Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mauro Pesce: Gesu' non fondo' il cristianesimo, discontinuita' tra il maestro e la Chiesa

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negazionista
view post Posted on 30/1/2012, 11:26     +1   -1




Alcune domande sono d'obbligo.

QUOTE
In tutto questo non posso che raccomandare caldamente la lettura dei lavori di Hurtado (peraltro comunemente considerati “conservatori”).

quindi la posizione comune a Waylander e a Teodoro, contraria ad un gesu' totalmente assorbito nell'ebraismo del suo tempo, e' una posizione ritenuta ''conservatrice''.

Nel panorama della Terza Ricerca, questa posizione e' minoritaria in termini assoluti o relativi ?

E' davvero in corso un riflusso conservatore, come sembra sperare Waylander quando accenna ai recenti lavori di Dunn, oppure, proprio perche' sembra in effetti difficile considerare il carisma di un predicatore ebreo come qualcosa di davvero originale (dato che l'originalita' viene limitata - per Weiss - , e quindi in qualche modo ridimensionata, alla testimonianza post pasquale da parte sei suoi seguaci di un unico evento post-mortem noto come resurrezione - a cui si aggiungono eventualmente le testimonianze di rivelazioni varie ai primi discepoli)
si offre il destro a futuri miticisti - o semimiticisti :) - di insistere nuovamente sulla ''insignificanza'' del messaggio di un tale predicatore
(appurato il suo ''mimetizzarsi'' nella cultura del tempo) ?

In altre parole, la Terza Ricerca, il cui frutto e' proprio lo slogan ormai comune dell'ebraicita' di Gesu', da cosa deve essere soppiantata?

 
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view post Posted on 30/1/2012, 11:44     +1   -1
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CITAZIONE
"si offre il destro a futuri miticisti - o semimiticisti - di insistere nuovamente sulla ''insignificanza'' del messaggio di un tale predicatore
(appurato il suo ''mimetizzarsi'' nella cultura del tempo) ?"

Non s'è ancora capito cosa c'entri l'ipotetica "insignificanza" di un messaggio con la sua eventuale "miticità". Un messaggio, per ipotesi non originale, può essere del tutto storico, e significare qualcosa, nel senso che le sue parole portano un significato. L'originalità non c'entra col significato, né con la storicità. Inoltre, come è già stato detto, se per ipotesi le singole componenti del messaggio di Cristo si potessero trovare tutte quante in fonti ebraiche precedenti, ciò non toglie che la loro sintesi, così distribuita, c'è solo in Gesù. E dunque singole parti già esistenti, montate in modo diverso, assumono nel loro relazionarsi un nuovo significato, così come gli stessi atomi se combinati in maniera differente danno esito a molecole del tutto distinte.
Cosa vuol dire "miticista" se comunque l'esistenza storica di Cristo e il suo messaggio sono la conditio sine qua non per spiegare il movimento che a lui si riferiva? Ciò ovviamente non vuol dire che il messaggio di Gesù da solo basti a spiegare il movimento, ma certo il movimento non si spiega senza tale messaggio di partenza, e dunque, da capo, in che senso si potrebbe parlare di "semi-miticismo"? Continui a proferire questa categoria di pensiero che non si inquadra con nessuna delle risposte che ricevi, eppure continui ossessivamente a riproporla come se nulla fosse.
Inoltre non ho ancora capito perché negazionista abbia scambiato Weiss per un oracolo, o perché continui a chiedergli cose a cui Weiss ha già risposto.

Ad maiora
 
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view post Posted on 30/1/2012, 12:39     +1   -1
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Complessivamente tendo ad essere meno "binario" di Negazionista. La prospettiva di Way e mia forse non è così lontana da quella di Weiss, anche se di certo attribuisce un peso diverso ai medesimi fattori. Penso che anche il commento di Poly (che credo essere anch'egli piuttosto sulla mia linea) vada letto in questa direzione.
Per il resto,

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 28/1/2012, 22:46) 
questo genere di esperienze sono la sede più appropriata – insieme alle idee e alla situazione sociale propri dei soggetti coinvolti - in cui collocare lo sviluppo la nascita e lo sviluppo di una cristologia elevata.
[...]
Il fattore decisivo sono queste nuove esperienze: le apparizioni del Risorto, la convinzione di essere inabitati dallo Spirito, l’avere visioni del Cristo esaltato e riceverne rivelazioni o parlare in suo nome.

Va bene. Tuttavia, sebbene tu stesso definisca tali esperienze un "fenomeno ricorrente in ogni epoca e cultura", nulla del genere si osserva nel giudaismo in personaggi che godettero di altrettanta fama presso i contemporanei (ho citato Hillèl) e pure tra quelli con connotazioni messianiche-apocalittiche che li rendono più vicini a Gesù (ho citato il Battista). E allora, perché questi fenomeni di rivelazione così comuni hanno un effetto così dirompente esclusivamente nel cristianesimo del I secolo dando luogo esse stesse ad una cristologia alta?
Non è che per caso dobbiamo leggere queste "esperienze" come il modo "normale" (in questo senso prendo il tuo "comune") di esternare la fondazione di un nuovo culto? In altri termini, è nato prima l'uovo o la gallina? Se i seguaci di Gesù realizzano che chi ha camminato con loro è Dio allora lo esternano nelle forme proprie della religiosità medio-orientale. Questo è come la vedo io; mentre ciò che tu proponi è che costoro sono invasati dallo Spirito e allora partoriscono l'idea che Gesù Cristo sia Dio. Un totale rovesciamento della causa-effetto.
Il punto è che trovo storicamente non descrivibile l'esperienza di rivelazione come la causa della nascita di un teologoumenon, mentre trovo notevolmente più semplice che il suo sitz-im-leben sia l'insegnamento (inteso come fatti e soprattutto opere) del Maestro, compreso in maniera progressiva e approfondito alla luce della tomba vuota.

In altre parole, il punto debole dei tuo discorso mi sembra essere l'assenza di orizzonti comparativi che rendano più verosimile la nascita di una certa teologia da non meglio precisate (e pochissimo storicizzabili, a mio avviso) "esperienze di rivelazione".
 
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negazionista
view post Posted on 30/1/2012, 13:33     +1   -1




e' Waylander ad usare l'aggettivo insignificante nella sua critica al Weiss, e questo mi ha fatto ricordare i semimiticisti che pur affermando l'esistenza di Gesu' (vedi Price), affermano che il suo messaggio si perde nella nebbia dell'epoca.


QUOTE
tu abbia l'idea che effettivamente sia esistito un Gesù che prescinde dal modo con cui gli altri lo hanno percepito e ricordato, un sorta di monoblocco buttato lì in un dato momento storico e in un determinato luogo, che non può far altro che essere assimilato al suo contesto. Io credo invece che questo Gesù non è mai esistito, poichè non solo le persone cambiano continuamente nel corso della propria vita, e davvero il Gesù che si battezza nel Giordano è diverso dal Gesù che entra a Gerusalemme, ma esse sono "solo" in quanto percepite e ricordate e rielaborate. Al tuo Gesù statico, che al massimo ha qualche punta di originalità, ma che a ben guardare è insignificante, io oppongo un Gesù che non solo è determinato dal suo ambiente (in questo, sia chiaro, io non nego affatto la third quest) ma in un certo modo lo determina, che si pone dinamicamente nei suoi confronti a tal punto da generare un seguito ed idee nuove o quantomeno problematiche per l'ambiente stesso.

certo il salto e' troppo lungo, pero' era il pretesto per porre l'altra domanda, che qui ripeto, e che mi sembra una domanda assolutamente pertinente (e non l'ho affatto indirizzata a Weiss, ma a tutti gli altri in grado di fornire la risposta) al topic.

QUOTE
quindi la posizione comune a Waylander e a Teodoro, contraria ad un gesu' totalmente assorbito nell'ebraismo del suo tempo, e' una posizione ritenuta ''conservatrice''.

Nel panorama della Terza Ricerca, questa posizione e' minoritaria in termini assoluti o relativi ?

QUOTE
La prospettiva di Way e mia forse non è così lontana da quella di Weiss, anche se di certo attribuisce un peso diverso ai medesimi fattori.

