Studi sul Cristianesimo Primitivo

Vangelo di Tommaso

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Hard-Rain
view post Posted on 11/4/2009, 13:28     +1   -1




Allora faccio una considerazione sul vangelo di Tommaso, visto che l'argomento interessa. Copio incollo una mia relazione del maggio 2007, qui si parla del logion 21 che cito in modo da averlo presente:

Loghion 21 (c) Quando il raccolto fu maturo, lui arrivò subito con una falce in mano e lo mieté. Chiunque abbia due buone orecchie ascolti!

Riporto anche il testo di:

Mc. 4:29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura.

Ho evidenziato i paralleli di campo semantico, una analisi dei parallelismi completa e soddisfacente non è possibile in quanto Marco è in greco nella sua versione più antica, mente di Eu.Thom. abbiamo, per questo logion, solo la versione in copto.

Questo il mio commento, non riporto le note (il materiale è soggetto a COPYRIGHT):

Il loghion 21(c) // Mc. 4:29 contiene una corrispondenza di grande importanza per lo studio del testo del Vangelo di Tommaso e del rapporto che intercorre tra esso e i sinottici. Il v. Marco 4:29 è la parte conclusiva della parabola di Mc. 4:26-29 sul regno di Dio. Si tratta di una delle rarissime sezioni di Marco non comprese né in Mt né in Lc. Questo breve brano, nel contesto del Vangelo di Marco, non è che un corollario della parabola del seminatore riportata in Mc. 4:1-9. Da un punto di vista letterario si nota una notevole somiglianza con la parte conclusiva del loghion 21, ovvero la frase che abbiamo indicato con 21(c), sebbene il contesto del loghion 21 come emerge dai loghia 21(a) e 21(b) sia però diverso da Mc., configurandosi come un ammonimento ai discepoli a non lasciarsi sopraffare dal mondo. La traduzione C.E.I. di Mc. 4:29 che compare in Tabella 1 è sostanzialmente fedele e i vocaboli utilizzati nel testo greco sono effettivamente karpÒj = frutto, raccolto, anche grano, dršpanon = falce, qerismÒj = mietitura, in greco sostantivo maschile. Ora, il testo copto del loghion 21(c) utilizza per frutto o raccolto proprio il termine karpos, la stessa parola utilizzata da Marco, avente sia lo stesso significato che la medesima grafia. karpÒj è peraltro una parola non molto frequente nel NT greco ( ). Ma il loghion 21(c) utilizza anche le parole “falce” e “mietitura”, creando di fatto un gergo identico a quello che si riscontra in Mc. 4:29. Nel testo copto del loghion 21(c) la parola per “falce” è asx, in greco dršpanon ( ). Nel testo copto il raccolto, espresso nel testo greco di Mc. 4:29 con Ð qerismÒj, un sostantivo maschile, dovrebbe essere pte mpwxs ( ). In realtà troviamo in esso af.xas.f cioè: egli raccolse esso (cioè il raccolto). xas viene dal verbo wxs che significa raccogliere, mietere, come nel loghion 73 ( ).

