Studi sul Cristianesimo Primitivo

Sui limiti dell’apprendimento dell’ebraico moderno in vista di quello biblico.

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view post Posted on 8/2/2012, 16:26     +1   -1
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Stavo leggendo una serie di racconti di S.Y. Agnon, grande romanziere ebreo nato in Ucraina nel 1888 e morto in Israele nel 1970, uno dei Padri della rinascita dell’ebraico, lingua in cui scrisse e che gli fece ottenere un nobel per la letteratura.
La lettura di questo racconto mi ha confermato un problema invalicabile che sta alla base di tutti coloro che vogliono resuscitare una lingua morta, che si tratti dell’ebraico o del latino, cioè l’assenza di madrelingua che possano insegnare l’idioma, e la necessità dunque di apprendere la lingua da dei libri, o comunque da persone che a loro volta l’hanno appresa da libri e mai da un madrelingua, come invece avviene quando il bambino impara la lingua dei genitori.
Se infatti non esistono più madrelingua, come non ne esistono più del latino, per scoprire il significato di una parola, cosa essa regga sintatticamente, ecc. occorre rifarsi alla letteratura antica. Col continuo trovare un verbo, si può cioè in base ai contesti in cui lo si trova stilare una lista dei suoi significati, e dei costrutti sintattici in cui viene usato. Il problema però è che questo procedimento non permette di sentire la parola come la intende un madrelingua, ma solo di ricavare un significato che noi desumiamo dallo studio dei testi antichi. E non serve a nulla che una lingua rimanga viva in certe enclavi tra dei non madrelingua: il latino ad esempio è stato sempre parlato, perché lo usava il clero di tutta Europa per comunicare, era la lingua dei dotti, la lingua in cui si faceva lezione nelle università, della liturgia, ecc.
Sicché c’è sempre stato qualcuno che ha trasmesso la conoscenza del latino ad un altro, il problema è che ad un certo punto non c’è stato più nessun madrelingua. Un monaco romano del IV secolo poteva certo aver evangelizzato i germani, creato un clero cristiano locale a cui aveva insegnato il latino e lasciato libri da leggere, ma nella generazione successiva, inevitabilmente, per addestrare i nuovi monaci ci sarebbe stato un madrelingua germanico che insegna il latino a delle altre persone senza essere un madrelingua. Il problema è che non è possibile trasmettere tutto: anche insegnando una lingua a qualcun altro non è possibile farlo integralmente, né è possibile trasportare nella foresta nera tedesca l’ambiente romano in cui il latino si parlava. Sicché se deve spiegare ad un barbaro germanico che cos’è un console, o un senatore, puoi per l’appunto solo cercare di farglielo capire a parole, ma questa comprensione rimarrà sempre inadeguata perché il germano non abita nell’ambiente che ha generato l’idioma latino e dunque non può cogliere esattamente i riferimenti. E’ lo stesso che accade quando per spiegarci che cosa fosse uno shogun in Giappone ci dicono che è come un feudatario medievale, e Dio solo sa quando dev’essere fuorviante questo parallelo… In realtà noi non sappiamo niente di cosa voglia dire essere uno shogun, esattamente come non sappiamo niente di cosa volesse dire per il 7 re di Roma essere dei “re”, perché questa carica assume diecimila valenze diverse a seconda del contesto culturale e geografico.
Un medesimo problema, dovuto alla delocalizzazione geografica e storica, nonché al fatto che vennero a mancare dei madrelingua per trasmettere la parlata, s’è prodotto nella trasmissione dell’ebraico, così come è avvenuto per il latino. I rabbini hanno sempre mantenuto vivo lo studio dei testi sacri ebraici, ma non c’era nessun rabbino madrelingua che potesse illuminarli insegnando loro la lingua, e dunque l’ebraico è stato insegnato da dei non madrelingua, che magari avevano come primo idioma lo yiddish, a degli altri non madrelingua, in maniera del tutto simile a dei monaci medievali che magari parlavano latino tra di loro al monastero, nelle occasioni di studio, nella liturgia, nelle università, ma nessuno di loro era più madrelingua.
Il fatto che nella letteratura latina, così come nella Torah, ci siano così tante parole di significato incerto si deve proprio a questo: la trasmissione della lingua tra dei cultori che non sono più madrelingua perde inevitabilmente dei pezzi.
Dunque che cos’è l’ebraico moderno? E’ esattamente la stessa cosa di un ipotetico latino resuscitato. Non è più la lingua parlata da Cicerone, ma è la ricreazione artificiale di quello che i latinisti moderni capiscono della lingua di Cicerone. Similmente l’ebraico moderno è una creazione operata in base a quello che i grammatici responsabili della rinascita dell’ebraico capivano dei testi sacri ebraici del passato. Ma è questo il punto: le sfumature originali sono andate inevitabilmente perse, e ciò che sta sui dizionari di ebraico attuali non è qualcosa di paragonabile a ciò che De Mauro scrive su un dizionario di italiano, non si tratta cioè dell’interpretazione che un madrelingua dà di una parola, ma del significato che dei grammatici ebrei non più madrelingua hanno ricavato dallo studio dei loro testi sacri.
Il rischio ovviamente è che se la tradizione interpretativa rabbinica ha assegnato ad un hapax legomenon del testo biblico un significato x, e poi nell’iniziare a scrivere in ebraico romanzi inediti s’è usata quella stessa parola biblica attribuendole quel significato x che le era stato dato dall’interpretazione rabbinica, allora l’israeliano moderno abbinerà automaticamente quella parola al significato x, ignorando che il significato x era solo l’interpretazione data dalla tradizione rabbinica a quella parola. V’è cioè il rischio di un’interferenza tra i significati che una parola ha in ebraico moderno, e lo studio dei significati di una parola nel testo biblico, che potrebbe avere un significato parzialmente diverso da quello immaginato dai grammatici che hanno resuscitato l’ebraico.
Mi si permetta un esempio. Supponiamo che ci sia la terza guerra mondiale, che l’olocausto nucleare distrugga gran parte dell'Europa e con essa gran parfte della letteratura italiana, e che gli italiani sopravvissuti siano pochissimi. Dopo essersi trasferiti in un’altra zona della Terra non contaminata dalle radiazioni, ad es. l’Australia, questi italiani alla 40° generazione avranno dei discendenti che parlano l’inglese come prima lingua, anche se sulla base dei testi italiani superstiti s’è continuato a studiare l’italiano. Supponiamo pure che siano sopravvissute solo 3 occorrenze nell’antica letteratura italiana superstite della parola “tesoro”, e tutte in frasi del tipo: “tesoro ti amo”, “Vincenzo sei proprio un tesoro”, ecc.
Questi grammatici, dediti allo studio dell’italiano, deducono che “tesoro” vuol dire “amore”, cosa che in effetti è vera, ma non hanno più notizia che tesoro indichi un mucchio di denaro, una cosa preziosa, e che proprio a causa di questo significato base le persone amate sono definite metaforicamente “tesoro”.
Questo è esattamente quello che è successo col latino, con l’ebraico, e con molte altre lingue. L’assenza di parlanti madrelingua, l’impossibilità di trasmettere l’intera conoscenza di un idioma ad un non-madrelingua, e la scomparsa del mondo cui quelle parole appartenevano, ha fatto sì che il significato originario si perdesse. E se qualcuno avesse voluto resuscitare l’italiano nell’Australia del 30° secolo, creando uno Stato chiamato Nuova Italia, avrebbe creato una lingua basata sulla comprensione dei grammatici, una lingua finta in cui “tesoro” vuol dire solo “amore”. Col rischio poi che, se venissero trovati nuovi testi dell’italiano antico scampati al disastro dove la parola “tesoro” è usata in senso diverso, un locutore del neo-italiano verrebbe depistato nel leggerli dai significati che la tradizione dei grammatici e dei lessicologi ha attribuito a quella parola.
L’infinità di parole dal significato incerto in Lucrezio come nel Tanach testimoniano questo processo di deperimento nella conoscenza semantica di una lingua.
L’unico modo in cui si potrebbe sfuggire a tale degrado sarebbe conservare dei madrelingua lungo tutta la trasmissione di una lingua (sebbene permarrebbe l’effetto distorsivo del dislocamento rispetto al contesto in cui quelle parole nacquero, e dunque l’impossibilità di collocare esattamente le parole).
Questa continuità dei madrelingua sfortunatamente non c’è stata per l’ebraico come non vi fu per il latino, ed è stato proprio un testo di Agon, scritto tra il 1908 e il 1938, cioè prima della creazione dello stato di Israele a darmene la conferma. Com’è noto a inizio ‘900, e anche prima, si iniziavano a fare i primi esperimenti di scrittura in ebraico per opere profane, operazione tra l’altro difficile perché mancavano le parole per esprimere la realtà moderna. Ecco che Agon in un brano di un racconto intitolato “Il senso dell’odorato” si scaglia contro i suoi correligionari ebrei che non scrivono in ebraico ma nelle loro lingua madri:

