Studi sul Cristianesimo Primitivo

Esaltazione senza preesistenza: la cristologia originaria

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JohannesWeiss
view post Posted on 14/3/2016, 16:25     +2   +1   -1




Ciao a tutti, vecchi amici e nuovi utenti. Mi riaffaccio qui con piacere (e nostalgia) dopo una vita! E confesso di essere abbastanza sorpreso nel constatare, dalla tagboard (28/2: “un saluto particolare a JW casomai passasse di qua”), che la fede nella mia parusia non è venuta meno nemmeno tra le nuove generazioni, che pure non mi hanno mai veduto. Forse Lc 18,8 era troppo pessimista. :lol:

E con questo esordio nel classico stile apocalittico weissiano, eccoci già entrati nel tema di questo topic, che intende appunto stimolare la discussione intorno alla nascita della cristologia e le sue espressioni più antiche.

A mio avviso non si tratta di una questione particolarmente controversa, in quanto è un giudizio ampiamente diffuso e duraturo quello secondo cui, al di là della varietà di titoli impiegati (Cristo, Signore, Figlio di Dio, Figlio dell’uomo), praticamente sin dall’inizio vi furono due linee cristologiche fondamentali:
- la cristologia dell’esaltazione (cfr. Rm 1,3-4; At 2,32-36; 5,30-32; 13,31-32);
- la cristologia della parusia (cfr. 1 Ts 1,10; 1 Cor 16,22; Did 10,6; Ap 22,20; detti sinottici sulla venuta del FdU, ad es. Mc 8,38; 13,26-27; 14,62; con quest’ultimo che riunisce entrambe le linee).

[Come prova dell’affermazione secondo cui il riconoscimento di tale duplice cristologia originaria è comune tra gli studiosi ormai da molti anni, rimando ai seguenti testi: R. Schnackenburg, “Cristologia del Nuovo Testamento” in: J. Feiner – M. Löhrer, cur., Mysterium Salutis. Vol. 5: L’evento Cristo, Brescia, Queriniana, 1971, pp. 318-336; J.D.G. Dunn, “Christology” in: D.N. Freedman, The Anchor Bible Dictionary. Vol. 1, New York, Doubleday, 1992, p. 983; R.E. Brown, Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1995, 111-116; G. Jossa, Dal Messia al Cristo. Le origini della cristologia, II ed., Brescia, Paideia, 2000, pp. 124-171].

Dal momento però che ci sono buone ragioni per ritenere che la cristologia della parusia, per quanto antichissima, presupponga già quella dell’esaltazione e che non sia mai esistita senza di essa, proporrei di concentrare la nostra attenzione soprattutto sulla prima, che pertanto – a mio avviso – può a buon diritto essere considerata la cristologia originaria della chiesa primitiva.

Come tale viene in effetti presentata anche in un manuale introduttivo alla cristologia sistematica, di un importante teologo cattolico della Gregoriana scomparso qualche anno fa, il gesuita belga Jacques Dupuis, di cui riporto un’ampia citazione, non perché sia particolarmente autorevole, ma semplicemente perché mi sembra una buona sintesi.

CITAZIONE
“La cristologia del kerygma primitivo è una cristologia pasquale, incentrata sulla risurrezione e glorificazione di Gesù ad opera del Padre. La sua esaltazione è un’azione di Dio, su Gesù, in nostro favore. E’ Dio che risuscita Gesù dai morti, che lo glorifica, lo esalta, che lo costituisce Signore e Cristo, Capo e Salvatore.
[…] La risurrezione è per Gesù l'inaugurazione di una condizione del tutto nuova. Egli entra nella fine dei tempi e nel mondo di Dio [...] E' importante notare che in questo stadio primitivo della cristologia non si afferma che Gesù, tramite la sua risurrezione, ritorna alla gloria che possedeva con Dio prima della sua vita eterna. Infatti non si pensa ancora alla 'pre-esistenza' di Gesù e all'incarnazione del Figlio eterno di Dio.

[...] La cristologia del kerygma primitvo è essenzialmente soteriologica: il suo discorso su Gesù è incentrato sul significato che questi ha per la salvezza degli uomini. [...] In altre parole, la cristologia primitiva è decisamente 'funzionale', dal momento che definisce l'identità di Gesù partendo dalle funzioni che, nel suo stato glorificato, egli esercita nei nostri confronti. Il mistero della sua persona, la sua più profonda identità rimane ancora nascosta e sarà solamente evidenziata dalla riflessione successiva.

[...] Concludendo, la cristologia del primitivo kerygma può dirsi 'primitiva' in quanto riflette la comprensione cristiana più antica di Gesù. Gli sviluppi successivi […] la cristologia del Prologo e del Vangelo di Giovanni […]non ne cancelleranno o annulleranno il significato e la validità attuale per noi, poiché evidenzieranno soltanto le implicazioni di quanto viene già detto a proposito di Gesù nel kerygma primitivo. [...] Il messaggio essenziale e decisivo è stato già annunziato agli inizi poiché, in ciò che Dio ha fatto sì che Gesù fosse per noi, è già implicata la vera identità della sua persona, anche se rimane nascosta e dovrà essere svelata”.

(Jacques Dupuis, Introduzione alla cristologia, Casale Monferrato, Piemme, 1993, 88ss.)

Ecco, lasciando magari da parte le ultime righe di stampo un po’ teologico (è discutibile infatti, sotto il profilo storico, ritenere che gli sviluppi successivi fossero già virtualmente contenuti nella comprensione iniziale), penso che la discussione possa proficuamente concentrarsi sull’affermazione:

“E' importante notare che in questo stadio primitivo della cristologia non si afferma che Gesù, tramite la sua risurrezione, ritorna alla gloria che possedeva con Dio prima della sua vita eterna. Infatti non si pensa ancora alla 'pre-esistenza' di Gesù e all'incarnazione”

E’ un’affermazione condivisibile? E’ vero che negli anni in cui trovava espressione la cristologia dell’esaltazione ancora non si pensava a Gesù come a un essere preesistente e incarnato?

Una precisazione: parlare di “esaltatazione-senza-preesistenza” non equivale a dire “non-divinità”, dal momento che è possibile ritenere che l’esaltazione di Gesù significasse una partecipazione alla Signoria universale di Dio e quindi in un certo senso, funzionalmente, un'inclusione di Gesù nell'identità dell'unico Dio (da questo punto di vista la cristologia dell’esaltazione è “dal basso”, ma nient’affatto “bassa”!). Analogamente, parlare di un Cristo preesistente (e incarnato) non significa necessariamente farlo in termini di divinità, dato che è possibile pensarla come preesistenza di un angelo.
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 15/3/2016, 14:32     +1   -1




Direi che quest'inno antichissimo e prepaolino basti a fugare i dubbi

"Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."

(Fil 2,6-11)

È un inno che evidentemente professa una Fede nella preesistenza del Verbo, pertanto non c'è affatto bisogno di aspettare i tempi del Vangelo di Giovanni per arrivare alla cristologia della preesistenza, che per quanto mi riguarda è sempre stata parte della comunità primitiva fin dalle esperienze subito posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 15/3/2016, 18:07     +1   +1   -1




CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 15/3/2016, 14:32) 
Direi che quest'inno antichissimo e prepaolino basti a fugare i dubbi

"Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."

(Fil 2,6-11)

È un inno che evidentemente professa una Fede nella preesistenza del Verbo, pertanto non c'è affatto bisogno di aspettare i tempi del Vangelo di Giovanni per arrivare alla cristologia della preesistenza, che per quanto mi riguarda è sempre stata parte della comunità primitiva fin dalle esperienze subito posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto.

Ciao Sant'Antanasio, certamente Fil 2,6-11 è un passo estremamente rilevante per la nostra discussione. Prima di proseguire però dovrei invitarti, per regolamento, a presentarti nell'apposita sezione "Presentazione, regolamento, dialogo con lo staff".

Venendo invece all'inno di Filippesi, anzitutto mi sembra doveroso evitare di parlare di "incarnazione del Verbo". Nel nostro testo non si parla affatto di Verbo/Logos (e nemmeno di Sophia) ed è ovviamente sbagliato leggere un inno pre-paolino (o anche paolino) importandovi la cristologia del prologo giovanneo. Per cui direi di limitarci a parlare di preesistenza o di Cristo come essere preesistente, salvo naturalmente che uno voglia offrire argomenti per una più precisa identificazione, ad es., tra le varie proposte dagli studiosi in passato e in anni recenti:
- una figura redentrice di tipo gnostico (R. Bultmann),
- la Sapienza (D. Georgi, E. Schweizer, K.J. Kuschel),
- l'angelo di YHWH (C. Gieschen, B. Ehrman),
- nuovo/anti-Adamo preesistente (M. Casey, R.E. Brown [?]),
- nuovo Adamo senza preesistenza (J. Murphy O'Connor, J.D.G. Dunn, M. Hooker).

Detto questo, vorrei porre due importanti questioni che impediscono di chiudere precocemente la nostra discussione con il semplice ricorso a Fil 2,6-11.

