Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo, discontinuita' tra il maestro e la Chiesa

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negazionista
view post Posted on 24/1/2012, 17:19     +1   -1




QUOTE
Gesù sosteneva (sulla scia del Battista) una halakhà che dà priorità alla purità morale su quella rituale, o meglio secondo la quale non si può essere ritualmente puri finché si è moralmente impuri (Mt 23,25-26/Q). Una concezione simile la troviamo a Qumran (1QS 3,6-9 e 5,13-15)..

Ultimissima domanda : ritiene il Weiss, quando afferma quanto sottolineato in particolare, la possibilita' che Gesu' abbia avuto seppure in minimissima parte, influenze essene (via il Battista) ?

grazie della risposta che volevo, e ne approfitto per ringraziare tutti i forumisti delle risposte davvero esaurienti ricevute finora.

Un saluto

AFFERMAZIONISTA :)
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 24/1/2012, 18:46     +1   -1




Caro Affermazionista (ma chiamami pure Weiss, o meglio ancora Johannes, senza "il", ché non sono mica il Manzoni)
l'argomento è OT, ad ogni modo il mio pensiero sulla questione è il seguente:
1. Sia Giovanni che Gesù possono in linea di principio aver avuto influenze essene, dal momento che le idee circolano al di là degli steccati dei gruppi sociali.
2. Non vi è motivo di ritenere che essi fossero esseni o che lo siano stati per un certo tempo.
Non chiedermi però di rendere ragione del punto 2, sia perché andremmo OT, sia perché non ne ho il tempo.
 
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negazionista
view post Posted on 25/1/2012, 08:53     +1   -1




QUOTE
Caro Affermazionista (ma chiamami pure Weiss, o meglio ancora Johannes, senza "il", ché non sono mica il Manzoni)

Spero che tu scriva un libro prima o poi in cui riassumi il risultato di tutte le tue ricerche. Di sicuro sfonderesti di brutto nel mondo accademico (se non lo hai gia' fatto :) ) e non solo.
La tua conclusione finale su come intendere l'ebraicita' di Gesu', che sia condivisa o meno dagli altri pur validi forumisti che hanno partecipato alla discussione, costituisce davvero una perla rara in tutto il web (e mi domando a quel punto se non sia necessario un copy right o qualcosa del genere, per salvaguardare tue future pubblicazioni pubbliche).
Davvero contento di aver iniziato un topic all'inizio assai sclonclusionato e pieno di dubbi, e di vederlo terminare non dico con certezze, dato il campo, ma sicuramente con dubbi piu' ''scientifici''.
La bellezza di tale thread e' che vi sono infatti esplicitate le visioni, le speranze (e timori) di quasi tutti coloro che vi hanno partecipato, il che dovrebbe risultare di grande aiuto a chiunque voglia soddisfare la propria curiosita' sul tema.
Le mie congratulazioni a tutti
 
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view post Posted on 25/1/2012, 13:58     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 24/1/2012, 13:06) 
Caro Way, io invece ribadisco che il problema non è antropologico, ma solo cristologico. Dal punto di vista antropologico, non ho ovviamente nulla da obiettare all'idea che gli esseri umani non siano sistemi chiusi, bensì capaci di una certa universalità comunicativa, nonché di andar oltre l'esistente e creare nuove strade.
Ma questo, appunto, vale in linea di principio per tutti gli uomini e tutte le forme di espressione umane. Anche l'Antico Testamento ha avuto, attraverso il cristianesimo, un destino incomparabilmente più universale rispetto al suo contesto d'origine. Anche Giovanni il Battista ha trovato fortuna ed eco, sia con il cristianesimo sia con il mandeismo, in forme culturali profondamente diverse dall'universo culturale a lui proprio. E pure il Battista era un individuo forte, accentratore, originale e creatore di qualcosa di nuovo.
Perché dunque dovremmo dire che "c'è dunque nel messaggio gesuano e nell'agire gesuano qualcosa che trascende quello che sommariamente viene definito ebraismo e che si presta a letture e riletture transculturali e transteologiche", in modo speciale e diverso da come lo possiamo dire di qualunque altra figura o messaggio che trovi eco e fortuna aldilà del tempo e della cultura d'origine?
Io credo che nel Gesù storico (o in quello sinottico) ci sia qualcosa che trascende il variegato giudaismo ellenizzato del suo tempo solo per chi guarda a lui da un punto d'osservazione esterno ed altro (quale può essere la tradizione cristiana, o più in generale tutta la successiva cultura occidentale).

E qui stai cominciando a centrare il punto delle nostre divergenze. Mi sembra, ma ovviamente correggimi se sbaglio, tu abbia l'idea che effettivamente sia esistito un Gesù che prescinde dal modo con cui gli altri lo hanno percepito e ricordato, un sorta di monoblocco buttato lì in un dato momento storico e in un determinato luogo, che non può far altro che essere assimilato al suo contesto. Io credo invece che questo Gesù non è mai esistito, poichè non solo le persone cambiano continuamente nel corso della propria vita, e davvero il Gesù che si battezza nel Giordano è diverso dal Gesù che entra a Gerusalemme, ma esse sono "solo" in quanto percepite e ricordate e rielaborate. Al tuo Gesù statico, che al massimo ha qualche punta di originalità, ma che a ben guardare è insignificante, io oppongo un Gesù che non solo è determinato dal suo ambiente (in questo, sia chiaro, io non nego affatto la third quest) ma in un certo modo lo determina, che si pone dinamicamente nei suoi confronti a tal punto da generare un seguito ed idee nuove o quantomeno problematiche per l'ambiente stesso. Noi abbiamo a che fare con un Gesù ricordato e in nome di questo Gesù ricordato i suoi seguaci sono disposti seppur a fatica e controvoglia a separarsi dal giudaismo, che li sente alla fin fine come un corpo estraneo, tanto che Stefano e Giacomo fanno una brutta fine. E allora non possiamo non chiederci che cosa costoro hanno visto in quest'uomo, in quello che ha fatto e detto, da spingerli ad una scelta così radicale. E non possiamo certo rifugiarci nella terza generazione, quasi che il cristianesimo sia il parto dell'ellenismo, altrimenti visto che ci siamo ricicciamo fuori il θειοσ ανηρ di Reitzenstein e facciamo filotto. Ma in realtà si tratterebbe solamente di nascondere la polvere sotto il tappeto per posticipare la questione: perchè mai la terza generazione avrebbe dovuto trovare interessante e fare propria quanto predicava la seconda generazione se non perchè in essa trovava qualcosa di corrispondente e stimolante. Ma questo vale allora anche per il rapporto tra i discepoli diretti e i loro ascoltatori e ancora più indietro tra Gesù e i suoi seguaci. In questo senso allora il Gesù totalmente giudaico è una riduzione che impedisce o quantomeno ostacola la comprensione del rapporto tra Gesù e le comunità che ad esso si richiamano sin dall'inizio, giacchè non si può dare che queste comunità non trovino in lui la propria diretta ispirazione:

"the source of thought for Jesus' earliest followers was a vast store of written and oral tradition, all deemed revelatory and infallible; but the fundamental source of Christological thought within the Palestinian Jesus Movement was the one who founded and defined the Movement: Jesus from Nazareth".
(J.H. CHARLESWORTH: The Historical Jesus. An Essential Guide; Abingdon Press 2008, p. 59)

E allora che cosa è che determina quella che Hurtado chiama un'esplosione del culto di Gesù che ben presto giunge a rappresentarlo con caratteristiche divine, seppur nelle categorie ambigue del giudaismo dell'epoca (cf. R.M. Bowman, J.E. Komoszewski: Putting Jesus in His Place. The Case for the Divinity of Jesus; Kregel 2007). Chi compie tale operazione lo può fare solamente perchè trova proprio in Gesù lo spunto per una tale interpretazione, spunto che ritroviamo nei Vangeli, quando Gesù viene cacciato da Nazareth o quando viene accusato di farsi Dio, tanto per citare probabilmente gli episodi più noti. Per quanto si possa argomentare che si tratti di interventi redazionali, proprio il fatto che essi siano il risultato di riflessioni teologiche ci dice che essi sono un ricordo rielaborato di un avvenimento reale al quale queste comunità possono rifarsi per giustificare i propri motivi fondanti e distintivi. Non è pensabile che queste comunità inventino un Gesù ex nihilo, ma che piuttosto rielaborino, anche con momenti di discontinuità, ciò che di significativo avevano avvertito in questa figura.
Del resto è lo stesso Gesù che da una parte si richiama espressamente a tipologie veterotestamantarie e dall'altra sembra mostrarsi non semplicemente racchiudibile in esse; è egli stesso che costruisce continuamente la percezione che gli altri hanno di lui:

"This a crucially important point to remember when we're reading the stories about Jesus in the gospels. As we saw with Elijah typology, Jesus' story mirrors many stories of Hebrew Scripture. There can be no doubt that both perceptions and memories of Jesus were cast along narrative patterns in order to measure his historical significance and project meaning onto his legacy. This is true of how
the gospels pattern his larger narrative, but it is also true of how the first perceivers of Jesus interpreted his mission and identity. Indeed, by appealing to and mimicking Scripture, Jesus himself often defined the pattern by which these memories would be refracted".
(A. LE DONNE: Historical Jesus. What can we know and how can we know it?; Eerdmans 2011, p. 118)

E' Gesù stesso che partecipa alla contruzione della propria percezione e della propria memoria.

Ed allora un'interpetazione che de-finisce totalmente, e direi staticamente, Gesù nell'ebraismo a lui contemporaneo sembra incapace di rilevare la dinamicità di questi rapporti e quindi della nascita del cristianesimo:

"Contextual plausibility as formulated by Gerd Theissen provided the key for reading the Jesus-story. This allows Jesus and his movement to take their place within the variegated setting of different communities of interpretation which had been generated by the reception of the Hebrew Scriptures of the Second Temple period. Contextual plausibility does not mean that Jesus should be made to
conform to any one of the known groups of first-century Palestine, but implies only that 'positive connections can be established between the Jesus tradition and the Jewish context'. The criterion does not, therefore, exclude Jesus' own selection and reworking of various aspects of that shared tradition. Rather, it implies a distinctive and personal approach that was occasioned by the
circumstances of both the Galilean and Judean social and religious
worlds as he encountered them in his role as a prophet of restoration
during the reign of Antipas".
(S. FREYNE: Jesus a Jewish Galilean; A new reading of the Jesus story; T&T Clark 2004, p. 171)

Dunque ci deve essere stata una originalità di Gesù, una originalità che certo si esprime nelle forme culturali a lui coeve, ma che viene ricordata ed elaborata proprio perchè ha delle potenzialità espresse e non espresse in questo senso e che può addirittura esprimersi in forme culturali diverse. Abbiamo bisogno allora di qualcos'altro oltre all'ebraicità totale e totalizzante di Gesù per spiegare la nascita del cristianesimo:

"After all, a Jesus who can be placed within early Judaism but who cannot be understood in relation to early Christianity is no more historically plausible than a Jesus who can be combined with nascent Christianity while remaining an enigma as a Jew of his time"
(T. HOLMEN: An introduction to the continuum approach in T. HOLMEN (ed): Jesus from Judaism to Christianity. Continuum Approaches to the Historical Jesus; T&T Clark 2007, p. 4)

Cosa c'è allora di distintivamente gesuano che fonda le comunità cristiane che a lui si richiamano?