Ma io la trovo assolutamente in contrasto invece con la linea di pensiero Weiss / Pesce. Sembra, Teodoro, che il tuo Gesu' deve aver covato nell'animo il pensiero di ''superare'' l'ebraismo in qualche modo, di arrivare ai ferri corti non solo coi sadducei, ma anche con l'ideologia dei farisei, degli esseni, insomma con tutti. Ed il suo sentirsi qualcosa di superiore (il Messia o Dio stesso che dir si voglia), oltre ad essere suscettibile di essere un giudizio storico eccessivamente piscologizzante, sarebbe la molla implicita che la resurrezione avrebbe poi esplicitato.
Non si tratta di essere binari.
Penso che sia giusto sapere, in questa sede, quale linea di pensiero e' tenuta dalla maggioranza degli studiosi attuali (POlymetis parlo' di un consensus bonorum o qualcosa del genere). E perche' qualificare come ''conservatrici'' certe posizioni (anche se forse l'aggettivo ''conservatore'' contiene in se una valenza negativa, per questo lo metto tra virgolette) ?

saluti
 
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negazionista
view post Posted on 30/1/2012, 14:35     +1   -1




QUOTE
Ciò ovviamente non vuol dire che il messaggio di Gesù da solo basti a spiegare il movimento, ma certo il movimento non si spiega senza tale messaggio di partenza, e dunque, da capo, in che senso si potrebbe parlare di "semi-miticismo"

Mi sembra di capire che tutto quel che ne e' seguito, la fondazione di una nuova religione, o meglio di mille religioni, sia dovuto unicamente all'evento traumatico della risurrezione.

Al riguardo, Weiss sembra essere mirabilmente piu' esplicito di me:

QUOTE
Ammettiamo pure che tra le tonnellate di detti e ricordi trasmessi nella tradizione gesuana originaria ci fosse anche la memoria di come Gesù si rapportava “confidenzialmente” a Dio nell’ambito della sua preghiera. A me sembra che anche in questo caso si tratti di ben poca roba per costruirci sopra la cristologia post-pasquale. Senza le esperienze di rivelazione successive quei due o tre ricordi non sarebbero stati il germe di nulla, ma solo la memoria della preghiera di un ebreo carismatico.

Anche ELia Six condivide il pensiero di Weiss su questo, tant'e' vero che distingue tra lo sviluppo posteriore del movimento dei cosiddetti fantomatici ebioniti (che trascuravano la resurrezione a tutto vantaggio del messaggio prettamente ebraico gesuano) e i primi passi dei discepoli piu' traumatizzati dalla risurrezione ed intenzionati a rivedere l'intera parabola del messaggio gesuano prima con intenti teologici (Paolo), e successivamente, con intenti degiudaizzanti (dopo Paolo, in contesto totalmente gentile).

Insomma, il topic tratta anche sulle ripercussioni in campo teologico di queste riflessioni storiche. E mi sembra che la linea Weiss / Elia Six sembra fondare decisamente la fede unicamente sugli eventi pasquali, non curandosi per nulla di vedere tracce di divinita' del Cristo nella parabola peraltro breve - e a detta di Waylander insignificante, non scordiamocelo ;) - del Gesu' storico.

PS. MI sembra di vedere nel messaggio di Polymetis quasi dell'astio verso mie presunte ''ossessioni''. Chiedo al gentile Talita' di richiamare alla moderazione tutti i forumisti.

saluti
 
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view post Posted on 30/1/2012, 15:01     +1   -1
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Caro negazionista,
Sono perfettamente d'accordo con Poly sul fatto che il tuo piglio in questa discussione sia un tantino ossessivo. Il motivo, a mio avviso, risiede in un problema di linguaggio, e infatti ad averlo notato di più è Poly che è un filosofo e dunque è ben conscio che in una discussione tecnica il senso che diamo alle parole è importante e che se si utilizzano due registri diversi succede che la conversazione si svolga quasi in maniera surreale su due binari paralleli che non si incontrano mai, come infatti sta accadendo.
C'è da chiedersi, poi, perché il tuo binario sia deserto.
 
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negazionista
view post Posted on 30/1/2012, 15:24     +1   -1




QUOTE
Caro negazionista,
Sono perfettamente d'accordo con Poly sul fatto che il tuo piglio in questa discussione sia un tantino ossessivo. Il motivo, a mio avviso, risiede in un problema di linguaggio, e infatti ad averlo notato di più è Poly che è un filosofo e dunque è ben conscio che in una discussione tecnica il senso che diamo alle parole è importante e che se si utilizzano due registri diversi succede che la conversazione si svolga quasi in maniera surreale su due binari paralleli che non si incontrano mai, come infatti sta accadendo.

Se ti riferisci al riferimento al miticismo, d'accordo, hai ragione, taccio su quel settore.


QUOTE
C'è da chiedersi, poi, perché il tuo binario sia deserto.

Penso di essere obiettivo quando intravedo due diversi modi di fondare la fede, rispettivamente quello di Elia Six, Weiss e quello di Teodoro, Waylander Polymetis.
Perche' non puoi negare, caro Teodoro, che le due concezioni presenti in tale thread mutano la visione del fedele.

Elia fonda la fede unicamente sulla resurrezione, Teodoro e Waylander pare vogliano fondarla anche sul messaggio gesuano prepasquale o qualcosa di simile, in ogni caso precedente i famosi eventi pasquali (e parlano di cristologia implicita nel discorso gesuano).

Cito Elia ad esempio (corsivo mio) per usare un linguaggio piu' filosofico che Polymetis farebbe bene a non ignorare, dato che descrive mirabilmente i due modi di fondare la fede:

QUOTE
Johannes Weiss si posiziona nella tradizione di Schleiermacher, quando reputa la fede un'esperienza soggettiva che ben poco ha a che fare con questioni razionali e morali.
Polymetis invece torna a Tommaso, rifiutando sia la critica della ragion pura di Kant (impossibilità di dimostrare l'esistenza di Dio da un punto di vista razionale - per Kant Dio è un postulato della ragion pratica, insomma una necessità morale), sia la concezione di fede come qualcosa di soggettivo (il fideismo è percepito come una posizione pericolosa).

Quindi non vedo dove consista il mio vuoto. Sembri al pari di Polymetis, caro Teodoro, riluttante a rispondermi alla domanda: che ti ripeto a caratteri cubitali per riuscirti piu' simpatico

La posizione di chi rifiuta la completa appartenenza di Gesu' al mondo ebraico del tempo e' ancora significativa nel contesto accademico mondiale o e' minoritaria ormai con l'indirizzo preso dalla Terza Ricerca ?

Se e' minoritaria, lo e' in termini relativi o invece assoluti (quando dico assoluti, mi riferisco alla posizione ad esempio miticista o arpiolide, che mi avete spiegato abbondantemente, e' scartata dal 99% degli studiosi) ?
\
COme vedi, il mio binario e' vuoto, e attende unicamente di essere attraversato da qualsiasi specialista in grado di rispondere alle domande poste. Non capisco cosa vi costa farlo, dato che riconosco l'enorme sapere dei miei interlocutori....


saluti

Edited by negazionista - 30/1/2012, 15:45
 
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view post Posted on 30/1/2012, 17:05     +1   -1
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QUOTE (negazionista @ 30/1/2012, 14:35) 
QUOTE
Ciò ovviamente non vuol dire che il messaggio di Gesù da solo basti a spiegare il movimento, ma certo il movimento non si spiega senza tale messaggio di partenza, e dunque, da capo, in che senso si potrebbe parlare di "semi-miticismo"

Mi sembra di capire che tutto quel che ne e' seguito, la fondazione di una nuova religione, o meglio di mille religioni, sia dovuto unicamente all'evento traumatico della risurrezione.

Mi sembra assai arduo tracciare una linea così marcata (invocare cioè un'"unica" causa), come la presente discussione dimostra. Certo la risurrezione è l'evento centrale del cristianesimo. E comunque le religioni nascono anche senza risurrezioni.

QUOTE
Al riguardo, Weiss sembra essere mirabilmente piu' esplicito di me:
QUOTE
Senza le esperienze di rivelazione successive quei due o tre ricordi non sarebbero stati il germe di nulla, ma solo la memoria della preghiera di un ebreo carismatico.

Che senza la risurrezione non vi sarebbe il cristianesimo è posizione assai condivisibile. Come si è visto, anche senza Gesù non vi sarebbe il cristianesimo. Gesù e la risurrezione rappresentano gli elementi fondanti del cristianesimo. Si tratta di comprendere meglio le dinamiche di tale rivelazione. I tempi sono stretti: si nota che una cristologia alta ha avuto luogo in ambiente giudaico in tempi assai brevi (in questo senso quindi l'accostamento Dio-Gesù non è il risultato di un'idea mitologica pagana sviluppatasi in tempi e luoghi distanti da Gesù).
Per quanto riguarda una possibile (o presunta tale) cristologia implicita (diciamo così, "velata") pre-pasquale, Weiss ha anche parlato del titolo di "Figlio dell'uomo", ma forse hai perso questi ultimi passaggi - assai interessanti.