1. Abbiamo davvero le idee di preesistenza e incarnazione?
Fil 2,6-11 è un inno di difficile interpretazione, e la traduzione della CEI 1978 sopra riportata può apparire discutibile in vari punti. Per farcene una primissima idea basta già confrontare il diverso modo con cui viene reso il v. 6 nella nuova traduzione CEI 2008: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio".
In particolare, essere nella condizione di Dio non è la stessa cosa che essere di natura divina, così come essere come Dio non è la stessa cosa che essere uguale con/a Dio, specialmente se tale "tesoro geloso / privilegio" (harpagmos) viene inteso non come qualcosa che Cristo possedeva già ma che non volle trattenere gelosamente per sé, bensì come qualcosa che Cristo non possedeva ma che non volle comunque considerare un bene da estorcere o rapinare - un senso questo (οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εῖναι ἴσα θεῷ = non considerò l'essere come Dio un bottino da rapinare) non adottato da nessuna delle due versioni CEI, ma comunque perfettamente accettabile sul piano grammaticale.
Per farla breve, nel solo v. 6 abbiamo due o tre espressioni altamente controverse tra gli esegeti quanto alla corretta interpretazione:
1. μορφὴ θεοῦ: natura divina? condizione/sfera/modo di essere di Dio? forma esteriore percepibile di Dio? gloria di Dio? immagine di Dio?;
2. οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο: non considerò "X non-posseduto" qualcosa da rubare? non considerò "X posseduto" alla stregua di un furto o comunque qualcosa da tenere gelosamente per sé?;
3. τὸ εῖναι ἴσα θεῷ: l'essere uguale a Dio? l'essere come Dio?

E a seconda di come si interpreta il v. 6 anche il modo d'intendere il v. 7 può variare significativamente: prendere la forma/condizione di servo, ovvero divenire simile agli uomini ed essere "trovato" in tale aspetto, implica necessariamente un'incarnazione umana a partire da un precedente stato celeste? O può invece essere inteso come assumere la condizione caduca e schiava della morte dell'umanità post-adamica, a partire da una condizione terrena di innocenza adamica?


Per fare un esempio più chiaro, nell'inestricabile coacervo di letture contrastanti dell'inno offerte dagli studiosi, una delle più note (e controverse) è l'interpretazione adamica (senza preesistenza) che da oltre 35 anni va sostenendo uno dei maggiori specialisti recenti sia di Paolo che di cristologia NT.ria, l'inglese James Dunn, di cui mi accingo a fare una sintesi (cfr. J.D.G. Dunn, Christology in the Making, London, SCM Press, 1980, 114-121; Id., The Theology of Paul the Apostle, Grand Rapids, Eerdmans, 1998, 281-288):

Come Adamo nella sua innocenza era stato creato ad immagine (εἰκών) di Dio (con il riflesso di gloria e l’incorruttibilità proprie di tale condizione), così Gesù era nella forma (μορφή) di Dio [NB: Dunn insiste che εἰκών e μορφή sono pressoché sinonimi - giudizio su cui gli esegeti sono abbastanza divisi -, e l’autore dell’inno può aver optato per μορφή in quanto meglio si prestava al contrasto con la μορφὴ δούλου del v. 7].
Mentre però Adamo si lasciò sedurre dalla prospettiva di incrementare ulteriormente il proprio status fino a “diventare come Dio” (Gn 3,5: ἔσεσθε ὡς θεοὶ), Gesù si rifiutò di considerare tale “essere-come-Dio” (Fil 2,6: τὸ εἶναι ἴσα θεῷ) qualcosa di cui impossessarsi fraudolentemente o da rapinare (ἁρπαγμός); al contrario, egli scelse di spogliarsi dell’incorruttibilità a cui aveva diritto in virtù del suo essere nella condizione innocente di immagine di Dio, accettando volontariamente quello stato di schiavitù nei confronti della morte nella quale Adamo decadde a causa della sua disobbedienza.
Anziché puntare all’essere-come-Dio, egli volle cioè essere a somiglianza dell’umanità decaduta (ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων) e, in tale forma-simile-all’umanità-decaduta (σχήματι ὡς ἄνθρωπος), umiliare se stesso facendosi obbediente fino alla morte.
E proprio a causa di questo suo atteggiamento antitetico alla condotta di Adamo – e tuttavia solidale con le sue conseguenze – Dio lo ha super-esaltato (ὑπερύψωσεν) dandogli il nome che è al di sopra di ogni altro nome, ovvero insediandolo in una posizione di signoria universale superiore anche alla sua condizione iniziale “nella forma di Dio”, e di fatto ora coincidente proprio con quell’essere-come-Dio che Adamo aveva cercato di rapinare.

Una posizione affine, ma che potrebbe fare la differenza per la nostra discussione, è quella espressa da un altro illustre esegeta britannico di Paolo, Charles Kingsley Barrett, secondo il quale un’originale inno adamico (senza preesistenza) è stato modificato in ottica incarnatoria da Paolo aggiungendo il v. 1 e altro (cfr. C.K. Barrett, La teologia di San Paolo. Introduzione al pensiero dell'apostolo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996, pp. 156-162).
Mentre altri studiosi ancora optano per tenere insieme sia la tipologia adamica sia l'idea di preesistenza: così ad es. M. Casey, From Jewish Prophet to Gentile God, Cambridge, James Clarke, 1991, 112-115 ("Philippians 2.6-11 should be understood in the light of the story of Adam... 'being on a level with God' [isa theo] indicates high status but not full deity... isa overlaps in meaning with k, 'like', used At Genesis 3.5,22 where Adam became 'like' God... Jesus is portrayed as pre-existent... In order to have been in the form of God so that he could choose not to grasp equality with God before he emptied himself and was born in the likeness of men, Jesus must have existed before his birth"); vedi anche l'opzione interpretativa riportata in R.E. Brown, Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1995, 133 ("L'inno può implicare che in origine vi fossero due figure, Cristo Gesù e Adamo, coesistenti e parallele nell'immagine di Dio...").

2. E se anche si tratta di preesistenza e incarnazione, ciò è davvero sufficiente per considerare tale tipo di cristologia originario?
La seconda questione per ora l'accenno e basta, ed eventualmente ci ritorniamo sopra in seguito: anche se vogliamo attenerci all'interpretazione più comune secondo cui l'inno pre-paolino rappresenta effettivamente Gesù come un essere preesistente e incarnato, questo autorizza forse a considerare la cristologia della preesistenza (lasciamo da parte se come nuovo Adamo, angelo o Sapienza) come sostanzialmente co-originaria alla cristologia dell'esaltazione (e della parusia)?
La Lettera alla comunità di Filippi, fondata dallo stesso Paolo circa nel 49-50, viene variamente datata tra il 54 e il 60, ma supponendo – alla luce del contesto parenetico in cui l’inno è inserito – che Paolo stia citando qualcosa che i cristiani di Filippi già conoscono (o in cui comunque possono riconoscersi facilmente) e che presumibilmente avevano appreso da Paolo stesso, è lecito pensare che tale inno possa essere sorto da qualche parte negli anni 40.
Ma sarebbe ragionevole retrodatarla addirittura agli anni 30, parallelamente alle cristologie dell'esaltazione e della parusia?
Il fatto stesso che una cristologia della preesistenza non è sia poi così ampiamente presente e sviluppata (ammesso che vi sia! e anche di questo ne discuteremo...) nelle lettere che Paolo scrive negli anni 50, non consiglia forse di non collocare Fil 2,6-11 troppo indietro?
Meglio ancora: di cosa tratta veramente l'inno? Quale la sua prospettiva centrale? Su cosa si focalizza davvero? Sulla preesistenza o piuttosto sull'abbassamento-esaltazione?
Se guardiamo con attenzione, la preesistenza al v. 6 e l'incarnazione al v. 7 non danno forse l'idea di essere poco più che accennate come un presupposto dell'abbassamento-esaltazione? In altre parole, l'inno non dà forse l'impressione d'essere un'espansione all'indietro di una cristologia dell'esaltazione altrimenti del tutto simile a quella che troviamo nei discorsi degli Atti? E come tale non rivela quindi di essere uno sviluppo secondario, senz'altro significativo eppure ancora solo embrionale, di questa?

Ci ritorneremo.

Edited by JohannesWeiss - 15/3/2016, 21:20
 
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view post Posted on 15/3/2016, 18:52     +1   +1   -1
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Che bello rileggere Weiss!!! Che sorpresa!!! :)
Il tuo post mi regala una sensazione un dejà vu ;)
Bentornato.

All'utente Sant'Atanasio, che ha già toccato un argomento chiave, ricordo che è buona norma presentarsi prima di intervenire in una discussione. Grazie.