CITAZIONE
Cosa c'è di così trascendente rispetto al giudaismo del I sec. nell'annunciare la venuta imminente (o anche in qualche modo già in via di attuazione) del regno di Dio? Certamente questo concetto ha potuto conservarsi, trasformandosi, in un contesto di significato diverso come quello della teologia cristiana. Ma voler vedere il dopo contenuto nel prima, così da poter affermare l'universalità originaria del messaggio gesuano, è un'operazione storicamente scorretta.

ma qui nessuno sostiene che Gesù fosse un dissociato che si esprime ora come Giovanni, poi come Origene, poi come Agostino o i Padri Cappadoci, poi come San Tommaso e Ratzinger per poi riprendere a parlare come lo fa parlare Marco. Oltre che folle nessuno lo avrebbe capito. E invece costoro lo comprendono, almeno in parte, tanto che decidono di seguirlo. E lui a sua volta, per delle banali dinamiche di gruppo, non può che circondarsi di coloro che meglio, seppur non perfettamente, lo comprendono. Dunque devono avere un linguaggio e un immaginario comune, che non può che essere quello ebraico dell'epoca. Ma questa è solo una parte dell'equazione. La seconda parte è data dalla nascita di queste comunità, dalla loro progressiva rielaborazione e interpretazione dei ricordi del maestro: la Wirkungsgeschichte gesuana rimanda direttamente al Gesù storico, poichè la rifrazione mnemonica rimanda all'oggetto ricordato. E tanto più si ricorda e si sente la necessità di elaborare e rielaborare tanto più è significativo il ricordo originario e tanto più è forte l'impressione che genera il ricordo, e tanto più esso è significativo e "impressionante" tantomeno esso può essere ridotto e assimilato a ciò che lo circonda. E non vi è dubbio che Gesù viene ricordato in maniera e "quantità" (mi si passi l'espressione) sorprendente: questo significa che per coloro che lo ricordano Gesù si staglia sull'ebraismo a lui coevo e in qualche modo se ne distingue, ancor più e in maniera differente per esempio da Giovanni Battista, tanto che a un certo punto costoro preferiscono essere uccisi o cacciati dalle sinagoghe piuttosto che rinunciare a tale ricordo del Maestro e ritornare quietamente ed essere riassorbiti dal e nel giudaismo. E allora per me tre sono i punti significativi che distinguono la figura di Gesù dal resto dell'ebraismo.
Il primo punto è un messianesimo (ma anche una interpretazione della legge ebraica) che se certamente si riallaccia, e come potrebbe essere diversamente, alla tradizione messianica ebraica, ha dei punti originali che sembrano distinguerlo da quelli che lo precedono. Si tratta di un messianesimo che noi non riusciamo ancora a definire bene, forse perché lo stesso Gesù non era un teologo sistematico per cui è probabile che egli stesso non si sia preoccupato più di tanto di definirlo compiutamente o forse perché era una sorta di work in progress, una autocomprensione in continuo mutamento, ma che evidentemente risultava comprensibile almeno a grandi linea ai suoi interlocutori e abbastanza significativo da essere ricordato e trasmesso ad altri.
Il secondo punto è il regno escatologico che Gesù annunzia e che si presenta diverso, ad esempio, per quel che riesco a comprendere, da quello del Battista:

"Il Regno escatologico che Gesù proclamava , che sarebbe diventato l'oggetto dell'intensa speranza e della preghiera da parte dei discepoli di Gesù (Mt 6,10 e par.), intende esprimere il capovolgimento di ogni ingiusta oppressione e sofferenza, la concessione del premio concesso agli israeliti fedeli (le beatitudini), e la partecipazione gioiosa dei credenti (e anche di alcuni pagani!) al banchetto celeste con i patriarchi Israele"
(J.P. Meier: Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 2, Mentore messaggio e miracoli; 3a ed., Queriniana 2007, p. 465)

In questa predicazione del Regno troviamo mi sembra due interessanti traslazioni dei piani che la rendono significativa. La battaglia escatologica che si compie attorno a Gesù è innanzitutto spirituale contro le forze del male, i demoni che infestano il mondo e Israele, i cui agenti sono gli oppressori romani ma non solo, e che lo rendono impuro e incapace di accogliere il Regno. La dimensione politica sembra qui finire in secondo piano, per lasciare spazio piuttosto a un Regno spirituale di cui il Regno materiale è una conseguenza e un'immagine. Non è in questo mondo, con gli strumenti della politica e della lotta militare, che si combatte la battaglia per la restaurazione di Israele. La depoliticizzazione del Regno di Dio da una parte sembra aver determinato una rottura con il Battista e dall'altra sembra aver deluso non pochi e anche tra coloro che sono rimasti tale visione politica rimane in qualche modo ineliminabile, a testimonanza di quanto fosse difficile e sentita come "estranea" da parte di chi lo seguiva, che probabilmente oramai si aspettava un messia guerriero ed aveva difficoltà a seguire Gesù su questa strada (come del resto testimonia l'episodio dei dicepoli di Emmaus, essendo irrilevante se sia un episodio vero o inventato: rimanda a una realtà che le prime comunità gesuane ricordano tanto da sentirsi in dovere di riportarla e rielaborarla per poterla inglobare nella costruzione della propria concezione gesuana). Una simile depoliticizzazione apre la strada all'inclusione dei pagani, cosa che si trova anche nel VT ma che sembra essere stata marginale nella coscienza dell'ebraismo del secondo tempio rispetto alla restaurazione politica del Regno di Israele. Questa inclusione non mi pare di trovarla nel Battista, ad esempio, e dunque rappresenta un punto di rottura con i suoi seguaci e probabilmente qualcosa che Gesù ha elaborato nel tempo, ma qui tu saprai certamente dirmi meglio. Ad ogni modo essa sembra essere stata sufficentemente significativa per i seguaci di Gesù da sentirsi in dovere di riportarla. Ma una simile apertura ai pagani è già una forma di universalizzazione del messaggio ebraico, diviene già qualcosa che supera i limiti dell'ebraismo stesso, anche se di per se stessa non sarebbe stata sufficiente senza il terzo elemento.
Il terzo elemento è Gesù stesso, il modo con cui egli si presenta e si concepisce e cerca di essere percepito. Ci troviamo certamente davanti a una figura carsimatica che con il passare del tempo elabora una autocomprensione del proprio essere e agire nella quale egli stesso assume un ruolo sempre più fondamentale rispetto a ciò che lo circonda. Tu ricordi giustamente che anche la figura del Battista era forte, accentratrice e per certi versi originale, tuttavia mi sembra che essa venisse percepita dai suoi seguaci come appartenente al profetismo ebraico e che lo stesso Battista tale si considerasse. In Gesù, proprio per la traslazione dei piani operata, vi è una autoconcezione diversa e più radicale di strumento diretto dell'avvento del Regno, il Figlio non solo fa e realizza il volere del Padre ma senza il Figlio tale volere non si può realizzare, è nel Figlio che la δυναμισ del Padre si esprime e si realizza nel mondo, Gesù non si concepisce come un profeta qualunque o un banale Theudas che raccoglie qualche seguace più o meno esaltato. Gesù è l'innesco della realizzazione del Regno che divamperà come un incendio. In quanto innesco il Regno è già presente e si esprime nei miracoli e nelle guarigioni, nella dimostrazione che la potenza di Dio è già presente, tuttavia tale Regno si realizzerà in un tempo che è noto solo al Padre. Qui Gesù sembra oscillare ancora una volta tra due differenti concezioni, ma questo non è molto significativo per il nostro discorso, ciò che ci interessa è come Gesù si percepisse come unico e come tale si presentasse ai suoi interlocutori. Quello che è significativo è come questo aspetto sia stato recepito assieme agli altri due. E mi sembra non esservi dubbio che questa combinazione sia risultata significativa per coloro che diverranno i suoi discepoli e che si sia imposta nell'immaginario dei suoi seguaci a tal punto da essere sopravvissuta alla morte del Maestro, così da poter essere rielaborata per essere adattata alle nuove contingenze ed essere proposta più o meno presto anche agli ebrei della diaspora e ai gentili. Gesù non eccede l'ebraismo in un aspetto particolare, ma la somma delle parti lo fanno percepire, almeno ad alcuni, come un unicum che ha in se la possibilità di essere ricordato, predicato, venerato e adorato.

CITAZIONE
Per non parlare poi del caso eclatante delle leggi di purità (o, se si preferisce, quello del sabato): Gesù sosteneva (sulla scia del Battista) una halakhà che dà priorità alla purità morale su quella rituale, o meglio secondo la quale non si può essere ritualmente puri finché si è moralmente impuri (Mt 23,25-26/Q). Una concezione simile la troviamo a Qumran (1QS 3,6-9 e 5,13-15).
Quanto non-universalizzabile fosse questa parte del messaggio gesuano (nient'affatto irrilevante, essendo strettamente legata al tema del pentimento e alla questione del battesimo) lo dimostra in modo eclatante il cristianesimo che conosciamo, in cui tale halakhà è semplicemente scomparsa, lasciando posto all'idea che quello che conta è solo ed esclusivamente la purità morale, mentre l'impurità rituale nemmeno esiste.

esattamente, l'accentramento di tutto su se stesso, l'universalizzazione del concetto di salvezza e partecipazione al banchetto celeste, la traslazione della lotta da politica a spirituale, la priorità dell'aspetto morale su quello rituale, hanno già in se questo esito: i suoi discepoli, nel ricordare il Maestro, e quindi nel ripensarlo, non hanno fatto altro che portare a compimento tale processo.

CITAZIONE
In breve: la figura e il messaggio di Gesù possono certamente essere considerati universali(zzabili) nel senso in cui ogni individuo e ogni espressione umana può suscitare effetti e avere fortuna in mondi culturali diversi da quello originario. Tutto questo però solo all'ovvio prezzo di significative trasformazioni. Che queste trasformazioni fossero virtualmente contenute nell'impulso originario, al punto da qualificare tale impulso come un "unicum", è qualcosa di lecito solamente al teologo e assolutamente proibito allo storico.

come vedi non sono d'accordo, e con me non sono d'accordo neppure i suoi primi seguaci. Direi che sono in buona compagnia ;)

CITAZIONE
La "riduzione" di Gesù al giudaismo, in quanto operazione di critica storica, non è affatto una riduzione, così come non è una riduzione affermare che Giovanni il Battista - diversamente da quanto afferma la sua millenaria Wirkungsgeschichte - non fu né il precursore né il testimone (né il cugino) di Gesù. Si tratta non di ridurre ma di (tentare di) riconoscere (attraverso nostre costruzioni artificiali, probabilistiche e sempre provvisorie) quale fosse la fisionomia originaria di tali personaggi nel loro proprio contesto storico.

Per quanto scritto sopra, continuo a ritenerla una riduzione, almeno sino a che non ingloberà in un processo unico e continuo anche la ricezione del pensiero e dell'agire di Gesù da parte dei suoi seguaci, ovvero le prime comunità cristiane. Senza di esse ci troviamo dinanzi a una distorsione, o limitazione che dir si volgia, dell'analisi storica, e credo che la ricerca sul Gesù storico, in un futuro più o meno prossimo, non potrà fare a meno di tenerne conto, come del resto ad esempio già le opere del Dunn e altri sembrano indicare.

Edited by -Waylander- - 25/1/2012, 19:13
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 26/1/2012, 01:34     +1   -1




Way, anzitutto ti ringrazio e mi complimento per le argomentazioni sostanziose e impegnative. Benché sono in disaccordo su un sacco di cose, apprezzo l'impegno profuso. Siccome mi sono preso la briga di rispondere a un buon numero delle tue precedenti affermazioni, con il risultato di un post insopportabilmente lungo, mi sembra utile indicare (anche per gli altri lettori) la prima e la quinta delle mie repliche come fulcro del post.

CITAZIONE
E qui stai cominciando a centrare il punto delle nostre divergenze. Mi sembra, ma ovviamente correggimi se sbaglio, tu abbia l'idea che effettivamente sia esistito un Gesù che prescinde dal modo con cui gli altri lo hanno percepito e ricordato, un sorta di monoblocco buttato lì in un dato momento storico e in un determinato luogo, che non può far altro che essere assimilato al suo contesto.