I concetti della mietitura del grano e del suo raccolto sono tradizionali immagini neotestamentarie del giudizio universale. Il mietitore è Dio o Gesù Cristo, il campo da mietere è la terra e il raccolto sono tutti gli esseri che la abitano e che saranno sottoposti al giudizio escatologico. Per questo motivo si trovano concetti simili nei sinottici, espressi però con parole diverse. Ad esempio abbiamo una immagine analoga in Mt. 3:12, in cui però viene utilizzato un vocabolo più specifico come s‹ton (grano, frumento) invece di karpÒj. Questo passo di Mt., che si riferisce al giudizio universale, ammette un parallelo sinottico in Lc. 3:17 utilizzante esattamente gli stessi vocaboli e la stessa struttura grammaticale della frase greca. Una immagine legata alla mietitura come allusione al giudizio universale si trova anche in Ap. 14:14-16. In questo brano visionario, il Figlio dell’Uomo (Gesù Cristo) è seduto su una nube e un angelo gli dice di mietere la messe della terra: “…sulla nube uno stava seduto simile a un Figlio d’uomo; aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata. Un altro angelo uscì dal tempio, gridando a gran voce a colui che era sulla nube: ‘getta la tua falce e mieti; è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura’. E colui che era seduto sulla nuvola gettò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta”. L’allusione, a prima vista, potrebbe proprio essere a Mc. 4:29 o a qualche altro detto gesuano come il loghion 21(c) del VdT. Nel complesso, però, mi sembra di poter sostenere che il loghion 21(c) sia più affine al passo di Marco che non a quelli di Luca e Matteo riguardanti la predicazione di Giovanni Battista o al passo dell’Apocalisse che è stato citato. La versione di cui in Tabella 1 mette in evidenza che, semmai esista, una corrispondenza tra il loghion 21(c) e un passo canonico deve essere ricercata in Mc. 4:29 piuttosto che in Mt. 3:12 o Lc. 3:17. Di fatto, Mc. 4:29 è certamente il v. del Nuovo Testamento che più assomiglia alla frase 21(c) del VdT ( ). A questa conclusione si perviene soprattutto notando la forte coincidenza linguistica tra il testo del loghion 21(c) e Mc. 4:29, sebbene sussista l’ostacolo derivante dal confronto del copto con il greco. In Marco il passo viene interpretato giustamente come un invito a cogliere la parola di Dio – di cui in effetti il Vangelo ha parlato poco prima nella parabola del seminatore – quando questa è matura, dopo che è stata seminata ed è cresciuta. L’interpretazione del loghion 21(c) è di certo più evanescente e meno chiara rispetto al testo di Marco, i loghia che precedono, cfr. 21(a) e 21(b), sono ammonimenti ai discepoli a perseverare e a non lasciarsi sopraffare dal mondo. Dal momento che VdT non parla mai direttamente in alcun loghion di giudizio finale o della fine dei tempi, sembra più verosimile interpretare in questo caso il loghion 21(c) come un invito a cogliere le conoscenze e gli insegnamenti della parola di Gesù, in linea con il passo di Mc. 4:29 la cui interpretazione si discosta da quelle di passi come Mt. 3:12 o Ap. 14:14-16 legati all’immagine del giudizio escatologico.

Se il loghion 21(c) viene messo in relazione con Mc. 4:29 – e non vi sono dubbi a ostacolare questo risultato – lo scenario allora è il seguente. Marco riporta la parabola del seminatore (cfr. Mc. 4:1-9) cui segue la spiegazione della parabola (cfr. Mc. 4:13-24) e, a chiusura di questa parabola, riporta il breve brano Mc. 4:26-29 sul paragone del regno di Dio con la mietitura. Matteo riporta in modo del tutto simile a Marco la parabola del seminatore (cfr. Mt. 13:1-9) quindi spiega la parabola stessa (cfr. Mt. 13:18-23) ma dopo la spiegazione riporta la parabola della zizzania (cfr. Mt. 13:24-30). Ora, la parabola del grano e della zizzania, come si vede chiaramente, non è che una estensione dello stesso concetto espresso in Mc. 4:13-24. Praticamente Matteo ha espanso e sviluppato più a fondo lo stesso discorso di Marco 4:26-29 a corollario della parabola del seminatore. In questa situazione, Luca non apporta alcun “corollario” alla parabola, alla sua esposizione (cfr. Lc. 8:1-8) e successiva spiegazione (cfr. Lc. 8:11-18) non segue alcun altro discorso riguardante la mietitura e il raccolto, a commento e/o integrazione della parabola del seminatore. Siamo ancora davanti a uno dei casi in cui Luca, generalmente più prolisso di Mt e soprattutto di Mc, non riporta nessun brano integrativo, a differenza degli altri sinottici. Forse Luca conosceva la divergenza fra Mt. e Mc., essendo stato composto dopo questi Vangeli, e ha prudenzialmente evitato di rifarsi ad una oppure all’altra tradizione prendendo posizione nei confronti di Mt o di Mc?

