Way, anzitutto ti ringrazio e mi complimento per le argomentazioni sostanziose e impegnative. Benché sono in disaccordo su un sacco di cose, apprezzo l'impegno profuso. Siccome mi sono preso la briga di rispondere a un buon numero delle tue precedenti affermazioni, con il risultato di un post insopportabilmente lungo, mi sembra utile indicare (anche per gli altri lettori) la prima e la quinta delle mie repliche come fulcro del post.
CITAZIONE
E qui stai cominciando a centrare il punto delle nostre divergenze. Mi sembra, ma ovviamente correggimi se sbaglio, tu abbia l'idea che effettivamente sia esistito un Gesù che prescinde dal modo con cui gli altri lo hanno percepito e ricordato, un sorta di monoblocco buttato lì in un dato momento storico e in un determinato luogo, che non può far altro che essere assimilato al suo contesto.
Nessuno di noi ovviamente esiste a prescindere da come veniamo percepiti, ed è nella dialettica con tali percezioni che si costituisce la nostra identità. Esempi relativi al nostro caso:
Mc 6,14-15: "... il suo nome era diventato manifesto e si diceva 'Giovanni il Battezzatore è stato risuscitato dai morti, e per questo i miracoli operano in lui'. Mentre altri dicevano: 'E' Elia'; altri poi dicevano: 'un profeta come uno dei profeti'".
Mc 8,27-29: "...e nella via interrogava i suoi discepoli dicendo loro: 'Chi dicono gli uomini che io sia?'. Ora essi gli dissero dicendo: 'Giovanni il Battista e altri Elia, altri poi che sei uno dei profeti'. Ed egli li interrogava: 'Ma voi chi dite che io sia?". Rispondendo Pietro gli dice: 'Tu sei il Cristo'. E li ammonì che non lo dicessero a nessuno.
Giovanni il Battezzatore, Elia, un profeta o come uno dei profeti. E ovviamente il Messia.
In questi due passaggi troviamo, a mio giudizio, alcune delle più antiche impressioni che l'impatto della missione di Gesù ebbe sui suoi contemporanei.
Sono testimonianze preziosissime perché ci aprono una finestra quanto più possibile neutrale (non c'è né agenda cristologica - tranne ovviamente Mc 8,29 -, né polemica) su come Gesù venisse percepito da persone esterne al suo seguito più stretto, ma nondimeno persone che erano state esse pure affascinate, catturate e convinte da questo predicatore itinerante, dal momento che in tutti e tre i casi si tratta di identificazioni importanti e altisonanti: il Battista - che come ci informa Flavio Giuseppe - era un eroe-martire popolare, Elia, egli pure una specie di "santo" popolare nonché oggetto di speculazioni escatologiche, e "come uno dei profeti" in un'epoca in cui sulla carta si tendeva a considerare chiusa l'epoca dei profeti.
Il Battezzatore, Elia, come uno dei profeti: c'è qualcosa in queste impressioni, così pregne di approvazione ed entusiasmo, di "eccedente", "trascendente" e "unico" tale per cui parlare dell'impatto che le ha causate come semplicemente "giudaico" sarebbe riduttivo? Naturalmente no.
E altrettanto naturalmente lo stesso vale anche per l'identificazione di Gesù come "il Cristo", stavolta da parte degli insiders, in Mc 8,29 (sempre che la si voglia prendere come storicamente affidabile, e in tal caso come effettivamente approvata, piuttosto che respinta, da Gesù).
Per cui, sì, anch'io penso che ciò a cui abbiamo accesso nel migliore dei casi siano solo i ricordi e le impressioni che Gesù lasciò, ma questo non può essere una scusa per prendere per buono un po' tutto quello che abbiamo nella tradizione sinottica. Anche tra questi "ricordi" (che magari ricordi non erano, ma sviluppi, adattamenti e innovazioni all'interno della memoria sociale dei gruppi gesuani) abbiamo il dovere di discriminare - per quanto ineludibilmente opinabile e fallibile sia ogni tentativo - tra impressioni più antiche e affidabili e quelli che ci sembrano più suscettibili di riflettere interessi e contesti che sono più a casa nel mondo dei gruppi gesuani successivi che in quello del movimento gesuano prepasquale.