Nessuno di noi ovviamente esiste a prescindere da come veniamo percepiti, ed è nella dialettica con tali percezioni che si costituisce la nostra identità. Esempi relativi al nostro caso:
Mc 6,14-15: "... il suo nome era diventato manifesto e si diceva 'Giovanni il Battezzatore è stato risuscitato dai morti, e per questo i miracoli operano in lui'. Mentre altri dicevano: 'E' Elia'; altri poi dicevano: 'un profeta come uno dei profeti'".
Mc 8,27-29: "...e nella via interrogava i suoi discepoli dicendo loro: 'Chi dicono gli uomini che io sia?'. Ora essi gli dissero dicendo: 'Giovanni il Battista e altri Elia, altri poi che sei uno dei profeti'. Ed egli li interrogava: 'Ma voi chi dite che io sia?". Rispondendo Pietro gli dice: 'Tu sei il Cristo'. E li ammonì che non lo dicessero a nessuno.
Giovanni il Battezzatore, Elia, un profeta o come uno dei profeti. E ovviamente il Messia.
In questi due passaggi troviamo, a mio giudizio, alcune delle più antiche impressioni che l'impatto della missione di Gesù ebbe sui suoi contemporanei.
Sono testimonianze preziosissime perché ci aprono una finestra quanto più possibile neutrale (non c'è né agenda cristologica - tranne ovviamente Mc 8,29 -, né polemica) su come Gesù venisse percepito da persone esterne al suo seguito più stretto, ma nondimeno persone che erano state esse pure affascinate, catturate e convinte da questo predicatore itinerante, dal momento che in tutti e tre i casi si tratta di identificazioni importanti e altisonanti: il Battista - che come ci informa Flavio Giuseppe - era un eroe-martire popolare, Elia, egli pure una specie di "santo" popolare nonché oggetto di speculazioni escatologiche, e "come uno dei profeti" in un'epoca in cui sulla carta si tendeva a considerare chiusa l'epoca dei profeti.
Il Battezzatore, Elia, come uno dei profeti: c'è qualcosa in queste impressioni, così pregne di approvazione ed entusiasmo, di "eccedente", "trascendente" e "unico" tale per cui parlare dell'impatto che le ha causate come semplicemente "giudaico" sarebbe riduttivo? Naturalmente no.
E altrettanto naturalmente lo stesso vale anche per l'identificazione di Gesù come "il Cristo", stavolta da parte degli insiders, in Mc 8,29 (sempre che la si voglia prendere come storicamente affidabile, e in tal caso come effettivamente approvata, piuttosto che respinta, da Gesù).
Per cui, sì, anch'io penso che ciò a cui abbiamo accesso nel migliore dei casi siano solo i ricordi e le impressioni che Gesù lasciò, ma questo non può essere una scusa per prendere per buono un po' tutto quello che abbiamo nella tradizione sinottica. Anche tra questi "ricordi" (che magari ricordi non erano, ma sviluppi, adattamenti e innovazioni all'interno della memoria sociale dei gruppi gesuani) abbiamo il dovere di discriminare - per quanto ineludibilmente opinabile e fallibile sia ogni tentativo - tra impressioni più antiche e affidabili e quelli che ci sembrano più suscettibili di riflettere interessi e contesti che sono più a casa nel mondo dei gruppi gesuani successivi che in quello del movimento gesuano prepasquale.

CITAZIONE
Io credo invece che questo Gesù non è mai esistito - poichè non solo le persone cambiano continuamente nel corso della propria vita, e davvero il Gesù che si battezza nel Giordano è diverso dal Gesù che entra a Gerusalemme - ma esse sono "solo" in quanto percepite e ricordate e rielaborate.

Qui rispondo solo alla parte da me messa in corsivo e in inciso, per il resto vedi sopra.
Che Gesù possa aver cambiato idee, messaggio, strategia, autocomprensione nel corso del suo ministero è tanto possibile quanto improvabile (vedi Meier, vol. II, nella parte su Gesù e il Battista in riferimento critico alla tesi di Hollenbach). Se tale ministero fosse durato tre anni, sarebbe un po' più verosimile rispetto all'alternativa che esso sia durato un anno o anche meno. Ma in ogni caso, che sia durato 1,2 o 3 anni, non disponiamo di alcun criterio per discernere e riordinare le tradizioni gesuane secondo un prima o un poi, così da stabilire il suo sviluppo, sicché ogni tentativo in tal senso è completamente inficiato dal suo alto grado di arbitrarietà.
Ma questa è solo una parentesi.

CITAZIONE
Al tuo Gesù statico, che al massimo ha qualche punta di originalità, ma che a ben guardare è insignificante, io oppongo un Gesù che non solo è determinato dal suo ambiente (in questo, sia chiaro, io non nego affatto la third quest) ma in un certo modo lo determina, che si pone dinamicamente nei suoi confronti a tal punto da generare un seguito ed idee nuove o quantomeno problematiche per l'ambiente stesso.

Ma il mio Gesù (la vaga idea che ne ho) non è per niente statico! Al contrario è precisamente il leader di un movimento capace di raccogliere attese, accendere speranze, generare seguito e destare scompiglio al punto che egli finisce crocifisso come agitatore politico. In tutto questo ci sono anche alcune idee originali o caratteristiche (sulla purità, sul divorzio, sui giuramenti, sulla necessità di un condono reciproco dei debiti), sebbene molte di quelle più "trainanti" erano assolutamente classiche (appello alla conversione, avvento del regno di Dio con rivolgimento escatologico dello status quo a favore di poveri e oppressi, restaurazione delle dodici tribù d'Israele).
In tutto questo però non si "va oltre" di una virgola rispetto al mondo giudaico.

CITAZIONE
Noi abbiamo a che fare con un Gesù ricordato e in nome di questo Gesù ricordato i suoi seguaci sono disposti seppur a fatica e controvoglia a separarsi dal giudaismo, che li sente alla fin fine come un corpo estraneo, tanto che Stefano e Giacomo fanno una brutta fine. E allora non possiamo non chiederci che cosa costoro hanno visto in quest'uomo, in quello che ha fatto e detto, da spingerli ad una scelta così radicale.

Qui resto un po' confuso: mi stai retrodatando "the parting of the ways" al tempo di Stefano e Giacomo? I seguaci di Gesù non si separarono affatto dal giudaismo e non vi è ragione di pensare che l'idea li abbia mai sfiorati. Ancora 50 anni dopo la morte di Gesù, vediamo nel Vangelo di Matteo una comunità che si comprende totalmente entro il giudaismo, sebbene in conflitto ormai insanabile con le autorità sinagogali.
Lasciando da parte la questione "parting of the ways" - su cui sai benissimo che c'è una letteratura sconfinata -, il punto è che certamente i seguaci di Gesù videro nella sua figura qualcosa di assolutamente straordinario (e qui mi si conceda:...e la gente che prendeva i propri beni per seguire Teuda nel deserto?), sia prima di Pasqua, sia - e ancora di più - dopo Pasqua.
Ma, di nuovo, a me sfugge il passaggio logico per cui definire semplicemente e integralmente "giudaica" siffatta straordinarietà sarebbe una riduzione.

CITAZIONE
In questo senso allora il Gesù totalmente giudaico è una riduzione che impedisce o quantomeno ostacola la comprensione del rapporto tra Gesù e le comunità che ad esso si richiamano sin dall'inizio, giacchè non si può dare che queste comunità non trovino in lui la propria diretta ispirazione:
(...)
E allora che cosa è che determina quella che Hurtado chiama un'esplosione del culto di Gesù che ben presto giunge a rappresentarlo con caratteristiche divine, seppur nelle categorie ambigue del giudaismo dell'epoca (cf. R.M. Bowman, J.E. Komoszewski: Putting Jesus in His Place. The Case for the Divinity of Jesus; Kregel 2007). Chi compie tale operazione lo può fare solamente perchè trova proprio in Gesù lo spunto per una tale interpretazione,

Non vedo perché il Gesù totalmente giudaico dovrebbe impedire la comprensione delle comunità che a lui si richiamano e quindi della nascita del cristianesimo.
Paula Fredriksen sostiene un Gesù totalmente giudaico e ha potuto scrivere un libro sensato e apprezzato in cui spiega il passaggio dal Gesù storico ai "Cristi" delle comunità primitive (From Jesus to Christ. The Origins of the New Testament Images of Jesus). Lo stesso vale per Maurice Casey (From Jewish Prophet to Gentile God).
Dale Allison (Jesus of Nazareth. Millenarian Prophet, e anche prima The End of the Ages Has Come) ha spiegato convincentemente (a mio avviso - e seppur solo per spunti) lo sviluppo da Gesù al primo movimento gesuano in base al modello millenarista, e Gerd Theissen (Gesù e il suo movimento, La religione dei primi cristiani), i fratelli Stegemann (Storia sociale del cristianesimo primitivo) e Richard Horsley (Sociology and the Jesus Movement), James Crossley (Why Christianity Happened?) hanno offerto spiegazioni sociologiche più complete.
Tutti questi studiosi hanno potuto descrivere il passaggio da Gesù alle comunità primitive (vuoi teologicamente, vuoi sociologicamente) senza dover affatto postulare una qualsivoglia eccedenza o trascendenza di Gesù rispetto al suo contesto giudaico.

Lo stesso Hurtado a cui ti richiami mi sembra ben lungi dal pensare che un Gesù totalmente giudeo renderebbe impossibile rendere ragione della precocissima devozione binitaria tributata a Gesù.
I quattro fattori esplicativi che Hurtado adduce per la nascita di questo culto sono infatti i seguenti:
1) Jewish exclusivist monotheism, as the most important context and a powerful shaping force that accounts particularly for the characteristically "binitarian" nature of Christ-devotion;
2) the impact of Jesus, particularly the polarizing effects of his career, which at one extreme involved outright condemnation of him, this in turn contributing heavily to the very positive thematizing of him from the earliest known circles of the Jesus movement onward;
3) revelatory religious experiences, which communicated to circles of the Jesus movement the conviction that Jesus had been given heavenly glory and that it was God's will for him to be given extraordinary reverence in their devotional life;
4) the encounter with the larger religious environment, particularly the dynamics of countering Jewish polemics and of differentiating and justifying Christian devotion over against the dominant pagan practice.
(L.W. Hurtado, Lord Jesus Christ, p. 78)

Circa il punto 2, la teoria di Hurtado non esige nemmeno che gli effetti di polarizzazione (positiva e negativa) su Gesù debbano rispondere esattamente alle sue intenzioni. Interagendo criticamente con le ricostruzioni di Vermes e Crossan (e - si noti - non certo con quelle di Sanders, Meier, Theissen, Casey, Fredriksen etc.) egli afferma:
"even if we take a view of Jesus such as that promoted by Vermes (...) or by Crossan (...), it makes little difference to the point I am making here. It is possible that the impact of Jesus may have gone far beyond, or been different from, his own intentions, in generating an intensity of opposition and of discipleship. In my view, however, it is more plausible to think that Jesus' actions had something to do with their outcome. In any case, it is the impact of Jesus, the results or outcome of his activities that we have to consider in explaining why the devotional life of early Christian groups is so heavily concerned with him (op. cit., p. 60).