CITAZIONE
Contro i saggi di questa generazione che scrivono in tutte le lingue tranne che nella lingua santa

Qualcuno potrebbe dire, come fanno alcuni stolti d’Israel: è mai possibile parlare in una lingua che da mille anni e più è stata sradicata dalla bocca? Perfino la maggior parte dei sapienti di questa generazione non ha la forza di misurarsi con essa: o commettono errori grossolani o scrivono in qualunque altra lingua, ma non nella lingua santa. Chi dice così non ha riflettuto sulla questione essenziale: nonostante sia caduta in disuso nel parlato, la lingua non è stata abbandonata nella scrittura, ed è a disposizione di chiunque la cerchi. In che modo? Basta leggere la Torà, studiare la Mishnà, approfondire la Ghemarà e subito si svelano tutti i tesori della lingua santa che il Santo, benedetto Egli sia, ha messo in serbo per coloro che ama. E in particolare di Shabbat, quando ci è concessa un’anima supplementare che conosce la lingua santa come la conoscono gli angeli.
Perché allora certi sapienti si esprimono male? Perché attribuiscono la massima importanza ai discorsi mondani e ritengono le parole di Torà un elemento accessorio. Se invece ponessero la Torà al primo posto essa verrebbe loro in soccorso. Quanto a coloro che scrivono le proprie opere in ogni sorta di idiomi ma non nella lingua santa, perfino un goy che si esprima nella lingua santa è preferibile a loro, purché non scriva sciocchezze. Sappi che così è, infatti il malvagio Balaam, che quanto a malvagità non ebbe rivali, consigliò agli uomini d’Israel di fornicare con le figlie di Moab, causando la morte di quindici miriadi e ottomilaseicento di loro. Ma come ricompensa per aver usato la lingua santa per cantare le lodi d’Israel, meritò che gli fosse intitolata una porzione settimanale della Torà e inoltre che ogni mattina tutto Israel cominci la preghiera con il versetto « Quanto sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore Israel» con il quale egli lodò il nostro popolo.
Qualcuno potrebbe ribattere che alcuni saggi dell’antichità scrissero parte dei loro libri in arabo. Il caso di quegli antichi maestri però è diverso, perché i loro contemporanei erano stanchi dell’esilio, lontani dalla luce del Messia, e per questo essi scrissero loro lettere di consolazione nell’idioma d’uso comune, così come si calma un bambino parlandogli in una lingua a lui comprensibile. La lingua d’Ismaele inoltre è un caso particolare perché a lui fu data in pegno la terra d’Israel. E perché la terra d’Israel fu affidata a Ismaele? Perché ebbe il merito di toglierla di mano a Edom. Essa rimarrà in suo possesso fino a che tutti gli esuli si riuniranno, allora la restituirà loro.” (S.Y Agnon, La leggenda dello scriba e altri racconti, Milano, 2009, Adelphi, 126-127)

Questo piccolo brano insegna delle cose molto interessati: l’ebraico era caduto in disuso nel parlato, anche i sapienti avevano difficoltà ad esprimersi in questa lingua (similmente chiedete ad un professore di latino con 40 anni di esperienza di parlarvi nella lingua dei Cesari, e la maggior parte di essi vi riderà in faccia), e si afferma altresì che il modo per conoscere l’ebraico passava dallo studio dei testi dell’antichità, cioè esattamente lo stesso che fanno i grammatici odierni col latino.
L’ebraico moderno risuscitato da costoro non è dunque la lingua di Mosè, ma la comprensione che questi grammatici avevano della lingua di Mosè. Il premio nobel Agnon dedica questo raccontino alle sue peregrinazioni, di sapiente in sapiente, dovute al dubbio sul costrutto di un verbo, non era infatti sicuro che la costruzione da lui usata per un romanzo fosse possibile, e a parlare è uno di quelli che l’ebraico moderno l’hanno fondato!
Sicché chi parla oggi ebraico moderno, in realtà si basa sulle interpretazioni sintattiche e lessicologiche di come funzionasse l’ebraico antico date dai grammatici, le quali sono ovviamente fallibili, e non si basa su una catena di madrelingua che si trasmettono un idioma.
Lo studio dell’ebraico moderno dunque, sebbene abitui pregevolmente alla lettura senza vocali, ha quest’effetto di interferenza, causato dalla lettura del testo biblico coi significati dell’ebraico moderno, i quali possono ottenebrare la lettura con dei preconcetti lessicali.
Spero di essere stato chiaro e sarebbe interessante sapere se altri trovano questi miei ragionamenti sensati, o se invece ci sono altri fattori da considerare.
Da ultimo, per chi fosse curioso, metto il spoiler il racconto di Agnon integrale (sono 10 pagine), per chi fosse interessato a leggerlo (non garantisco l'assenza di errori perché il testo è stato ottenuto con un OCR):


IL SENSO DELL’ODORATO

1. L’eccellenza della lingua santa

Non come tutte le altre lingue è la lingua santa, poiché tutte le altre lingue non sono che il frutto di convenzioni stabilite da ogni singola nazione sul pro-prio idioma, mentre la lingua santa è quella in cui fu data la Torà e con essa il Santo, benedetto Egli sia, creò il Suo mondo. Nella lingua santa è lodato dai serafini, dagli ofannim e dalle sante khayyot, e anch’Egli, quando vuole lodare Israel, lo fa nella lin-gua santa, poiché è scritto: come sei bella amica mia, come sei bella. Quale lingua parla la Scrittura? la lingua santa, ovviamente. E quando Egli viene preso dal desiderio di udire la preghiera d’Israel, di quale lingua ha desiderio? della lingua santa, infatti dice: fammi udire la tua voce, perché la tua voce è gradevole. Quale voce gli è gradevole? la voce di Giacobbe che prega nella lingua santa. Nella lingua santa Egli ricostruirà Gerusalemme e vi riunirà coloro che sono dispersi nell’esilio. E nella lingua santa Egli si prende cura degli affranti in lutto per Sion, il cui cuore è spezzato a causa della rovina, e fascia le
loro piaghe, com’è detto: il Signore ricostruisce Gerusalemme, riunisce i dispersi d’Israel, risana chi ha il cuore spezzato e fascia le sue ferite. Perciò tutto Israel è tenuto a coltivare la propria lingua adoperandosi perché sia chiara e precisa, e a maggior ragione le ultime generazioni che sono vicine alla redenzione, affinché il nostro giusto Messia, possa Egli rivelarsi presto ai nostri giorni, intenda le nostre parole e noi intendiamo le sue.