CITAZIONE
Io credo invece che questo Gesù non è mai esistito - poichè non solo le persone cambiano continuamente nel corso della propria vita, e davvero il Gesù che si battezza nel Giordano è diverso dal Gesù che entra a Gerusalemme - ma esse sono "solo" in quanto percepite e ricordate e rielaborate.
Qui rispondo solo alla parte da me messa in corsivo e in inciso, per il resto vedi sopra.
Che Gesù possa aver cambiato idee, messaggio, strategia, autocomprensione nel corso del suo ministero è tanto possibile quanto improvabile (vedi Meier, vol. II, nella parte su Gesù e il Battista in riferimento critico alla tesi di Hollenbach). Se tale ministero fosse durato tre anni, sarebbe un po' più verosimile rispetto all'alternativa che esso sia durato un anno o anche meno. Ma in ogni caso, che sia durato 1,2 o 3 anni, non disponiamo di alcun criterio per discernere e riordinare le tradizioni gesuane secondo un prima o un poi, così da stabilire il suo sviluppo, sicché ogni tentativo in tal senso è completamente inficiato dal suo alto grado di arbitrarietà.
Ma questa è solo una parentesi.
CITAZIONE
Al tuo Gesù statico, che al massimo ha qualche punta di originalità, ma che a ben guardare è insignificante, io oppongo un Gesù che non solo è determinato dal suo ambiente (in questo, sia chiaro, io non nego affatto la third quest) ma in un certo modo lo determina, che si pone dinamicamente nei suoi confronti a tal punto da generare un seguito ed idee nuove o quantomeno problematiche per l'ambiente stesso.
Ma il mio Gesù (la vaga idea che ne ho) non è per niente statico! Al contrario è precisamente il leader di un movimento capace di raccogliere attese, accendere speranze, generare seguito e destare scompiglio al punto che egli finisce crocifisso come agitatore politico. In tutto questo ci sono anche alcune idee originali o caratteristiche (sulla purità, sul divorzio, sui giuramenti, sulla necessità di un condono reciproco dei debiti), sebbene molte di quelle più "trainanti" erano assolutamente classiche (appello alla conversione, avvento del regno di Dio con rivolgimento escatologico dello status quo a favore di poveri e oppressi, restaurazione delle dodici tribù d'Israele).
In tutto questo però non si "va oltre" di una virgola rispetto al mondo giudaico.
CITAZIONE
Noi abbiamo a che fare con un Gesù ricordato e in nome di questo Gesù ricordato i suoi seguaci sono disposti seppur a fatica e controvoglia a separarsi dal giudaismo, che li sente alla fin fine come un corpo estraneo, tanto che Stefano e Giacomo fanno una brutta fine. E allora non possiamo non chiederci che cosa costoro hanno visto in quest'uomo, in quello che ha fatto e detto, da spingerli ad una scelta così radicale.
Qui resto un po' confuso: mi stai retrodatando "the parting of the ways" al tempo di Stefano e Giacomo? I seguaci di Gesù non si separarono affatto dal giudaismo e non vi è ragione di pensare che l'idea li abbia mai sfiorati. Ancora 50 anni dopo la morte di Gesù, vediamo nel Vangelo di Matteo una comunità che si comprende totalmente entro il giudaismo, sebbene in conflitto ormai insanabile con le autorità sinagogali.
Lasciando da parte la questione "parting of the ways" - su cui sai benissimo che c'è una letteratura sconfinata -, il punto è che certamente i seguaci di Gesù videro nella sua figura qualcosa di assolutamente straordinario (e qui mi si conceda:...e la gente che prendeva i propri beni per seguire Teuda nel deserto?), sia prima di Pasqua, sia - e ancora di più - dopo Pasqua.
Ma, di nuovo, a me sfugge il passaggio logico per cui definire semplicemente e integralmente "giudaica" siffatta straordinarietà sarebbe una riduzione.
CITAZIONE
In questo senso allora il Gesù totalmente giudaico è una riduzione che impedisce o quantomeno ostacola la comprensione del rapporto tra Gesù e le comunità che ad esso si richiamano sin dall'inizio, giacchè non si può dare che queste comunità non trovino in lui la propria diretta ispirazione:
(...)