Per come la vedo io, poi, che Gesù suscitò durante il suo ministero una "polarizzazione" è evidente e fuori discussione. Annunciare la venuta imminente del regno di Dio, assicurare che le speranze profetiche andavano ora adempiendosi, e confermare tutto questo con una attività esorcistica e terapeutica di notevole successo, tutto questo non può che polarizzare attenzioni e dividere.
Gesù suscitò dunque certamente polarizzazione e potenti impressioni, ma lo fece come un "normale" profeta millenarista. L'impulso che egli diede, e che continuò fortemente dopo Pasqua (e anzi, ne fu ulteriormente rinvigorito!) fu quello di una intensissima attesa escatologica. E' a partire da questa, e certamente dall'importante ruolo che (seppur più di fatto che a parole) Gesù si attribuiva rispetto all'avvento dell'eschaton, che si comprende l'annuncio della risurrezione di Gesù (appunto come risurrezione - concetto squisitamente escatologico - piuttosto che come semplice esaltazione), e l'idea che Gesù sia risorto (quale primizia di quella generale) e che quindi, come dice Paolo, la fine dei tempi è già arrivata, ne viene la missione ai gentili (in una sorta di "performance" delle attese escatologiche universalistiche ebraiche) e poi tutto quello che ne segue.
Poi è certamente molto importante anche il punto 3 di Hurtado, quello delle esperienze di rivelazione, su cui anche Pesce punta tantissimo, ipotizzando che Gesù stesso fu alle origine delle pratiche di contatto con il soprannaturale portate avanti dai discepoli.

Riepilogando:

Movimento gesuano pre-pasquale

- febbrile impulso escatologico di Gesù, una certa concentrazione su di lui quale araldo o anche vicerè del regno veniente + pratiche di contatto con il soprannaturale
--------------------

Movimento(i) gesuano(i) post-pasquale

- superamento della dissonanza cognitiva tra le attese del movimento e la morte in croce del leader attraverso l'annuncio della risurrezione (in quanto attesa nutrita già durante il ministero pre-Pasquale, seppur su scala generale), con le apparizioni possibilmente facilitate dalle pratiche di contatto con il soprannaturale a cui i discepoli erano già abituati
- incentivazione dell'attesa escatologica, convinzione che la fine dei tempi sia già giunta e con esso il momento in cui i gentili si volgono al Dio d'Israele
- missione ai gentili e dibattiti e scontri sulle modalità della loro inclusione
- concentrazione cristologica su Gesù come Messia, Figlio dell'uomo e Signore (tramite continuate esperienze di rivelazione) e suo coinvolgimento nel culto tributato a Dio

(questi ultimi 4 punti sono da intendersi come sostanzialmente sincronici)

Onestamente, a me sembra che una spiegazione come quella che ho qui buttato giù alla svelta, descriva in modo plausibile il passaggio dal Gesù profeta escatologico "tutto ebreo" ai primi stadi di vita del movimento che gli è sopravvissuto, senza alcun bisogno di postulare chissà quale straordinarietà, novità, eccedenza o trascendenza nell'impulso iniziale della catena. Al contrario nella tua posizione mi stupisce l'assenza di qualsiasi riferimento alle esperienze pasquali, quasi che si sia trattato di eventi non dico ininfluenti, ma comunque privi di quella potenza generativa che sembri attribuire tutta all'impulso iniziale della predicazione di Gesù.
Perfino Romano Penna, che pure è uno di quelli che non rinuncia a delineare la "cristologia implicita" del Gesù storico, parla di una "doppia nascita" del cristianesimo (ministero terreno, esperienze pasquali). Che ruolo giocano dunque le apparizioni pasquali nella tua prospettiva?

CITAZIONE
spunto che ritroviamo nei Vangeli, quando Gesù viene cacciato da Nazareth o quando viene accusato di farsi Dio, tanto per citare probabilmente gli episodi più noti. Per quanto si possa argomentare che si tratti di interventi redazionali, proprio il fatto che essi siano il risultato di riflessioni teologiche ci dice che essi sono un ricordo rielaborato di un avvenimento reale al quale queste comunità possono rifarsi per giustificare i propri motivi fondanti e distintivi.

Come già intuisci, i due esempi citati (Lc 4,28-30 e Gv 10,33-39) non sono tra i più affidabili storicamente. L'idea giovannea che i Giudei vogliano uccidere Gesù perché si proclama Dio o Figlio di Dio, non è la rielaborazione di alcuna memoria storica, ma il parto teologico della comunità giovannea in un contesto storico, sociale e teologico lontano anni luce da Gesù. Anche la tradizione lucana circa la sinagoga infuriata e il tentativo di buttare Gesù giù dal monte non mi convince affatto, sebbene che Gesù sia stato rifiutato a Nazaret (e probabilmente dai suoi stessi famigliari) è un fatto molto probabile. Ma, in ogni caso, quello che più importa per il nostro discorso è il modo in cui Luca concepisce il tentativo di uccisione di Gesù da parte dei suoi compatrioti. Come? Accostandovi un logion di Gesù che afferma "nessun profeta è accetto nella sua patria". Il punto è semplice: Gesù va incontro a rifiuto (e morte) come prima di lui toccò ai profeti, un tema peraltro molto caro alla "teologia deuteronomistica" di Q.

CITAZIONE
Non è pensabile che queste comunità inventino un Gesù ex nihilo, ma che piuttosto rielaborino, anche con momenti di discontinuità, ciò che di significativo avevano avvertito in questa figura.

Sono perfettamente d'accordo che le comunità non s'inventarono i loro Gesù "ex nihilo", ma questo non significa che la loro memoria sociale fosse immacolata da spinte innovative e creative, conformemente alle loro situazioni storico-sociali, perché questo sì che sarebbe un unicum.

CITAZIONE
Ed allora un'interpetazione che de-finisce totalmente, e direi staticamente, Gesù nell'ebraismo a lui contemporaneo sembra incapace di rilevare la dinamicità di questi rapporti e quindi della nascita del cristianesimo:

"Contextual plausibility as formulated by Gerd Theissen provided the key for reading the Jesus-story. This allows Jesus and his movement to take their place within the variegated setting of different communities of interpretation which had been generated by the reception of the Hebrew Scriptures of the Second Temple period. Contextual plausibility does not mean that Jesus should be made to
conform to any one of the known groups of first-century Palestine, but implies only that 'positive connections can be established between the Jesus tradition and the Jewish context'. The criterion does not, therefore, exclude Jesus' own selection and reworking of various aspects of that shared tradition. Rather, it implies a distinctive and personal approach that was occasioned by the
circumstances of both the Galilean and Judean social and religious
worlds as he encountered them in his role as a prophet of restoration
during the reign of Antipas".
(S. FREYNE: Jesus a Jewish Galilean; A new reading of the Jesus story; T&T Clark 2004, p. 171)

Gli studi da me citati sopra non definiscono affatto staticamente Gesù (cosa c'è, ad es., di più dinamico del Wander-radikalismus di Gesù e seguaci quale movimento di rinnovamento giudaico in dialettica con altri movimenti e le problematiche socio-politiche dell'epoca?).
Perfettamente d'accordo con la citazione di Freyne, il cui Gesù è peraltro un Gesù "totalmente ebreo".

CITAZIONE
Dunque ci deve essere stata una originalità di Gesù, una originalità che certo si esprime nelle forme culturali a lui coeve, ma che viene ricordata ed elaborata proprio perchè ha delle potenzialità espresse e non espresse in questo senso e che può addirittura esprimersi in forme culturali diverse.

Sì.

CITAZIONE
Abbiamo bisogno allora di qualcos'altro oltre all'ebraicità totale e totalizzante di Gesù per spiegare la nascita del cristianesimo:

No.

CITAZIONE
Cosa c'è allora di distintivamente gesuano che fonda le comunità cristiane che a lui si richiamano?
(...)
Dunque devono avere un linguaggio e un immaginario comune, che non può che essere quello ebraico dell'epoca. Ma questa è solo una parte dell'equazione. La seconda parte è data dalla nascita di queste comunità, dalla loro progressiva rielaborazione e interpretazione dei ricordi del maestro: la Wirkungsgeschichte gesuana rimanda direttamente al Gesù storico, poichè la rifrazione mnemonica rimanda all'oggetto ricordato. E tanto più si ricorda e si sente la necessità di elaborare e rielaborare tanto più è significativo il ricordo originario e tanto più è forte l'impressione che genera il ricordo, e tanto più esso è significativo e "impressionante" tantomeno esso può essere ridotto e assimilato a ciò che lo circonda. E non vi è dubbio che Gesù viene ricordato in maniera e "quantità" (mi si passi l'espressione) sorprendente: questo significa che per coloro che lo ricordano Gesù si staglia sull'ebraismo a lui coevo e in qualche modo se ne distingue, ancor più e in maniera differente per esempio da Giovanni Battista, tanto che a un certo punto costoro preferiscono essere uccisi o cacciati dalle sinagoghe piuttosto che rinunciare a tale ricordo del Maestro e ritornare quietamente ed essere riassorbiti dal e nel giudaismo.

Vedi le risposte precedenti: la memoria sociale è creativa oltre che conservativa, e il tuo ragionamento sembra non tener conto delle apparizioni pasquali e delle continue esperienze di rivelazione e profetiche.
Invocare il "Gesù ricordato" per bypassare di fatto la critica dei vangeli, con il risultato di ricondurre sostanzialmente al Gesù terreno la sostanza delle varie configurazioni cristologiche dei sinottici (e anche del Quarto Vangelo?), è un'operazione che non posso assolutamente condividere.

CITAZIONE
E allora per me tre sono i punti significativi che distinguono la figura di Gesù dal resto dell'ebraismo.

.
Il punto è proprio il "dal". Io parlerei invece di "punti significativi che distinguono la figura di Gesù all'interno dell'ebraismo".

CITAZIONE
Il primo punto è un messianesimo (ma anche una interpretazione della legge ebraica) che se certamente si riallaccia, e come potrebbe essere diversamente, alla tradizione messianica ebraica, ha dei punti originali che sembrano distinguerlo da quelli che lo precedono. Si tratta di un messianesimo che noi non riusciamo ancora a definire bene, forse perché lo stesso Gesù non era un teologo sistematico per cui è probabile che egli stesso non si sia preoccupato più di tanto di definirlo compiutamente o forse perché era una sorta di work in progress, una autocomprensione in continuo mutamento, ma che evidentemente risultava comprensibile almeno a grandi linea ai suoi interlocutori e abbastanza significativo da essere ricordato e trasmesso ad altri.

Questo primo punto è un punto debole. Se non siamo ancora in grado di definire bene che genere di messianismo fosse quello di Gesù, come possiamo farne un indice di distinzione di Gesù dal giudaismo?

CITAZIONE
Il secondo punto è il regno escatologico che Gesù annunzia e che si presenta diverso, ad esempio, per quel che riesco a comprendere, da quello del Battista:

"Il Regno escatologico che Gesù proclamava , che sarebbe diventato l'oggetto dell'intensa speranza e della preghiera da parte dei discepoli di Gesù (Mt 6,10 e par.), intende esprimere il capovolgimento di ogni ingiusta oppressione e sofferenza, la concessione del premio concesso agli israeliti fedeli (le beatitudini), e la partecipazione gioiosa dei credenti (e anche di alcuni pagani!) al banchetto celeste con i patriarchi Israele"
(J.P. Meier: Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 2, Mentore messaggio e miracoli; 3a ed., Queriniana 2007, p. 465)

Può darsi che Gesù avesse una concezione del regno diversa dal Battista, ma gli argomenti di discontinuità di Gesù dal Battista sono sempre debolissimi, per l'ottima ragione che sul Battista abbiamo pochissime informazioni, e l'argomento di discontinuità o dissomiglianza può funzionare solo in presenza di molte informazioni, in poche parole: non ci sono state tramandate abbastanza tradizioni sull'insegnamento di Giovanni per stabilire differenze "in negativo", dobbiamo accontentarci di fare confronti sulla base di ciò che sappiamo in positivo (vedi: D.C. Allison, "The Continuity between John and Jesus" in Id., Constructing Jesus). Si potrebbe pensare ad es. (così Joan Taylor) che il Padre Nostro fosse una preghiera del Battista, visto come la introduce Luca ("...uno dei suoi discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli"; Lc 11,1). Ma questo non è importante.
Piuttosto, l'annuncio gesuano del regno come lo intende Meier - e in special modo la citazione da te riportata - non ha nulla di distintivo dal giudaismo.