2. Contro i saggi di questa generazione che scrivono in tutte le lingue tranne che nella lingua santa

Qualcuno potrebbe dire, come fanno alcuni stolti d’Israel: è mai possibile parlare in una lingua che da mille anni e più è stata sradicata dalla bocca? Perfino la maggior parte dei sapienti di questa generazione non ha la forza di misurarsi con essa: o commettono errori grossolani o scrivono in qualunque altra lingua, ma non nella lingua santa. Chi dice così non ha riflettuto sulla questione essenziale: nonostante sia caduta in disuso nel parlato, la lingua non è stata abbandonata nella scrittura, ed è a disposizione di chiunque la cerchi. In che modo? Basta leggere la Torà, studiare la Mishnà, approfondire la Ghemarà e subito si svelano tutti i tesori della lingua santa che il Santo, benedetto Egli sia, ha messo in serbo per coloro che ama. E in particolare di Shabbat, quando ci è concessa un’anima supplementare che conosce la lingua santa come la conoscono gli angeli.
Perché allora certi sapienti si esprimono male? Perché attribuiscono la massima importanza ai discorsi mondani e ritengono le parole di Torà un elemento accessorio. Se invece ponessero la Torà al primo posto essa verrebbe loro in soccorso. Quanto a
coloro che scrivono le proprie opere in ogni sorta di idiomi ma non nella lingua santa, perfino un goy che si esprima nella lingua santa è preferibile a loro, pur-ché non scriva sciocchezze. Sappi che così è, infatti il malvagio Balaam, che quanto a malvagità non ebbe rivali, consigliò agli uomini d’Israel di fornicare con le figlie di Moab, causando la morte di quindici miriadi e ottomilaseicento di loro. Ma come ricompensa per aver usato la lingua santa per cantare le lodi d’Israel, meritò che gli fosse intitolata una porzione settimanale della Torà e inoltre che ogni mattina tutto Israel cominci la preghiera con il versetto « Quanto sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore Israel» con il quale egli lodò il nostro popolo.
Qualcuno potrebbe ribattere che alcuni saggi del-l’antichità scrissero parte dei loro libri in arabo. Il caso di quegli antichi maestri però è diverso, perché i loro contemporanei erano stanchi dell’esilio, lontani dalla luce del Messia, e per questo essi scrissero loro lettere di consolazione nell’idioma d’uso comune, così come si calma un bambino parlandogli in una lingua a lui comprensibile. La lingua d’Ismaele inoltre è un caso particolare perché a lui fu data in pegno la terra d’Israel. E perché la terra d’Israel fu affidata a Ismaele? Perché ebbe il merito di toglierla di mano a Edom. Essa rimarrà in suo possesso fino a che tutti gli esuli si riuniranno, allora la restituirà loro.

2. Il segreto di come si scrivono le storie

Per amore della nostra lingua e per l’affetto verso ciò che è santo mi consumo nello studio della Torà, mi struggo per le parole dei saggi e le custodisco dentro di me affinché siano pronte sulle mie labbra.
Se il Tempio esistesse ancora prenderei posto sul palco con i miei fratelli cantori per intonare ogni giorno il canto che solevano intonarvi i leviti. Ma poiché il Tempio è tuttora in rovina e non abbiamo sacerdoti impegnati nel servizio divino né leviti che inneggino, mi dedico alla Torà, ai Profeti, agli Agiografi, alla Mishnà, ai testi prescrittivi e morali, ai commenti, alle sottili interpretazioni e alle norme stabilite dai saggi. Quando rifletto sulle loro parole e vedo che di tutte le delizie da noi possedute nei tempi antichi ci resta soltanto il ricordo, mi colmo di tristezza. La tristezza mi fa fremere il cuore e spinto da quel fremito scrivo storie, come un uomo che allontanatosi esule dal palazzo di suo padre si edifica una piccola capanna dove siede e racconta le meraviglie della sua dimora avita.

3. Tutto ciò che accadde all’autore per colpa di un grammatico e tutta la pena, le sofferenze e la fatica che ne derivarono

Poiché ho menzionato la capanna, dirò qualcosa a questo proposito. Una volta mi capitò di scrivere un racconto sulla capanna della festa, e per esprimermi in modo semplice e comprensibile a tutti scrissi: la capanna odora. Mi si scatenò contro un grammatico e con la sua penna tagliente obiettò che non si dice «la capanna odora», infatti non è la capanna che odora, ma è l’uomo che odora il profumo della capanna. Ne fui profondamente afflitto poiché pensavo di essermi allontanato dal corretto uso della lingua e di averne guastata la bellezza. Mi misi a scartabellare i manuali di sintassi ma non trovai conferma alla mia opinione. Infatti la maggior parte dei manuali o ti insegna quello che già sai o non ti insegna nulla. Visitai i sapienti della nostra generazione, ma non seppero rispondermi. I sapienti conoscono tutto tranne quell’unica cosa che stai cercando. Alla fine mi imbattei in un erudito di Gerusalemme che portò a sostegno della mia tesi una prova dal libro “Lo scritto perfetto “dell’antico maestro Rabbi Moshe Taku, sia il suo ricordo in benedizione. Mi sentii un po’ più tranquillo, ma non abbastanza. Ero ancora in cerca di un’ulteriore conferma. Quando capitavo in compagnia di cultori della lingua santa domandavo loro: avete forse udito se è permesso scrivere «la capanna odora»? Alcuni sostenevano che fosse permesso, altri che fosse proibito. Gli uni e gli altri non offrivano alcuna motivazione, ma lo dicevano in modo vago, come un uomo che stende il pollice verso un altro e dice: così la penso io, o come un uomo che si lecca le labbra e dichiara: questa è la mia impressione. Alla luce di ciò ero sul punto di cancellare le due parole contestate dal grammatico. Quando mi accinsi a farlo la capanna mi si presentò davanti e il suo profumo salì a me, finché mi persuasi che veramente essa odora, così lasciai tutto com’era.