QUOTE
Anche ELia Six condivide il pensiero di Weiss su questo, tant'e' vero che distingue tra lo sviluppo posteriore del movimento dei cosiddetti fantomatici ebioniti

Sei stato preciso: i cosiddetti "fantomatici ebioniti" :lol: Sarei proprio interessato agli approfondimenti riguardo agli ebioniti e ai movimenti paleo(pseudo?)cristiani che non credevano alla risurrezione.. Se vogliamo accettare come storicamente fondate le informazioni che abbiamo sugli ebioniti e su altri "fantomatici" simili gruppi, allora mi tengo anche il terremoto descritto da Tallo, il Matteo aramaico e tante altre confuse testimonianze patristiche. ^_^ Per non parlare di certe deboli testimonianze evangeliche (vedi Q10,22 di cui ho anche parlato nel thread "indovina chi"?) che al confronto appaiono solide come il granito. Bisogna quindi stabilire a che livello porre l'asticella per definire i criteri di attendibilità storica... Non escludo che possano essere esistiti movimenti "gesuani" simili a quelli dei seguaci del Battista, ma una cosa è "non escluderlo", altra cosa è pretendere di conoscerne la teologia.

QUOTE
(che trascuravano la resurrezione a tutto vantaggio del messaggio prettamente ebraico gesuano)

Mi sfugge la contrapposizione tra "risurrezione" e "messaggio prettamente ebraico gesuano". Se Gesù risorge allora il suo messaggio non è più prettamente ebraico? Se Dio decide di risuscitare Gesù allora non si comporta più da Dio ebreo? Dio è sempre lo stesso, e gli ebrei che hanno creduto alla risurrezione di Gesù non erano meno ebrei di quanto non lo fossero prima. La rivelazione veniva da Dio stesso, quindi era "buona" ed "ebraica" per certo.

QUOTE
Insomma, il topic tratta anche sulle ripercussioni in campo teologico di queste riflessioni storiche. E mi sembra che la linea Weiss / Elia Six sembra fondare decisamente la fede unicamente sugli eventi pasquali, non curandosi per nulla di vedere tracce di divinita' del Cristo nella parabola peraltro breve - e a detta di Waylander insignificante, non scordiamocelo ;) - del Gesu' storico.

Hai il notevole pregio di citare in maniera imprecisa le affermazioni di quasi tutti i forumisti (in questo caso mi riferisco all'"insignificante" di Waylander), ma vabè ^_^
Sì, come già detto la fede si fonda sugli eventi post-pasquali e sulla predicazione di Gesù. Ma gli eventi post-pasquali hanno gettato piena luce su parole ed opere (ed identità!) del Maestro (prendo in prestito da Teo :B): ) che sarebbero rimaste altrimenti incomprensibili? Oppure la risurrezione ha dato un significato diverso a parole ed opere del "nostro eroe" dall'identità "insignificante"?
A parer mio qui i forumisti devono chiarirsi su un fatto: la risurrezione ha svelato qualcosa, o la risurrezione ha dato significato a qualcosa?

QUOTE
PS. MI sembra di vedere nel messaggio di Polymetis quasi dell'astio verso mie presunte ''ossessioni''. Chiedo al gentile Talita' di richiamare alla moderazione tutti i forumisti.

Richiamare alla moderazione tutti i forumisti? Solo per un presunto astio da parte di Polymetis? :45.gif:
Ringrazio per il "gentile", e gentilmente ti chiedo di mandarmi eventuali lamentele via MP - indicando le violazioni del regolamento.

Ciao,
Talità

Edited by Talità kum - 30/1/2012, 17:40
 
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view post Posted on 30/1/2012, 17:08     +1   -1
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Penso di essere obiettivo quando intravedo due diversi modi di fondare la fede, rispettivamente quello di Elia Six, Weiss e quello di Teodoro, Waylander Polymetis.
Perche' non puoi negare, caro Teodoro, che le due concezioni presenti in tale thread mutano la visione del fedele.

E io ti rispondo che credo che in questo momento a nessuno a parte te interessi come "fondare la fede". Quello che stiamo cercando di fare è semplicemente un discorso storico, un ragionamento sulla scaturigine della cd. cristologia alta. La fede in questo discorso non trova proprio alcuna cittadinanza, con buona pace delle tue illazioni su come io o chicchessia "fondiamo" la fede.

Circa invece la tua domanda:
CITAZIONE
La posizione di chi rifiuta la completa appartenenza di Gesu' al mondo ebraico del tempo e' ancora significativa nel contesto accademico mondiale o e' minoritaria ormai con l'indirizzo preso dalla Terza Ricerca ?

Non penso affatto che sia "minoritaria in termini assoluti" (per usare la tua terminologia) e francamente non la vedo neanche conservatrice, come pure è stato detto. Conservatore è chi rifiuta in blocco o sminuisce fortemente il metodo storico-critico, non chi trova stucchevole il blabla dei sociologi e degli antropologi (secondo in stucchevolezza solo a quello dei teologi) quando pretendono di mettere becco in faccende che vanno ben oltre il loro orticello.

 
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negazionista
view post Posted on 30/1/2012, 18:05     +1   -1




QUOTE
E io ti rispondo che credo che in questo momento a nessuno a parte te interessi come "fondare la fede". Quello che stiamo cercando di fare è semplicemente un discorso storico, un ragionamento sulla scaturigine della cd. cristologia alta. La fede in questo discorso non trova proprio alcuna cittadinanza, con buona pace delle tue illazioni su come io o chicchessia "fondiamo" la fede.

Il settore teologia mi ha allora tratto in inganno, chiedo scusa.

In ogni caso non puoi negare che qualora assumiamo per ipotesi la tua posizione, un credente ha maggior motivo di credere Gesu' ''meno anonimo e insignificante'' nella fila dei profeti venuti prima di lui e dei sedicenti messia venuti dopo di lui, e la sua fede non e' confortata soltanto dalla fiducia nell'evento resurrezione (e rivelazioni analoghe), ma anche dal fatto che il desiderio di superamento dell'ebraismo, qualunque cosa si intenda con tale espressione, era gia' piu' o meno esplicito nel messaggio del gesu' storico prepasquale.
Weiss ed Elia invece insistono sul fatto che e' lo Spirito, quindi qualcosa di apriori non oggetto di investigazione storica (esempio fra tutti la risurrezione), ad aver fatto esplodere la fede dopo Pasqua, e non le eventuali indicazioni su come interpretarle dato dal Gesu' prepasquale, come Tedoro ha magnificamente sintetizzato: in sostanza, l'operazione dei primi (Js ed Elia) sembra essere quella di espellere ogni germe di superamento dell'ebraismo dalla predicazione gesuana, e di dare la responsabilita' unica ed assoluta di separarsi dall'ebraismo ai discepoli gesuani dopo pasqua.

Sintetizzando rozzamente, per Teodoro il discepolo postpasquale crede perche' ha avuto indicazioni (possibilmente segrete o quantomeno allusive ed enigmatiche ad una prima istanza) da Gesu' su cosa fare nell'eventualita' che accada qualcosa di insolito.

Per Elia, il discepolo postpasquale, lasciato a se stesso e alla sua ignoranza dalla morte di Gesu', senza vedere alcunche' di misterioso nel messaggio di quest'ultimo (ma solo al massimo nel carisma e nelle azioni taumaturgiche da lui compiute), crede unicamente perche' ha assistito alla risurrezione, evento che lo induce allo sforzo teologico di trovare il pelo nell'uovo (senza neanche domandarsi se mai ci sia stato tale pelo nell'uovo, tanto ormai risulta animato da interessi - di riscrittura dei fatti - teologici), se cosi' si puo' dire, nel messaggio gesuano, che giustifichi come passo successivo la separazione da un ebraismo, che avrebbe l'unico torto, a questo punto, di non credere alla risurrezione di uno che e' stato appena crocifisso dai romani.

Per Teodoro il discepolo postpasquale risulta quindi piu' motivato a salvare nella memoria teologica da tramandare ai posteri una parte del gesu' storico (precisamente, quella che contiene le indicazioni segrete e preziose di cui sopra), mentre per Elia il gesu' storico non risulta piu' di alcuna utilita' ai creatori della cristologia alta, tanto e' concentrato alla costruzione del cristo teologico (al punto che parecchi detti sono messi ''forzatamente'' in bocca al gesu' dei vangeli, ma questo e' campo dell'esegesi appurarlo).

QUOTE
Circa invece la tua domanda:

La posizione di chi rifiuta la completa appartenenza di Gesu' al mondo ebraico del tempo e' ancora significativa nel contesto accademico mondiale o e' minoritaria ormai con l'indirizzo preso dalla Terza Ricerca ?

Non penso affatto che sia "minoritaria in termini assoluti" (per usare la tua terminologia) e francamente non la vedo neanche conservatrice, come pure è stato detto. Conservatore è chi rifiuta in blocco o sminuisce fortemente il metodo storico-critico, non chi trova stucchevole il blabla dei sociologi e degli antropologi (secondo in stucchevolezza solo a quello dei teologi) quando pretendono di mettere becco in faccende che vanno ben oltre il loro orticello.

Quindi devo dedurre che la ritieni implicitamente comunque minoritaria, buono a sapersi, volevo solo sentir questo, in effetti (in fondo all'ipotesi miticista non ho dato poi grande importanza, e riconosco la perdita di tempo relativa mia e vostra :) ).