E allora che cosa è che determina quella che Hurtado chiama un'esplosione del culto di Gesù che ben presto giunge a rappresentarlo con caratteristiche divine, seppur nelle categorie ambigue del giudaismo dell'epoca (cf. R.M. Bowman, J.E. Komoszewski: Putting Jesus in His Place. The Case for the Divinity of Jesus; Kregel 2007). Chi compie tale operazione lo può fare solamente perchè trova proprio in Gesù lo spunto per una tale interpretazione,
Non vedo perché il Gesù totalmente giudaico dovrebbe impedire la comprensione delle comunità che a lui si richiamano e quindi della nascita del cristianesimo.
Paula Fredriksen sostiene un Gesù totalmente giudaico e ha potuto scrivere un libro sensato e apprezzato in cui spiega il passaggio dal Gesù storico ai "Cristi" delle comunità primitive (From Jesus to Christ. The Origins of the New Testament Images of Jesus). Lo stesso vale per Maurice Casey (From Jewish Prophet to Gentile God).
Dale Allison (Jesus of Nazareth. Millenarian Prophet, e anche prima The End of the Ages Has Come) ha spiegato convincentemente (a mio avviso - e seppur solo per spunti) lo sviluppo da Gesù al primo movimento gesuano in base al modello millenarista, e Gerd Theissen (Gesù e il suo movimento, La religione dei primi cristiani), i fratelli Stegemann (Storia sociale del cristianesimo primitivo) e Richard Horsley (Sociology and the Jesus Movement), James Crossley (Why Christianity Happened?) hanno offerto spiegazioni sociologiche più complete.
Tutti questi studiosi hanno potuto descrivere il passaggio da Gesù alle comunità primitive (vuoi teologicamente, vuoi sociologicamente) senza dover affatto postulare una qualsivoglia eccedenza o trascendenza di Gesù rispetto al suo contesto giudaico.
Lo stesso Hurtado a cui ti richiami mi sembra ben lungi dal pensare che un Gesù totalmente giudeo renderebbe impossibile rendere ragione della precocissima devozione binitaria tributata a Gesù.
I quattro fattori esplicativi che Hurtado adduce per la nascita di questo culto sono infatti i seguenti:
1) Jewish exclusivist monotheism, as the most important context and a powerful shaping force that accounts particularly for the characteristically "binitarian" nature of Christ-devotion;
2) the impact of Jesus, particularly the polarizing effects of his career, which at one extreme involved outright condemnation of him, this in turn contributing heavily to the very positive thematizing of him from the earliest known circles of the Jesus movement onward;
3) revelatory religious experiences, which communicated to circles of the Jesus movement the conviction that Jesus had been given heavenly glory and that it was God's will for him to be given extraordinary reverence in their devotional life;
4) the encounter with the larger religious environment, particularly the dynamics of countering Jewish polemics and of differentiating and justifying Christian devotion over against the dominant pagan practice.
(L.W. Hurtado, Lord Jesus Christ, p. 78)
Circa il punto 2, la teoria di Hurtado non esige nemmeno che gli effetti di polarizzazione (positiva e negativa) su Gesù debbano rispondere esattamente alle sue intenzioni. Interagendo criticamente con le ricostruzioni di Vermes e Crossan (e - si noti - non certo con quelle di Sanders, Meier, Theissen, Casey, Fredriksen etc.) egli afferma:
"even if we take a view of Jesus such as that promoted by Vermes (...) or by Crossan (...), it makes little difference to the point I am making here. It is possible that the impact of Jesus may have gone far beyond, or been different from, his own intentions, in generating an intensity of opposition and of discipleship. In my view, however, it is more plausible to think that Jesus' actions had something to do with their outcome. In any case, it is the impact of Jesus, the results or outcome of his activities that we have to consider in explaining why the devotional life of early Christian groups is so heavily concerned with him (op. cit., p. 60).
Per come la vedo io, poi, che Gesù suscitò durante il suo ministero una "polarizzazione" è evidente e fuori discussione. Annunciare la venuta imminente del regno di Dio, assicurare che le speranze profetiche andavano ora adempiendosi, e confermare tutto questo con una attività esorcistica e terapeutica di notevole successo, tutto questo non può che polarizzare attenzioni e dividere.