Prima di affrontare il tema della pre-esistenza, ci tengo a precisare qual è secondo me un possibile aspetto problematico della citazione di Dupuis: parlare di "kerygma primitivo" inteso come "kerygma della Chiesa primitiva" (hai troncato la citazione, furbetto! :) ) significa appiattire ed uniformare il kerygma della "Chiesa primitiva", laddove potevano ben esistere delle differenze tra le comunità di Paolo, le comunità prima di Paolo e le comunità di Matteo e Luca.
Questo è un punto importante, perché Dupuis - quando afferma che "La cristologia del Prologo e del Vangelo di Giovanni non ha cancellato quella del kerygma della Chiesa primitiva" dipinge uno sviluppo cristologico che parte da un monolitico kerygma di una monolitica Chiesa primitiva (=Gesù risorto e glorificato) fino a giungere all'elaborata e sfaccettata cristologia Giovannea (=Dio che si fa carne). Forse questa tensione non è del tutto giustificata.

E' possibile che già nei primi 20-30 anni dopo la morte di Gesù (siamo quindi nell'alveo della "Chiesa Primitiva") esistessero diverse cristologie, alcune anche teologicamente più siluppate di quelle che troviamo nei sinottici. Per ciò che riguarda Paolo, ad esempio, B. Ehrman ha illustrato bene (a parer mio) la sua proposta di "incarnation christology" nel Capitolo 7 del suo recente libro "How Jesus become God".

In più mi hai incasinato la discussione scrivendo già su Fil. 2, 6-11. E mò?

Ciao,
Talità
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 15/3/2016, 19:23     +1   -1




Sono d’accordo con te, mio buon tardivo Talità, che non sia possibile parlare in modo generalizzato di un progresso cristologico lineare ed uniforme (e del resto possiamo perdonare Dupuis, che sta scrivendo una presentazione sintetica per un volume introduttivo di cristologia).
Sarei tuttavia in disaccordo con l’affermazione secondo cui tutte le cristologie (o semplificando: esaltazione e incarnazione) sono più o meno egualmente antiche.
Questo a mio avviso sarebbe falso. La cristologia dell’esaltazione, al di là delle testimonianze letterarie che abbiamo, è anche dal punto di vista logico la più antica, perché è legata a doppio filo con la morte di Gesù come pretendente messianico e le apparizioni pasquali.
E’ del tutto ragionevole ritenere che i discepoli di Gesù siano giunti prestissimo, praticamente subito, a interpretare le apparizioni del Risorto come segno che Dio aveva vendicato il suo profeta, condannato e irriso come pseudo-messia, costituendolo come figlio di Dio (in senso messianico); conclusione a cui avranno contribuito la rilettura dei Salmi 110 e 2, e forse anche la meditazione sui detti originali di Gesù sul “figlio dell’uomo/simile a uomo” di Dn 7 (con cui non si identificava)che sarebbe giunto presso il trono celeste per ricevere dominio, gloria e regno – avvenimento celeste che avrebbe decretato l’avvento del regno di Dio sulla terra (come ben sai, questo è il modo in cui ritengo che Gesù parlasse del figlio dell’uomo danielico).

E da tale fede nell’intronizzazione messianica celeste di Gesù mediante la risurrezione, si dev’essere passati precocissimamente ad attribuire a Gesù lo status “divino” di Kyrios (in senso funzionale: Gesù non è Dio, ma in quanto intronizzato alla destra di Dio è partecipe della signoria universale di Dio) e parallelamente l’attesa della parusia del Kyrios/Figlio dell’uomo (cfr. 1 Cor 16,22; 1 Ts 1,10; Did 10,6; Ap 22,20; detti sinottici sulla parusia del FdU).
Mi sembra evidente che queste diverse linee o sfumature cristologiche, innescate dalla risurrezione/esaltazione di Gesù, siano strettamente legate l’una all’altra, e – trovando conforto, prima ancora che nella logica, nelle testimonianze letterarie antiche che abbiamo su di esse (do per scontato, oltre all'origine pre-paolina di Rm 1,3-4, anche quella pre-lucana della sostanza di At 2,32-36; 5,30-32; 13,31-32) – si può tranquillamente affermare che tutto questo ce l’abbiamo già negli anni 30.

Non è così per la cristologia dell’incarnazione. Di questa la testimonianza più antica sarebbe appunto l’inno pre-paolino in Filippesi, che abbiamo detto essere ragionevole collocare da qualche parte negli anni 40. Dopodiché abbiamo qualche altre passo qua e là in Paolo che può far pensare alla pre-esistenza (ma secondo me sono attestazioni in buona parte discutibili), e poi, a ridosso della morte di Paolo, quindi negli anni 60, l’inno di Colossesi 1,15-20 (che preesisteva alla lettera). Come dicevo prima, queste testimonianze consentirebbero a mio avviso di affermare che la credenza nella pre-esistenza/incarnazione di Gesù era già presente negli anni 50 e ragionevolmente muoveva i suoi primissimi passi già nei 40. Andare ancora più indietro è gratuito e problematico, per le ragioni che ho accennato sopra.

E poi c'è un altro aspetto importante da sottolineare: se anche Fil 2,6-11 attesta la nascita molto precoce dell'idea di preesistenza di Gesù, siamo però ancora molto lontani dal modo in cui questa viene pensata nel Vangelo di Giovanni.
L’inno non dà affatto l’idea di concepire l’esaltazione di Gesù come se fosse semplicemente un ritorno di Gesù alla condizione che aveva prima – idea che troviamo invece forte-e-chiara nella cristologia giovannea (cfr. Gv 17,5). L’inno testimonia uno stadio di riflessione anteriore (piaccia o meno questa immagine lineare), quello in cui, riflettendo sulla esaltazione di Gesù e la signoria universale con cui egli è stato investito dopo la morte, si conclude – con ragionamenti di tipo apocalittico, per cui le realtà escatologiche esistono già nascoste in cielo, salvo essere rivelate alla fine – che in qualche modo Gesù preesisteva in Dio anteriormente alla sua manifestazione sulla terra.

Per cui, a mio modo di vedere, non è nemmeno così sbagliato identificare un certo sviluppo progressivo, pur nella consapevolezza di tutti gli aspetti di differenziazione e le sfumature del caso: cristologie diverse in comunità diverse, anche in relazione alla localizzazione geografica e soprattutto alla composizione etnica delle stesse, e che non necessariamente progrediscono nello stesso modo, o progrediscono affatto. Ciò concesso, secondo me resta accettabile affermare che all’inizio abbiamo solo le cristologie dell’esaltazione, e subito a rimorchio quelle della parusia, e da lì, nel giro di 10-15 anni, si cominciò a procedere all’indietro con le cristologie della preesistenza e dell’incarnazione, in chiave angelica o di Sapienza

(un discorso un po' diverso andrebbe fatto per l'arretramento cristologico al ministero pubblico e alla nascita che troviamo nella tradizione sinottica, a motivo del carattere conservativo della stessa. La mia sensazione è comunque che le comunità in cui presero forma la tradizione sinottica, le fonti pre-evangeliche e i vangeli stessi, vedessero in Gesù il Figlio di Dio messianico esaltato e non tanto un essere celeste incarnato... per quanto Matteo presenti una interessante identificazione tra Gesù e la Sapienza, e forse anche la Shekhinà... Quello che voglio dire è che una comunità che avesse visto in Gesù soprattutto un essere preesistente, non avrebbe prodotto racconti su Gesù come quelli sinottici, bensì come quello del Vangelo di Giovanni, dove Gesù ha per l'appunto tutta l'aria di un essere celeste disceso sulla terra in sembianze umane).

P.S. Talità, non potevo evitare di cominciare a parlare di Fil 2,6-11, dato che su questo è intervenuto Sant'Antanasio. Ma possiamo naturalmente approfondire... suppongo che tu abbia letto qualcosa in proposito...

Edited by JohannesWeiss - 15/3/2016, 21:49
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 16/3/2016, 09:44     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 15/3/2016, 18:52) 
All'utente Sant'Atanasio, che ha già toccato un argomento chiave, ricordo che è buona norma presentarsi prima di intervenire in una discussione. Grazie.

Mi sono presentato, chiedo scusa per non averlo fatto ieri.

CITAZIONE (Talità kum @ 15/3/2016, 18:52) 
Per ciò che riguarda Paolo, ad esempio, B. Ehrman ha illustrato bene (a parer mio) la sua proposta di "incarnation christology" nel Capitolo 7 del suo recente libro "How Jesus become God".

A dire il vero Paolo rimase sempre rigidamente monoteista, perciò la descrizione che da Erham della Sua cristologia, come se intendesse Cristo come un arcangelo celeste incarnato, mi pare quantomeno inadeguata, e fondata, a mio avviso, sul pregiudizio che la divinitá di Cristo sia stata una convinzione sedimentata nel tempo, come un mito che si sovrappone ad un altro.

Molto francamente gli studi di Lardy Hurtado li trovo molto più completi ed equilibrati nel loro specificare che già nel cristianesimo primitivo Cristo era considerato come Dio.
Naturalmente da lì ad avere chiara la Trinità come l'abbiamo noi oggi ce ne passa, anche perché non avevamo nemmeno modo di descriverLa nel modo corretto (infatti bisognerà introdurre categorie ellenistiche), nondimeno ritengo che pensare che dall'insegnamento degli apostoli e di Paolo sia nato qualcosa che contraddicesse il monoteismo sia sbagliato, e su questo Hurtado ha fatto un gran lavoro.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 15/3/2016, 18:07) 
CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 15/3/2016, 14:32) 
Direi che quest'inno antichissimo e prepaolino basti a fugare i dubbi

"Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."