5. I giusti del giardino di Eden vengono in aiuto all’autore

Una volta venne da me un uomo per chiedermi un favore. Parlando con lui scoprii che era un di-scendente di Rabbi Yaakov di Lissa. Subito mi liberai da tutte le mie occupazioni, gli resi il dovuto onore e mi diedi un gran da fare: gli offrii una torta al miele e un bicchiere di acquavite e esaudii la sua richiesta con gioia in onore di suo nonno, quel som-
mo maestro di cui studiamo la dottrina e sul cui siddur preghiamo. Dopo che l’ebbi accompagnato alla porta mi si presentò uno studioso con un libro sotto il braccio. Che cos’hai in mano, gli domandai, il siddur del Maestro di Lissa? Sorrise e rispose: a volte l’eccessiva acutezza d’ingegno fa scordare una pre-scrizione elementare e bisogna consultare il libro. Replicai che tra i pregi del vero maestro questo era particolarmente grande: dopo aver scritto nuove in-terpretazioni e commenti con acume e competenza, egli si prese la briga di ordinare in breve le norme relative alla preghiera e altre questioni teoriche e pratiche utili a tutti, in modo che ciascuno trovi la regola e la sua fonte insieme alla formula della pre-ghiera. I nostri santi maestri ci hanno lasciato in eredità numerosi libri di preghiera, sia semplici sia arcani, compilati con precisione e saggezza, arricchiti da formule di intenzione, commenti, combinazioni mistiche, segreti e allegorie per risvegliare il cuore degli oranti quando giungono al palazzo del Re. Ma se il rispetto per gli antichi non mi trattenesse, direi che il siddur del Maestro di Lissa è il migliore di tutti, perché la gran parte dei libri di preghiera emana troppa luce per il vasto pubblico, mentre questo è adatto a ogni occhio.
Mentre parlavo il mio cuore si entusiasmò, così cominciai a raccontare aneddoti di quel maestro i cui insegnamenti si diffusero in tutta la diaspora d’Israel. Riferii poi di ciò che avevo udito da uomini degni di fede o avevo trovato nei libri in merito alle sue eccelse qualità morali.
Alla fine ci separammo. Lui con il suo libro di preghiere in mano e io con i miei pensieri nel cuore. Tornato a casa, mi distesi sul letto e sprofondai in un dolce sonno. L’aver fatto un favore a un mio prossimo e l’essermi coricato dopo una conversazione sui giusti resero gradevole il mio riposo.
Sentii che qualcuno cercava di svegliarmi. Mi im-pigrii e non mi alzai. Il tentativo fu ripetuto. Mi girai dall’altra parte. Alla terza volta mi destai e vidi un vecchio in piedi davanti a me, con il libro di preghiere La via della vita aperto in mano. I suoi occhi brilla-vano e il suo viso risplendeva di una grande luce. Anche se non avevo mai visto un ritratto di Rabbi Yaakov di Lissa, lo riconobbi subito. Non assomigliava a nessuno dei membri della sua famiglia, infatti i grandi d’Israel non assomigliano ai loro parenti: è la dottrina a conferire loro lo splendore del volto, poiché il Santo, benedetto Egli sia, dona splendore e luce al volto di chi si consuma nello studio della Torà.
Mentre ero intento a guardare il libro si chiuse, il vecchio scomparve e seppi che si trattava di un sogno. Benché avessi compreso che era stato un sogno mi dissi: ci deve essere un motivo. Mi lavai le mani, scesi dal letto, andai alla libreria ed estrassi La via della vita. Vi trovai un pezzo di carta posto a guisa di segno. Lessi quanto segue: «e usano in abbondanza certi fiori che odorano, rallegrando il giorno festivo ». A quanto pare una volta avevo letto quella pagina e vi avevo lasciato un pezzo di carta come segno.
Pensai in cuor mio, questa espressione non l’ha inventata lui, certo proviene dai testi sacri. A ogni buon conto presi il libro di preghiere Le colonne del cielo di suo zio, il Maestro Yaakov ben Yizhak, sia il suo ricordo in benedizione, e anche là ritrovai la medesima frase. Mi rallegrai di non essere caduto in errore e di non avere guastato la nostra santa lingua, infatti se due pilastri del mondo scrivono così, significa che così deve essere scritto, e il grammatico che aveva sproloquiato contro di me ne avrebbe dato conto.


6. Recitazione dei Salmi: Rashi, sia il suo ricordo in benedizione, spiega all’autore un versetto dei Salmi e ne allieta lo spirito

Avrei potuto tornare a dormire ma la notte volgeva al termine, e non era ancora giunto il tempo stabilito per recitare la preghiera del mattino. Allora presi il Libro dei Salmi. La recitazione dei salmi si addice a ogni momento, e in particolare alle ore del mattino, quando l’animo è ancora puro e le labbra non si sono insudiciate con maldicenze. Mi sedetti e lessi alcuni salmi: ciò che capivo capivo e ciò che mi era oscuro me lo spiegava Rashi, sia il suo ricordo in benedizione, fino a che terminai tutto il primo libro. Ma la mia anima ne voleva ancora. Cedetti al desiderio e lessi un altro salmo e poi un altro ancora, finché non giunsi al salmo «Al direttore del coro, su gigli», un canto di lode che si suole recitare in onore degli studiosi, i quali sono delicati e graziosi come gigli, per accrescere il loro amore verso la Torà.
Bella fu quell’ora di lettura dei salmi. La lampada era accesa sul tavolo e con la sua luce incoronava ogni parola e ogni lettera, ogni vocale e ogni accento. Di fronte ad essa vi era una finestra aperta verso il Sud, e fuori spiravano le brezze del primo mattino. Le brezze non spegnevano il lume, non ne facevano oscillare la fiamma, ma danzavano insieme agli alberi e ai cespugli del giardino da cui si diffondeva un aroma di alloro e rugiada, di miele selvatico e olio fragrante.
La luce della lampada cominciò a impallidire. A quanto pare la notte era finita. Forse in quell’ora il Santo, benedetto Egli sia, aveva già appeso il sole nel firmamento per fare luce alle persone semplici che non sono esperte del rituale mattutino e pregano leggendo dal libro.
Dall’alto di un albero si udì un suono, la voce di un uccello che intonava un canto. Una voce simile ha il potere di distogliere l’uomo dal suo studio. Tuttavia non deposi il libro per ascoltare il canto dell’uccello, anche se era dolce all’orecchio e gradito al cuore. Mi dissi, è mai possibile che interrompa la lettura dei salmi per ascoltare la conversazione dei volatili?
In quel mentre si udì un’altra voce, più soave della prima. Un uccello era stato preso da invidia per il suo compagno e voleva vincerlo nel canto. O forse non era invidioso e nemmeno si era accorto del compa-gno, ma spontaneamente si era messo a cantare di-nanzi al proprio Creatore, e la sua voce era più ama-bile di quella del primo. Alla fine fecero la pace: cia-scuno accompagnò la melodia dell’altro e intonarono gorgheggi nuovi che nessun orecchio aveva mai udito. Una simile musica e simili voci hanno il potere di distogliere dallo studio qualsiasi uomo. Ma io feci finta di non udire. E non vi è qui motivo di meravi-glia e di lode, infatti come un’arpa a molte corde il salmo suonava un canto d’amore, un canto di fronte al quale tutti gli altri si annullano, e io gli rispondevo parola per parola, melodiosamente.
«Nel mio cuore freme una parola buona ... la mia lingua è la penna di uno scriba veloce ... cavalca si-curo per difendere verità, umiltà e giustizia, e la tua destra t’insegni azioni formidabili». Ciò che capivo capivo e ciò che mi era oscuro me lo spiegava Rashi, sia il suo ricordo in benedizione. Quando giunsi al versetto «mirra e aloe [e cassia] sono tutte le tue vesti» e non ne capii il significato, consultai il commento di Rashi, sia il suo ricordo in benedizione e vi lessi: « tutte le tue vesti » - tutti i tuoi vestiti odorano come spezie fragranti, e, secondo l’interpretazione
dei maestri, tutti i tuoi tradimenti e le tue colpe sono espiati e odorano di un gradevole profumo. In quel momento mi si presentò dinanzi la capanna in tutta la sua fragranza. Subito mi sentii appagato come un uomo che odora fiori che odorano.