Gesù suscitò dunque certamente polarizzazione e potenti impressioni, ma lo fece come un "normale" profeta millenarista. L'impulso che egli diede, e che continuò fortemente dopo Pasqua (e anzi, ne fu ulteriormente rinvigorito!) fu quello di una intensissima attesa escatologica. E' a partire da questa, e certamente dall'importante ruolo che (seppur più di fatto che a parole) Gesù si attribuiva rispetto all'avvento dell'eschaton, che si comprende l'annuncio della risurrezione di Gesù (appunto come risurrezione - concetto squisitamente escatologico - piuttosto che come semplice esaltazione), e l'idea che Gesù sia risorto (quale primizia di quella generale) e che quindi, come dice Paolo, la fine dei tempi è già arrivata, ne viene la missione ai gentili (in una sorta di "performance" delle attese escatologiche universalistiche ebraiche) e poi tutto quello che ne segue.
Poi è certamente molto importante anche il punto 3 di Hurtado, quello delle esperienze di rivelazione, su cui anche Pesce punta tantissimo, ipotizzando che Gesù stesso fu alle origine delle pratiche di contatto con il soprannaturale portate avanti dai discepoli.
Riepilogando:
Movimento gesuano pre-pasquale
- febbrile impulso escatologico di Gesù, una certa concentrazione su di lui quale araldo o anche vicerè del regno veniente + pratiche di contatto con il soprannaturale
--------------------
Movimento(i) gesuano(i) post-pasquale
- superamento della dissonanza cognitiva tra le attese del movimento e la morte in croce del leader attraverso l'annuncio della risurrezione (in quanto attesa nutrita già durante il ministero pre-Pasquale, seppur su scala generale), con le apparizioni possibilmente facilitate dalle pratiche di contatto con il soprannaturale a cui i discepoli erano già abituati
- incentivazione dell'attesa escatologica, convinzione che la fine dei tempi sia già giunta e con esso il momento in cui i gentili si volgono al Dio d'Israele
- missione ai gentili e dibattiti e scontri sulle modalità della loro inclusione
- concentrazione cristologica su Gesù come Messia, Figlio dell'uomo e Signore (tramite continuate esperienze di rivelazione) e suo coinvolgimento nel culto tributato a Dio
(questi ultimi 4 punti sono da intendersi come sostanzialmente sincronici)
Onestamente, a me sembra che una spiegazione come quella che ho qui buttato giù alla svelta, descriva in modo plausibile il passaggio dal Gesù profeta escatologico "tutto ebreo" ai primi stadi di vita del movimento che gli è sopravvissuto, senza alcun bisogno di postulare chissà quale straordinarietà, novità, eccedenza o trascendenza nell'impulso iniziale della catena. Al contrario nella tua posizione mi stupisce l'assenza di qualsiasi riferimento alle esperienze pasquali, quasi che si sia trattato di eventi non dico ininfluenti, ma comunque privi di quella potenza generativa che sembri attribuire tutta all'impulso iniziale della predicazione di Gesù.
Perfino Romano Penna, che pure è uno di quelli che non rinuncia a delineare la "cristologia implicita" del Gesù storico, parla di una "doppia nascita" del cristianesimo (ministero terreno, esperienze pasquali). Che ruolo giocano dunque le apparizioni pasquali nella tua prospettiva?
CITAZIONE
spunto che ritroviamo nei Vangeli, quando Gesù viene cacciato da Nazareth o quando viene accusato di farsi Dio, tanto per citare probabilmente gli episodi più noti. Per quanto si possa argomentare che si tratti di interventi redazionali, proprio il fatto che essi siano il risultato di riflessioni teologiche ci dice che essi sono un ricordo rielaborato di un avvenimento reale al quale queste comunità possono rifarsi per giustificare i propri motivi fondanti e distintivi.