CITAZIONE
In questa predicazione del Regno troviamo mi sembra due interessanti traslazioni dei piani che la rendono significativa. La battaglia escatologica che si compie attorno a Gesù è innanzitutto spirituale contro le forze del male, i demoni che infestano il mondo e Israele, i cui agenti sono gli oppressori romani ma non solo, e che lo rendono impuro e incapace di accogliere il Regno. La dimensione politica sembra qui finire in secondo piano, per lasciare spazio piuttosto a un Regno spirituale di cui il Regno materiale è una conseguenza e un'immagine. Non è in questo mondo, con gli strumenti della politica e della lotta militare, che si combatte la battaglia per la restaurazione di Israele. La depoliticizzazione del Regno di Dio da una parte sembra aver determinato una rottura con il Battista e dall'altra sembra aver deluso non pochi e anche tra coloro che sono rimasti tale visione politica rimane in qualche modo ineliminabile, a testimonanza di quanto fosse difficile e sentita come "estranea" da parte di chi lo seguiva, che probabilmente oramai si aspettava un messia guerriero ed aveva difficoltà a seguire Gesù su questa strada (come del resto testimonia l'episodio dei dicepoli di Emmaus, essendo irrilevante se sia un episodio vero o inventato: rimanda a una realtà che le prime comunità gesuane ricordano tanto da sentirsi in dovere di riportarla e rielaborarla per poterla inglobare nella costruzione della propria concezione gesuana). Una simile depoliticizzazione apre la strada all'inclusione dei pagani, cosa che si trova anche nel VT ma che sembra essere stata marginale nella coscienza dell'ebraismo del secondo tempio rispetto alla restaurazione politica del Regno di Israele. Questa inclusione non mi pare di trovarla nel Battista, ad esempio, e dunque rappresenta un punto di rottura con i suoi seguaci e probabilmente qualcosa che Gesù ha elaborato nel tempo, ma qui tu saprai certamente dirmi meglio. Ad ogni modo essa sembra essere stata sufficentemente significativa per i seguaci di Gesù da sentirsi in dovere di riportarla. Ma una simile apertura ai pagani è già una forma di universalizzazione del messaggio ebraico, diviene già qualcosa che supera i limiti dell'ebraismo stesso, anche se di per se stessa non sarebbe stata sufficiente senza il terzo elemento.

Il regno di Dio annunciato da Gesù era tutto fuorché "de-politicizzato" (su questo raccomando, tra le altre letture, G. Theissen, "La dimensione politica dell'attività di Gesù" in Stegemann-Malina-Theissen, Il nuovo Gesù storico). L'istituzione dei Dodici, il detto conclusivo di Q ("voi che mi avete seguito siederete su troni a giudicare le dodici tribù d'Israele"), sono inequivocabili indici di attesa di una restaurazione d'Israele.
Il fatto che siano in questione anche Satana e i demoni (Lc 10,18: vedevo Satana cadere come la folgere), indica semplicemente che Gesù ha una visione del mondo apocalittica, e nel pensiero apocalittico le vicende terrene e politiche sono strettamente legate al mondo soprannaturale (vedi Daniele: la quarta bestia viene uccisa, Michele riceve il regno in cielo, e ai santi dell'altissimo è dato il regno in terra).

Non direi che l'idea della salvezza escatologica dei gentili fosse un'opzione marginale (e se anche fosse, ciò ne farebbe un giudeo...marginale, non "unico"), né era alternativa e all'idea della restaurazione d'Israele (come appunto in Isaia, e su Gesù come profeta di restaurazione "isaiano" raccomando la lettura di Freyne), e il fatto che Gesù l'abbracciasse (e i suoi seguaci dopo di lui) non significava affatto un superamento dei limiti dell'ebraismo (come potrebbe, se quell'idea è ebraica???).

CITAZIONE
Il terzo elemento è Gesù stesso, il modo con cui egli si presenta e si concepisce e cerca di essere percepito. Ci troviamo certamente davanti a una figura carsimatica che con il passare del tempo elabora una autocomprensione del proprio essere e agire nella quale egli stesso assume un ruolo sempre più fondamentale rispetto a ciò che lo circonda. Tu ricordi giustamente che anche la figura del Battista era forte, accentratrice e per certi versi originale, tuttavia mi sembra che essa venisse percepita dai suoi seguaci come appartenente al profetismo ebraico e che lo stesso Battista tale si considerasse. In Gesù, proprio per la traslazione dei piani operata, vi è una autoconcezione diversa e più radicale di strumento diretto dell'avvento del Regno, il Figlio non solo fa e realizza il volere del Padre ma senza il Figlio tale volere non si può realizzare, è nel Figlio che la δυναμισ del Padre si esprime e si realizza nel mondo, Gesù non si concepisce come un profeta qualunque o un banale Theudas che raccoglie qualche seguace più o meno esaltato. Gesù è l'innesco della realizzazione del Regno che divamperà come un incendio.
In quanto innesco il Regno è già presente e si esprime nei miracoli e nelle guarigioni, nella dimostrazione che la potenza di Dio è già presente, tuttavia tale Regno si realizzerà in un tempo che è noto solo al Padre.

La cristologia del Figlio che fa il volere del Padre è pura teologia giovannea. Nella tradizione sinottica abbiamo giusto 2 (!) logia in cui si parla di Figlio e Padre (in Q e in Mc - più, se si vuole, la parabola dei vignaioli omicidi, ma le parabole gesuane sono spesso di difficile decifrazione e si prestano a molte interpretazione). Come direbbe Sanders "we are on thin ice, how far can we skate on it?", soprattutto se ciò che si cerca è il "Gesù caratteristico" (e infatti non è che Dunn possa pigiare più di tanto su questo tasto).

Le implicazioni della cosiddetta "escatologia presente" di Gesù sono tipicamente sopravvalutate dagli studiosi più teologicamente orientati. E' vero che per certi aspetti Gesù pensava che il regno fosse in qualche modo presente, o meglio, in via di attuazione, ed è possibile che egli interpretasse il grande successo dei suoi esorcismi come una prova di questo stato di cose. Per mio conto è molto più interessante il detto di Q secondo cui il regno di Dio soffre violenza dai giorni di Giovanni il Battista (il che significa che questa sorta di presenza nascosta del regno era attiva a partire dal Battista), ad ogni modo il punto davvero decisivo è qualunque cosa si pensi di questa "escatologia presente" il centro dell'escatologia gesuana è indubitabilmente sbilanciato sul futuro. E' nel futuro che si collocano l'adempimento delle beatitudini, la restaurazione d'Israele, la risurrezione dei morti. Qualcosa è già in atto, ma è significativo solo nella misura in cui prelude a ciò che seguirà.
E' fuori discussione che Gesù attribuisse un grande significato alla sua missione nell'ambito del processo escatologico in atto, ed è probabile che pensasse di ricoprire una posizione molto elevata una volta che esso si fosse realizzato. Ma in tutto questo egli restava centrato sul regno, più che sulla sua persona.

CITAZIONE
ciò che ci interessa è come Gesù si percepisse come unico e come tale si presentasse ai suoi interlocutori. (...) Gesù non eccede l'ebraismo in nessun aspetto particolare, ma la somma delle parti lo fanno percepire, almeno ad alcuni, come un unicum che ha in se la possibilità di essere ricordato, predicato, venerato e adorato.

...venerato e adorato...dopo le esperienze pasquali e gli sviluppi cristologici innescati da esse. Nessuno dei suoi seguaci venerò o adorò Gesù durante il suo ministero terreno. Ciò che Gesù disse e fece durante il suo ministero terreno non offriva il benché minimo spunto per una sua venerazione o adorazione.

CITAZIONE
Per quanto scritto sopra, continuo a ritenerla una riduzione, almeno sino a che non ingloberà in un processo unico e continuo anche la ricezione del pensiero e dell'agire di Gesù da parte dei suoi seguaci, ovvero le prime comunità cristiane. Senza di esse ci troviamo dinanzi a una distorsione, o limitazione che dir si volgia, dell'analisi storica, e credo che la ricerca sul Gesù storico, in un futuro più o meno prossimo, non potrà fare a meno di tenerne conto, come del resto ad esempio già le opere del Dunn e altri sembrano indicare.

Ma questo viene già fatto normalmente (vedi i lavori citati sopra).

P.S. per i moderatori di sezione o admins: facciamo tornare il thread nella sezione sul Gesù storico?

Edited by JohannesWeiss - 26/1/2012, 04:13
 
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negazionista
view post Posted on 26/1/2012, 10:03     +1   -1




QUOTE
CITAZIONE
Per quanto scritto sopra, continuo a ritenerla una riduzione, almeno sino a che non ingloberà in un processo unico e continuo anche la ricezione del pensiero e dell'agire di Gesù da parte dei suoi seguaci, ovvero le prime comunità cristiane. Senza di esse ci troviamo dinanzi a una distorsione, o limitazione che dir si volgia, dell'analisi storica, e credo che la ricerca sul Gesù storico, in un futuro più o meno prossimo, non potrà fare a meno di tenerne conto, come del resto ad esempio già le opere del Dunn e altri sembrano indicare.

Ma questo viene già fatto normalmente (vedi i lavori citati sopra).

Penso che Waylander voglia riferirsi, quando dice comunita' cristiane, non solo a quella del paolinismo ne quella del giudeocristianesimo, ma anche a quella del cristianesimo, se si adottano le seguenti parole di Pesce:

QUOTE
Quello che noi chiamiamo cristianesimo non è espressione della prima risposta (che proponeva che i gentili si giudaizzassero), la quale viene oggi chiamata spesso “giudeo-cristianesimo”. Non è espressione neppure della seconda che dovrebbe essere chiamata semplicemente paolinismo. Il cristianesimo è solo la terza forma, quella che “paganizzò” il messaggio di Gesù de-giudaizzandolo. Il cristianesimo è quindi, nella mia interpretazione, la religione dei gruppi etnici che hanno aderito a Gesù “paganizzando” il giudaismo, cioè per esprimersi in termini più corretti: quei gruppi che eliminarono dal messaggio di Gesù gli elementi della cultura giudaica per essi non significativi o comprensibili e lo re-interpretarono e ricollocarono all’interno dei diversi sistemi culturali – non giudaici – dei “gentili”.

che sembra porre - a mio modesto avviso - un distacco brusco rispetto al passato (ed e' lecito, nel senso non e' una contraddizione con la critica di Pesce al concetto di novita' assoluta, perche' ci si e' spostati semplicemente in un'altra ''cultura'', quella romana ellenistica, senza piu' ebrei ne' ai vertici e ne' alla base della gerarchia comunitaria). La continuita' sarebbe quasi unicamente provenire dall'ellenismo romano, mentre ci sarebbe discontinuita' dall'ebraismo, trattando le due culture come fiumi divergenti.

non e' necessario rispondere a me direttamente, le risposte le sapro' leggere implciitamente dal dialogo - che spero continui :) tra voi due (JW e Way) specialisti.

Buon proseguimento
 
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view post Posted on 26/1/2012, 11:19     +1   -1
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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 26/1/2012, 01:34) 
Way, anzitutto ti ringrazio e mi complimento per le argomentazioni sostanziose e impegnative. Benché sono in disaccordo su un sacco di cose, apprezzo l'impegno profuso. Siccome mi sono preso la briga di rispondere a un buon numero delle tue precedenti affermazioni, con il risultato di un post insopportabilmente lungo, mi sembra utile indicare (anche per gli altri lettori) la prima e la quinta delle mie repliche come fulcro del post.