Come osservato, la frase del loghion 21(c) sembra provenire direttamente dal breve passo di Marco 4:26-29 o comunque collegata con esso per esserne eventualmente una fonte, da un punto di vista linguistico Mc 4:29 è il passo del NT più simile a VdT loghion 21(c). Quindi l’autore del VdT avrebbe qui effettivamente seguito il testo di Marco o la fonte che ispirò direttamente Marco, in contrapposizione alla versione di Mt (la parabola della zizzania). Questa concordanza, a prima vista, conferisce autorevolezza sia al testo di Mc che all’antichità del loghion di Tommaso. Ma il problema è che l’autore del VdT dimostra di conoscere anche la parabola della zizzania, materiale “speciale” di Matteo, cfr. loghion 57, contenuto esclusivamente in questo Vangelo. Quindi egli conosceva – e con una certa precisione – sia la versione di Marco a chiudere la parabola del seminatore, più scarna e breve, sia la versione più articolata e colorita di Matteo, la famosa parabola del grano e della zizzania. Ovviamente, poi, l’autore del VdT conosceva anche la parabola del seminatore, attestata simultaneamente da tutti i sinottici, cfr. loghion 9. Sembra pertanto di poter concludere da qui che l’autore del VdT conosceva sia Matteo che Marco e quindi è stato composto dopo di essi. L’ipotesi contraria presenta certamente maggiori difficoltà. Ipotizzando che VdT sia stato composto o si sia basato su una fonte indipendente dai sinottici e composta prima di essi, bisogna supporre che questa fonte speciale e antica conoscesse due parabole che per qualche motivo sono state recepite una soltanto da Matteo e una soltanto da Marco a conclusione della spiegazione della parabola del seminatore: le due parabole, antiche e indipendenti, sarebbero state cioè collocate esattamente nello stesso punto in due testi diversi. Inoltre Luca, che conosceva sia la fonte antica che Mt e Mc, avrebbe per qualche misteriosa ragione omesso di riportare non una soltanto ma entrambe queste parabole antiche. Ragionando in termini probabilistici è certamente più soddisfacente la prima spiegazione che vuole la parabola della zizzania una espansione della breve parabola marciana, mentre l’autore del VdT, a conoscenza sia della versione di Mc che di quella di Mt, avrebbe mutuato dai due testi altrettanti detti. Lc, infine, avrebbe omesso entrambe le versioni evitando di prendere posizione per Mt o per Mc.


CITAZIONE
ciò porta a Meier a considerare Ev. Thom. un testo non solo tardo nella sua forma attuale, ma anche dipendente dai sinottici rispetto a quei detti che sembrano antichi. Questo giudizio radicale di Meier tuttavia viene molto criticato.

Mah, sai, quando in un testo risulta che riporti detti che per l'11% si rintracciano nel sondergut di Matteo, per il 7% nel sondergut di Luca, per il 24% in Matteo // Luca (ma non Marco) e per il 33% (vale a dire 1/3 dei logia) non ha alcun parallelo, in più si riesce ad avere forti sospetti che conoscesse Matteo e Marco indipendentemente l'uno dall'altro (vedi il caso del logion 21(c) di cui sopra), si fa fatica a credere che rappresenti chissà quale tradizione indipendente. Piuttosto, io faccio fatica a trovare dei paralleli stringenti con materiale caratteristico del vangelo di Giovanni ed è strano - in teoria -, visto che si dice spesso che Giovanni è un testo quasi gnostico. Io riesco a trovare solo delle possibili affinità con passi di Giovanni in una decina di logia del VdT, ma non a vedere una mutua conoscenza diretta, a meno che non siano stati volutamente cambiati moltissimo nell'uno o nell'altro testo. Ma questa è una peculiarità che non mi sorpende ed è fisiologica e normalissima. Chi, infatti, ha esaminato la letteratura del periodo apostolico studiando di essi le citazioni/allusioni o semplicemente il possibile materiale dei vangeli canonici (io l'ho fatto, parola per parola) sa bene che il vangelo di Giovanni è utilizzato pochissimo fino al tempo di Ireneo di Lione (seconda metà del II secolo d.C.), forse addirittura non conosciuto (nella Apologia I di Giustino abbiamo solo una frase che può essere messa in relazione con Gv. 3:3 o 3:5, e il parallelo non è del tutto convincente in quanto a dipendenza testuale diretta, cfr. Apol. I, LXI, 4). Sappiamo dallo studio della letteratura apostolica e di Giustino che il vangelo che veniva utilizzato e citato o al quale si alludeva era certamente quello di Matteo, che aveva predominanza su tutti gli altri. Per Marco la situazione è più difficile, la filologia lo ritiene essere il più antico, nella realtà risulta non solo pochissimo utilizzato ma abbiamo pochi frammenti antichi, il documento più antico che ne attesta delle sezioni non è che il papiro P45 di Chester-Beatty, dopodichè di passa direttamente al codice vaticano B (questione 7Q5 a parte, naturalmente).

