico parlare di discontinuità tra Gesù e le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio. Proprio perché la storia conosce solo novità relative, possiamo parlare di discontinuità solo allorché isoliamo dei singoli punti all’interno del continuum storico e istituiamo un confronto. Ma si tratta appunto di una nostra operazione di astrazione, lecita a patto che la si riconosca come tale, pena lo scadere in slogan.

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negazionista
view post Posted on 24/1/2012, 11:23     +1   -1




QUOTE
Che cosa ha colpito talmente tanto chi lo ha seguito da far sì che la memoria del maestro non sbiadisse progressivamente e velocemente nella cultura ebraica del tempo (e dei discepoli stessi), sino a rifondersi completamente con essa e di fatto scomparire in quanto indistinguibile. Che cosa di così diverso hanno percepito queste persone da tenere viva una memoria che non è stato possibile, nonostante le spinte in questo senso, riassimilare nella cultura ebraica nella quale tutti essi erano immersi? Qual'è questo punto di rottura che ha impedito questo processo che all'epoca sarebbe stato del tutto naturale?

Pesce direbbe che non e' stato Gesu' in se stesso l'oggetto dell'attenzione dei primissimi discepoli, ma la sua mistica concentrazione su Dio, a cui rendeva partecipe chi lo seguiva.
Semplificando rozzamente, non guardavano il dito, ma il cielo a cui il dito puntava, insomma :) .
 
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view post Posted on 24/1/2012, 12:19     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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CITAZIONE (negazionista @ 24/1/2012, 11:23) 
CITAZIONE
Che cosa ha colpito talmente tanto chi lo ha seguito da far sì che la memoria del maestro non sbiadisse progressivamente e velocemente nella cultura ebraica del tempo (e dei discepoli stessi), sino a rifondersi completamente con essa e di fatto scomparire in quanto indistinguibile. Che cosa di così diverso hanno percepito queste persone da tenere viva una memoria che non è stato possibile, nonostante le spinte in questo senso, riassimilare nella cultura ebraica nella quale tutti essi erano immersi? Qual'è questo punto di rottura che ha impedito questo processo che all'epoca sarebbe stato del tutto naturale?

Pesce direbbe che non e' stato Gesu' in se stesso l'oggetto dell'attenzione dei primissimi discepoli, ma la sua mistica concentrazione su Dio, a cui rendeva partecipe chi lo seguiva.
Semplificando rozzamente, non guardavano il dito, ma il cielo a cui il dito puntava, insomma :) .

Mi sfugge cosa dovrebbe significare, visto che i vangeli sono assolutamente cristocentrici, tanto più se in qualche modo vanno considerati nel genere delle biografie greco-romane.

CITAZIONE (Elijah Six @ 23/1/2012, 18:42) 
Io sto solo dicendo che entrambe le confessioni si orientano al giorno d'oggi prevalentemente sulla Bibbia, e che quindi attribuire tra virgolette la colpa della nascita della ricerca sul Gesù storico al principio del sola scriptura mi sembra discutibile.

e infatti non ci penso nemmeno. Quello che intendevo dire è che con Lutero, e Agostino prima (non a caso Lutero è agostiniano), abbiamo un cambiamento di paradigma dal sociale al personale e l'interpretazine personale della Bibbia, sepuur guidata dalla Spirito Santo, ne è l'espressione più evidente e da essa deriveranno tutta una serie di conseguenze. Tutto qui, nessuna "colpa".
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 24/1/2012, 13:06     +1   -1




