CITAZIONE (JohannesWeiss @ 23/1/2012, 15:57)
CITAZIONE (-Waylander- @ 23/1/2012, 13:31)
più che altro dipende dal tipo di antropologia culturale e filosofica che si sostiene. Personalmente ritengo una simile formulazione del tutto ambigua (per questo è stata messa in corsivo?), in linea peraltro con altre formulazioni già viste. Davvero una persona può essere ridotta all'ambiente culturale nel quale si trova ad operare? Eppure per altre persone, che nessuno si sogna di definire divine, non abbiamo problemi a chiamarle innovatori, rivoluzionari, anticipatori dei tempi ecc. ecc. Non ci stupisce affatto per esempio vedere Lutero, monaco agostiniano, scardinare la teologia cattolica e dare vita alla modernità, di cui certamente è uno dei padri, in opposizione all'ambiente culturale e religioso nel quale si muoveva. E di esempi se ne potrebbero fare tanti, anche perchè se così non fosse, se gli esseri umani non trascendessero continuamente il loro ambiente saremmo ancora nelle caverne. Possiamo forse dire che JW appartiene completamente all'italianismo del suo tempo? E in cosa consiste questo italianismo? Spaghetti e mandolino conditi con un pochino di spirito mafioso, come allo Spiegel piace rappresentarci?
Certo, gli storici hanno bisogno di categorie attraverso le quali rendere maggiormente intellegibile la storia, tuttavia esse sono strumenti e non gabbie nel quale calare a forza eventi e persone. La reductio ad iudaeum con la quale si tenta di incatenare - quasi disinnescare - questo bizzarro predicatore itinerante ebreo del primo secolo a categorie peraltro ostinatamente elusive, in realtà ci dice molto su quanto la ricerca storica debba ancora affinare i propri strumenti. Del resto se Gesù non poteva che essere totalmente ebreo lo stesso vale per i suoi discepoli, che pertanto sono in perfetta corrispondenza culturale con il loro maestro. E invece no, in questo caso si invoca la discontinuità, costoro non sono totalmente ebrei e se lo sono non si capisce bene perché ad un certo punto partano, come si dice nella cultura romanesca nella quale sono totalmente immerso, per la tangente, inventandosi nientepopò di meno che una nuova religione. E allora non c'è Kant, Kierkegaard o Schleiermacher, e neppure Pesce, che tenga di fronte a Gigetto er contadino: "le pere non cascano lontano dall'albero", che ha in se la saggezza dei millenni.
Definendo Gesù completamente o integralmente ebreo, io intendo rifiutare precisamente l’idea di una sua eccedenza/trascendenza rispetto al giudaismo in cui egli crebbe ed agì, trascendenza – anche solo a livello “implicito” – che era invece la cifra ermeneutica della ricerca storica su Gesù della cosiddetta New o Second Quest*, e con la quale non a caso anche la teologia cattolica (progressista) riuscì a intrattenere un fecondissimo dialogo, che produsse la grande stagione delle cristologie di Duquoc, Kasper, Schillebeeckx, Küng, O’Collins, e che continua a prolungarsi ancor oggi in lavori come quello di Maurizio Gronchi (2008), che nella parte storico-biblica è totalmente dominato dall’idea dell’eccedenza di Gesù.
ma vedi, JW, qui il problema non è Gesù, anche se ovviamente poi il discorso vi è incentrato, ma una questione generale di come si concepisce l'essere umano, se cioè esso può essere ridotto a prodotto culturale e non mantenga invece una propria autonomia esistenziale e di pensiero. Se da una parte infatti noi siamo il prodotto della storia (e quindi di una cultura) e non si danno esseri umani al di fuori di essa, è anche vero mi sembra che vi è negli esseri umani una universalità comunicativa e comprensiva, una capacità continua di superare le proprie barriere culturali e storiche. Questo, ce lo dice la storia, la sociologia e la psicologia ed è tanto più vero per le personalità forti, quelle che si "impongono" agli altri, che in qualche modo emergono dall'anonimato del gruppo sociale nel quale si muovono: più forte è la personalità e più forte è l'autonomia culturale e la possibilità di incidere sul proprio ambiente.
Non so cosa significhi eccedenza, gli esseri umani non sono otri che si riempiono di qualcosa, e la trascendenza è un termine teologico della scolastica che ho difficoltà ad applicare in generale e in particolare ad un ebreo del primo secolo.
Ciò che una persona è, la sua cultura personale e la cultura nella quale vive sono termini non solo vaghi ma in continuo cambiamento: due grandezze indefinite proprio perchè tali non sono mai sovrapponibili se non del tutto arbitrariamente. L'affermazione che Gesù, o JW o Waylander ecc., è totalmente immerso nella cultura giudaica del suo tempo non è una affermazione meramente storica ma ancor prima ideologica, è una pre-comprensione dell'umano e della storia, un minimalismo ermeneutico arbitrario tanto quanto pensare che Gesù pensasse in termini neoplatonici di consustanzialità , trinità e ammennicoli filosofici vari.