7. Così come avevo cominciato con una lode concludo con una lode

Vedi quanto è grande la lingua santa: per una sola parola un giusto così eccelso si prese il disturbo di lasciare l’Accademia celeste, il Giardino di Eden per mostrarmi il suo libro, e il concatenarsi degli eventi fece sì che mi alzassi di notte a recitare i salmi e tro-vassi ciò per cui avevo a lungo faticato. (S.Y Agnon, La leggenda dello scriba e altri racconti, Milano, 2009, Adelphi, 123-132)


Ad maiora

Edited by Polymetis - 8/2/2012, 19:24
 
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view post Posted on 8/2/2012, 16:51     +1   -1
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Ciao Polymetis, ho tre problemi col tuo post.

Il primo, è che si riallaccia ad una vecchia polemica che preferirei considerare sepolta.
Il secondo, è che non riesco a cogliere in maniera precisa la questione che vuoi porre.
Il terzo, non sono sicuro che si possa riportare il testo integrale del racconto per problemi di Copyright.

In ogni cso, poiché Teo è moderatore di sezione, lascio a lui le valutazioni.

Ciao,
Talità
 
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view post Posted on 8/2/2012, 19:23     +1   -1
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CITAZIONE
"Il primo, è che si riallaccia ad una vecchia polemica che preferirei considerare sepolta."

Non c'è alcun collegamento logico tra "questione vecchia" e "questione che deve rimanere sepolta". Mi sembra ovvio che se sorgono nuovi dati o nuovi spunti che possono contribuire ad un dibattito, esso venga riaperto per discutere nuovi punti. Inoltre nessun argomento è in sé tabù o foriero di dispute, tutto dipende dal modo in cui discutono i foristi, se civilmente o incivilmente.

CITAZIONE
"Il secondo, è che non riesco a cogliere in maniera precisa la questione che vuoi porre."

La questione è se la conoscenza dell'ebraico moderno sia essenziale a quella dell'ebraico biblico, e la risposta parrebbe essere un secco no, visto che gli stessi che hanno creato l'ebraico moderno l'hanno fatto basandosi sulla letteratura ebraica precedente. Non è logicamente sensato dire che ciò che viene dopo è necessario per capire ciò che viene prima. Per capire Manzoni non è cioè necessario conoscere la letteratura del '900, sarà invece utile conoscere la letteratura dell'Ottocento e quelle dei secoli precedenti.
L'ebraico moderno inoltre potrebbe suscitare, nel caso di alcuni slittamenti semantici avuti tra ebraico biblico ed ebraico moderno, una pre-comprensione errata in chi legga l'ebraico biblico sulla base dei significati dell'ebraico moderno. Ad esempio "canzonare" in italiano moderno vuol dire "prendere in giro", ma in italiano medievale voleva anche dire "comporre canzoni", sicché leggendo la frase "il poeta canzonò la dama", un lettore italiano di oggi potrebbe pensare che il poeta si burli di lei, mentre la frase vuol solo dire che compone una canzone a lei dedicata.
L'ebraico a differenza dell'italiano, essendo stato morto per secoli, non s'è evoluto, ma gli slittamenti semantici potrebbero essere avvenuti per il deperimento della completezza nella conoscenza del valore semantico dei vocaboli, deperimento causato dall'interruzione della catena dei madrelingua.


CITAZIONE
Il terzo, non sono sicuro che si possa riportare il testo integrale del racconto per problemi di Copyright.

Non è una citazione integrale perché questo è solo un racconto inserito in un libro che contiene più racconti di circa 130 pagine. Per di più la citazione è ad uso di discussione critica e senza fini commerciali.

Ad maiora

 
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view post Posted on 8/2/2012, 19:56     +1   -1
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QUOTE (Polymetis @ 8/2/2012, 19:23) 
QUOTE
"Il primo, è che si riallaccia ad una vecchia polemica che preferirei considerare sepolta."

Non c'è alcun collegamento logico tra "questione vecchia" e "questione che deve rimanere sepolta".

Sono d'accordo, infatti il nocciolo sta nel fatto che è una vecchia "polemica" e non una vecchia "questione". Sul resto sono d'accordo.

QUOTE
QUOTE
"Il secondo, è che non riesco a cogliere in maniera precisa la questione che vuoi porre."

La questione è se la conoscenza dell'ebraico moderno sia essenziale a quella dell'ebraico biblico, e la risposta parrebbe essere un secco no,

Ecco, questo è porre la questione in termini precisi.
Mi sembra di ricordare che molti ottimi studiosi tendano a soggiornare in Israele, e questo - di per sé - può essere un valido argomento per sostenere che la conoscenza dell'ebraico moderno sia un elemento importante per gli studi biblici in lingua ebraica. E' un dato che tuttavia devo verificare.

QUOTE
QUOTE
Il terzo, non sono sicuro che si possa riportare il testo integrale del racconto per problemi di Copyright.

Non è una citazione integrale perché questo è solo un racconto inserito in un libro che contiene più racconti di circa 130 pagine. Per di più la citazione è ad uso di discussione critica e senza fini commerciali.

Ad maiora

Ok, lascio comunque la decisione a Teo - visto che è la sua sezione.

Ciao,
Talità
 
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view post Posted on 8/2/2012, 20:18     +1   -1
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A quanto dice giustamente Poly occorre aggiungere che la "rifondazione" di un ebraico vivo basato sui testi biblici porta con sé anche gli errori del testo biblico. Infatti, anche solo nel relativamente omogeneo gruppo che comunemente chiamiamo Testo Masoretico, sin dal XVIII secolo sono state censite un'infinità di varianti testuali, come si può ben vedere dalla monumentale opera del De Rossi (non l'archeologo):

G. B. De Rossi, Variae lectiones Veteris Testamenti ex immensa mss. editorumq. co- dicum congerie haustae et ad Samar. textum, ad vetustiss. versiones, ad accuratiores Sacrae Criticae fontes ac leges examinatae, 4 voll., ex Regio Typographeo, Parma 1784-88.

Senza contare il problema enorme che c'è a monte della redazione del tardo TM, e cioè di quei lemmi che – proprio a causa del consonantismo – erano già corrotti prima che tale famiglia si costituisse.


_______________________________
@Talità: per me nessun problema
 
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view post Posted on 9/2/2012, 10:48     +1   -1
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CITAZIONE
"Mi sembra di ricordare che molti ottimi studiosi tendano a soggiornare in Israele, e questo - di per sé - può essere un valido argomento per sostenere che la conoscenza dell'ebraico moderno sia un elemento importante per gli studi biblici in lingua ebraica. E' un dato che tuttavia devo verificare."