QUOTE
I tempi sono stretti: si nota che una cristologia alta ha avuto luogo in ambiente giudaico in tempi assai brevi (in questo senso quindi l'accostamento Dio-Gesù non è il risultato di un'idea mitologica pagana sviluppatasi in tempi e luoghi distanti da Gesù).

E invece qui sorvoli velocemente quanto insinuato da Pesce, il quale afferma che l'equiparazione di Gesu' direttamente a Dio stesso avvenne molto molto piu' tardi, dopo Paolo (ed il paolinismo) addirittura. Qualcuno ha usato di tanto in tanto (non ricordo chi ma un forumista in questa sede) l'espressione ''agli occhi dei discepoli Gesu' fu innalzato da Dio con la risurrezione'', intendendo quindi implicitamente una distinzione tra Dio e Gesu' che viene a cadere solo con la terza generazione, e per niente affatto in tempi stretti. La cristologia alla quale si riferisce Talita' per Pesce, forse ricorrendo a Paolo, non sarebbe cristologia alta ma di altezza piuttosto medio-alta.
QUOTE
Non escludo che possano essere esistiti movimenti "gesuani" simili a quelli dei seguaci del Battista, ma una cosa è "non escluderlo", altra cosa è pretendere di conoscerne la teologia.

Ma della loro teologia si conosce quanto basta per ritenere che non avevano affatto creato cristologie alte, quanto piuttosto medio/basse. (Un'idea che si ritrova nell'islam?)

QUOTE
Inoltre non ho ancora capito perché negazionista abbia scambiato Weiss per un oracolo, o perché continui a chiedergli cose a cui Weiss ha già risposto.

Che abbia interesse maggiore (e desiderio di conseguenza di dare maggior credito) alle risposte di Weiss e' fuor di dubbio :) e lui lo sa, ma mi si indichi dove in quale parte del mio post precedente risulterebbe che io mi sia rivolto unicamente a Weiss...
Comunque vorrei chiudere qui le polemiche. Che il dialogo tra JW Teodoro e Waylander (a cui spero si aggiungano anche Talita' ed Elia) continui pure, pero' spostatelo in settore storia se non volete parlare di fede (che poi secondo me per un cristiano sincero non dovrebbe essere diversa nel 2012 da come era nel 34 d.C., per cui quando ho usato impropriamente l'espressione ''fondare la fede'' mi interrogavo su quali erano le motivazioni dei primi discepoli, se unicamente la resurrezione - un Gesu' non fondatore del cristianesimo - o anche il messaggio di Gesu' - un Gesu' fondatore del cristianesimo).


PS. qualsiasi risposta ulteriore piu' approfondita alla domanda sulle reali dimensioni della posizione ''studita'' sul gesu' non del tutto ebreo (magari facendo nomi e cognomi di studiosi illustri che la pensino allo stesso modo) e' sempre ben accetta, oltre che assolutamente appropriata e pertinente al topic, per la maggior felicita' dei lettori del forum, nei quali mi ci colloco volentieri,

buon proseguimento
 
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view post Posted on 30/1/2012, 18:33     +1   -1
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“Mi sembra di capire che tutto quel che ne e' seguito, la fondazione di una nuova religione, o meglio di mille religioni, sia dovuto unicamente all'evento traumatico della risurrezione.”

Il che, se anche fosse vero, non si vede cosa c’entri. Weiss ha detto solo che, senza la percezione della resurrezione, i discepoli di Gesù si sarebbero dispersi perché il loro maestro fino ad allora era stato solo un ebreo carismatico. Il punto è che questo ci dice solo che la resurrezione percepita dai discepoli è stata solo la causa dello scossone che gli ha permesso di andare avanti, ma ciò non implica l’irrilevanza di ciò che disse Gesù prima. Infatti, proprio alla luce della percepita resurrezione, i discepoli poterono riproporre con fervore ancora più appassionato il messaggio insegnato loro da Gesù, e lo fecero proprio perché ritennero che la sua esperienza di vita fosse stata convalidata dalla resurrezione. Motivo per cui la resurrezione segna un nuovo inizio, ma è un inizio che permette di recuperare e riaffermare quando era stato precedentemente appreso. Si direbbe perciò che la resurrezione non ha cancellato nella mente dei discepoli il Gesù che conobbero, ma anzi, lo abbia esaltato e confermato. Infatti predicare la resurrezione di un uomo, di per sé, non è un messaggio sufficiente per fondare una religione. Infatti la domanda che sarebbe sorta immediatamente negli ascoltatori sarebbe stata: “embè, quest’uomo che è risorto, che cosa diceva e che cosa faceva quand’era in vita?”.
Sicché se la resurrezione percepita è la conditio sine qua non del cristianesimo, altrettanto lo si può dire per la vita. In caso contrario predicare Cristo non sarebbe stato intercambiabile col predicare Attis o Adone, altri esseri risorti. (Sebbene, tanto per inciso, le fonti che parlano di un Attis risorto siano tutte posteriori al sorgere del cristianesimo).

Sicché da capo non so cosa voglia dire “insignificante”, né come “insignificante” possa fare il paio con “mitico”. Gli eventi e le parole di Gesù, anche fosse solo per il fatto che sono stati ripetuti a migliaia di persone, a prescindere dalla loro originalità sono stati significanti eccome. Il fatto che siano stati ripetuti in virtù della persuasione che chi li pronunciò era risorto, non si vede in che modo possa cancellare il fatto che furono ripetuti, e dunque significarono e significano qualcosa per moltissime persone. La diffusione del cristianesimo diede infatti a quelle parole gesuane un’eco planetaria. Sicché, se anche tali parole non fossero state specifiche di Cristo ma di tutto l’ebraismo, è sulla bocca di Gesù che sono state conosciute e dunque è da quella bocca che hanno influenzato la storia. Il fatto ad esempoio che la tesi eliocentrica ad esempio non sia stata inventata da Galileo ma da Aristarco di Samo secoli prima, implica forse che Galileo non sia stato significativo per la storia europea solo perché non fu il primo a pronunciare quell’idea?
Sicché 1)L’originalità, che comunque Gesù ha nella sua sintesi singolare, non ha nulla a che vedere col problema di essere significativi o meno. 2)L’essere significativi o meno non ha nulla a che vedere col problema di essere storici. Parole significative possono essere non storiche, e parole storiche possono essere non particolarmente significative. Sicché la presunta non originalità delle idee di Cristo non ha nulla a che vedere colla loro storicità. Non si capisce perciò come ridurre Cristo al fariseismo appoggerebbe quella che tu chiami “tesi miticista”.

CITAZIONE
“La posizione di chi rifiuta la completa appartenenza di Gesu' al mondo ebraico del tempo e' ancora significativa nel contesto accademico mondiale o e' minoritaria ormai con l'indirizzo preso dalla Terza Ricerca ?”

Personalmente ho già detto che non ho idea di cosa dovrebbe significare "appartenenza al contesto ebraico”. A mio avviso se anche Gesù si fosse percepito come Yhwh in persona non sarebbe affatto uscito dalla cultura ebraica perché avrebbe pensato in base a riferimenti culturali ebraici, esattamente come non uscirebbe dalla cultura cristiana un’invasata che si credesse la Madonna.

Ad maiora
 
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view post Posted on 30/1/2012, 19:32     +1   -1
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Celebrità

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Non è che i discepoli avessero come missione post-pasquale la separazione dall'ebraismo. Semplicemente, accostando Gesù nella loro devozione e nei culti resi a Dio, si sono trovati al di fuori del "cerchio dell'amicizia" ^_^
Ma lo facevano convinti di essere buoni ebrei, convinti di seguire una rivelazione operata da Dio.

QUOTE
intendendo quindi implicitamente una distinzione tra Dio e Gesu' che viene a cadere solo con la terza generazione,

Direi di no, visto che si parla da sempre di Padre e Figlio. Come vedi, la teologia è sempre in agguato ed è inutile invocare la sezione "storia" quando le conclusioni che cerchi sono teologiche. Ma tant'è, qui siamo.

Come ho scritto nel post precedente, ci siamo ridotti alla domanda: la risurrezione ha svelato qualcosa di eccezionale, o la risurrezione ha dato un nuovo significato a qualcosa di convenzionale?
Un tema tosto, per l'ambito storico.

Ciao,
Talità
 
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Elijah Six
view post Posted on 30/1/2012, 20:25     +1   -1




CITAZIONE (Teodoro Studita @ 30/1/2012, 17:08) 
Con buona pace delle tue [di negazionista] illazioni su come io o chicchessia "fondiamo" la fede.

Quoto.
E faccio presente a negazionista che io personalmente in questo forum non ho granché interesse ad esporre il mio personale parere. Trovo più sensato dare una panoramica delle varie opzioni e tesi differenti esistenti, vedere pro e contro, ma nulla di più (se si va oltre c'è il rischio di finire per fare polemica e portare avanti diatribe senza fine e senza senso - parlo ovviamente però solo a titolo personale).