(Fil 2,6-11)

È un inno che evidentemente professa una Fede nella preesistenza del Verbo, pertanto non c'è affatto bisogno di aspettare i tempi del Vangelo di Giovanni per arrivare alla cristologia della preesistenza, che per quanto mi riguarda è sempre stata parte della comunità primitiva fin dalle esperienze subito posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto.

Ciao Sant'Antanasio, certamente Fil 2,6-11 è un passo estremamente rilevante per la nostra discussione. Prima di proseguire però dovrei invitarti, per regolamento, a presentarti nell'apposita sezione "Presentazione, regolamento, dialogo con lo staff".

Venendo invece all'inno di Filippesi, anzitutto mi sembra doveroso evitare di parlare di "incarnazione del Verbo". Nel nostro testo non si parla affatto di Verbo/Logos (e nemmeno di Sophia) ed è ovviamente sbagliato leggere un inno pre-paolino (o anche paolino) importandovi la cristologia del prologo giovanneo. Per cui direi di limitarci a parlare di preesistenza o di Cristo come essere preesistente, salvo naturalmente che uno voglia offrire argomenti per una più precisa identificazione, ad es., tra le varie proposte dagli studiosi in passato e in anni recenti:
- una figura redentrice di tipo gnostico (R. Bultmann),
- la Sapienza (D. Georgi, E. Schweizer, K.J. Kuschel),
- l'angelo di YHWH (C. Gieschen, B. Ehrman),
- nuovo/anti-Adamo preesistente (M. Casey, R.E. Brown [?]),
- nuovo Adamo senza preesistenza (J. Murphy O'Connor, J.D.G. Dunn, M. Hooker).

Detto questo, vorrei porre due importanti questioni che impediscono di chiudere precocemente la nostra discussione con il semplice ricorso a Fil 2,6-11.

1. Abbiamo davvero le idee di preesistenza e incarnazione?
Fil 2,6-11 è un inno di difficile interpretazione, e la traduzione della CEI 1978 sopra riportata può apparire discutibile in vari punti. Per farcene una primissima idea basta già confrontare il diverso modo con cui viene reso il v. 6 nella nuova traduzione CEI 2008: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio".
In particolare, essere nella condizione di Dio non è la stessa cosa che essere di natura divina, così come essere come Dio non è la stessa cosa che essere uguale con/a Dio, specialmente se tale "tesoro geloso / privilegio" (harpagmos) viene inteso non come qualcosa che Cristo possedeva già ma che non volle trattenere gelosamente per sé, bensì come qualcosa che Cristo non possedeva ma che non volle comunque considerare un bene da estorcere o rapinare - un senso questo (οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εῖναι ἴσα θεῷ = non considerò l'essere come Dio un bottino da rapinare) non adottato da nessuna delle due versioni CEI, ma comunque perfettamente accettabile sul piano grammaticale.
Per farla breve, nel solo v. 6 abbiamo due o tre espressioni altamente controverse tra gli esegeti quanto alla corretta interpretazione:
1. μορφὴ θεοῦ: natura divina? condizione/sfera/modo di essere di Dio? forma esteriore percepibile di Dio? gloria di Dio? immagine di Dio?;
2. οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο: non considerò "X non-posseduto" qualcosa da rubare? non considerò "X posseduto" alla stregua di un furto o comunque qualcosa da tenere gelosamente per sé?;
3. τὸ εῖναι ἴσα θεῷ: l'essere uguale a Dio? l'essere come Dio?

E a seconda di come si interpreta il v. 6 anche il modo d'intendere il v. 7 può variare significativamente: prendere la forma/condizione di servo, ovvero divenire simile agli uomini ed essere "trovato" in tale aspetto, implica necessariamente un'incarnazione umana a partire da un precedente stato celeste? O può invece essere inteso come assumere la condizione caduca e schiava della morte dell'umanità post-adamica, a partire da una condizione terrena di innocenza adamica?


Per fare un esempio più chiaro, nell'inestricabile coacervo di letture contrastanti dell'inno offerte dagli studiosi, una delle più note (e controverse) è l'interpretazione adamica (senza preesistenza) che da oltre 35 anni va sostenendo uno dei maggiori specialisti recenti sia di Paolo che di cristologia NT.ria, l'inglese James Dunn, di cui mi accingo a fare una sintesi (cfr. J.D.G. Dunn, Christology in the Making, London, SCM Press, 1980, 114-121; Id., The Theology of Paul the Apostle, Grand Rapids, Eerdmans, 1998, 281-288):

Come Adamo nella sua innocenza era stato creato ad immagine (εἰκών) di Dio (con il riflesso di gloria e l’incorruttibilità proprie di tale condizione), così Gesù era nella forma (μορφή) di Dio [NB: Dunn insiste che εἰκών e μορφή sono pressoché sinonimi - giudizio su cui gli esegeti sono abbastanza divisi -, e l’autore dell’inno può aver optato per μορφή in quanto meglio si prestava al contrasto con la μορφὴ δούλου del v. 7].
Mentre però Adamo si lasciò sedurre dalla prospettiva di incrementare ulteriormente il proprio status fino a “diventare come Dio” (Gn 3,5: ἔσεσθε ὡς θεοὶ), Gesù si rifiutò di considerare tale “essere-come-Dio” (Fil 2,6: τὸ εἶναι ἴσα θεῷ) qualcosa di cui impossessarsi fraudolentemente o da rapinare (ἁρπαγμός); al contrario, egli scelse di spogliarsi dell’incorruttibilità a cui aveva diritto in virtù del suo essere nella condizione innocente di immagine di Dio, accettando volontariamente quello stato di schiavitù nei confronti della morte nella quale Adamo decadde a causa della sua disobbedienza.
Anziché puntare all’essere-come-Dio, egli volle cioè essere a somiglianza dell’umanità decaduta (ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων) e, in tale forma-simile-all’umanità-decaduta (σχήματι ὡς ἄνθρωπος), umiliare se stesso facendosi obbediente fino alla morte.
E proprio a causa di questo suo atteggiamento antitetico alla condotta di Adamo – e tuttavia solidale con le sue conseguenze – Dio lo ha super-esaltato (ὑπερύψωσεν) dandogli il nome che è al di sopra di ogni altro nome, ovvero insediandolo in una posizione di signoria universale superiore anche alla sua condizione iniziale “nella forma di Dio”, e di fatto ora coincidente proprio con quell’essere-come-Dio che Adamo aveva cercato di rapinare.

Una posizione affine, ma che potrebbe fare la differenza per la nostra discussione, è quella espressa da un altro illustre esegeta britannico di Paolo, Charles Kingsley Barrett, secondo il quale un’originale inno adamico (senza preesistenza) è stato modificato in ottica incarnatoria da Paolo aggiungendo il v. 1 e altro (cfr. C.K. Barrett, La teologia di San Paolo. Introduzione al pensiero dell'apostolo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996, pp. 156-162).
Mentre altri studiosi ancora optano per tenere insieme sia la tipologia adamica sia l'idea di preesistenza: così ad es. M. Casey, From Jewish Prophet to Gentile God, Cambridge, James Clarke, 1991, 112-115 ("Philippians 2.6-11 should be understood in the light of the story of Adam... 'being on a level with God' [isa theo] indicates high status but not full deity... isa overlaps in meaning with k, 'like', used At Genesis 3.5,22 where Adam became 'like' God... Jesus is portrayed as pre-existent... In order to have been in the form of God so that he could choose not to grasp equality with God before he emptied himself and was born in the likeness of men, Jesus must have existed before his birth"); vedi anche l'opzione interpretativa riportata in R.E. Brown, Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1995, 133 ("L'inno può implicare che in origine vi fossero due figure, Cristo Gesù e Adamo, coesistenti e parallele nell'immagine di Dio...").