Caro Way, io invece ribadisco che il problema non è antropologico, ma solo cristologico. Dal punto di vista antropologico, non ho ovviamente nulla da obiettare all'idea che gli esseri umani non siano sistemi chiusi, bensì capaci di una certa universalità comunicativa, nonché di andar oltre l'esistente e creare nuove strade.
Ma questo, appunto, vale in linea di principio per tutti gli uomini e tutte le forme di espressione umane. Anche l'Antico Testamento ha avuto, attraverso il cristianesimo, un destino incomparabilmente più universale rispetto al suo contesto d'origine. Anche Giovanni il Battista ha trovato fortuna ed eco, sia con il cristianesimo sia con il mandeismo, in forme culturali profondamente diverse dall'universo culturale a lui proprio. E pure il Battista era un individuo forte, accentratore, originale e creatore di qualcosa di nuovo.
Perché dunque dovremmo dire che "c'è dunque nel messaggio gesuano e nell'agire gesuano qualcosa che trascende quello che sommariamente viene definito ebraismo e che si presta a letture e riletture transculturali e transteologiche", in modo speciale e diverso da come lo possiamo dire di qualunque altra figura o messaggio che trovi eco e fortuna aldilà del tempo e della cultura d'origine?
Io credo che nel Gesù storico (o in quello sinottico) ci sia qualcosa che trascende il variegato giudaismo ellenizzato del suo tempo solo per chi guarda a lui da un punto d'osservazione esterno ed altro (quale può essere la tradizione cristiana, o più in generale tutta la successiva cultura occidentale).
Cosa c'è di così trascendente rispetto al giudaismo del I sec. nell'annunciare la venuta imminente (o anche in qualche modo già in via di attuazione) del regno di Dio? Certamente questo concetto ha potuto conservarsi, trasformandosi, in un contesto di significato diverso come quello della teologia cristiana. Ma voler vedere il dopo contenuto nel prima, così da poter affermare l'universalità originaria del messaggio gesuano, è un'operazione storicamente scorretta. Espressioni come "regno di Dio" e "figlio dell'uomo" - ovvero il centro del messaggio gesuano - sulla bocca di Gesù erano potenti concetti teologico-politici del tutto chiari nel mondo in cui egli lui si muoveva, ma quanto contenuta e problematica fosse la loro capacità di universalizzazione è evidente sia nel loro precocissimo declino all'interno del kerygma primitivo (vedi già in Paolo), sia dalla loro modesta e nebulosa utilizzazione nella predicazione e nella teologia del cristianesimo successivo.
Per non parlare poi del caso eclatante delle leggi di purità (o, se si preferisce, quello del sabato): Gesù sosteneva (sulla scia del Battista) una halakhà che dà priorità alla purità morale su quella rituale, o meglio secondo la quale non si può essere ritualmente puri finché si è moralmente impuri (Mt 23,25-26/Q). Una concezione simile la troviamo a Qumran (1QS 3,6-9 e 5,13-15).
Quanto non-universalizzabile fosse questa parte del messaggio gesuano (nient'affatto irrilevante, essendo strettamente legata al tema del pentimento e alla questione del battesimo) lo dimostra in modo eclatante il cristianesimo che conosciamo, in cui tale halakhà è semplicemente scomparsa, lasciando posto all'idea che quello che conta è solo ed esclusivamente la purità morale, mentre l'impurità rituale nemmeno esiste.

In breve: la figura e il messaggio di Gesù possono certamente essere considerati universali(zzabili) nel senso in cui ogni individuo e ogni espressione umana può suscitare effetti e avere fortuna in mondi culturali diversi da quello originario. Tutto questo però solo all'ovvio prezzo di significative trasformazioni. Che queste trasformazioni fossero virtualmente contenute nell'impulso originario, al punto da qualificare tale impulso come un "unicum", è qualcosa di lecito solamente al teologo e assolutamente proibito allo storico.
La "riduzione" di Gesù al giudaismo, in quanto operazione di critica storica, non è affatto una riduzione, così come non è una riduzione affermare che Giovanni il Battista - diversamente da quanto afferma la sua millenaria Wirkungsgeschichte - non fu né il precursore né il testimone (né il cugino) di Gesù. Si tratta non di ridurre ma di (tentare di) riconoscere (attraverso nostre costruzioni artificiali, probabilistiche e sempre provvisorie) quale fosse la fisionomia originaria di tali personaggi nel loro proprio contesto storico.
 
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