Prego quindi negazionista di smettere di dire cosa io penserei, perché di fatto non ho scritto con questo spirito e non corrisponde al vero. Volermi attribuire una posizione piuttosto che un'altra significa non avere capito il mio intento didattico (non sono qui per convincere qualcuno della bontà di quanto io personalmente penso, bensì piuttosto per dare un quadro generale della situazione e della ricerca e approfondire certe visioni delle cose, guardando argomentazioni a favore e contro).

Beh, visto che devo riprendermi da una presunta polmonite atipica, vi lascio.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 30/1/2012, 22:02     +1   -1




CITAZIONE
TEODORO:
E allora, perché questi fenomeni di rivelazione così comuni hanno un effetto così dirompente esclusivamente nel cristianesimo del I secolo dando luogo esse stesse ad una cristologia alta?

A questa domanda io risponderei semplicemente: perché è andata così. Per un insieme "fortunato" di fattori (di cui quello su cui ci stiamo fissando, la cristologia, è uno soltanto, per quanto centrale) che concorsero a formare un fenomeno di cui fatichiamo a trovare analogie adeguate.
Ma nell'andar oltre questa descrizione per spingersi ad affermare che questa "unicità" dell'esplosione cristologica era già contenuta nel messaggio e nei pensieri di Gesù, io riesco a vederci solamente un salto dal discorso storico a quello teologico.
Io sono perfettamente d'accordo nell'annoverare l'importanza che Gesù dava a sé stesso e della sua missione come il primo impulso nella catena degli effetti attraverso cui si formò la cristologia della chiesa primitiva. Ma ad un'indagine critica della tradizione gesuana, risulta che questa centralità è radicalmente differente dalla centralità che troviamo nell'inno nella Lettera ai Filippesi. Non c'era nulla nel suo insegnamento che giustificasse una cristologia di questo genere.

Tu parli di seguaci di Gesù che realizzano che chi ha camminato con loro è "Dio" (le virgolette sono d'obbligo, perché non è in questi termini che andrebbe posta correttamente la questione, ovviamente). Ma il punto è che questa consapevolezza non si formò affatto per virtù del ricordare quello che il Maestro diceva e faceva. Altrimenti come è possibile che la tradizione sinottica dei detti di Gesù si sia conservata nel complesso così poco "contaminata" da forme di cristologia elevata?
Se il ricordare e il riflettere sull'insegnamento di Gesù fosse stata la causa decisiva dello sviluppo della cristologia elevata, dovremmo ritrovarci con un intrico molto più...inestricabile tra detti gesuani e siffatta cristologia elevata (come è avvenuto nel caso della tradizione giovannea, e in parte anche nella tradizione sinottica sul Figlio dell'uomo). Se questo insegnamento era l'impulso e il veicolo principale per lo sviluppo cristologico, come ha potuto rimanerne così poco toccato?

A me sembra invece che l'autore degli Atti degli Apostoli rappresenti una scena molto più..."rivelativa" su quale fosse il canale per cui passava lo sviluppo cristologico:
"Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: 'Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio'" (At 7,55-56).
Ed ecco come commenta il passo il nostro Hurtado nel suo capitolo su "Esperienza religiosa e innovazione religiosa nel NT":
"I particolari del racconto possono certo essere responsabilità dell'autore degli Atti e non il resoconto preciso degli eventi storici che il passo pretende presentare, ma anche in tal caso la scelta più logica è supporre che il racconto rifletta resoconti di reali esperienze visionarie di cristiani. Se l'autore si augurava che i suoi primi lettori cristiani ritenessero credibile il racconto, è probabile che avrebbero presentato il tipo di esperienze di cui i suoi lettori avevano sentito parlare e che erano preparati a prendere sul serio. La visione di Stefano può essere quindi considerata quantomeno un riflesso indiretto del tipo di esperienze visionarie di cui si parlava tra i primi cristiani e che erano sentite come rivelazione divina dello status esaltato di Gesù e degli onori cultuali che gli si dovevano" (Come Gesù divenne Dio, pp. 216-217)


CITAZIONE
POLY:
Ciò ovviamente non vuol dire che il messaggio di Gesù da solo basti a spiegare il movimento, ma certo il movimento non si spiega senza tale messaggio di partenza

CITAZIONE
TALITA':
Sì, come già detto la fede si fonda sugli eventi post-pasquali e sulla predicazione di Gesù. Ma gli eventi post-pasquali hanno gettato piena luce su parole ed opere (ed identità!) del Maestro (prendo in prestito da Teo ) che sarebbero rimaste altrimenti incomprensibili? Oppure la risurrezione ha dato un significato diverso a parole ed opere del "nostro eroe" dall'identità "insignificante"?
A parer mio qui i forumisti devono chiarirsi su un fatto: la risurrezione ha svelato qualcosa, o la risurrezione ha dato significato a qualcosa?

E qui invece Poly e soprattutto Talità toccano il cuore della questione.

La risurrezione e le visioni del Gesù esaltato e glorioso sono state un puro e semplice cambiamento di rotta, ovvero l'inizio di qualcosa di completamente "altro" rispetto al messaggio e all'operato di Gesù? O ne erano invece legati e lo confermavano?
Ecco, alla domanda di Talità, io rispondo affermando entrambe le opzioni: la risurrezione ha svelato e ha dato significato. Con le apparizioni pasquali e ciò che ne è seguito si è messo in moto qualcosa di nuovo che prima non c'era, ma il cui darsi era funzionale a confermare quanto già c'era.
Cerco di spiegarmi più chiaramente.

Gesù e i suoi attendevano la venuta del regno di Dio, la manifestazione di un misterioso Figlio dell'uomo, la restaurazione d'Israele, nella quale ai discepoli stessi fu promesso di sedere su troni a giudicare/governare le dodici tribù d'Israele miracolosamente ricostituite (mediante la risurrezione dei morti). Gesù era reticente a definire esplicitamente il suo ruolo in questo scenario (a meno di non prendere come originale l'invece probabilmente redazionale introduzione di Mt 19,28 [cfr. Lc 22,30] secondo cui anche il Figlio dell'uomo siederà sul suo trono di gloria), ma non sembra eccessivo concluderne, con Sanders, che egli deve aver pensato a sé stesso come ad una sorta di "vicere" di Dio.
In ogni caso, che Gesù fosse reticente o meno a esplicitare una pretesa messianica, i suoi discepoli avranno comunque guardato a lui con occhi colmi di speranze di questo genere (cfr. Lc 24,21: un profeta potente in opere e in parole... noi speravamo che fosse lui a liberare Israele).
Allorché, durante l'ultimo viaggio a Gerusalemme, gli eventi presero ormai una piega tale da far intuire il peggio, Gesù confermò i suoi discepoli nella fede certa circa la venuta del regno di Dio, nel quale egli stesso avrebbe di nuovo (risorgendo) bevuto il frutto della vite (Mc 14,25). Dopodiché, come che sia accaduto, egli finì condannato su una croce come pretendente messianico.

Il terzo giorno dalla morte, i suoi discepoli ebbero apparizioni del loro leader e ne proclamarono la risurrezione. Che essi coltivassero o meno "pratiche di contatto con il soprannaturale" già prima di Pasqua, sta di fatto che la risurrezione generale dei morti era parte centrale delle loro aspettative, e appena pochi giorni prima essi avevano udito Gesù pronunciare una sorta di addio che era un arrivederci nel regno di Dio.
Entro un simile orizzonte mentale contrassegnato dall'attesa del regno, dalla venuta/rivelazione del misterioso Figlio dell'uomo, da speranze di tipo messianico riposte su Gesù e in ogni caso da un "titulus crucis messianico" che avrebbe voluto sancire la parola fine alle loro attese, queste apparizioni del Maestro risorto dovettero legarsi molto presto, se non da subito, all'idea che Dio avesse risorto Gesù costituendolo come quel Figlio dell'uomo di cui egli aveva parlato loro, e come il re del regno la cui venuta egli aveva profetizzato come certa fino all'ultimo, ovvero come quel Messia d'Israele che Roma stessa aveva ironicamente "acclamato".