CITAZIONE
E su tutto questo io ritengo che la cosiddetta Third Quest, ovvero tutta la florida varia produzione storiografica verificatasi soprattutto sulla scia dei lavori di Sanders e Vermes, sia completamente nel giusto nell’enfatizzare l’ebraicità di Gesù, il che non costituisce affatto una reductio ma piuttosto una recognitio.
ma un discorso è enfatizzare, altra cosa ridurre. Una cosa è ricondurre Gesù all'ambito dell'ebraismo, cosa peraltro scontata una volta che si hanno chiari i principi dell'antropologia e della sociologia, una cosa è immergercelo a forza. Mi sembra infatti che in questo caso ci troviamo all'estremo dell'oscillazione del pendolo in opposizione a chi precedentemetnte vedeva un gesù del tutto estraneo all'ebraismo. Ma queste oscillazioni fanno parte delle azioni e reazioni della ricerca storica e non mi stupirebbe affatto se tra dieci o venti anni qualcuno pubblicasse uno studio dal titolo "Gesù fuori dal giudaismo" o qualcosa di simile, rivalutando fortemente il criterio della discontinuità in opposizone a quello della continuità.
CITAZIONE
Per quanto si vorrà dire che l’ermeneutica stessa attraverso cui questi studi approcciano i testi ne influenza i risultati (il che è sempre un po’ vero), a mio parere si tratta di un’ermeneutica che trova conforto nei testi stessi e non si impone su di essi con violenza e facendovi torto. Non c’è niente nei vangeli sinottici (e per chi ne accetta l’esistenza, anche nel primitivo Vangelo dei Segni da cui si sviluppò il Vangelo di Giovanni) che induca a pensare che Gesù fu ed intese essere o fare qualcosa di eccedente e trascendente la fede ebraica che animava le sue azioni.
neanche Gandhi riguardo all'induismo, eppure noi percepiamo la sua opera e il suo operato come universali. Questo perchè le azioni umane in quanto tali sono umane e quindi riconoscibili da tutti, anche se ognuno le interpreterà secondo le proprie categorie culturali e i propri immaginari religiosi. Le stesse singole persone non sono in grado di percepire i limiti del proprio pensiero, anche perché lo cambiano continuamente, figuriamoci se sono in grado di farlo degli storici dopo duemila anni che usano testi scritti da altri. Gesù non aveva affatto bisogno e con ogni probabilità non ne aveva neppure l'intenzione di fare qualcos'altro che non fosse ebraico, anche perchè non sarebbe stato compreso, e infatti per certi versi sono gli stessi scritti neotestamentari a presentarci un Gesù che a volte aveva difficoltà a rendersi comprensibile, il punto è che ciò che è ebraico non è chiuso finito in se stesso ma si sovrappone alle altre forme culturali passate e presenti a causa dei suoi elementi di umanità e universalità. E qui arriviamo alla differenza tra messaggio e strumento di comunicazione del messaggio. Se lo strumento non poteva che esere ebraico, pena l'incomunicabilità, il contenuto è aperto all'universalità, tanto è vero che nasce il cristianesimo ovvero una comprensione di Gesù, della sua vita e del suo operato, che trascende i limiti, peraltro, ripeto, vaghi della sua cultura ebraica contemporanea, o se vuoi legge i tratti ebraici traducendoli in altre forme culturali, ma sono chiavi di lettura che puntano alla stessa realtà, così come la scolastica non è la fede cattolica ma una sua comprensione teologica figlia della cultura del suo tempo e che rimanda alle stesse realtà di cui in altri termini parlavano Origene o Agostino. C'è dunque nel messaggio gesuano e nell'agire gesuano qualcosa che trascende quello che sommariamente viene definito ebraismo e che si presta a letture e riletture transculturali e transteologiche (aaargh!).