Buona parte del successo che ha avuto il vangelo di Tommaso presso i commentatori moderni deriva dal fatto che i detti sono più brevi e scarni per cui sembra che gli autori dei sinottici abbiano aggiunto del materiale appositamente per piegare le parole di Gesù in un certo senso. Ora, a parte il fatto che le parole di Gesù possono similmente essere state piegate in senso gnostico dall'autore del vangelo di Tommaso, certamente non si può credere che tutto un discorso di Gesù ai discepoli o alla folla si riducesse per esempio a: "Ho appiccato fuoco al mondo, e guardate, lo curo finché attecchisce", punto e basta, oppure abbia parlato in pubblico dicendo: "Quando vedrete uno che non è nato da una donna, prostratevi e adoratelo. Quello è il vostro Padre" e poi se ne siano andato. Sembrano massime, riassuntini di discorsi che dovevano essere ben più complessi e articolati. Non so se la versione "canonica" almeno ci riporti qualcosa di più completo (che l'autore del vangelo di Tommaso avrebbe decurtato per far emergere il suo significato gnostico), certamente è impossibile che uno abbia dialogato soltanto a quel modo. La dottrina della lectio brevis preferenda ha senso, ma c'è un limite a tutto. Alcuni poi, per esempio, considerano che sia più autorevole ad esempio quando, concordando con Luca contro Matteo, parla di "poveri" anzichè di "poveri in spirito" ma dopo le scoperte di Qumran non sono affatto sicuro che Luca e Tommaso abbiano ragione contro la versione matteana.

Edited by Hard-Rain - 11/4/2009, 16:59
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 11/4/2009, 18:45     +1   -1




Ti rispondo con la mia consueta abbondanza e prolissità!

CITAZIONE (Hard-Rain @ 11/4/2009, 14:28)
Ora, la parabola del grano e della zizzania, come si vede chiaramente, non è che una estensione dello stesso concetto espresso in Mc. 4:13-24. Praticamente Matteo ha espanso e sviluppato più a fondo lo stesso discorso di Marco 4:26-29 a corollario della parabola del seminatore.

Non è certo questo il "punto" della tua relazione, però, intanto che ci sono, vorrei esprimere delle riserve sul fatto che la parabola della zizzania sia semplicemente uno sviluppo di quella marciana del seme da sé. Mi sembra invece che il "concetto" delle due parabole sia abbastanza differente (Mc: la presenza dinamica del regno già in atto, e che presto giungerà a maturazione col conseguente giudizio ; Mt: i cattivi non vanno separati dai buoni prima del momento del giudizio). Più che pensare ad una semplice modifica della parabola marciana da parte di Matteo, io sarei incline a pensare che Matteo, disponendo dalla propria tradizione speciale - scritta o orale che sia -, l'abbia preferita - per motivi suoi - a quella che trovava in Marco, collocandola al suo posto e forse adattandola in parte alla sua terminologia (poiché in effetti vi sono vocaboli comuni).
Insomma, come minimo è una questione aperta, su cui i commentatori sono divisi.

CITAZIONE
Forse Luca conosceva la divergenza fra Mt. e Mc., essendo stato composto dopo questi Vangeli, e ha prudenzialmente evitato di rifarsi ad una oppure all’altra tradizione prendendo posizione nei confronti di Mt o di Mc?

Anche questa è una mezza digressione: Hard, ma tu che posizione hai o adotti sul problema sinottico? Qui infatti parli di Luca che conosce Matteo (vedi anche sotto quando parli dell'improbabilità che Luca, per qualche misteriosa ragione, abbia omesso sia la parabola di Mc che quella di Mt). Ciò non corrisponde ovviamente alla teoria delle due fonti, bensì alla cosiddetta ipotesi "Mark without Q" proposta da Goulder e adottata da Sanders.