Così Luca fa parlare Pietro nella primissima predicazione cristiana: At 2,22.32-33.26: "Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio stesso per mezzo di miracoli, prodigi e segni (...) Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio (...) Sappia dunque con certezza la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!".
E sempre secondo Luca, durante i quaranta giorni delle sue apparizioni, Gesù parlò loro del regno di Dio (1,3), al punto che egli - evidentemente per contestare una visione teologica che reputa errata (vedi già Lc 19,11: "...essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro") - mette in bocca ai discepoli la domanda (a cui il Risorto risponde picche) se sia "questo il tempo in cui ricostituirai il regno d'Israele?".
Ora, per quanto secondari, redazionali e costruiti si reputino tutti questi passi lucani, nondimeno mi sembra che essi possano riflettere bene entro quale "metanarrative" si collocassero originariamente tutti i discorsi su Gesù come Figlio dell'uomo, Messia, Figlio di Dio, Signore.
L'orizzonte è sempre quello del Maestro: l'avvento del regno di Dio, la restaurazione d'Israele. Nel corso della "tempesta pneumatica" di cui abbiamo detto, Gesù venne sperimentato come esaltato alla destra di Dio, come Figlio di Dio, come Signore degno di essere venerato nell'ambito del culto reso a Dio, precisamente in qualità di Messia d'Israele e re del regno di Dio.
Per fare un altro esempio, io non credo affatto che i tradenti della tradizione "Q" - come talora si è proposto - fossero alieni dalla fede nella risurrezione, né tanto meno che non avessero un'accentuata interpretazione messianica di Gesù, che esprimono al contrario in modo netto attraverso le categorie di "Veniente" e "Figlio dell'uomo". Nondimeno questa gente ha conservato al tempo stesso la medesima centratura di Gesù sul regno di Dio e la restaurazione d'Israele. L'orizzonte in cui si muovono è ancora quello del Maestro.
Certo, con tutte queste primissime acclamazioni cristologiche ci si è già spostati rispetto a Gesù, si è introdotto qualcosa di nuovo di cui egli non aveva mai parlato. E questo passetto più in là consentì, contemporaneamente al darsi di nuovi fattori e contesti storici, che si compissero ulteriori passi più in là, fino al punto da formarsi una distanza percepibile in modo chiaro.


Spero ora di aver finalmente chiarito quanta continuità io vedo tra il Gesù storico, i suoi continuatori e le straordinarie espressioni cristologiche che essi svilupparono.
Questa continuità tuttavia non prevede, bensì esclude, quel ragionamento semplificato (e scarsamente sostenibile dal punto di vista dell'analisi critica della tradizione gesuana) che vorrebbe che la grandezza di ciò che viene dopo si possa spiegare solo postulandone la presenza germinale in ciò che viene prima.
La metafora del seme e dell'albero è una metafora teologica, non una spiegazione storica.
 
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view post Posted on 31/1/2012, 01:41     +1   -1
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Bibliothecarius Arcanus

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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 26/1/2012, 01:34) 
Way, anzitutto...

Caro JW, eccomi, seppur in ritardo, cosa di cui mi scuso, a tentare un abbozzo di risposta alle tue argomentazioni davvero ben elaborate ed esposte, ma del resto non mi aspetto nulla di meno da te. Devo dire tuttavia che in fondo mi lasciano un pochino perplesso, il che mi costringe a fare un passo indietro e provare a impostare come prima cosa alcuni capisaldi generali e metodologici, così che questo mia risposta sarà suddivisa in due parti. Non so tuttavia se riuscirò a includere ambedue queste parti o se dovrò differire la seconda parte per motivi di mancanza di tempo.

La questione oggetto di questa discussione mi sembra si divida in due: a) esiste ed è individuabile una "eccedenza" di Gesù rispetto al giudaismo al lui coevo? b) è questa eventuale eccedenza a determinare o quantomeno indirizzare la nascita delle prime comunità cristiane e di una cristologia che potremmo definire prima media (messianicità) e poi alta (divinità o comunque condivisione di attributi divini)? Oppure tale processo avviene totalmente o quasi totalmente a prescindere dagli insegnamenti e dall'operato del maestro di Galilea?

La seconda parte è in qualche modo conseguenza della prima e di come essa viene impostata. E allora vediamo impostarla in maniera a mio avviso più precisa, cominciando a problematizzare la definizione di cultura giudaica e di giudaismo. Se il termine cultura è creazione dell'illuminismo tedesco, in particolare di Herder, così che esso appare come una imposizione del tutto moderna, con una serie di precomprensioni che di fatto distorcono la prospettiva sino a rendere inutilizzabile in maniera non ambigua tale lemma, con il termine giudaismo, ma anche ebraismo, che invece troviamo già nel secondo libro dei Maccabei, in realtà non siamo messi molto meglio. Qual'è infatti la definizione di giudaismo applicabile alla prima metà del I secolo d.C.? Quali sono i suoi elementi caratteristici e imprescindibili, che cosa ne fa parte e cosa no? Quali sono insomma suoi limiti? L'importanza di riuscire a fare una simile operazione risulta immediatamente evidente: non è possibile prospettare univocamente l'appartenenza di qualcosa a qualcos'altro se non si è in grado di definire, ovvero delimitare, questo qualcos'altro. Diviene un'operazione puramente verbale e assai poco descrittiva di contenuti. Orbene, definire il giudaismo non è affatto semplice e mi sembra che tutt'ora sia una questione aperta, che ha visto proposte diverse soluzioni, da quella del Sanders a quella di Dunn, da Casey a Stegemann, tutte a mio avviso insoddisfacenti, questo perchè non esiste, sempre a mio modestissimo avviso, un common judaism, se non esprimibile in termini molto vaghi e quindi relativamente inutili ai fini della nostra questione:

"Jewish identity in antiquity was elusive and uncertain for two simple reasons. First, there was no single or simple definition of Jew in antiquity... . Second, there were few mechanisms in antiquity that would have provided empirical or 'objective' criteria by which to determine who was 'really' a Jew and who was not. Jewishness was a subjective identity, constructed by the individual..., other Jews, other gentiles, and the state"
(S. COHEN: The Beginnings of Jewishness. Boundaries, Varieties, Uncertainties; University of California Press 1999, p. 3)

La difficoltà a stabilire un'identità ebraica ha come diretta conseguenza la difficoltà a stabilire un giudaismo in quanto tale: ambedue infatti sono costruzioni immaginarie a cui si cerca di dare una pratica, sono percezioni o al massimo convenzioni sociali, sempre mobili peraltro, piuttosto che evidenze fattuali.
Chi è dentro e chi è fuori allora è una questione che dipende dai parametri, del tutto variabili e arbitrari che uno decide di adottare, allora come oggi:

"As much recent scholarship has shown, the question of who is a Jew and how one maintains Jewishness in antiquity is not a simple issue. There were some in antiquity who spoke as if Jewishness was a clearly definable entity. Such statements, however, were ideological pronouncements designed to enforce particular ideas about identity; they were not reflections of the reality on the ground, which remained complex, vague, and strongly debated. A wide range of practices, associations, beliefs, and social and ethnic groupings could factor into the claim that one did or did not maintain Jewish identity"
(E.K. BROADHEAD: Jewish Ways of Following Jesus. Redrawing the Religious Map of Antiquity; Mohr Siebeck 2010, p. 57)

Non è infatti un caso che noi registriamo una serie relativamente vasta di giudaismi spesso in competizione fra loro, che continuamente si rinfacciano la fedeltà o meno a un presunta quanto evanescente originaria giudaità (aaaargh!), che assumono posizioni teologiche assai variegate coprendo posizioni assai differenti e difficilmente compatibili e riducibili a un'unità. Insoma è uno scenario variegato e mobile, quello del giudaismo del primo seoclo, che si rifiuta di farsi ingabbiare in definizioni tipologiche. In questa situazione allora, non solo l'affermazione che Gesù appartiene totalmente alla cultura ebraica o al giudaismo del suo tempo diviene semplicemente una formula dai contenuti molto vaghi, ma sorge il problema inverso: che cosa significa essere eccedenti il giudaismo? Che cosa doveva fare o dire Gesù per essere eccedente rispetto a una compagine così variegata di diverse credenze? E' ovvio che più un insieme diviene vago e dai limiti indefiniti più diviene difficile parlare di una estraneità di una sua presunta parte, giacchè dovunque la si collochi tali limiti indefiniti diventano conglobanti. Eppure dobbiamo rispondere a questa domanda per dare un senso alla nostra discussione.
Credo allora che l'unico modo che avesse Gesù per eccedere il giudaismo a lui coevo, per andare oltre una mera ebraicità nullificante, era o di andare in giro dichiarandosi figlio di Giove Ammone e Nut, venuto a spezzare la ruota del karma per le anime reincarnate attraverso l'anticipazione del Ragnarok, ma la vedo difficile, oppure di elaborare una visione personale del giudaismo e del suo personale ruolo all'interno di esso attraverso una personale coniugazione di singoli elementi appartenenti all'immaginario e alla tradizione giudaici. Allora il termine eccedenza va inteso non come rottura radicale che colloca Gesù in una atemporalità aculturale e antistorica ma come originalità, come volontà di riformare più o meno radicalmente la società e la pratica devozionale del suo tempo. Tuttavia ai fini della nostra discussione bisogna tenere ben presente che una riforma è sempre una forma di rifondazione e tale rifondazione in realtà è sempre un superamento delle forme esistenti giacchè un ritorno sic et simpliciter a una immaginaria purezza delle origini è storicamente impossibile e priva di senso. Imporre o proporre una nuova visione dei rapporti sociali e cultuali all'interno del giudaismo, seppur in ambito escatologico, significava di fatto trascenderlo per farlo diventare qualcosa d'altro, qualcosa che si può pur sempre chiamare giudaismo, tra l'altro proprio a causa di quei contorni vaghi di cui sopra, ma che è qualcosa di diverso rispetto al punto di partenza originario. Vi è insomma una traslazione tra ciò che è prima e ciò che è o sarà dopo. Del resto le religioni non sono fisse, esse mutano costantemente anche quando si richiamano a tradizioni antiche:

“Rather than seeing religion as a static and strictly conservative force, we should see it as a dynamic and basically adaptive one. The dynamics of religion, as of all culture, may reproduce the ideas, moods, relationships, and institutions that produced it. However, for various reasons, religion is often unable or unwilling to do so. Contact with or outside interference from another society or religion may make it impossible or undesirable to reproduce the old systems. Changing social, technical, or even environmental circumstances may alter the practices, and the simple passing of generations may bring new ideas or new interpretations of old ideas… Even “traditional” religions were dynamic, and we cannot take any particular moment of such religions as the “true” or “traditional” one... In religion specifically and culture generally, the two most basic change processes are innovation and diffusion. In the former, an individual or group within the society invents or discovers some new idea, object, or practice—in the case of religion, a new entity to believe in, a new myth to tell, a new symbol to use, a new ritual to perform, etc. In the latter, an idea, object, or practice from another society is introduced into the first society, which entails further cultural processes such as contact, migration, intermarriage, invasion, or conquest. Whichever is the ultimate source of novelty, the course of change only begins with the appearance of the new item, as we will see below. We can be considerably more precise about the forms and outcomes of religious and cultural change. The result may be addition of an item to the preexisting repertoire. Evans-Pritchard comments, for instance, that several aspects of Nuer religion appeared to come from outside Nuer society, specifically from their Dinka neighbors. The kwoth nhial or “spirits of the air,” according to informants, “had all ‘fallen’ into foreign lands and had only recently entered into Nuerland and become known to them” (Evans-Pritchard 1956: 29). Beliefs about totems, nature sprites, and fetishes were also often attributed to the Dinka. Conversely, deletion may occur when an item is dropped from the repertoire, as when a society stops performing a certain ritual. Often, a reinterpretation of previous beliefs and practices takes place, with old forms given new meaning; this can occur due to changing social circumstances and experiences or the mere passing of the generations, new members bringing new perspectives. Other outcomes, or perhaps versions of the reinterpretation, include elaboration, in which a preexisting notion or practice is extended and developed, sometimes in quite unprecedented directions; simplification, in which a preexisting notion or practice is trimmed of detail or sophistication; and purification, in which members attempt to purge (from their point of view) false or foreign elements and to return to the “real” or “pure” form”.
(J.D. ELLER: Introducing Anthropology of Religion. Culture to the Ultimate; Routledge 2007, p. 161-162)

Ancora una volta allora ripropongo il caso di Lutero, che mi sembra significativo in questo ambito, per chiarire ulteriormente la mia posizione. E' discutibile che Lutero volesse abolire il cattolicesimo, molto più probabilmente egli desiderava riformarlo e riportarlo allo stato di grazia (peraltro del tutto immaginario) del periodo apostolico, quando l'idolatria e l'apostasia non erano ancora entrati nel corpo ecclesiale. Non vi è dubbio che Lutero fosse un cattolico di area tedesca e come tale ne avesse assorbito la cultura e gli immaginari. E tuttavia questa sua azione, che per certi versi è del tutto cattolica, ha avuto effetti dirompenti finendo per polarizzare la comunità cristiana dell'epoca attorno alla sua figura e finendo per porlo al di fuori della cattolicità, al di là delle sue effettive intenzioni e di quello che aveva scritto nelle sue Tesi, molte delle quali peraltro erano sottoscrivibili all'epoca così come oggi da parte cattolica. Tuttavia egli fu percepito quasi subito come un eretico, un corpo estraneo irriducibile alla cattolicità, sebbene la distanza che in quegli anni separava un protestante da un cattolico era probabilmente minore di quella che separava un esseno da un sadduceo. Allo stesso modo Gesù, pur muovendosi all'interno degli immaginari giudaici dell'epoca, finì, in realtà probabilmente abbastanza presto, per essere considerato un corpo estraneo da alcuni gruppi e fazioni non marginali, che sentivano lui e la sua predicazione come incompatibili e irriducibili alla loro interpretazione di cosa fosse giudaico e lecito, ma su questo tornerò nella seconda parte della mia esposizione. E' sufficiente per adesso, mi sembra, aver tratteggiato questa analogia situazionale per chiarificare cosa si debba intendere per eccedenza di Gesù rispetto al giudaismo del suo tempo. Sempre nella seconda parte cercherò di riempire di contenuti questa “eccedenza”.

Quanto esposto sinora non è l'unico problema nella pretesa di un Gesù totalmente immerso nel giudaismo del suo tempo. Un altro problema deriva dal metodo utilizzato per giungere ad una simile conclusione. Tale metodo è, e mi sembra evidente, un metodo comparativo, cioè un metodo che mette a confronto quanto si ritiene sia gesuano con quanto si individua come giudaico. E sino a qui va bene, un'appartenenza culturale, sociale ecc. si individua appunto tramite una comparazione dei dati in nostro possesso. Tuttavia la questione gesuana appartiene all'ambito generale della Religionswissenschaft, la scienza o storia delle religioni, che sin da subito ha usato il metodo comparativo (cf. E.J. SHARPE: Comparative Religion. A History; 2a ed., Duckworth 2009) ma si è anche dovuta confrontare con le problematicità di tale metodo (cf G.FILORAMO: Comparativismo e storia delle religioni. Un rapporto difficile; Humanitas 52 (1997), Vol. 2, pp. 510-527), in particolare il rischio della creazione del tutto arbitraria di identità, la confusione tra i livelli di realtà e tra il piano fenomenologico e quello reale, nonchè il rischio di una astrazione fine a se stessa attraverso la creazione di modelli tipologici che non trovano corrispondenza nei dati culturali e storici effettivi, tanto che la critica contemporanea e soprattutto postmodernista, allergica a ogni metanarrativa essenzialista, ha destrutturato il comparativismo positivista e tipologico, così come quello fenomenologico, mettendolo in crisi, destrutturazione che si racchiude nella celebra frase di Jonathan Z. Smith: "in comparison a magic dwells" (J.Z. SMITH: Imagining Religion. From Babylon to Jonestown; University of Chicago Press 1982, pp. 19-35; ristampato come J.Z. SMITH: In comparison a magic dwells in K.C. PATTON, B.C. RAY (eds): A Magic Still Dwells. Comparative Religion in the Postmodern Age; University of California Press 2000, pp. 23-44), a indicare che la comparazione è sempre un atto creativo nell’istaurazione di rapporti e analogie. Lo stesso Smith peraltro non è giunto al rifiuto totale della comparazione ma piuttosto a una sua formulazione più estesa all’interno di una teoria storico-culturale e cognitiva della religione nella quale le differenze tra gli oggetti comparati risultano parimenti se non più significanti delle analogie:
“it is the category of the different that marks [a theoretical] advance”
(J.Z. SMITH: The End of Comparison in K.C. PATTON, B.C. RAY (eds): A Magic Still Dwells. Comparative Religion in the Postmodern Age; University of California Press 2000, p. 240).

E ancora:
“It is axiomatic that comparison is never a matter of identity. Comparison requires the acceptance of difference as the grounds of its being interesting, and a methodical manipulation of that difference to achieve some stated cognitive end. The questions of comparison are questions of judgment with respect to difference: What differences are to be maintained in the interests of comparative inquiry? What differences can be defensibly relaxed and relativized in light of the intellectual tasks at hand?”
(J.Z. SMITH: To Take Place. Toward Theory in Ritual; CSHJ, University of Chicago Press 1987, pp. 13–14)

Inutile dire quanto importante sia stata la riflessione metodologica di Smith nel campo della storia delle religioni e come essa sia un dato generalmente acquisito e condiviso:

“In una prospettiva storica , infatti, l’oggetto della ricerca non è l’elemento generale, ciò che è comune a tutti, bensì l’elemento particolare, la diversità, il fatto incomparabile. Il comparativismo storico trova la sua funzione precisamente nella valutazione di questi fatti incomparabili. Il modello fenomenologico (nel nostro caso il giudaismo – N.d.W.), astratto, viene utilizzato nel comparativismo storico come pietra di paragone per identificare, in una cultura, ciò che differisce dal modello stesso. Questo elemento, difforme rispetto al modello, diviene, proprio in virtù della sua difformità e particolarità l’oggetto della ricerca storica. Il modello fenomenologico vale pertanto come ipotesi di ricerca, come punto di partenza per orientare la ricerca storica nella ricerca delle particolarità… […]… La tipologia… è dunque solo il punto di partenza, e lo scopo della ricerca storica è proprio quello di scovare quanto sia irriducibile alla tipologia stessa, di vanificare ogni tipologia. La storicizzazione, secondo il metodo del comparativismo storico, contiene e presuppone un confronto tra fatti apparentemente simili. Ma ogni confronto è fatto in direzione di una storicizzazione ancora più spinta. In questo lavoro il comparativismo storico ha una funzione critica devastante sulle vecchie oggettivazioni e categorizzazione della fenomenologia religiosa…”
(M. MENICOCCI: Antropologia delle religioni. Introduzione alla storia culturale delle religioni; Altravista 2008, pp. 21-23)