2. E se anche si tratta di preesistenza e incarnazione, ciò è davvero sufficiente per considerare tale tipo di cristologia originario?
La seconda questione per ora l'accenno e basta, ed eventualmente ci ritorniamo sopra in seguito: anche se vogliamo attenerci all'interpretazione più comune secondo cui l'inno pre-paolino rappresenta effettivamente Gesù come un essere preesistente e incarnato, questo autorizza forse a considerare la cristologia della preesistenza (lasciamo da parte se come nuovo Adamo, angelo o Sapienza) come sostanzialmente co-originaria alla cristologia dell'esaltazione (e della parusia)?
La Lettera alla comunità di Filippi, fondata dallo stesso Paolo circa nel 49-50, viene variamente datata tra il 54 e il 60, ma supponendo – alla luce del contesto parenetico in cui l’inno è inserito – che Paolo stia citando qualcosa che i cristiani di Filippi già conoscono (o in cui comunque possono riconoscersi facilmente) e che presumibilmente avevano appreso da Paolo stesso, è lecito pensare che tale inno possa essere sorto da qualche parte negli anni 40.
Ma sarebbe ragionevole retrodatarla addirittura agli anni 30, parallelamente alle cristologie dell'esaltazione e della parusia?
Il fatto stesso che una cristologia della preesistenza non è sia poi così ampiamente presente e sviluppata (ammesso che vi sia! e anche di questo ne discuteremo...) nelle lettere che Paolo scrive negli anni 50, non consiglia forse di non collocare Fil 2,6-11 troppo indietro?
Meglio ancora: di cosa tratta veramente l'inno? Quale la sua prospettiva centrale? Su cosa si focalizza davvero? Sulla preesistenza o piuttosto sull'abbassamento-esaltazione?
Se guardiamo con attenzione, la preesistenza al v. 6 e l'incarnazione al v. 7 non danno forse l'idea di essere poco più che accennate come un presupposto dell'abbassamento-esaltazione? In altre parole, l'inno non dà forse l'impressione d'essere un'espansione all'indietro di una cristologia dell'esaltazione altrimenti del tutto simile a quella che troviamo nei discorsi degli Atti? E come tale non rivela quindi di essere uno sviluppo secondario, senz'altro significativo eppure ancora solo embrionale, di questa?

Ci ritorneremo.

Ho letto con attenzione tutto il tuo post, caro Johannes, e francamente non sono d'accordo con molte cose.
La cristologia di Paolo è tutta incentrata sulla natura salvifica del sacrificio di Cristo, e dubito serissimamente che Paolo considerasse una creatura, non importa quanto sovraeminente e pura rispetto alle altre, in grado di lavare i peccati del mondo e salvare l'umanità.
Pertanto mi sento di non sottoscrivere per nulla la tesi di Dunn.

Ribadisco che secondo me il problema delle varie cristologie fu un problema di sistematizzazione e descrizione, nel senso che pur ritenendo Cristo Dio, dovevano trovare il modo di descriverLo senza tradire il loro monoteismo, e francamente dubito che un inno come quello di Filippesi, dei primi anni 40, sia potuto sorgere dal nulla a partire da una cristologia del tutto umana o, al più, angelica, in soltanto 10 anni a partire dalla morte di Cristo il 7 Aprile del 30 D.C con il successivo ritrovamento del sepolcro vuoto e le esperienze di Resurrezione.

Troppo, davvero troppo poco tempo, per quanto mi concerne.

Faccio inoltre presente che negli Atti degli Apostoli abbiamo un discorso di Pietro (ragguagliatemi, per piacere, sulla storicità di tale discorso, se potete :) ) che sembra un modello perfetto di Cristologia dell'esaltazione.

Atti 2,32-36

"Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli stesso dice: «Il Signore ha detto al mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi"». Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso".

Questo passo sembra un modello perfetto per una cristologia "umana, troppo umana", eppure, in Atti 3:15, Pietro dice che "avete ucciso l'autore della vita", che è forse l'attestazione più importante e "chiara" della considerazione della divinità di Cristo, ancora più dell'inno di Filippesi, Colossesi, e persino del Prologo Giovanneo, visto che Dio e solo Dio è l'autore della vita, e non ci sono ambiguità in questo.

Non fraintendermi, so che Atti è tardivo quasi quanto il Vangelo di Giovanni, era per dire che anche di fronte a cristologie che sembrano tutto meno che divine in realtà vi troviamo sorprese come quella di Atti 3:15.

Ribadisco che per me la questione era meramente descrittiva e dovuta alla mancanza di categorie adatte per spiegare il mistero col quale erano venuti a contatto, ma le "basi" c'erano tutte.
Detto prosaicamente: non credo che coll'andare del tempo ci si sia "inventati" qualcosa, ma che si sia sviscerato sempre più e meglio il mistero col quale si era venuti a contatto.

E il problema descrittivo, come vediamo in Atti, c'era ed era pressante. Se, infatti, come dice anche Plinio il Giovane nella sua lettera all'imperatore Traiano, i cristiani cantavano lodi a Cristo "come a un Dio", è altrettanto vero che per loro Cristo non era il Padre. Allo stesso tempo, però, non era un "deuteros theos", un secondo Dio, perché si sarebbe ricaduti nel politeismo.

Penso che fosse questo il vero problema, come poter descrivere tutto ciò, e all'epoca erano sprovvisti di categorie adeguate.

Anche perché riflettiamo: nel I sec D.C il monoteismo era radicatissimo, e per un giudeo-cristiano medio dell'epoca era semplicemente impensabile pensare ad altri esseri divini oltre a Dio, con buona pace di Erham.

Edited by Sant'Atanasio - 16/3/2016, 11:37
 
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CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 16/3/2016, 09:35) 
la descrizione che da Erham della Sua cristologia, come se intendesse Cristo come un arcangelo celeste incarnato, mi pare quantomeno inadeguata,

E adesso mi arrabbio. :0005010.gif:
Come sai in questo forum mastichiamo un pò di filologia e critica testuale - oltre ad avere accesso agli indirizzi IP dei forumisti. Esiste(va) un utente che sbaglia(va) regolarmente il nome di Ehrman scrivendo "Erham", e che scrive(va) un gran bene di Hurtado con una forte predilizione per gli argomenti di resurezione e tomba vuota. Queste informazioni, insieme alla sciatta, tardiva ed elusiva presentazione, mi fanno scattare il dito sul ban con segnalazione all'amministrazione di forumfree.
Ti chiedo quindi di scrivere nella sezione presentazioni chi sei e perché hai sentito l'esigenza di scrivere con un diverso nick. Scrivi la verità e la verità ti farà libero. Fino a quel momento, ogni altro intervento sarà bloccato. Grazie.
Ora ritorno a prepare la mia risposta a Weiss.

Ciao,
Talità
 
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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 15/3/2016, 19:23) 
Sono d’accordo con te, mio buon tardivo Talità, che non sia possibile parlare in modo generalizzato di un progresso cristologico lineare ed uniforme

Molto bene. Poiché sei partito subito con l'artiglieria pesante, mettendo una quantità incredibile di carne al fuoco, ho deciso di affrontare questa conversazione cominciando a chiarire i punti generali sui quali ci potremo trovare d'accordo - in modo da approfondire meglio gli eventuali distinguo ed i punti di disaccordo.

Su questa prima citazione ci troviamo d'accordo, a quanto sembra. Vediamo fino a che punto.
Per quanto mi riguarda, il "progresso cristologico lineare ed uniforme" del quale non si può parlare è quello secondo il quale una non meglio identificata "chiesa primitiva" avrebbe predicato un Gesù-Cristo-Messia che si trasformò progressivamente in “un Dio pagano" mano a mano che la dottrina si sviluppava in tempi e luoghi sempre più distanti dall’ambiente palestinese e contaminati dalla cultura greca (questo concetto è ben sintetizzato dal titolo del libro di Casey "From a Jewish prohet to a Gentile God", Westminster John Knox Press, 1992), per cui non ritengo sano considerare la cristologia giovannea come il risultato di uno sviluppo lineare che poggia sui precedenti sviluppi sinottici, influenzata dal pensiero ellenistico delle comunità giudaiche della diaspora. La cristologia Giovannea può avere avuto uno sviluppo separato fondato su un kerigma antico, giudaico, che già afferma la divinità di Gesù (senza per questo essere un Dio pagano).

CITAZIONE
(e del resto possiamo perdonare Dupuis, che sta scrivendo una presentazione sintetica per un volume introduttivo di cristologia).

Dupuis ha scritto una sintesi eccellente. Il problema è che la sintesi rischia di trasformarsi in un paradigma che non tiene conto di importanti dettagli.

CITAZIONE
Sarei tuttavia in disaccordo con l’affermazione secondo cui tutte le cristologie (o semplificando: esaltazione e incarnazione) sono più o meno egualmente antiche.
Questo a mio avviso sarebbe falso. La cristologia dell’esaltazione, al di là delle testimonianze letterarie che abbiamo, è anche dal punto di vista logico la più antica, perché è legata a doppio filo con la morte di Gesù come pretendente messianico e le apparizioni pasquali.

Su questo posso trovarmi d’accordo anch’io. L’argomento del “punto di vista logico” è molto sensato e per me convincente, ma non posso escludere riserve. Innanzitutto perché il mio/nostro punto di vista logico non è necessariamente quello del giudaismo/i dell’epoca, ma soprattutto perché, anche accettando tale processo logico di sviluppo lineare/sequenziale, non saprei dire *quanto tempo* tale sviluppo potrebbe richiedere. Per me potrebbero volerci 5 giorni come 50 anni, a seconda delle categorie di pensiero disponibili. Se l’idea di personificazione di un’entità divina/pre-esistente era già disponibile all’interno del giudaismo negli anni 30-40, è possibile che qualcuno (non tutti) sia giunto assai precocemente a certe elaborazioni cristologiche post-pasquali.