Come già intuisci, i due esempi citati (Lc 4,28-30 e Gv 10,33-39) non sono tra i più affidabili storicamente. L'idea giovannea che i Giudei vogliano uccidere Gesù perché si proclama Dio o Figlio di Dio, non è la rielaborazione di alcuna memoria storica, ma il parto teologico della comunità giovannea in un contesto storico, sociale e teologico lontano anni luce da Gesù. Anche la tradizione lucana circa la sinagoga infuriata e il tentativo di buttare Gesù giù dal monte non mi convince affatto, sebbene che Gesù sia stato rifiutato a Nazaret (e probabilmente dai suoi stessi famigliari) è un fatto molto probabile. Ma, in ogni caso, quello che più importa per il nostro discorso è il modo in cui Luca concepisce il tentativo di uccisione di Gesù da parte dei suoi compatrioti. Come? Accostandovi un logion di Gesù che afferma "nessun profeta è accetto nella sua patria". Il punto è semplice: Gesù va incontro a rifiuto (e morte) come prima di lui toccò ai profeti, un tema peraltro molto caro alla "teologia deuteronomistica" di Q.
CITAZIONE
Non è pensabile che queste comunità inventino un Gesù ex nihilo, ma che piuttosto rielaborino, anche con momenti di discontinuità, ciò che di significativo avevano avvertito in questa figura.
Sono perfettamente d'accordo che le comunità non s'inventarono i loro Gesù "ex nihilo", ma questo non significa che la loro memoria sociale fosse immacolata da spinte innovative e creative, conformemente alle loro situazioni storico-sociali, perché questo sì che sarebbe un
unicum.
CITAZIONE
Ed allora un'interpetazione che de-finisce totalmente, e direi staticamente, Gesù nell'ebraismo a lui contemporaneo sembra incapace di rilevare la dinamicità di questi rapporti e quindi della nascita del cristianesimo:
"Contextual plausibility as formulated by Gerd Theissen provided the key for reading the Jesus-story. This allows Jesus and his movement to take their place within the variegated setting of different communities of interpretation which had been generated by the reception of the Hebrew Scriptures of the Second Temple period. Contextual plausibility does not mean that Jesus should be made to
conform to any one of the known groups of first-century Palestine, but implies only that 'positive connections can be established between the Jesus tradition and the Jewish context'. The criterion does not, therefore, exclude Jesus' own selection and reworking of various aspects of that shared tradition. Rather, it implies a distinctive and personal approach that was occasioned by the
circumstances of both the Galilean and Judean social and religious
worlds as he encountered them in his role as a prophet of restoration
during the reign of Antipas".
(S. FREYNE: Jesus a Jewish Galilean; A new reading of the Jesus story; T&T Clark 2004, p. 171)
Gli studi da me citati sopra non definiscono affatto staticamente Gesù (cosa c'è, ad es., di più dinamico del Wander-radikalismus di Gesù e seguaci quale movimento di rinnovamento giudaico in dialettica con altri movimenti e le problematiche socio-politiche dell'epoca?).
Perfettamente d'accordo con la citazione di Freyne, il cui Gesù è peraltro un Gesù "totalmente ebreo".
CITAZIONE
Dunque ci deve essere stata una originalità di Gesù, una originalità che certo si esprime nelle forme culturali a lui coeve, ma che viene ricordata ed elaborata proprio perchè ha delle potenzialità espresse e non espresse in questo senso e che può addirittura esprimersi in forme culturali diverse.
Sì.
CITAZIONE
Abbiamo bisogno allora di qualcos'altro oltre all'ebraicità totale e totalizzante di Gesù per spiegare la nascita del cristianesimo:
No.
CITAZIONE
Cosa c'è allora di distintivamente gesuano che fonda le comunità cristiane che a lui si richiamano?
(...)
Dunque devono avere un linguaggio e un immaginario comune, che non può che essere quello ebraico dell'epoca. Ma questa è solo una parte dell'equazione. La seconda parte è data dalla nascita di queste comunità, dalla loro progressiva rielaborazione e interpretazione dei ricordi del maestro: la Wirkungsgeschichte gesuana rimanda direttamente al Gesù storico, poichè la rifrazione mnemonica rimanda all'oggetto ricordato. E tanto più si ricorda e si sente la necessità di elaborare e rielaborare tanto più è significativo il ricordo originario e tanto più è forte l'impressione che genera il ricordo, e tanto più esso è significativo e "impressionante" tantomeno esso può essere ridotto e assimilato a ciò che lo circonda. E non vi è dubbio che Gesù viene ricordato in maniera e "quantità" (mi si passi l'espressione) sorprendente: questo significa che per coloro che lo ricordano Gesù si staglia sull'ebraismo a lui coevo e in qualche modo se ne distingue, ancor più e in maniera differente per esempio da Giovanni Battista, tanto che a un certo punto costoro preferiscono essere uccisi o cacciati dalle sinagoghe piuttosto che rinunciare a tale ricordo del Maestro e ritornare quietamente ed essere riassorbiti dal e nel giudaismo.