Caro JW, ti ringrazio per il complimento, che proveniendo da te è particolarmente apprezzato, e ti ringrazio anche per il tempo che hai speso per rispondere alle mie modeste argomentazioni, che spero non abbiano tediato i lettori del forum, visto anche la loro sempre maggiore lunghezza. Oggi purtroppo non sono in grado a casua di pressanti impegni di abbozzare una risposta decente alle tue puntuali argomentazioni. Spero di riuscire a farlo nella giornata di domani, chiarendo ulteriormente la mia posizione critica.
Ogni bene!
 
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view post Posted on 26/1/2012, 21:53     +1   -1
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Premetto che non ho né la competenza né (ahimé!) il tempo per dilungarmi molto, ma una battuta la voglio pur fare.

Mi sembra piuttosto pacifico che la definizione "totale continuità" sia comunque suscettibile di diverse interpretazioni. Che Gesù fosse in continuità con l'ebraismo penso che non sia più argomenti di discussione, mentre su (e se) presenti elementi di discontinuità è in qualche misura una quaestio disputata. Ciò che mi fa meraviglia è che tra i cultori della Third Quest ci sia un immane feticismo verso le (ipotetiche) ricostruzione dei detti Gesuani della (altrettanto ipotetica) fonte Q, e pochissimo, talora nulla, sulle fonti pre-paoline che sono contemporanee a Q ma che almeno hanno il pregio di poggiare su una base di redaktiongeschichte ben più solida, id est: questa roba non è di Paolo, non è redazionale, quindi deve venire prima.
Mi riferisco, ad esempio, a

περὶ τοῦ υἱοῦ αὐτοῦ τοῦ γενομένου ἐκ σπέρματος Δαυὶδ κατὰ σάρκα, τοῦ ὁρισθέντος υἱοῦ θεοῦ ἐν δυνάμει κατὰ πνεῦμα ἁγιωσύνης ἐξ ἀναστάσεως νεκρῶν, Ἰησοῦ Χριστοῦ τοῦ κυρίου ἡμῶν

oppure ancora a

ὃς ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εἶναι ἴσα θεῷ, ἀλλὰ ἑαυτὸν ἐκένωσεν μορφὴν δούλου λαβών, ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων γενόμενος: καὶ σχήματι εὑρεθεὶς ὡς ἄνθρωπος ἐταπείνωσεν ἑαυτὸν γενόμενος ὑπήκοος μέχρι θανάτου, θανάτου δὲ σταυροῦ. διὸ καὶ ὁ θεὸς αὐτὸν ὑπερύψωσεν καὶ ἐχαρίσατο αὐτῷ τὸ ὄνομα τὸ ὑπὲρ πᾶν ὄνομα, ἵνα ἐν τῷ ὀνόματι Ἰησοῦ πᾶν γόνυ κάμψῃ ἐπουρανίων καὶ ἐπιγείων καὶ καταχθονίων, καὶ πᾶσα γλῶσσα ἐξομολογήσηται ὅτι κύριος Ἰησοῦς Χριστὸς εἰς δόξαν θεοῦ πατρός.

Questa roba è più o meno certo essere pre-paolina, dunque il frutto di una paradosis che già ben prima della stesura di Marco era stratificata nella predicazione orale (nell'uso liturgico?).
Ora, io fatico a vedere questi due lacerti di tradizione come una "totale continuità" con l'ebraismo che – peraltro – non spiega affatto la fine violenta di Pietro, Paolo, Giacomo e Stefano.
Viceversa io qui vedo un tema che trovo basilare per comprendere tutto il seguito: questa gente credeva che questo Gesù fosse Dio, esattamente come riferisce Plinio più o meno nello stesso tempo in cui Giovanni (o chi per lui) scriveva il suo Vangelo. Forse il rabbì itinerante non lo aveva detto con una proclamazione ex cathedra, ma difficilmente questa gente se lo può essere inventato, visto che questa affermazione è manifestamente incompatibile con il monoteismo ebraico.
Il fatto che diverse correnti del primo secolo mostrino di non capire in che modo questo Gesù fosse Dio visto che palesemente non era lo stesso Dio dell'AT (leggasi Marcione o Valentino, o anche solo Pastore di Erma che ne fa una specie di superangelo) è solo l'ulteriore conferma che questa nozione alla metà del primo secolo in qualche modo c'era già, e difficilmente poteva essere nata dall'ebraismo.

In conclusione, le fonti extra-evangeliche che non si sa bene per quale motivo sono schifate dagli spezzettatori dei Vangeli forse hanno qualcosa da dire, ad esempio l'unico dato rilevante per stabilire cosa è veramente discontinuo nella figura, più che nell'insegnamento, di Gesù. Si da il caso, infatti, che se uno di mestiere fa Dio può anche concedersi il lusso di non dirlo, ma di far sì che gli altri ci arrivino da soli.
Teologia? Forse, ma "gli altri" poi scrivono le fonti che chiedono una spiegazione.
 
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lino85
view post Posted on 26/1/2012, 22:56     +1   -1




CITAZIONE (Teodoro Studita @ 26/1/2012, 21:53) 
Viceversa io qui vedo un tema che trovo basilare per comprendere tutto il seguito: questa gente credeva che questo Gesù fosse Dio, esattamente come riferisce Plinio più o meno nello stesso tempo in cui Giovanni (o chi per lui) scriveva il suo Vangelo. Forse il rabbì itinerante non lo aveva detto con una proclamazione ex cathedra, ma difficilmente questa gente se lo può essere inventato, visto che questa affermazione è manifestamente incompatibile con il monoteismo ebraico.
Il fatto che diverse correnti del primo secolo mostrino di non capire in che modo questo Gesù fosse Dio visto che palesemente non era lo stesso Dio dell'AT (leggasi Marcione o Valentino, o anche solo Pastore di Erma che ne fa una specie di superangelo) è solo l'ulteriore conferma che questa nozione alla metà del primo secolo in qualche modo c'era già, e difficilmente poteva essere nata dall'ebraismo.

. La mia impressione, come ho già detto in precedenza è che più che dire che Gesù non si riteneva Dio bisognerebbe più che altro dire che non esprimeva la sua relazione con Dio con le stesse categorie tipiche di concetti filosofici ellenistici come "ousia" (sostanza), "prosopon" (persona), hypostasis (ipostasi) come faranno le comunità cristiane seguenti. Da cui ecco perchè i sinottici non usano una cristologia di tipo ontologico che faccia dire che Gesù è Dio e usano invece una cristologia dinamica dicendo che Dio agisce nelle azioni di Gesù vedi quello che dice Gaetano Lettieri qui
https://digilander.libero.it/sanmattiaapost...onferenza19.htm
Che poi che anche questa visione cristologica dinamica sia del tutto incompatibile col giudaismo non saprei, comunque ciò che si nota dai racconti dei vangeli sinottici è il fatto che Gesù distingua fra "Padre mio" e "Padre nostro", sorgono situazioni come quella di Lc 5,21 Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: «Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?» e ciò che si nota che differenzia il Gesù dei sinottici da altri profeti dell'Antico Testamento è che predica senza mai affermare che prima ha avuto visioni o rivelazioni da Dio, come se il messaggio partisse da lui e non dal Padre (certo, a volte Gesù prega il Padre, come nel Getsemani, ma non per rivelargli qualcosa). Insomma, a prescindere dalla storicità di questi passi, almeno il Gesù dei sinottici sembra essere un portatore di messaggio diverso da come lo erano altri profeti, oppure ci sono somiglianze, nonostante queste apparenti differenze?

CITAZIONE (Teodoro Studita @ 26/1/2012, 21:53) 
In conclusione, le fonti extra-evangeliche che non si sa bene per quale motivo sono schifate dagli spezzettatori dei Vangeli forse hanno qualcosa da dire, ad esempio l'unico dato rilevante per stabilire cosa è veramente discontinuo nella figura, più che nell'insegnamento, di Gesù. Si da il caso, infatti, che se uno di mestiere fa Dio può anche concedersi il lusso di non dirlo, ma di far sì che gli altri ci arrivino da soli.
Teologia? Forse, ma "gli altri" poi scrivono le fonti che chiedono una spiegazione.

Se non sbaglio Sanders riteneva che Gesù sentisse di avere un ruolo molto vicino a quello di Dio Padre come araldo o vicerè nel regno di Dio che avviene e che è da lui predicato, anche se è vero che comunque nel Gesù storico sembra esserci priorità nel messaggio del regno di Dio e solo subito dopo nel ruolo di Gesù riguardo ad esso.

Ciao.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 27/1/2012, 02:02     +1   -1




Teo, ma perché gli studiosi del Gesù storico dovrebbero interessarsi di Rm 1,3-4 (se non per la questione della discendenza davidica) e Fil 2,5-11?
Queste formule e inni non trasmettono alcuna memoria del Gesù terreno, bensì sono testimonianze veramente notevoli (Fil in particolare - sebbene ci sia chi, come Dunn, vi legga una cristologia adamica anziché l'idea di preesistenza) della venerazione o del culto tributato a Gesù già nel giro di pochi anni dopo la sua morte e risurrezione.

Il tuo ragionamento mi sembra fare il paio con quello di Way, e mi permetto di rappresentarlo come segue:
1) abbiamo abbondante evidenza che già nel giro di pochi anni dalla morte di Gesù vi fu una "esplosione" cristologica per cui egli venne concepito come avente status divino e di fatto associato a Dio nella devozione e nel culto delle comunità cristiane;
2) appare inverosimile che le comunità cristiane si siano inventate tutta sta roba dalla mattina alla sera;
3) quindi Gesù stesso deve aver pensato qualcosa del genere e deve anche averlo comunicato in qualche modo, per quanto tra le righe, velatamente, ambiguamente...

Sul punto 1, nullla da eccepire.
I punti 2 e 3 invece mi paiono molto problematici.
Il punto 2 sembra non tenere minimamente in conto sia l'impatto di Pasqua sia il fatto che profetismo ed esperienze di rivelazione erano parte della vita dei primi cristiani.
Il punto 3 poi non lo capisco proprio: se non abbiamo nulla o poco più di nulla nell'abbondante materiale della tradizione sinottica che faccia sospettare che Gesù si "sentisse" in qualche modo Dio, o ritenesse comunque di avere una natura o uno status superumano, in base a cosa possiamo attribuirgli una tale coscienza, se non alla sola volontà di soddisfare i nostri desideri teologici?

A questo punto mi sembra opportuno citare nuovamente Hurtado, il quale nega esplicitamente che l'esplosione del culto binitario rivolto a Gesù possa spiegarsi sulla base del ministero storico di Gesù:

"(...) la venerazione molto più profonda per Gesù tipica delle prime cerchie cristiane in tempi tanto sorprendentemente precoci non era semplicemente il prolungamento del tipo di omaggio riconosciuto al Gesù storico e non può spiegarsi adeguatamente rifacendosi al suo ministero.
Negli ambienti cristiani del primo secolo, nonostante fosse stata presto accolta l'idea che Gesù giustamente condivida la gloria e lo status divini, una convinzione del genere costituiva un ulteriore e decisivo sviluppo al di là degli effetti del ministero terreno di Gesù (...) sarebbe semplicistico pensare che questa concezione esaltata di Gesù sia sorta nel tempo del suo ministero terreno.
(...) il culto delle cerchie cristiane postpasquali. Quest'ultimo costituisce un importante sviluppo posteriore al tempo del ministero di Gesù, che storicamente può spiegarsi soltanto facendo intervenire fattori aggiuntivi, tra cui potenti esperienze di nuova 'rivelazione' che contribuirono allo straordinario 'modello binitario' di devozione, tipico del primissimo cristianesimo, e all'associazione senza precedenti di Gesù a Dio (...)"
(L.W. Hurtado, Quando Gesù divenne Dio?, Brescia, Paideia, 2010, pp. 166-169)

Meglio di così penso non lo si possa dire.