Quindi per me il punto centrale non è capire quale sia il pensiero “più antico”, nel senso del primo pensiero balenato in testa ai testimoni della resurrezione, ma quali cristologie esistessero all’interno della cosiddetta “Chiesa primitiva”. Forse qui servirebbe una digressione per decidere cosa intendiamo per “Chiesa primitiva”.

Per quanto mi riguarda, la chiesa più primitiva possibile può essere considerata quella che venne posta in essere durante il periodo della predicazione apostolica – potremmo dire fino agli anni 50-60 (quando infine morirono anche Pietro, Paolo e Giacomo). In tale “chiesa primitiva” le cristologie potevano essere già piuttosto sfaccettate, e mi sembra che su questo siamo d’accordo.

CITAZIONE
E’ del tutto ragionevole ritenere che i discepoli di Gesù siano giunti prestissimo, praticamente subito, a interpretare le apparizioni del Risorto come segno che Dio aveva vendicato il suo profeta, condannato e irriso come pseudo-messia, costituendolo come figlio di Dio (in senso messianico); conclusione a cui avranno contribuito la rilettura dei Salmi 110 e 2, e forse anche la meditazione sui detti originali di Gesù sul “figlio dell’uomo/simile a uomo” di Dn 7 (con cui non si identificava)che sarebbe giunto presso il trono celeste per ricevere dominio, gloria e regno – avvenimento celeste che avrebbe decretato l’avvento del regno di Dio sulla terra (come ben sai, questo è il modo in cui ritengo che Gesù parlasse del figlio dell’uomo danielico).

Sì, ma ovviamente il punto qui non è ciò che pensava Gesù. Per fare un esempio, se anche Gesù non si fosse identificato con “il figlio dell’uomo” del quale parlava (argomento che di per sé richiede una biblioteca.. o una tesi :) ), ciò non significa che non lo abbiano fatto i suoi discepoli – immaginando quindi un giudice celeste e magari pre-esistente.

CITAZIONE
E da tale fede nell’intronizzazione messianica celeste di Gesù mediante la risurrezione, si dev’essere passati precocissimamente ad attribuire a Gesù lo status “divino” di Kyrios (in senso funzionale: Gesù non è Dio, ma in quanto intronizzato alla destra di Dio è partecipe della signoria universale di Dio) e parallelamente l’attesa della parusia del Kyrios/Figlio dell’uomo (cfr. 1 Cor 16,22; 1 Ts 1,10; Did 10,6; Ap 22,20; detti sinottici sulla parusia del FdU).
Mi sembra evidente che queste diverse linee o sfumature cristologiche, innescate dalla risurrezione/esaltazione di Gesù, siano strettamente legate l’una all’altra, e – trovando conforto, prima ancora che nella logica, nelle testimonianze letterarie antiche che abbiamo su di esse (do per scontato, oltre all'origine pre-paolina di Rm 1,3-4, anche quella pre-lucana della sostanza di At 2,32-36; 5,30-32; 13,31-32) – si può tranquillamente affermare che tutto questo ce l’abbiamo già negli anni 30.

Come ho già scritto, per me questo è un punto di partenza fondamentale. Il fatto che Gesù già possedesse uno status “divino” negli anni 30 (e di questo status ovviamente parleremo) costringe a ripensare i possibili sviluppi cristologici all’interno della “chiesa primitiva”, fondati su categorie del tutto giudaiche.

Sarebbe interessante indagare le differenze tra le diverse cristologie co-esistenti negli anni 30-40, ma non vi è apparente traccia di particolari tensioni cristologiche tra Paolo e Giacomo – mentre abbiamo molte tracce di un’opposizione delle autorità religiose giudaiche nei confronti della chiesa primitiva/nascente (Paolo sia persecutore che perseguitato, Giacomo ed altri lapidati dal sinedrio per trasgressione della Legge, oltre a ciò che troviamo in At. 4:1-22 ; 5:17-42) , forse perché l’accostamento Gesù/Dio si manifestava nelle pratiche devozionali, a partire dalle quali si è verbalizzato e sistematizzato il pensiero cristologico in maniera scarsamente lineare.

Limiti di tempo mi costringono a fermarmi qui.

Ciao (per ora)!
Talità
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 16/3/2016, 12:15     +1   -1




Talità, concordo praticamente in toto col tuo post, solo una cosa

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 11:35) 
Sì, ma ovviamente il punto qui non è ciò che pensava Gesù. Per fare un esempio, se anche Gesù non si fosse identificato con “il figlio dell’uomo” del quale parlava (argomento che di per sé richiede una biblioteca.. o una tesi :) ), ciò non significa che non lo abbiano fatto i suoi discepoli – immaginando quindi un giudice celeste e magari pre-esistente.

Se volessimo dare retta alla tesi Bultmanniana secondo la quale Gesù non si sarebbe mai identificato col Figlio dell'uomo ma che sia un'invenzione degli evangelisti, rimane da spiegare il perché tale espressione non compaia negli scritti di Paolo, spiegazione che, mi pare, ad oggi non sia mai stata data.
Pertanto, dal momento che nella prima comunità non era molto usata come espressione -era chiamato Signore, Cristo o Figlio di Dio- la spiegazione migliore è che tale espressione sia del tutto prepasquale.

Perché un detto così frequente negli scritti evangelici compare così poco nella Tradizione?Forse perché ci si era resi conto che chiamare Gesù "figlio dell'uomo" era riduttivo, dopo le esperienze post pasquali?


Forse perché il Figlio dell'Uomo sarà pienamente manifestato quando sarà glorificato?

Inoltre tu scrivi

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 11:35) 
mentre abbiamo molte tracce di un’opposizione delle autorità religiose giudaiche nei confronti della chiesa primitiva/nascente (Paolo sia persecutore che perseguitato, Giacomo ed altri lapidati dal sinedrio per trasgressione della Legge, oltre a ciò che troviamo in At. 4:1-22 ; 5:17-42) , forse perché l’accostamento Gesù/Dio si manifestava nelle pratiche devozionali, a partire dalle quali si è verbalizzato e sistematizzato il pensiero cristologico in maniera scarsamente lineare.

E anche qui siamo concordi, al che ti chiedo: sei d'accordo con quanto scritto da me sopra, ovvero che i problemi della comunità primitiva relativi a Cristo e alla devozione nei Suoi confronti, erano più che cristologici, descrittivi, nel senso che non avevano le categorie adeguate per descriverLo in maniera chiara e lineare? Secondo me è stato molto sottovalutato questo problema, negli anni, ma spiegare in che modo loro adorassero Cristo come Dio rimanendo monoteisti non deve essere stato facile. Basti pensare a tutto il casino con Ario nel IV secolo inoltrato :)

P.s: l'argomento dell'evidenza dell'accostamento di Cristo a Dio nelle pratiche devozionali è uno dei punti forti di Hurtado, e secondo me è un argomento vincente. ;)

Edited by Sant'Atanasio - 16/3/2016, 12:53
 
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view post Posted on 16/3/2016, 12:57     +1   -1
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CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 16/3/2016, 12:15) 
Se volessimo dare retta alla tesi Bultmanniana secondo la quale Gesù non si sarebbe mai identificato col Figlio dell'uomo ma che sia un'invenzione degli evangelisti, rimane da spiegare il perché tale espressione non compaia negli scritti di Paolo, spiegazione che, mi pare, ad oggi non sia mai stata data.

Perché un detto così frequente negli scritti evangelici compare così poco nella Tradizione?Forse perché ci si era resi conto che chiamare Gesù "figlio dell'uomo" era riduttivo, dopo le esperienze post pasquali?

Tutti questi argomenti sono stati in realtà sviscerati, ma come ho già scritto il problema del "figlio dell'uomo" richiederebbe una trattazione a sé, portandoci OT - quantomeno senza un'accurata contestualizzazione relativa agli obiettivi del presente thread..

CITAZIONE
E anche qui siamo concordi, al che ti chiedo: sei d'accordo con quanto scritto da me sopra, ovvero che i problemi della comunità primitiva relativi a Cristo e alla devozione nei Suoi confronti, erano più che cristologici, descrittivi, nel senso che non avevano le categorie adeguate per descriverLo in maniera chiara e lineare?

Non è detto. E' possibile che le categorie "chiare e lineari" esistessero, ma fossero diverse da quelle che ci piacerebbe ed alle quali siamo abituati. Sono categorie che potrebbero passare per riletture midrashiche di passi veterotestamentari, la cui esegesi è per noi complessa (perché non conosciamo bene come vorremmo il variegato ambiente giudaico del I secolo) ma poteva essere comprensibile per coloro ai quali Paolo e gli evangelisti si rivolgevano. Il punto è che il primo tentativo di esposizione sistematica di pensiero cristologico a noi conosciuto è quello di Paolo, mentre la cristologia degli evangelisti (specialmente i sinottici) può solo trasparire attraverso l'esposizione dei fatti relativi alla predicazione di Gesù.