Non c'è alcun bisogno di verificare, è vero che molti passano in Israele per soggiorni di studio, e persino le università pontificie offrono la possibilità ai loro studenti di studiare qualche semestre in Israele, ma ciò non è necessariamente dovuto al fatto che studiare l'ebraico moderno sia necessario all'apprendimento dell'ebraico biblico. Infatti ci sono un altro mucchio di cose che un soggiorno in Israele può garantire, in primis la possibilità di fare escursioni archeologiche. Studiare la Bibbia e poter visitare i luoghi dove i fatti si sono svolti può contribuire grandemente alle proprie nozioni di geografia biblica.
C'è poi l'aspetto dell'apprendere una lingua straniera: in ebraico moderno si scrivono delle pubblicazioni, e dunque soggiornare in Israele non sarebbe diverso dal soggiornare in Germania, in Francia, o in Inghilterra per imparare le lingue locali. Non perché esse siano utili allo studio dell'ebraico biblico, ma perché sono lingue nelle quali sono scritte diverse pubblicazioni scientifiche sulla Bibbia. In realtà, non è che sapere l'ebraico moderno giovi a molto, la maggioranza della letteratura scientifica è in inglese perché scritta negli USA, e se qualcuno si sta chiedendo perché gli studi biblici stiano scadendo questo è uno dei motivi. Gli americani non hanno mai avuto una formazione classica decente, e sopratutto non dispongono di una lingua seria che permetta di esprimere pensieri lunghi (Proust non sarebbe mai potuto nascere inglese), al contrario quando le scienze bibliche erano in mano ai tedeschi si respirava un'aria di familiarità, perché chi si dava alle scienze bibliche veniva quasi sempre da una formazione ginnasiale all'insegna del greco e del latino, creando studiosi seri. Ora invece si scrive in inglese per colpa dell'egemonia commerciale degli USA, è uno dei casi dove la bravura dei filologi viene schiacciata dall'imperialismo economico.
Tornando all'ebraico moderno, il suo studio può essere utile per leggere qualche pubblicazione prodotta nelle Yeshivot ad opera dei tradizionalisti, perché le persone che lavorano invece in sedi accademiche scientifiche o scrivono in inglese, perché desiderano essere letti all'estero, oppure fanno tradurre le loro opere in inglese, come i vari Emanuel Tov e I. Finkelstein.

Comunque sia, ribadisco il concetto: non è possibile sostenere che per capire ciò che viene prima, sia necessario conoscere ciò che viene dopo.
Anche il latino s'è usato per secoli, e s'è pure parlato in diverse enclavi, ma non c'era più nessun madrelingua, era a tutti gli effetti una lingua morta. Vi si scrivevano opere di filosofia, di medicina, di matematica, di fisica, ecc., fino all'Ottocento in molte parti d'Europa era la lingua di lezione nelle università. Eppure, ciò non implica che il latino fosse una lingua viva, né il fatto che tutti scrivessero in latino per farsi capire la rendeva tale. E dunque, se qualcuno resuscitasse il latino come lingua viva di uno stato, creando dei nuovi madrelingua di neolatino, quella non sarebbe la lingua latina di Cicerone, bensì la comprensione della lingua di Cicerone che ebbero dei grammatici non madrelingua, e ho già spiegato perché accedere a dei testi non sia sufficiente per conoscere la lingua come la maneggerebbe un madrelingua. Ecco il motivo delle difficoltà e dei dubbi di cui parlava un premio nobel come Agnon, perché le lingue non più parlate, non hanno più in sé l'istintività, e subentra la grammatica che deriva dallo studio, mentre nessuno di noi ha dovuto studiare la grammatica italiana per parlare questa lingua.
Certo questo ipotetico neolatino di cui parlo potrebbe essere estremamente simile al latino di Cicerone, anzi, tanto simile quanto noi capiamo il latino di Cicerone, e sarebbe così perché gli autori di questa lingua si limiterebbero a riproporre la lingua di Cicerone così come la conoscono. Ma questa sarebbe solo un'illusione, perché l'uniformità che noi vedremmo non deriverebbe da una reale somiglianza col latino classico, bensì dal fatto che noi abbiamo modellato questo neolatino su ciò che capiamo del latino classico.
E così è ovvio che se il neolatino fosse costruito sulla base della comprensione del latino classico, esso ci sembrerà simile. Vorrei fare un esempio estremo, per trasmettere il concetto.
Immaginiamo la frase latina:
"Puella aram ornat" (La fanciulla orna l'altare). Ora, se anche i grammatici neolatino non capissero niente di questa frase, perché la loro tradizione sfasata l'ha interpretata come "la donna orna il tavolo", tuttavia, nel neolatino che creerebbero, "puella" vorrebbe dire "donna" anziché "fanciulla", e "ara" vorrebbe dire "tavolo" anziché "altare". E dunque i giovani madrelingua neolatini, figli del nuovo stato col latino resuscitato dai grammatici, avrebbero una lingua in cui "puella" e "ara" avrebbero un significato sfasato rispetto al latino classico. Ma la cosa tragica è che essi leggerebbero i testi del latino classico, dando alle frasi un significato che è perfettamente di senso compiuto perché lo slittamento semantico è stato poco, e tuttavia si ingannerebbero. Quindi, fuor di metafora, il fatto che chi parli ebraico moderno creda di capire in modo trasparente l'ebraico biblico, non è affatto sorprendente, visto che è sulla base di come i grammatici comprendevano l'ebraico antico che s'è costruito quello moderno. Il punto è che, se questi grammatici si ingannavano nella loro attribuzione dei significati alle parole antiche, la comprensione del testo biblico sarebbe illusoria, e dipenderebbe semplicemente dal fatto che questi parlanti dell'ebraico moderno leggendo la Bibbia si rispecchiano in uno specchio deformante costruito da loro stessi.
E dunque, se anche la lingua classica avesse sfumature che si sfuggono, noi vedremmo una somiglianza tra ebraico biblico e moderno solo perché prima c'è l'attribuzione arbitraria di significati al testo biblico, poi, siccome su quella base s'è creata la nuova lingua, è del tutto evidente che i suoi parlanti ritrovino nel testo biblico quei medesimi significati arbitrari che gli erano stati attribuiti. Ovviamente qui non sto dicendo che i significati attribuiti fossero campati per aria, ma solo che l'assenza di madrelingua ha prodotto inevitabili slittamenti di senso su campi semantici circonvicini.
Non so se sono riuscito a spiegarmi perché occorre un minimo di capacità filosofica per seguire quello che ho detto, ma solitamente mi riesce d'essere chiaro.
Riassumendo:
1)La persistenza di testi scritti in ebraico lungo i secoli, così come avvenne per il latino, non rende certo queste lingue meno morte, e sopratutto, la capacità di scrivere in una lingua, non ha nulla a che vedere col problema dell'esistenza di madrelingua. Anch'io so scrivere in inglese ed in francese, ma ciò non mi rende un madrelingua.
2)Il decadimento nella comprensione di una lingua sembra legato a doppio filo con l'esistenza di madrelingua, ma, a detta della logica, e della testimonianza di Agnon, non ne esistevano più.

Ad maiora
 
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Hard-Rain
view post Posted on 9/2/2012, 12:31     +1   -1




Queste considerazioni valgono per la trasformazione della lingua in sè, anche per quelle che si parlano comunemente, e per questo oggi intende "Orlando furioso" non come "folle" - il suo significato originario - ma pensa che sia uno arrabbiato! Oppure uno pensa alla "fortuna" solo in senso positivo e non al suo significato più antico e generale di "sorte" positiva o negativa che sia (v. Machiavelli). Ancora, molte parole sono scomparse per obsolescenza (eziandio, epperò, meco e miriadi di altri parole ed espressioni) o perchè un certo mondo non esiste più (mi viene in mente .... il palafreno!). L'ebraico in un modo o nell'altro s'è sempre parlato, in sinagoga, in famiglia, nelle preghiere, nella trasmissione orale, ovviamente avrà subito nel corso dei secoli le normali trasformazioni alle quali sono soggette tutte le lingue, anche quelle correntemente parlate. Se un ebreo (moderno) non capisce la Bibbia, è come dire che un italiano (moderno) non capisce più la Divina Commedia.
 