P.S. devo inferire dalle parole poco carine che hai per gli studi su Q che non hai gradito il commentario di Fleddermann? ;)
A difesa degli studi sul Gesù storico vorrei precisare che non tutti i questers sono spezzettatori di vangeli: la linea Sanders-Wright-Fredriksen-Allison, non si concentra affatto sulla ricostruzione e autenticazione dei logia di Gesù, e Sanders poi (che resta il più emblematico rappresentante della cosiddetta Third Quest) rifiuta l'esistenza stessa di Q. Molto più spezzettatore e vivisezionatore è invece Meier, che comunque riguardo a Q ha una posizione molto prudente. La ricerca su Q (a seguito degli studi di Kloppenborg) ha invece influito moltissimo sull'ala del Jesus Seminar. In ogni caso, va precisato a beneficio dei lettori che i "Q studies" hanno una loro nobilissima storia, decisamente autonoma rispetto agli studi sul Gesù storico, come conferma il fatto che molti dei suoi più importanti rappresentanti, quali Streeter, Polag, Hoffmann, Sato, Heil, Fleddermann e direi anche lo stesso Kloppenborg, sono dei signor nessuno nella storia della ricerca su Gesù.
 
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view post Posted on 27/1/2012, 09:24     +1   -1
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Caro Weiss, hai sintetizzato bene ciò che penso:

CITAZIONE
1) abbiamo abbondante evidenza che già nel giro di pochi anni dalla morte di Gesù vi fu una "esplosione" cristologica per cui egli venne concepito come avente status divino e di fatto associato a Dio nella devozione e nel culto delle comunità cristiane;
2) appare inverosimile che le comunità cristiane si siano inventate tutta sta roba dalla mattina alla sera;
3) quindi Gesù stesso deve aver pensato qualcosa del genere e deve anche averlo comunicato in qualche modo, per quanto tra le righe, velatamente, ambiguamente...

Sul punto 2 dici:

CITAZIONE
sembra non tenere minimamente in conto sia l'impatto di Pasqua sia il fatto che profetismo ed esperienze di rivelazione erano parte della vita dei primi cristiani.

Ma qui cammini su un terreno che tu stesso ritieni scivoloso. Infatti io mi sono limitato a dire che nell'ipotesi che esista un Dio e che questo si metta a fare il predicatore errante potrebbe far capire che è Dio anche senza dirlo esplicitamente. Questo evidentemente coinvolge anche (soprattutto) la risurrezione, altrimenti non si spiegherebbero i motti paolini tipo "se Cristo non è risorto vana è la nostra fede".
Ma per tornare sul terreno solido (storico) abbandonando quello scivoloso (teologico), penso sia pacifico affermare che i primi cristiani fossero convinti (a torto o a ragione) che quel Gesù lì fosse veramente risorto (è anche rimasta viva l'esclamazione ἀληθῶς ἀνέστη!). Questa, tuttavia è una condizione necessaria ma forse non sufficiente a giustificare il nascere così evidente di una cristologia alta. Né trovo convincente dire che questa spunti "a mo' di fungo" (allucinogeno) a causa di non meglio precisate "esperienze di rivelazione". Cosa ci mettiamo a fare, storia della psicologia di massa del I secolo? E questo sarebbe più credibile?
Allora non possiamo che far parlare le fonti, le quali già al più tardi una ventina d'anni dopo la morte del maestro lo celebrano come un Dio nelle sinassi liturgiche (Filippesi). Dal punto di vista metodologico osservare un effetto per stabilirne la causa non mi sembra insensato, e di certo trovo molto più convincente la convergenza delle fonti dal 50 al 100 che additano ad una cristologia alta (comprese quelle sinottiche citate da Lino) che non la para-psicologia di massa del I secolo. Se dobbiamo congetturare almeno facciamolo sulla base delle fonti!
E dunque non è vero che

CITAZIONE
non abbiamo nulla o poco più di nulla nell'abbondante materiale della tradizione sinottica che faccia sospettare che Gesù si "sentisse" in qualche modo Dio

Ma tu ti immagini un rabbì che va in giro a dire esplicitamente a un gruppo di pescatori "Ué, guardate un po' qua, io sono Dio! Ma non Dio Padre, quello che conoscete, un altro, però coeterno e consustanziale!" È del tutto evidente che se l'intento fosse stato quello, la strada non poteva che essere quella di una comprensione progressiva di una teologia così discontinua da quella del giudaismo, e poi non abbiamo a che fare con soggetti propriamente "open-minded", ma con signori del I secolo stracarichi di pregiudizi e monolitici nella mentalità. Questa gente non aveva avuto Niezsche e Pascal, non aveva la testa per strutturare e destrutturare il pensiero filosofico-teologico, non possiamo chiedere di trovare nella predicazione diretta di Gesù ciò che sarebbe stato controproducente per il suo scopo. Però, guarda caso, troviamo l'esatto contrario, cioè i tanti "non dirlo a nessuno", rivolti perlopiù alla sua cerchia stretta. Tutti redazionali? Non so, di certo remano a favore della mia ricostruzione.

E dunque posso accettare la tua pars destruens solo se la abbini a una pars costruens che spieghi su una base solida per quale cavolo di motivo la gente del 50 credeva a Gesù Cristo quasi-Deus. E che questa convinzione sia sorta dopo la morte (risurrezione?) di Gesù mi pare del tutto pacifico, come pure che non vi sia traccia di una esplicita cristologia alta nella predicazione autentica di Gesù, ma questo è precisamente ciò che ho detto. Il che, tuttavia, non implica affatto che Gesù non avesse ben chiare le cose e sapesse dal principio che quello era l'unico modo per realizzare il suo piano, dunque le tracce secondarie vanno intese a mo' di semina, cioè di fornire gli elementi dai quali sarebbe sorta autonomamente tale cristologia.



PS. No, il lavoro su Q era buono, è che mi piace fare il teologo con gli storici e lo storico con i teologi :)
 
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Elijah Six
view post Posted on 27/1/2012, 09:37     +1   -1




CITAZIONE (JohannesWeiss @ 27/1/2012, 02:02) 
Meglio di così penso non lo si possa dire.

Prendendo le fonti primarie:

"Se Cristo non è stato risuscitato, vana è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede." (Paolo in 1 Corinzi 15:14)

"Da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così." (Paolo in 2 Corinzi 5:16)

Paolo conosceva il Gesù umano, ma per la fede reputava rilevante e centrale la risurrezione. Il focalizzarsi sulla risurrezione è stato la rampa di lancio per chiedersi di che natura fosse Gesù, se effettivamente solo un semplice umano.

Quelle persone che hanno seguito Gesù ma che non hanno posto al centro la risurrezione (prendiamo ad esempio gli ebioniti, anche se li conosciamo veramente poco), bensì il suo insegnamento terreno, non si sono staccate definitivamente dai giudei (e le loro usanze) e non reputavano Gesù né Figlio di Dio, né Dio.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 27/1/2012, 13:26     +1   -1




Teo, ma qui nessuno sta parlando di “psicologia di massa”.
Non si tratta affatto di fare psicologia, bensì di riconoscere nella sua importanza quella che una caratteristica del tutto evidente della vita religiosa delle prime comunità cristiane: esperienze profetiche o di rivelazione o pneumatiche.
Le apparizioni pasquali, la Pentecoste, le rivelazioni e i viaggi celesti di cui parla Paolo, i doni carismatici e profetici nelle sue comunità, la rivelazione che secondo Atti Pietro – mentre è raccolto in preghiera - riceve sul mangiare cibo impuro (quest’ultimo in particolare è un ottimo esempio di innovazione mediante rivelazione). Sono solo i primi casi che mi saltano in mente, e non credo ci sia bisogno di andare oltre per convenire che la forme di profetismo ed esperienze di rivelazione fossero ampiamente diffuse e caratteristiche della vita dei primi cristiani.
Questo non è fare psicologia, è riconoscere un dato storico. Ora a partire da ciò io domando:

- Da una parte abbiamo l’abbondante materiale della tradizione sinottica su quanto Gesù disse e fece, materiale in cui – insisto – c’è veramente poco (poco che a seguito delle analisi storico-critiche può anche ridursi a nulla) per pensare che Gesù avesse un’autocoscienza che trascendesse una qualche forma giudaica di autocomprensione messianica (cosa, quest'ultima, pure discutibile o comunque problematica).

- Dall’altra parte abbiamo numerose testimonianze che nel giro di pochi anni e decenni dopo Pasqua Gesù veniva concepito come essere di status divino e che la sua venerazione era strettamente associata al culto di Dio. E sempre “da questa parte” sappiamo anche che la vita religiosa di queste comunità che tributavano culto a Gesù era significativamente caratterizzata da fenomeni di profetismo ed esperienze di rivelazione.

Secondo voi, dunque, anche solo il buon senso su quali di questi due versanti suggerisce di collocare l’eccedenza cristologica rispetto al giudaismo di cui andiamo parlando: vita religiosa delle prime comunità cristiane o autocoscienza del Gesù storico?

Altro che sola pars destruens, io sto insistendo su un fattore positivo di cui vi è ampia evidenza testuale (esperienze di rivelazione e profetismo nelle prime comunità cristiane) quale spiegazione incomparabilmente più plausibile dello sviluppo del culto a Gesù, rispetto al postulare gratuitamente (stando alla tradizione sinottica) un’autocoscienza trascendente nel Gesù storico.

In tutto questo non posso che raccomandare caldamente la lettura dei lavori di Hurtado (peraltro comunemente considerati “conservatori”).

Poi come teologi saremo liberi di pensare che Gesù nei suoi pensieri privati (agli storici preclusi), irrorati della luce dell’unione ipostatica, potesse avere le idee più o meno chiare sulla sua identità trascendente e su come essa sarebbe venuta a galla nei decenni successivi. Ma questa è appunto teologia, mentre come spiegazione storica dello sviluppo del primo culto cristiano una soluzione del genere non è né lecita (metodologicamente), né sostenibile (in base all’evidenza della tradizione sinottica), né richiesta (come testimonia il fatto che la proposta esplicativa di Hurtado fila benissimo senza dover presupporre alcunché di trascendente nel Gesù storico, ma solo una qualità polarizzante nel suo ministero).
 
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view post Posted on 28/1/2012, 17:55     +1   -1
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Non so, Weiss. Quanto siamo in grado di descrivere e circoscrivere in categorie storiche fenomeni come "esperienze profetiche o di rivelazione o pneumatiche" ?
In che modo un'esperienza pneumatica è diversa dalla percezione che i contemporanei ebbero della resurrezione? (Attenzione, ho detto la "percezione" della resurrezione, non la resurrezione in sé). Dal mio punto di vista è molto più facile descrivere con categorie storiografiche la seconda che non queste prime.
Inoltre, come si giustifica il nascere di una tempesta di queste "esperienze pneumatiche" da un rabbì come mille altri, totalmente assimilato e assimilabile al giudaismo a lui contemporaneo? Perché non abbiamo analoghe esplosioni di misticismo con i seguaci di rabbì Hillel o anche solo del Battista?

Viceversa se già nel NT stesso vi sono cristologie ben sviluppate nel senso della divinità di Cristo, c'è da chiedersi da dove venga questa nozione. Dalle tue parole, mi sembra di capire che tu attribuisca il 100% del sorgere della cristologia alta a questi fenomeni mistico-pneumatici, e il 100% del sorgere di questi alla tomba vuota, ma a me sembra del tutto inspiegabile come un fatto su cui già allora si nutrivano forti dubbi (leggasi cadavere rubato o spostato) possa essere il fattore scatenante di una così imponente cascata di eventi. Io credo che ci debba essere dell'altro, e la convergenza di fattori secondari già ampiamente riscontrabili nella stratificazione più antica del NT se non nei loghìa ritenuti autentici può corroborare l'ipotesi che tale cristologia fosse presente in nuce già nella predicazione (anche indiretta, s'intende) di Gesù.