CITAZIONE
Secondo me è stato molto sottovalutato questo problema, negli anni, ma spiegare in che modo loro adorassero Cristo come Dio rimanendo monoteisti non deve essere stato facile. Basti pensare a tutto il casino con Ario nel IV secolo inoltrato :)

Ah no, sottovalutato no. Ed il "casino di Ario" ci dice solo quanto dovremmo essere cauti nel pensare che la cristologia di Giovanni (Gesù=incarnazione di Dio) fosse pacificamente accettata in seno al cristianesimo.

CITAZIONE
P.s: l'argomento dell'evidenza dell'accostamento di Cristo a Dio nelle pratiche devozionali è uno dei punti forti di Hurtado, e secondo me è un argomento vincente. ;)

E' un ottimo argomento, più o meno vincente a seconda dei casi. Di certo invita ad un approccio più interdisciplinare (=sviluppo del culto) al problema dello sviluppo della dottrina. Perché è legittimo pensare che sia nato prima il culto e poi la dottrina.

Ciao,
Talità
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 16/3/2016, 16:47     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 12:57) 
Tutti questi argomenti sono stati in realtà sviscerati, ma come ho già scritto il problema del "figlio dell'uomo" richiederebbe una trattazione a sé, portandoci OT - quantomeno senza un'accurata contestualizzazione relativa agli obiettivi del presente thread..

Mi faresti un grosso favore se mi indicassi un'opera il più possibile moderna e di valore sulla questione del figlio dell'uomo, che si focalizzi su quello. :)

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 12:57) 
Non è detto. E' possibile che le categorie "chiare e lineari" esistessero, ma fossero diverse da quelle che ci piacerebbe ed alle quali siamo abituati. Sono categorie che potrebbero passare per riletture midrashiche di passi veterotestamentari, la cui esegesi è per noi complessa (perché non conosciamo bene come vorremmo il variegato ambiente giudaico del I secolo) ma poteva essere comprensibile per coloro ai quali Paolo e gli evangelisti si rivolgevano.

Ma secondo me era comprensibile, solo che lo era a livello "intuitivo", ed era enormemente difficile da spiegare.

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 12:57) 
Il punto è che il primo tentativo di esposizione sistematica di pensiero cristologico a noi conosciuto è quello di Paolo, mentre la cristologia degli evangelisti (specialmente i sinottici) può solo trasparire attraverso l'esposizione dei fatti relativi alla predicazione di Gesù.

Come hai detto anche tu non abbiamo notizia di tensioni relative all'interpretazione cristologica di Paolo e quella degli altri apostoli, e Paolo scriveva in un'epoca in cui gli altri apostoli, tra cui Pietro e Giacomo, era vivi, vegeti ed operanti. Pertanto è difficile pensare che Paolo abbia stravolto il loro pensiero, così come è enormemente difficile pensare che Paolo e gli altri apostoli potessero pensare che una creatura -umana o angelica poco importa- potesse redimere l'umanità colla Sua morte.

E nella predicazione di Gesù vediamo che Lui si identifica col Figlio dell'uomo asserendo che (il Figlio dell'uomo) ha il potere di perdonare i peccati sulla terra. E non mi risulta che ci siano gli estremi per liquidare quei passi come invenzioni della comunità primitiva.

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 12:57) 
Ah no, sottovalutato no. Ed il "casino di Ario" ci dice solo quanto dovremmo essere cauti nel pensare che la cristologia di Giovanni (Gesù=incarnazione di Dio) fosse pacificamente accettata in seno al cristianesimo.

Ma infatti le eresie ci sono sempre state. Il punto non è tanto stabilire che ci siano stati cristiani che hanno avuto cristologie antitrinitarie, subordinazioniste eccetera, perché questa è una certezza (che ci siano state), ma cercare di stabilire quale fosse l'insegnamento primigenio degli apostoli. E non mi risulta che il loro insegnamento avvalli quelle tesi.

Ad esempio, l'inno di Colossesi, che dovrebbe risalire agli anni 60 al più tardi, ed inserito nell'omonima lettera (sebbene la paternità paolina di tale lettera sia dubbia il fatto che, in caso, sia stata scritta da suoi discepoli non mi pare che lo sia, e l'inno di Colossesi non sarebbe stato accolto qualora fosse stato in tensione colla cristologia paolina), troviamo scritto, riguardo al Cristo (riprendo uno stralcio dell'inno)

"Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui."

Ora, riprendendo il prologo Giovanneo, notiamo una cosa interessante

"In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste."

Anche qua vediamo che viene posto l'accento non solo sulla divinità di Cristo, ma anche sul Suo essere Creatore. Esattamente come nella lettera ai Colossesi, parecchio più antica.
Pertanto è assai difficile avallare la tesi che vuole Paolo propugnatore di una cristologia senza preesistenza, che de facto significherebbe ridurre Gesù a mera creatura (e ripeto, che fosse il nuovo Adamo, o un arcangelo celeste come dicono i Tdg, non cambia assolutamente nulla), e pensare che Paolo e gli apostoli ritenessero concepibile una redenzione universale ad opera di una creatura mi pare alquanto bizzarro, e i passi di Colossesi e di Filippesi (che ripeto, a questo punto diventano davvero difficili da leggere nell'ottica della cristologia senza preesistenza) lo testimoniano.

Il prologo Giovanneo sembra dimostrare ciò che dicevo prima, ovvero che più si è andati avanti più si è sistematizzata la dottrina relativa alla divinità di Cristo, riuscendo a spiegarla sempre meglio.
Certo, nei passi riportati dall'inno di Filippesi e dal prologo di Giovanni, si potrebbe, forzando le cose, ricavare la dottrina di una divinità intermedia, il deuteros theos, legato alla creazione del mondo materiale. Da Platone in poi, essa era diventata un dato comune a molti sistemi religiosi e filosofici dell’antichità. La tentazione di assimilare il Figlio, “per mezzo del quale erano state create tutte le cose”, a questa entità intermedia era rimasta strisciante nella speculazione cristiana, anche se non nella vita della Chiesa. Ne risultava uno schema tripartito dell’essere: al vertice di tutto, il Padre ingenerato – dopo di lui, il Figlio (e più tardi anche lo Spirito Santo) e infine le creature.

La definizione dell’homoousios, del “genitus non factus”, rimuove per sempre questo problema: è stato un "tradimento" o una sistematizzazione di ciò che era stato creduto da sempre?

Secondo me, anche a livello storico, la risposta giusta è la seconda.
Il fatto, ad esempio, che Cristo sia Mediatore non significa che egli sta tra Dio e l’uomo (mediazione ontologica, spesso intesa in senso subordinazionista), ma che unisce Dio e l’uomo. In lui Dio si fa uomo e l’uomo si fa dio, cioè viene divinizzato. Ma questo come può farlo una creatura? Non può, non potrebbe mai.
Inoltre la tesi secondo cui la Chiesa vedesse Cristo come un "deuteros theos", un demiurgo, inferiore al Padre, va scartata anche perché presupporrebbe una contaminazione da ambienti pagani e contaminati dalla cultura greca, cosa che, come hai ben sottolineato anche tu, non è stata. Riporto il tuo post che spiega bene la questione.

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 11:35) 
Il "progresso cristologico lineare ed uniforme" del quale non si può parlare è quello secondo il quale una non meglio identificata "chiesa primitiva" avrebbe predicato un Gesù-Cristo-Messia che si trasformò progressivamente in “un Dio pagano" mano a mano che la dottrina si sviluppava in tempi e luoghi sempre più distanti dall’ambiente palestinese e contaminati dalla cultura greca (questo concetto è ben sintetizzato dal titolo del libro di Casey "From a Jewish prohet to a Gentile God", Westminster John Knox Press, 1992), per cui non ritengo sano considerare la cristologia giovannea come il risultato di uno sviluppo lineare che poggia sui precedenti sviluppi sinottici, influenzata dal pensiero ellenistico delle comunità giudaiche della diaspora. La cristologia Giovannea può avere avuto uno sviluppo separato fondato su un kerigma antico, giudaico, che già afferma la divinità di Gesù (senza per questo essere un Dio pagano).

In definitiva, per i giudeo-cristiani del tempo Dio era "Dio", non poteva esserci accanto a Dio un "dio" minore, nè tantomeno si possono bypassare le numerosissime attestazioni della divinità di Cristo come se indicassero tutt'altro.
Hai notato l'esempio che ho fatto su Atti 3:15? Poco prima Pietro fece un discorso che sembrava il modello perfetto per una cristologia unicamente umana e di esaltazione, senza preesistenza, e subito dopo, in Atti 3:15, definisce Cristo "autore della vita", ovvero lo identifica con Dio senza il minimo equivoco (a meno di ammettere contaminazioni pagane riguardanti la dottrina del demiurgo, e mi pare che siamo tutti concordi nel dire che oggi sia una tesi storica più o meno tramontata).

Anche Paolo ha di questi problemi, ovvero ci regala passi dalla cristologia elevatissima e poi passi dove sembra limitarsi ad una cristologia "bassa", umana, tuttavia ribadisco che ciò è con ogni probabilità derivato dalle grandi difficoltà nello spiegare il mistero dell'incarnazione.