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view post Posted on 9/2/2012, 13:05     +1   -1
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CITAZIONE (Hard-Rain @ 9/2/2012, 12:31) 
Se un ebreo (moderno) non capisce la Bibbia, è come dire che un italiano (moderno) non capisce più la Divina Commedia.

Pur condividendo le tue premesse, non condivido affatto la conclusione. La Bibbia che leggono gli ebrei parlanti ebraico (moderno) ha sul groppone una miriade di problemi costruitisi ben prima non solo che qualcuno inventasse lo stato di Israele, ma prima ancora che si costituisse il TM. Molti lemmi del libro di Giobbe, per fare un esempio, sono stati compresi in un modo dai massoreti e in un altro dai traduttori alessandrini, ma a monte cosa c'era? E queste diverse comprensioni hanno avuto delle conseguenze, tali che la parola X nell'ebraico moderno significa Y sulla base della comprensione di un lemma corrotto nel TM. La storia della trasmissione del testo biblico, in altre parole, è assai più ingarbugliata di quella della Commedia, senza contare i 1700 anni di differenza (circa) tra la redazione delle due opere. In ultimo, la Commedia è scritta nella medesima lingua che parliamo oggi, senza che vi sia stata una soluzione di continuità, ma solo la normale evoluzione. Lo stesso non può dirsi per la Bibbia, all'interno della quale ci sono libri scritti sì in ebraico, ma in periodi molto diversi fra loro, e con una enorme soluzione di continuità tra il tempo della loro stesura e quello della riesumazione del cadavere linguistico. Insomma, il paragone proprio non va.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 9/2/2012, 14:25     +1   -1




Non saprei, perchè i parlanti ebraico (moderno) sembrano quasi riferirsi alla normale evoluzione della lingua, rapportandosi all'ebraico biblico e talmudico. Non conoscendo nel dettaglio le problematiche sospendo il giudizio. Del latino sappiamo più o meno come stanno le cose, il greco si parla ancora ma la lingua moderna è ben diversa da quella antica già a partire dal livello morfologico. Bisognerebbe capire, prima, per chi non ha esperienza di ebraico come il sottoscritto, che genere di differenze sussistano e che percentuale rappresentano. Comunque, in generale, ogni lingua è destinata a mutare, anche se i parlanti non si sono estinti: è solo questione di tempo.

QUOTE
la Commedia è scritta nella medesima lingua che parliam
o oggi, senza che vi sia stata una soluzione di continuità, ma solo la normale evoluzione

Penso che per un italiano medio, privo di cultura letteraria, che si trovi davanti il testo e lo legga per la prima volta senza alcuna mediazione (l'insegnante che spiega e contestualizza, per intenderci) vi siano diverse costruzioni e parole poco comprensibili. Anzi, credo che per un ragazzino di prima superiore del giorno d'oggi inizino già a creare difficoltà i Promessi sposi. Ma, appunto, siamo nel campo della normale evoluzione linguistica. Il punto è capire se e come si può parlare di evoluzione linguistica nell'ebraico, che comunque non s'è smesso di parlare, almeno dal periodo masoretico in poi, oppure di ripresa di una lingua in qualche epoca della storia considerata morta.

Edited by Hard-Rain - 9/2/2012, 16:55
 
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view post Posted on 9/2/2012, 18:04     +1   -1
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Ma, appunto, siamo nel campo della normale evoluzione linguistica. Il punto è capire se e come si può parlare di evoluzione linguistica nell'ebraico, che comunque non s'è smesso di parlare, almeno dal periodo masoretico in poi, oppure di ripresa di una lingua in qualche epoca della storia considerata morta

Si creano discontinuità in entrambi i casi. Se l'ebraico si fosse continuato a parlare, l'uso l'avrebbe fatto evolvere. Se invece si fosse interrotto il parlato, come sostiene Agnon, sarebbe avvenuto uno scadimento nella trasmissione della conoscenza, dovuta all'assenza di madrelingua, e dunque la lingua resuscitata sarebbe stata solo la comprensione che i grammatici avevano di quella lingua antica.

CITAZIONE
Bisognerebbe capire, prima, per chi non ha esperienza di ebraico come il sottoscritto, che genere di differenze sussistano e che percentuale rappresentano. Comunque, in generale, ogni lingua è destinata a mutare, anche se i parlanti non si sono estinti: è solo questione di tempo.

Bisognerebbe forse capire anche che non è detto che questa percentuale sia calcolabile. Nella misura in cui l'ebraico moderno è la restituzione di quello che i grammatici ebrei capivano dell'ebraico biblico, è ovvio che l'ebraico moderno s'avvicini molto alla comprensione dell'ebraico biblico che essi avevano. ma il punto è questo. la comprensione dell'ebraico biblico che avevano i rabbini nel medioevo e nell'età moderna, corrisponde alla reale lingua biblica così come veniva percepita dai locutori ebrei coevi alla stesura dei vari libri dell'AT?
E' lecito dubitarne. Esattamente come per il latino, i latinisti moderni non sanno il latino bene come lo sapeva Cesare o Cicerone, ma sanno solo quello che ricavano dai testi latini, e dunque quello che noi conosciamo non è il latino come lo conosceva Cicerone, ma il latino di Cicerone così come lo comprendono i nostri grammatici.
Idem per l'ebraico. Se anche fosse per ipotesi identico all'ebraico biblico (cosa non vera perché molti costrutti non si usano più, come il waw inversivo), tuttavia non sarebbe uguale all'ebraico biblico così come era percepito dagli agiografi estensori dei libri biblici, bensì sarebbe uguale all'ebraico biblico così come era conosciuto e capito dai grammatici ebrei dell'Ottocento e di inizio Novecento.
Teo giustamente diceva che la LXX rende alcune parole con significati differenti da quelli che gli ha assegnato la tradizione rabbinica, e che dunque hanno assunto anche in ebraico moderno. Il che significa che o la LXX traduce da un testo diverso (cosa che spesso avviene), o che i LXX non sapevano tradurre, o che il testo da cui traducevano era uguale ma i LXX vi leggono un significato diverso, significato che poi s'è perso nella tradizione rabbinica.



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Hard-Rain
view post Posted on 9/2/2012, 18:53     +1   -1




CITAZIONE
Teo giustamente diceva che la LXX rende alcune parole con significati differenti da quelli che gli ha assegnato la tradizione rabbinica, e che dunque hanno assunto anche in ebraico moderno. Il che significa che o la LXX traduce da un testo diverso (cosa che spesso avviene), o che i LXX non sapevano tradurre, o che il testo da cui traducevano era uguale ma i LXX vi leggono un significato diverso, significato che poi s'è perso nella tradizione rabbinica.

Giustissimo, ma nel caso delle traduzioni siamo appunto davanti a traduzioni, per cui è perfettamente possibile che i traduttori della LXX piuttosto che Aquila, Simmaco, Teodozione e quanti altri si sono cimentati nell'ìmpresa siano partiti da testi diversi. Oltre, poi, a tutto il problema testuale della LXX rispetto a se stessa.
 