Mi permetto allora di concludere con le parole del Filoramo precedentemente citato, poiché a mio avviso particolarmente significative per il caso che stiamo esaminando:
“La comparazione, anche quella storico-religiosa, è per definizione, come si ricordava all’inizio, una medaglia a due facce; per avere, di conseguenza, realmente corso, essa deve essere assunta nella sua complessità di confronto che mira a mettere in luce somiglianze e, nel contempo, differenze: dove quell’ ‘e’, appunto, non disgiunge ma congiunge i due momenti del procedimento cognitivo”.
(FILORAMO: art. cit., p. 516)

Riportando il tutto alla questione di un Gesù totalmente immerso nel giudaismo del suo tempo, si evince chiaramente che non solo non è possibile darsi una semplice identità come quella proposta, ma che proprio la ricerca e l’individuazione dell’eccedenza, della particolarità di Gesù è momento costitutivo del processo comparativo e quindi dell’indagine storica se essa vuole essere veramente esaustiva senza adagiarsi su modelli tanto astratti quanto precostituiti e in definitiva inutili a definire e illustrare effettivamente il fenomeno. Si da dunque come necessità stessa dell’analisi storica una diversità, una particolarità, una eccedenza di Gesù rispetto all’ambiente circostante. Il fatto che per noi questa particolarità sia di difficile individuazione non significa che essa non esista soprattutto che non vada presupposta e ricercata. Insomma, abbiamo trovato, ed è buona cosa, il Gesù ebreo, ma abbiamo perso il Gesù persona.

Pur essendomi dilungato sin troppo, e chiedo scusa di questo, mi preme aggiungere un altro paio di punti a questa mia prima parte.

Il primo è relativo al come la storia, gli eventi e il loro significato, viene trasmessa, recepita e rielaborata. Tu infatti mi ricordavi che “la memoria sociale è creativa oltre che conservativa”. Inutile dire che concordo, cosa del resto che mi sembrava evidente già nel mio intervento. Non è mia intenzione fare un trattato di metodologia storica, tuttavia voglio precisare che questa creatività, nei processi relativamente controllati come quelli che avvengono nelle società orali, non è una mina vagante ma segue delle preimpostazioni e dei binari così che è possibile rintracciare una continuità non solo negli avvenimenti ma anche e soprattutto nelle interpretazioni, giacchè, come ricorda il Pareyson in Verità e interpretazione, non esiste conoscenza senza interpretazione e dunque non si ha accesso a nessuna realtà storica, noi o gli evangelisti non fa differenza, se non attraverso qualche forma di interpretazione. Se questo è vero allora l’interpretazione degli evangelisti rimanda al Gesù della storia, la loro teologia non ce lo nasconde ma allo stesso tempo da una parte lo vela e dall’altra lo rivela, sia nella scelta di cosa tramandare sia nel modo che nella forma:

“Contemporary historians recognize that the gospel writers theologize events, that they construe Jesus typologically, and that they interpret the events in his life in terms of this scriptural text or that jewish theologoumenon. None of this, however, entails that we cannot learn about Jesus of Nazareth from them. Within an ancient Jewish context, memories of Jesus had to be theologized, construed typologically, and interpreted in the light of religious tradition. Otherwise he would have been forgotten. Thus typology is not just a literary device but a strategy of memory. Beyond that, Jesus and those who knew him must also, whiie he was yet alive, have construed his ministry within a religious narrative framework, which surely ups the odds that many of the interpretive strategies of the post-Easter period go back to the pre-Easter period”
(D.C. ALLISON: Foreword in A. LE DONNE: Historical Jesus. What can we know and how can we know it?; Eerdmans 2011, p. X)

Questo porta all’ultimo punto che intendo sottolineare: guardo sempre con sospetto quella Redaktionkritik per la quale tutto ciò che è teologico non è storico e che sviscerando il testo evangelico a mo’ di patologo forense pretende di individuare passi o brani autentici da separare da quelli non autentici. Io credo invece che i vangeli siano tutti autentici, giacchè sono, dall’inizio alla fine, interpretazione, e in quanto tali essi rimandano, nell’unico modo loro possibile, e per loro significativo, al Gesù della storia. I vangeli sono infatti fortemente interessati al Gesù della storia, che ovviamente essi non distinguono dal Gesù percepito, perché è nel Gesù della storia, nella persona in carne ed ossa ad esempio che le esperienze di rivelazione si mostrano vere soggettivamente e oggettivamente. Senza il Gesù della storia tali apparizioni o visioni fluttuerebbero in una atemporalità e insignificanza sconcertante sia per i “testimoni” diretti che per coloro che li ascoltavano che infine per gli agiografi. E allora risulta evidente che non sono d’accordo con te quando ad esempio sembri scartare la cacciata di Gesù da Nazareth o l’accusa di essersi fatto Dio come prodotti della teologia. Io vi vedo invece un tentativo di interpretare la situazione vissuta dalla comunità attraverso quanto accaduto al fondatore in un processo emulativo-esplicativo che è tipico dei movimenti religiosi, che leggono la propria attualità e le proprie problematiche alla luce del fondatore carismatico che ha informato la comunità. Per fare questo essi non inventano i fatti, giacchè sarebbe una rottura con l’evento madre, ma li rileggono alla luce della propria comprensione. Quando Giovannni dice che i giudei vogliono lapidare Gesù (Gv 10,33) può dirlo perché da una parte ha memoria di questo evento e dall’altra può dargli un significato poiché Giovanni “sa” che Gesù è Dio e dunque interpreta in tal senso la reazione di costoro, che è probabile da parte loro abbiano intravisto nelle parole o nelle azioni di Gesù una blasfemia da punire con la morte. Allo stesso modo ad esempio non concordo con Meier secondo il quale di Mc 7,1-23, ovvero la discussione di Gesù con i farisei sulla purità rituale, “nulla risale al Gesù storico”
(J.P. Meier: Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 4, Legge e amore; Queriniana 2009, p. 467), trovando molto più convincente la tesi di Crossley secondo cui Gesù non abolisce le leggi alimentari ma contesta ai farisei di accumulare divieti e proibizioni, le “tradizioni degli antichi”, con i quali si stravolge il senso della Torah dopo essersene appropriati, critica che è in linea con altre accuse di Gesù ai farisei (cf. J: CROSSLEY: The Date of Mark Gospel. Insight from the Law in Earliest Christianity; T&T Clark 2004, p. 183 e ss.).
Il fatto che gli evangelisti, ma anche Paolo, tendano a non inventare, è dimostrato anche dal fatto che in altre occasioni quando sarebbe loro stato utile si astengono dal farlo se non possono ricollegare determinate scelte e situazioni a quanto detto e fatto da Gesù: la loro discriminante sembra essere infatti proprio questa, la necessità di ancorare il presente nel passato reale o conosciuto come tale del loro maestro, come è tipico di questi movimenti. Questo è allo stesso tempo un processo conservativo, relazionale e creativo.

Infine permettimi un’ultima chiosa su questa tua frase: “Senza le esperienze di rivelazione successive quei due o tre ricordi non sarebbero stati il germe di nulla, ma solo la memoria della preghiera di un ebreo carismatico”. Concordo pienamente. Anzi, forse non ci sarebbe stata neppure questa memoria se non forse nei primi tempi. Il punto è che questo sarebbe avvenuto più o meno ugualmente se Gesù fosse andato in giro con addosso un cartello con la scritta “sono il Messia e YHWH, adoratemi” o se avesse detto a tutti apertamente che si sentiva il Figlio del Padre mandato a redimere il mondo dai suoi peccati in quanto quasi-Dio lui stesso. Nel senso che la crocefissione ha spazzato via inevitabilmente un sacco di pretese e comprensioni e speranze. Difficilmente il movimento di Gesù sarebbe continuato. Il Battista almeno era morto gloriosamente come un profeta e i suoi seguaci potevano pensare che comunque il suo insegnamento era valido. Gesù è morto della morte infame per eccellenza, quella del palo, difficilmente, senza le esperienze mistiche che i discepoli hanno vissuto, vere o false che siano, il movimento gesuano sarebbe sopravvissuto a lungo e quando anche fosse sopravvissuto si sarebbe riconfuso nel giudaismo coevo e noi non ne avremmo con ogni probabilità alcuna traccia.
 
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92 replies since 17/1/2012, 12:57   3740 views
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