Se poi, sempre restando su Paolo, vogliamo andare sul "pesante", In Rm 9,5 Paolo scrive "Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen." "


Ora, è vero che qua manca la punteggiatura, tuttavia gli autori antichi applicarono la dossologia quasi sempre al Figlio, ritenendo quindi che fosse il Figlio il "Dio benedetto nei secoli" a cui si riferiva Paolo, ed erano di questo avviso IRENEO, Adversus Haereses, III, 16, 3; IPPOLITO, Contra Noëtum, 6; NOVAZIANO, De Regula Fidei, 13; De Trinitate, 13; TERTULLIANO, Adversus Praxeam, XIII, 9 e XV, 7; CIPRIANO, Testimonia ad Quirinum, II, 6; ATANASIO, In Arianos, 1,10; 4,1; Ep. ad Epictetum, 10; AGOSTINO, De Trinitate, II, 13,23, ID., Le Confessioni, VII, 18; BASILIO, Contra Eunomium, 4; EPIFANIO, Panarion, 57; GREGORIO DI NISSA, Contra Eunomium, 11; ILARIO DI POITIERS, De Trinitate, 8,37; AMBROGIO, De fide 4,6; De Spiritu Sancto 1,3,46; GIOVANNI CRISOSTOMO, Hom. in Rom. 17,3; TEODORO DI MOPSUESTIA, Comm. in Rom. (ad locum); GIROLAMO, Ep. 121, 2; CIRILLO DI ALESSANDRIA, Adv. libros athei Iuliani, 10.

Poi è vero che Paolo si riferiva il più delle volte a Cristo chiamandoLo Signore, ma è altrettanto vero che Signore era uno dei modi di chiamare Dio che ritroviamo spesso anche nell'At, pertanto è lecito pensare che lo facesse per differenziare quando parlava del Padre da quando parlava del Figlio.

Edited by Sant'Atanasio - 16/3/2016, 17:54
 
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view post Posted on 16/3/2016, 17:27     +1   +1   -1
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Meglio spegnersi di colpo che bruciare lentamente

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Al momento non ho riferimenti a portata di mano, ma vorrei comunque portare alla vostra attenzione questa mia considerazione. Secondo me il concetto di pre–esistenza è strettamente legato al riconoscimento della natura divina di Gesù. Nel momento in cui è stata chiara questa visione automaticamente è stato chiaro anche il concetto di pre–esistenza. Diversamente avremmo avuto una pericolosa deriva politeista, con una divinità padre e una figlia. Quindi dal punto di vista storico il riconoscimento di un chiaro accenno alla divinità di Gesù è, secondo me, evidente sintomo di una cristologia della pre–esistenza. Mi riprometto di fare un post più esaustivo sulla questione.

Saluti Astro
 
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view post Posted on 16/3/2016, 17:40     +1   -1
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Rispondo a Sant'Atanasio con i due libri da leggere. Al resto non rispondo perché ci sono troppi OT e troppe imprecisioni, che verranno ovviamente risolte a fronte della lettura dei due seguenti lavori di Casey ed Hurtado:

http://www.amazon.com/Solution-Problem-Lib...s/dp/0567030709
www.amazon.com/Who-this-son-man-Scholarship/dp/0567323315

Un saluto,
Talità
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 16/3/2016, 17:47     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 17:40) 
Rispondo a Sant'Atanasio con i due libri da leggere.

Grazie mille, quei due lavori non li ho letti, li compro subito.

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 17:40) 
OT e imprecisioni

Potresti indicarmi almeno quali sono gli ot e le imprecisioni?

CITAZIONE (astroclipper @ 16/3/2016, 17:27) 
Al momento non ho riferimenti a portata di mano, ma vorrei comunque portare alla vostra attenzione questa mia considerazione. Secondo me il concetto di pre–esistenza è strettamente legato al riconoscimento della natura divina di Gesù. Nel momento in cui è stata chiara questa visione automaticamente è stato chiaro anche il concetto di pre–esistenza. Diversamente avremmo avuto una pericolosa deriva politeista, con una divinità padre e una figlia. Quindi dal punto di vista storico il riconoscimento di un chiaro accenno alla divinità di Gesù è, secondo me, evidente sintomo di una cristologia della pre–esistenza. Mi riprometto di fare un post più esaustivo sulla questione.

Saluti Astro

Concordo assolutamente. Il riconoscimento della natura divina di Cristo presuppone la Sua preesistenza, tuttavia, per evitare la deriva politeistica di cui hai parlato, è necessario assumere anche l'eternità di Cristo.
Il riconoscimento della natura divina di Cristo presuppone sia la Sua preesistenza all'incarnazione sia la Sua eternità, perché anche qualora fosse la prima tra tutte le creature sempre una creatura sarebbe, e ricadremmo nel politeismo, assolutamente inaccettabile per i giudeo-cristiani dell'epoca. Anche i Tdg ammettono, anzi difendono, la preesistenza di Cristo, ma il discrimine è la Sua eternità, senza la quale non vi è divinitá.

E il fatto che a soli pochi anni dalla morte del maestro, degli Ebrei si siano potuti sognare di innalzare un umano all'altezza di YHVH, sarebbe secondo molti la prova del fatto che fu Gesù stesso ad accreditare questa possibilità durante la sua predicazione, pre o post-pasquale. Vale a dire che coloro che Lo conoscevano, e non una tarda e confusa comunità primitiva creatrice di mito, Lo indicavano pari a Dio. Questa è un'esplosione di cui è difficile trovare la miccia qualora si voglia dipingere l'immagine di un Gesù senza pretese che si mette al pari degli altri rabbini, come è andato di moda per molto tempo negli studi storici, addirittura arrivando, dopo 2000 anni, a dire (mi riferisco ad uno storico italiano) che il cristianesimo avrebbe tradito Gesù. L'impossibile miracolo di un ebreo divinizzato da altri ebrei a 20 anni dalla sua dipartita rimanda sia alla straordinarietà di quello che aveva fatto, sia delle sue pretese, con buona pace di Bultmann.

Ritornando a Weiss

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 15/3/2016, 18:07) 
1. Abbiamo davvero le idee di preesistenza e incarnazione?
Fil 2,6-11 è un inno di difficile interpretazione, e la traduzione della CEI 1978 sopra riportata può apparire discutibile in vari punti. Per farcene una primissima idea basta già confrontare il diverso modo con cui viene reso il v. 6 nella nuova traduzione CEI 2008: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio".
In particolare, essere nella condizione di Dio non è la stessa cosa che essere di natura divina, così come essere come Dio non è la stessa cosa che essere uguale con/a Dio, specialmente se tale "tesoro geloso / privilegio" (harpagmos) viene inteso non come qualcosa che Cristo possedeva già ma che non volle trattenere gelosamente per sé, bensì come qualcosa che Cristo non possedeva ma che non volle comunque considerare un bene da estorcere o rapinare - un senso questo (οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εῖναι ἴσα θεῷ = non considerò l'essere come Dio un bottino da rapinare) non adottato da nessuna delle due versioni CEI, ma comunque perfettamente accettabile sul piano grammaticale.
Per farla breve, nel solo v. 6 abbiamo due o tre espressioni altamente controverse tra gli esegeti quanto alla corretta interpretazione:
1. μορφὴ θεοῦ: natura divina? condizione/sfera/modo di essere di Dio? forma esteriore percepibile di Dio? gloria di Dio? immagine di Dio?;
2. οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο: non considerò "X non-posseduto" qualcosa da rubare? non considerò "X posseduto" alla stregua di un furto o comunque qualcosa da tenere gelosamente per sé?;
3. τὸ εῖναι ἴσα θεῷ: l'essere uguale a Dio? l'essere come Dio?

E a seconda di come si interpreta il v. 6 anche il modo d'intendere il v. 7 può variare significativamente: prendere la forma/condizione di servo, ovvero divenire simile agli uomini ed essere "trovato" in tale aspetto, implica necessariamente un'incarnazione umana a partire da un precedente stato celeste? O può invece essere inteso come assumere la condizione caduca e schiava della morte dell'umanità post-adamica, a partire da una condizione terrena di innocenza adamica?

Quella lettura dell'inno di Filippesi, se non erro, è ampiamente minoritaria e meno armonica. Non spiega decentemente infatti perché Gesù dovrebbe afferrare qualcosa che non avrebbe, visto che appena prima s'è detto che l'aveva (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων). Il brano ha senso solo se prima l'autore dice che Gesù era di condizione divina, e, ciononostante, non decise di aggrapparsi a tale stato.

Edited by Sant'Atanasio - 16/3/2016, 21:39
 
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view post Posted on 16/3/2016, 21:47     +1   -1
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Sant'Atanasio, quando fai affermazioni circa quello che dicono gli studiosi - sarebbe opportuno mettere qualche citazione. Deve essere cioè possibile distinguere tra quelle che sono tue opinioni e quelle che sono opinioni di altri (quindi verificabili)

Grazie, Talità
 
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