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view post Posted on 22/2/2014, 13:25     +1   -1
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Stavo leggendo un pamphlet di Shlomo Sand, storico israeliano professore a Tel Aviv e a Parigi, e vi ho trovato questa disincantata pagina sulle discontinuità e le differenze tra l'ebraico antico e l'israeliano parlato oggi. M'è tornata in mente questa discussione, e dunque ve ne rendo partecipi:

"Si calcola che prima della Seconda guerra mondiale oltre dieci milioni di persone parlassero uno dei dialetti yiddish. In questo primo scorcio di ven-tunesimo secolo si sono ridotti a qualche centinaio di migliaia, quasi tutti charedim («Timorati di Dio», cioè ortodossi di stretta osservanza). Si può insomma parlare della scomparsa di un’intera cultura popolare. La cultura yiddish è stata annientata, ed è una pia illusione pensare di poterla richiamare in vita, perché è impossibile resuscitare una lingua e una cultura. Il sionismo si è illuso di aver riportato in auge l’ebraico antico e la cultura del «popolo della Bibbia», ma si è trattato più che altro di una mitica ricerca di radici nazionali e di una leggenda inculcata a generazioni di israeliani e sionisti in tutto il mondo.
Molti dei primi teorici dell’idea sionista erano uomini di cultura tedesca, ma la colonizzazione della Palestina è avvenuta soprattutto per mano di pionieri di cultura yiddish giunti dall’Europa dell’Est: la loro lingua madre era il «dialetto marginale» tanto vilipeso dagli israeliti tedeschi, ebrei askenaziti. I coloni che parlavano yiddish non tardarono a mettere da parte la loro tanto disprezzata lingua madre. Innanzitutto occorreva una lingua comune, capace di federare gli ebrei di tutto il mondo, e si dà il caso che né Theodor Herzl né Edmond de Rothschild parlassero una parola di yiddish. In secondo luogo, i primi sionisti aspiravano a forgiare un ebreo di tipo nuovo, totalmente emancipato dall’universo popolare della cultura dei loro genitori e dei loro avi, e quindi immemore dei miserabili villaggi in cui quegli antenati erano vissuti.
Sulla base dei pionieristici esperimenti di alcuni eruditi russi che avevano cercato di modernizzare il testo della Bibbia e delle preghiere, alcuni linguisti di area sionista tentarono di dare vita a una nuova lingua. Il nucleo principale del suo lessico era desunto dai libri della Bibbia, ma si scriveva con caratteri aramaici e assiri (cioè ispirati alla tradizione della Mishnah) di origine non ebraica. La sintassi era fortemente influenzata dallo yiddish e dalle lingue slave e aveva poco a che spartire con la grammatica dell’ebraico biblico. Questa lingua è oggi impropriamente detta «ebraico» (in mancanza di una terminologia migliore dovrò chiamarla così anch’io), ma secondo alcuni linguisti controcorrente, sarebbe più corretto parlare di «israeliano».
La nuova lingua ha preso piede molto prima della fondazione ufficiale dello Stato di Israele, tanto da affermarsi nel giro di breve tempo come la lingua d’uso quotidiano della comunità sionista trapiantata in Palestina. I figli dei pionieri, da cui sarebbe emersa l’élite culturale, militare e politica di Israele nei suoi primi anni di esistenza come stato, crebbero parlando e scrivendo in quella lingua. " (Slomo Sand, Come ho smesso di essere ebreo, Milano, 2013, Rizzoli, pp. 66-67)
 
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Frances Admin1
view post Posted on 27/2/2014, 12:39     +1   -1




Ho dovuto procedere a nuova registrazione poiché non è stato riconosciuto il mio account preesistente.

Io mi trovo sostanzialmente d’accordo con Polymetis. Ciò premesso, sono dell’avviso che il soggiorno per un periodo di tempo abbastanza lungo in Israele possa agevolare, nonché avvantaggiare lo studente di ebraico, quanto lo studente di scienze bibliche. La permanenza a lungo di termine in Israele contribuisce alla maturazione di una prospettiva a 360° delle materie che si vuole padroneggiare. I benefici si intendono estesi ad altri aspetti al di fuori della lingua: geografici, archeologici, storici, ambientali, etc.
Un soggiorno in Israele, ripeto, è un’agevolazione, un privilegio, non una scorciatoia e, soprattutto, non sostituisce la formazione universitaria. Senza dubbio la qualità della formazione dipende dalle capacità e dalle aspettative dei singoli. Non credo per esempio, che luminari come Klasuner e Bickerman si siano mai sentiti a disagio nei confronti dei nativi israeliani per essere stati locutori nativi di dialetti locali.
Non so se sia opportuno proseguire, ho l’impressione che questo topic possa incendiarsi da un momento all’altro. Forse sarebbe più conveniente esportare questi contenuti in un documento formale, magari un e-book scritto a due mani. Cosa ne pensi Polymetis?
 
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view post Posted on 28/2/2014, 10:41     +1   -1
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Io mi trovo sostanzialmente d’accordo con Polymetis. Ciò premesso, sono dell’avviso che il soggiorno per un periodo di tempo abbastanza lungo in Israele possa agevolare, nonché avvantaggiare lo studente di ebraico, quanto lo studente di scienze bibliche.

Sono d'accordo. In particolare l'esercizio che l'ebraico moderno, scritto senza vocali, permette di fare, è di grande aiuto per la lettura. L'avevo constatato io stesso quando frequentai per un anno il lettorato di ebraico moderno a Ca' Foscari.

CITAZIONE
La permanenza a lungo di termine in Israele contribuisce alla maturazione di una prospettiva a 360° delle materie che si vuole padroneggiare. I benefici si intendono estesi ad altri aspetti al di fuori della lingua: geografici, archeologici, storici, ambientali, etc.

Non a caso il Pontificio Istituto Biblico consiglia grandemente ai suoi iscritti di passare un semestre all'Università Ebraica di Gerusalemme, alla Scuola Biblica dei domenicani, o allo Studio Biblico dei francescani.


CITAZIONE
Non so se sia opportuno proseguire, ho l’impressione che questo topic possa incendiarsi da un momento all’altro.

Questa discussione, non so se l'avevi notato, è stata da me aperta nel febbario 2012, e mi sono limitato ad aggiungervi una citazione. Se finora non s'è incendiata, dubito che ciò accadrà.

CITAZIONE
Forse sarebbe più conveniente esportare questi contenuti in un documento formale, magari un e-book scritto a due mani. Cosa ne pensi Polymetis?

Che cosa intendi esattamente? Non credo che il materiale sia sufficiente per trarvi un e-book, che dovrebbe avere decidamente più argomentazioni. Siccome non so se ho capito bene che cosa proponi, vorrei ulteriori informazioni.

Ad maiora
 
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Frances Admin
view post Posted on 1/3/2014, 08:18     +1   -1




CITAZIONE
Che cosa intendi esattamente? Non credo che il materiale sia sufficiente per trarvi un e-book, che dovrebbe avere decidamente più argomentazioni. Siccome non so se ho capito bene che cosa proponi, vorrei ulteriori informazioni.

La mia proposta vale per un discorso generale, prendere in considerazione le lingue classiche e l'ebraico, argomentare i processi di estinzione e confrontarle con le lingue moderne. Qui si è parlato di ebraico, poi qualcuno ha fatto un confronto con greco e latino, l'una è una lingua viva sebbene rivitalizzata e modernizzata, l'altra è una lingua morta, i cui esiti linguistici sono stati le lingue romanze e l'italiano dopo. L'ebraico è una lingua morta resuscitato da un movimento culturale-politico. Non vedo connessioni evolutive tra le tre.
 
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