In passato riflettevo, ad esempio, sulla formulazione di Q 4,12 dove l'estensore di tale fonte sembra lasciar intendere che quel κύριον τὸν θεόν possa essere ambiguamente applicato a Gesù parlante; ma altrettanto si potrebbe fare (e con minori discussioni) su Mc 2,7 e sul fatto che il rimettere i peccati (id est farsi uguale a Dio, v. soprattutto Dn 9,9) è un ottimo motivo che fornisce le motivazioni della condanna, altro aspetto studiato a fondo nella Terza Ricerca. A guardare bene (ad avere il tempo di farlo!) in Q e più ancora in Mc ci sono già tutti i germi di questa cristologia, che non poteva essere più esplicita perché sarebbe risultata indigeribile a qualsiasi uditore, ma esplicita quanto basta per chiarire le idee dopo la tomba vuota.

Personalmente questa idea mi soddisfa di più che immaginare centinaia di mangiatori di pejote che senza nessun motivo sensato iniziano ad essere invasati fino a farsi ammazare nei posti più strani del mondo. Naturalmente mi rendo conto che siamo nel campo delle ipotesi, ma in questo caso mi sembra meno inverosimile che i detti e soprattutto i fatti del Maestro lascino supporre l'idea che questi avesse le idee più chiare di quanto pensiamo, e tutto senza voler diventar monofositi di schianto...
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 28/1/2012, 22:46     +1   -1




CITAZIONE
Non so, Weiss. Quanto siamo in grado di descrivere e circoscrivere in categorie storiche fenomeni come "esperienze profetiche o di rivelazione o pneumatiche" ?
In che modo un'esperienza pneumatica è diversa dalla percezione che i contemporanei ebbero della resurrezione? (Attenzione, ho detto la "percezione" della resurrezione, non la resurrezione in sé). Dal mio punto di vista è molto più facile descrivere con categorie storiografiche la seconda che non queste prime.

Non c’è bisogno di mettere in questione la percezione che i soggetti coinvolti in queste esperienze visionarie, estatiche, pneumatiche, ebbero delle stesse. Che si tratti di apparizioni del risorto, di viaggi celesti, di visioni dell’agnello o del Figlio dell’uomo assiso alla destra di Dio. Il fatto che si dessero queste esperienze è qualcosa che la ricerca storica non può (o non dovrebbe) aver difficoltà ad accogliere, visto peraltro che si tratta di un genere di fenomeni ricorrente in ogni epoca e cultura.
Ora, quello che dico io mi sembra molto semplice: questo genere di esperienze sono la sede più appropriata – insieme alle idee e alla situazione sociale propri dei soggetti coinvolti - in cui collocare lo sviluppo la nascita e lo sviluppo di una cristologia elevata. Non sono due o tre detti in cui Gesù prego o parlò di sé in termini di “Figlio”, né tutte quelle tradizioni in cui Gesù indica o rivendica l’eccezionalità e la decisività del momento presente, del suo annuncio e anche di sé stesso in quanto suo portatore.
Queste memorie prese di per sé non avrebbero portato mai nessuno da nessuna parte (nel senso di portare alla formazione di una forma di culto originale e di un nuovo sistema religioso). Ma se nel frattempo intervengono nuove potenti esperienze di rivelazione, allora sì che si verifica un riandare ai ricordi e ai detti di Gesù che li costituisce ora come implicitamente significativi anche da un punto di vista di cristologia elevata. Ma solo allora. Il fattore decisivo sono queste nuove esperienze: le apparizioni del Risorto, la convinzione di essere inabitati dallo Spirito, l’avere visioni del Cristo esaltato e riceverne rivelazioni o parlare in suo nome.

CITAZIONE
Inoltre, come si giustifica il nascere di una tempesta di queste "esperienze pneumatiche" da un rabbì come mille altri, totalmente assimilato e assimilabile al giudaismo a lui contemporaneo? Perché non abbiamo analoghe esplosioni di misticismo con i seguaci di rabbì Hillel o anche solo del Battista?

Come si giustifica, non è una questione rilevante per il nostro discorso. Non è che se Gesù aveva una cristologia implicita e ne faceva trasparire qualche briciola già prima di Pasqua, questa tempesta pneumatica si spiega meglio o peggio. Ad ogni modo, per risponderti, oltre alla possibilità che Gesù e i suoi discepoli (o un loro nucleo ristretto, vedi trasfigurazione) avessero già prima di Pasqua esperienze di questo genere, questi fenomeni estatici e profetici che caratterizzano la comunità primitiva si possono spiegare da un punto di vista comparativo in quanto elemento tipico della nascita di movimenti religiosi in una situazione di crisi o conflitto con il proprio ambiente e le sue istituzioni.
In questo senso Hurtado si appoggia al sociologo Rodney Stark:
“Egli [Stark] afferma a ragione che è più probabile che esperienze di rivelazione capitino a «persone dai profondi interessi religiosi che percepiscono manchevolezze nella o nelle fedi tradizionali», che sia più facile che le persone colgano manchevolezze nella fede convenzionale in tempi di crisi sociale accresciuta, che in periodi del genere sia maggiore la probabilità che si sia disponibili ad accettare rivendicazioni di rivelazioni” (Hurtado, Come Gesù divenne Dio?, cit., p. 207)
Ora, che i primissimi gruppi gesuani si trovassero in una situazione di crisi e conflitto, è evidente già a partire dal momento della crocifissione di Gesù (volendo anche prima, con qualche scaramuccia con i farisei, ma è molto meno importante).
In questa situazione, a me viene abbastanza naturale pensare che un annuncio “basso” che colui che era stato crocifisso come pretendente messianico era stato risuscitato ed effettivamente costituito come tale da Dio stesso – annuncio che era appunto già una prima soluzione della crisi - abbia a sua volta accresciuto la situazione conflittuale e acuito la tensione nei gruppi gesuani, facilitando quindi ulteriori esperienze di rivelazione, le quali per rafforzare la comunità di fronte all’opposizione incontrata alzavano di fatto ancora di più la posta cristologica, generando in turno ulteriore conflitto, e così via (questa è ovviamente una semplificazione, non essendo affatto la cristologia l’unico elemento conflittuale nei primi gruppi cristiani).

CITAZIONE
Viceversa se già nel NT stesso vi sono cristologie ben sviluppate nel senso della divinità di Cristo, c'è da chiedersi da dove venga questa nozione. Dalle tue parole, mi sembra di capire che tu attribuisca il 100% del sorgere della cristologia alta a questi fenomeni mistico-pneumatici, e il 100% del sorgere di questi alla tomba vuota, ma a me sembra del tutto inspiegabile come un fatto su cui già allora si nutrivano forti dubbi (leggasi cadavere rubato o spostato) possa essere il fattore scatenante di una così imponente cascata di eventi. Io credo che ci debba essere dell'altro, e la convergenza di fattori secondari già ampiamente riscontrabili nella stratificazione più antica del NT se non nei loghìa ritenuti autentici può corroborare l'ipotesi che tale cristologia fosse presente in nuce già nella predicazione (anche indiretta, s'intende) di Gesù.

Penso che i forti dubbi ce li avessero gli altri, non i primi discepoli. Questi ultimi ne dovevano essere profondamente, entusiasticamente, convinti e lo stesso devono aver fatto coloro che hanno accolto il loro annuncio aggregandosi a loro. Il dubbio degli altri, invece, ovvero l’opposizione incontrata, è un incentivo, piuttosto che un fattore di dissuasione, al darsi di esperienze di rivelazione che confermino le rivendicazioni del gruppo.
Già che ci sono però ne approfitto per precisare meglio il mio pensiero su un aspetto particolare. Nel post precedente avevo citato come un primo fattore nel processo di genesi cristologica, l’intensa attesa escatologica che Gesù instillò nei suoi discepoli.
Ecco, voglio esplicitare che di questo insegnamento escatologico facevano parte anche dei discorsi di Gesù sulla venuta del Figlio dell’uomo. Non è necessario qui stabilire quale fosse il tenore originario di questi detti (compito improbo, poiché proprio qui come in poche altre cose si sovrapposero le attese di Gesù e le attese della comunità primitiva), cioè se Gesù parlasse di un essere celeste distinto da lui (ma a lui strettamente associato, un Doppelgänger) oppure se si riferisse ad un suo futuro stato di esaltazione nel ruolo di giudice escatologico, o più semplicemente esprimesse con un’immagine biblica la speranza che Dio lo vendicasse a seguito dell’opposizione subita.
Come che si risolva la questione, ritengo molto probabile che proprio questo insegnamento apocalittico sul Figlio dell’uomo sia stato – alla luce della risurrezione – il trait d’union tra l’attesa escatologica di Gesù e dei suoi prima di Pasqua, e le prime forme postpasquali di cristologia d’esaltazione: una transizione percepibile in quella che a mio avviso fu la Traditionsgeschichte di Mc 14,62, dove ad un “normale” detto sulla venuta sul Figlio dell’uomo s’introdusse il riferimento al Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza (mediante un’interpretazione postpasquale del Salmo 110).

CITAZIONE
In passato riflettevo, ad esempio, sulla formulazione di Q 4,12 dove l'estensore di tale fonte sembra lasciar intendere che quel κύριον τὸν θεόν possa essere ambiguamente applicato a Gesù parlante; ma altrettanto si potrebbe fare (e con minori discussioni) su Mc 2,7 e sul fatto che il rimettere i peccati (id est farsi uguale a Dio, v. soprattutto Dn 9,9) è un ottimo motivo che fornisce le motivazioni della condanna, altro aspetto studiato a fondo nella Terza Ricerca. A guardare bene (ad avere il tempo di farlo!) in Q e più ancora in Mc ci sono già tutti i germi di questa cristologia, che non poteva essere più esplicita perché sarebbe risultata indigeribile a qualsiasi uditore, ma esplicita quanto basta per chiarire le idee dopo la tomba vuota.

Benché la lettura che proponi di κύριον τὸν θεόν di Q 4,12 non mi sembri sostenibile nel contesto del brano delle tentazioni, riconosco volentieri che proprio in Q abbiamo il noto “meteorite giovanneo” di Q 10,22. Un detto di Gesù? Un detto di un profeta protocristiano che parlava nel nome del Risorto? Difficile dirlo. Qui e in Mc 13,32 i sostenitori di una cristologia in nuce nel Gesù storico trovano la loro roccaforte (è invece molto problematico puntare su Mc 2,7 e 2,10 come memoria storica, il primo in quanto mormorazione interiori degli scribi silenti, il secondo in quanto evidente affermazione cristologica che fa il paio con Mc 2,28, entrambe probabilmente redazionali).
E così siamo ancora al punto di cui dicevo: un paio di detti in cui Gesù parla di sé come Figlio (la cui autenticità è ovviamente opinabile) e il suo pregare caratteristico con l’appellativo Abbà. Queste sono vestigia di un’autocoscienza cristologica elevata di Gesù, oppure sono modi di esprimersi di un ebreo carismatico o misticheggiante (come Honi il disegnatore di cerchi a cui si attribuisce il detto: “Signore dell'universo, i tuoi figli si sono rivolti a me perché sono dinanzi a te un figlio della casa”)?
Ammettiamo pure che tra le tonnellate di detti e ricordi trasmessi nella tradizione gesuana originaria ci fosse anche la memoria di come Gesù si rapportava “confidenzialmente” a Dio nell’ambito della sua preghiera. A me sembra che anche in questo caso si tratti di ben poca roba per costruirci sopra la cristologia post-pasquale. Senza le esperienze di rivelazione successive quei due o tre ricordi non sarebbero stati il germe di nulla, ma solo la memoria della preghiera di un ebreo carismatico.
 
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