Vedi le risposte precedenti: la memoria sociale è creativa oltre che conservativa, e il tuo ragionamento sembra non tener conto delle apparizioni pasquali e delle continue esperienze di rivelazione e profetiche.
Invocare il "Gesù ricordato" per bypassare di fatto la critica dei vangeli, con il risultato di ricondurre sostanzialmente al Gesù terreno la sostanza delle varie configurazioni cristologiche dei sinottici (e anche del Quarto Vangelo?), è un'operazione che non posso assolutamente condividere.
CITAZIONE
E allora per me tre sono i punti significativi che distinguono la figura di Gesù dal resto dell'ebraismo.
.
Il punto è proprio il "dal". Io parlerei invece di "punti significativi che distinguono la figura di Gesù
all'interno dell'ebraismo".
CITAZIONE
Il primo punto è un messianesimo (ma anche una interpretazione della legge ebraica) che se certamente si riallaccia, e come potrebbe essere diversamente, alla tradizione messianica ebraica, ha dei punti originali che sembrano distinguerlo da quelli che lo precedono. Si tratta di un messianesimo che noi non riusciamo ancora a definire bene, forse perché lo stesso Gesù non era un teologo sistematico per cui è probabile che egli stesso non si sia preoccupato più di tanto di definirlo compiutamente o forse perché era una sorta di work in progress, una autocomprensione in continuo mutamento, ma che evidentemente risultava comprensibile almeno a grandi linea ai suoi interlocutori e abbastanza significativo da essere ricordato e trasmesso ad altri.
Questo primo punto è un punto debole. Se non siamo ancora in grado di definire bene che genere di messianismo fosse quello di Gesù, come possiamo farne un indice di distinzione di Gesù
dal giudaismo?
CITAZIONE
Il secondo punto è il regno escatologico che Gesù annunzia e che si presenta diverso, ad esempio, per quel che riesco a comprendere, da quello del Battista:
"Il Regno escatologico che Gesù proclamava , che sarebbe diventato l'oggetto dell'intensa speranza e della preghiera da parte dei discepoli di Gesù (Mt 6,10 e par.), intende esprimere il capovolgimento di ogni ingiusta oppressione e sofferenza, la concessione del premio concesso agli israeliti fedeli (le beatitudini), e la partecipazione gioiosa dei credenti (e anche di alcuni pagani!) al banchetto celeste con i patriarchi Israele"
(J.P. Meier: Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 2, Mentore messaggio e miracoli; 3a ed., Queriniana 2007, p. 465)
Può darsi che Gesù avesse una concezione del regno diversa dal Battista, ma gli argomenti di discontinuità di Gesù dal Battista sono sempre debolissimi, per l'ottima ragione che sul Battista abbiamo pochissime informazioni, e l'argomento di discontinuità o dissomiglianza può funzionare solo in presenza di molte informazioni, in poche parole: non ci sono state tramandate abbastanza tradizioni sull'insegnamento di Giovanni per stabilire differenze "in negativo", dobbiamo accontentarci di fare confronti sulla base di ciò che sappiamo in positivo (vedi: D.C. Allison, "The Continuity between John and Jesus" in Id., Constructing Jesus). Si potrebbe pensare ad es. (così Joan Taylor) che il Padre Nostro fosse una preghiera del Battista, visto come la introduce Luca ("...uno dei suoi discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare
come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli"; Lc 11,1). Ma questo non è importante.
Piuttosto, l'annuncio gesuano del regno come lo intende Meier - e in special modo la citazione da te riportata - non ha nulla di distintivo
dal giudaismo.