CITAZIONE
Naturalmente egli ebbe i suoi punti di originalità, ma non vi era alcun germe in ciò che egli era e faceva che dovesse necessariamente portare alla nascita sia di forme messianiche di giudaismo incentrate sul suo culto, sia - a maggior ragione - di una nuova e altra religione.
la storia non conosce necessità, anche perchè gliele abbiamo tolte noi a priori, in quanto non siamo in grado di riconoscerle. Ma il punto è che Gesù è una figura accentratrice, crea attorno a se un gruppo che lo segue in opposizione a volte o spesso anche ai propri clan familiari e alle strutture sociali. Si presenta come un'alternativa, come qualcosa di diverso rispetto a ciò che esiste, anche se ovviamente nei termini che i suoi interlocutori possono capire e trovare interessanti. Se una figura umile ma forte come San Francesco, che certo non pensava di essere divino, ha creato, seppure non per sua completa volontà, un movimento e un ordine che a lui si ispira e che ancora oggi a distanza di secoli rilegge la sua vita e le sue opere approfondendole sempre di più sia in azioni concrete che in studi storici, allora Gesù doveva avere ben presente che cosa stava facendo, che stava creando un movimento particolare. Semmai è da vedere come mai tale movimento, contrariamente a quanto accade per altri personaggi del mondo ebraico dell'epoca, è continuato anche dopo la sua morte. Che cosa ha colpito talmente tanto chi lo ha seguito da far sì che la memoria del maestro non sbiadisse progressivamente e velocemente nella cultura ebraica del tempo (e dei discepoli stessi), sino a rifondersi completamente con essa e di fatto scomparire in quanto indistinguibile. Che cosa di così diverso hanno percepito queste persone da tenere viva una memoria che non è stato possibile, nonostante le spinte in questo senso, riassimilare nella cultura ebraica nella quale tutti essi erano immersi? Qual'è questo punto di rottura che ha impedito questo processo che all'epoca sarebbe stato del tutto naturale? Personalmente ritengo che questo punto di rottura sia proprio il modo con cui Gesù concepiva se stesso e si presentava agli altri, un modo dalle forme pienamente ebraiche eppure non riducibili sic et simpliciter ad esse.
CITAZIONE
certamente egli nel corso del suo ministero storico suscitò un forte impatto, e quindi una serie di effetti che a loro volta ebbero altri effetti. Ma che le cose andarono come andarono, fu frutto di eventi, circostanze e processi storici che mai avrebbero sfiorato la sua mente (e che il credente può a buon diritto considerare nell’ottica della Provvidenza e della Rivelazione storica di Dio)
ma qui non si parla di una preveggenza di Gesù, quasi che lui dicesse faccio questo perchè poi fra tre secoli ne deriverà quest'altro che poi causerà quest'altro ancora. Anche perchè questo è del tutto al di fuori della portata dello storico. Qui si discute se egli si automprendesse e si presentasse come qualcosa di più di un rabbi ebraico itinerante e se questo sia traducibile in forme ed espressioni culturali diverse che tuttavia non tradiscono questa autocomprensione ma la esplicitano o comunque la rileggono adattandola ai nuovi interlocutori. Il problema sta tutto qui, se il cristianesimo è il tradimento di Gesù o una sua implementazione, una sua traslazione in forme culturali diverse ma che rimandano sempre al punto originario, così che il cristianesimo è un ebraismo che ha assunto una diversa forma culturale.
CITAZIONE
sicché andare alla ricerca “a ritroso” della cristologia implicita in Gesù (se con ciò s’intende qualcosa di più e di diverso da una possibile ma controversa autocomprensione messianica di Gesù) è un’operazione lecita esclusivamente in sede teologica, ma errata e inaccettabile in sede storica.
e qui torniamo al punto di partenza, il Gesù ebraico è appunto una riduzione storica, una costruzione arbitraria esattamente come il Gesù storico (ri)creato dagli storici negli ultimi duecento anni. Ma davvero gli esseri umani possono essere ridotti alla loro mera storicità, ovvero solamente a ciò che la storia, con i propri limiti strumentali, può percepire? Noi ci approcciamo al Gesù della storia attraverso documenti scritti da persone che del Gesù storico non sapevano che farsene, ad essi interessava ciò che egli era per loro, in che modo interpretare le esperienze che loro o quelli vicino a loro avevano vissuto. Ed è evidente che hanno difficoltà sin dall'inizio a ricondurre il tutto a una "banale" ebraicità. E' proprio per il fatto che la figura di questo rabbi li abbia colpiti così fortemente che essi sentono la necessità di ricordarlo e di comprenderlo, e più comprendono più ricordano e più ricordano più comprendono in una spirale ermenutica senza soluzione di continuità che giunge sino a noi.
CITAZIONE
Su tutto questo sto certamente dalla parte di Pesce.
ah ma di questom non dubitavo
CITAZIONE
Al tempo stesso convengo con te che può essere problematico parlare di discontinuità tra Gesù e le varie forme religiose evolutesi a partire dal suo impatto primigenio. Proprio perché la storia conosce solo novità relative, possiamo parlare di discontinuità solo allorché isoliamo dei singoli punti all’interno del continuum storico e istituiamo un confronto. Ma si tratta appunto di una nostra operazione di astrazione, lecita a patto che la si riconosca come tale, pena lo scadere in slogan.