CITAZIONE
In questa predicazione del Regno troviamo mi sembra due interessanti traslazioni dei piani che la rendono significativa. La battaglia escatologica che si compie attorno a Gesù è innanzitutto spirituale contro le forze del male, i demoni che infestano il mondo e Israele, i cui agenti sono gli oppressori romani ma non solo, e che lo rendono impuro e incapace di accogliere il Regno. La dimensione politica sembra qui finire in secondo piano, per lasciare spazio piuttosto a un Regno spirituale di cui il Regno materiale è una conseguenza e un'immagine. Non è in questo mondo, con gli strumenti della politica e della lotta militare, che si combatte la battaglia per la restaurazione di Israele. La depoliticizzazione del Regno di Dio da una parte sembra aver determinato una rottura con il Battista e dall'altra sembra aver deluso non pochi e anche tra coloro che sono rimasti tale visione politica rimane in qualche modo ineliminabile, a testimonanza di quanto fosse difficile e sentita come "estranea" da parte di chi lo seguiva, che probabilmente oramai si aspettava un messia guerriero ed aveva difficoltà a seguire Gesù su questa strada (come del resto testimonia l'episodio dei dicepoli di Emmaus, essendo irrilevante se sia un episodio vero o inventato: rimanda a una realtà che le prime comunità gesuane ricordano tanto da sentirsi in dovere di riportarla e rielaborarla per poterla inglobare nella costruzione della propria concezione gesuana). Una simile depoliticizzazione apre la strada all'inclusione dei pagani, cosa che si trova anche nel VT ma che sembra essere stata marginale nella coscienza dell'ebraismo del secondo tempio rispetto alla restaurazione politica del Regno di Israele. Questa inclusione non mi pare di trovarla nel Battista, ad esempio, e dunque rappresenta un punto di rottura con i suoi seguaci e probabilmente qualcosa che Gesù ha elaborato nel tempo, ma qui tu saprai certamente dirmi meglio. Ad ogni modo essa sembra essere stata sufficentemente significativa per i seguaci di Gesù da sentirsi in dovere di riportarla. Ma una simile apertura ai pagani è già una forma di universalizzazione del messaggio ebraico, diviene già qualcosa che supera i limiti dell'ebraismo stesso, anche se di per se stessa non sarebbe stata sufficiente senza il terzo elemento.
Il regno di Dio annunciato da Gesù era tutto fuorché "de-politicizzato" (su questo raccomando, tra le altre letture, G. Theissen, "La dimensione politica dell'attività di Gesù" in Stegemann-Malina-Theissen, Il nuovo Gesù storico). L'istituzione dei Dodici, il detto conclusivo di Q ("voi che mi avete seguito siederete su troni a giudicare le dodici tribù d'Israele"), sono inequivocabili indici di attesa di una restaurazione d'Israele.
Il fatto che siano in questione anche Satana e i demoni (Lc 10,18: vedevo Satana cadere come la folgere), indica semplicemente che Gesù ha una visione del mondo apocalittica, e nel pensiero apocalittico le vicende terrene e politiche sono strettamente legate al mondo soprannaturale (vedi Daniele: la quarta bestia viene uccisa, Michele riceve il regno in cielo, e ai santi dell'altissimo è dato il regno in terra).
Non direi che l'idea della salvezza escatologica dei gentili fosse un'opzione marginale (e se anche fosse, ciò ne farebbe un giudeo...marginale, non "unico"), né era alternativa e all'idea della restaurazione d'Israele (come appunto in Isaia, e su Gesù come profeta di restaurazione "isaiano" raccomando la lettura di Freyne), e il fatto che Gesù l'abbracciasse (e i suoi seguaci dopo di lui) non significava affatto un superamento dei limiti dell'ebraismo (come potrebbe, se quell'idea è ebraica???).
CITAZIONE
Il terzo elemento è Gesù stesso, il modo con cui egli si presenta e si concepisce e cerca di essere percepito. Ci troviamo certamente davanti a una figura carsimatica che con il passare del tempo elabora una autocomprensione del proprio essere e agire nella quale egli stesso assume un ruolo sempre più fondamentale rispetto a ciò che lo circonda. Tu ricordi giustamente che anche la figura del Battista era forte, accentratrice e per certi versi originale, tuttavia mi sembra che essa venisse percepita dai suoi seguaci come appartenente al profetismo ebraico e che lo stesso Battista tale si considerasse. In Gesù, proprio per la traslazione dei piani operata, vi è una autoconcezione diversa e più radicale di strumento diretto dell'avvento del Regno, il Figlio non solo fa e realizza il volere del Padre ma senza il Figlio tale volere non si può realizzare, è nel Figlio che la δυναμισ del Padre si esprime e si realizza nel mondo, Gesù non si concepisce come un profeta qualunque o un banale Theudas che raccoglie qualche seguace più o meno esaltato. Gesù è l'innesco della realizzazione del Regno che divamperà come un incendio.
In quanto innesco il Regno è già presente e si esprime nei miracoli e nelle guarigioni, nella dimostrazione che la potenza di Dio è già presente, tuttavia tale Regno si realizzerà in un tempo che è noto solo al Padre.
La cristologia del Figlio che fa il volere del Padre è pura teologia giovannea. Nella tradizione sinottica abbiamo giusto 2 (!) logia in cui si parla di Figlio e Padre (in Q e in Mc - più, se si vuole, la parabola dei vignaioli omicidi, ma le parabole gesuane sono spesso di difficile decifrazione e si prestano a molte interpretazione). Come direbbe Sanders "we are on thin ice, how far can we skate on it?", soprattutto se ciò che si cerca è il "Gesù caratteristico" (e infatti non è che Dunn possa pigiare più di tanto su questo tasto).
Le implicazioni della cosiddetta "escatologia presente" di Gesù sono tipicamente sopravvalutate dagli studiosi più teologicamente orientati. E' vero che per certi aspetti Gesù pensava che il regno fosse in qualche modo presente, o meglio, in via di attuazione, ed è possibile che egli interpretasse il grande successo dei suoi esorcismi come una prova di questo stato di cose. Per mio conto è molto più interessante il detto di Q secondo cui il regno di Dio soffre violenza dai giorni di Giovanni il Battista (il che significa che questa sorta di presenza nascosta del regno era attiva a partire dal Battista), ad ogni modo il punto davvero decisivo è qualunque cosa si pensi di questa "escatologia presente" il centro dell'escatologia gesuana è indubitabilmente sbilanciato sul futuro. E' nel futuro che si collocano l'adempimento delle beatitudini, la restaurazione d'Israele, la risurrezione dei morti. Qualcosa è già in atto, ma è significativo solo nella misura in cui prelude a ciò che seguirà.
E' fuori discussione che Gesù attribuisse un grande significato alla sua missione nell'ambito del processo escatologico in atto, ed è probabile che pensasse di ricoprire una posizione molto elevata una volta che esso si fosse realizzato. Ma in tutto questo egli restava centrato sul regno, più che sulla sua persona.
CITAZIONE
ciò che ci interessa è come Gesù si percepisse come unico e come tale si presentasse ai suoi interlocutori. (...) Gesù non eccede l'ebraismo in nessun aspetto particolare, ma la somma delle parti lo fanno percepire, almeno ad alcuni, come un unicum che ha in se la possibilità di essere ricordato, predicato, venerato e adorato.
...venerato e adorato...dopo le esperienze pasquali e gli sviluppi cristologici innescati da esse. Nessuno dei suoi seguaci venerò o adorò Gesù durante il suo ministero terreno. Ciò che Gesù disse e fece durante il suo ministero terreno non offriva il benché minimo spunto per una sua venerazione o adorazione.
CITAZIONE
Per quanto scritto sopra, continuo a ritenerla una riduzione, almeno sino a che non ingloberà in un processo unico e continuo anche la ricezione del pensiero e dell'agire di Gesù da parte dei suoi seguaci, ovvero le prime comunità cristiane. Senza di esse ci troviamo dinanzi a una distorsione, o limitazione che dir si volgia, dell'analisi storica, e credo che la ricerca sul Gesù storico, in un futuro più o meno prossimo, non potrà fare a meno di tenerne conto, come del resto ad esempio già le opere del Dunn e altri sembrano indicare.
Ma questo viene già fatto normalmente (vedi i lavori citati sopra).
P.S. per i moderatori di sezione o admins: facciamo tornare il thread nella sezione sul Gesù storico?
Edited by JohannesWeiss - 26/1/2012, 04:13