CITAZIONE
Come osservato, la frase del loghion 21(c) sembra provenire direttamente dal breve passo di Marco 4:26-29 o comunque collegata con esso per esserne eventualmente una fonte, da un punto di vista linguistico Mc 4:29 è il passo del NT più simile a VdT loghion 21(c). Quindi l’autore del VdT avrebbe qui effettivamente seguito il testo di Marco o la fonte che ispirò direttamente Marco, in contrapposizione alla versione di Mt (la parabola della zizzania). Questa concordanza, a prima vista, conferisce autorevolezza sia al testo di Mc che all’antichità del loghion di Tommaso. Ma il problema è che l’autore del VdT dimostra di conoscere anche la parabola della zizzania, materiale “speciale” di Matteo, cfr. loghion 57, contenuto esclusivamente in questo Vangelo.
Quindi egli conosceva – e con una certa precisione – sia la versione di Marco a chiudere la parabola del seminatore, più scarna e breve, sia la versione più articolata e colorita di Matteo, la famosa parabola del grano e della zizzania. Ovviamente, poi, l’autore del VdT conosceva anche la parabola del seminatore, attestata simultaneamente da tutti i sinottici, cfr. loghion 9. Sembra pertanto di poter concludere da qui che l’autore del VdT conosceva sia Matteo che Marco e quindi è stato composto dopo di essi.
L’ipotesi contraria presenta certamente maggiori difficoltà. Ipotizzando che VdT sia stato composto o si sia basato su una fonte indipendente dai sinottici e composta prima di essi, bisogna supporre che questa fonte speciale e antica conoscesse due parabole che per qualche motivo sono state recepite una soltanto da Matteo e una soltanto da Marco a conclusione della spiegazione della parabola del seminatore: le due parabole, antiche e indipendenti, sarebbero state cioè collocate esattamente nello stesso punto in due testi diversi. Inoltre Luca, che conosceva sia la fonte antica che Mt e Mc, avrebbe per qualche misteriosa ragione omesso di riportare non una soltanto ma entrambe queste parabole antiche. Ragionando in termini probabilistici è certamente più soddisfacente la prima spiegazione che vuole la parabola della zizzania una espansione della breve parabola marciana, mentre l’autore del VdT, a conoscenza sia della versione di Mc che di quella di Mt, avrebbe mutuato dai due testi altrettanti detti. Lc, infine, avrebbe omesso entrambe le versioni evitando di prendere posizione per Mt o per Mc.

Qui invece siamo al "punto".
Io non sono convinto che la conclusione che tu trai ("Ev. Thom. conosceva Mt e Mc") s'imponga, e nemmeno sono sicuro che sia nel complesso la soluzione più probabile. Ritengo che più uno è deciso nell'affermare che il vangelo di Tommaso conosceva e utilizzava i vangeli sinottici, e più ha l'onere di trovare una spiegazione al peculiare ordine (o meglio: disordine) in cui il materiale "sinottico" si trova sparpagliato per tutto Tommaso.
Per usare un'immagine: "Se l'autore della collezione avesse effettivamente usato i vangeli sinottici, sarebbe quasi come se avesse tagliuzzato le pagine dei vangeli in un piccolo mucchio di qualcosa di simile ai messaggi cinesi che predicono la sorte, avesse introdotto questi in un bariletto, avesse fatto rotolare bene il bariletto per strada e poi avesse cominciato a estrarre i detti uno alla volta" [L'immagine è citata da: Nicholas Perrin, Tommaso, l'altro vangelo, Queriniana, Brescia, 2007, pp. 35-36, che la impiega nel riferire la posizione di Patterson. Può darsi che sia di Patterson stesso, ma non riesco a (ri?)trovarla].
Credo pertanto che si possa essere d'accordo con Stephen J. Patterson, quando scrive:
"My assumption is that in order to be convincing, a theory of literary dependence must show not just that two texts share a good deal of material in common, but specifically that 1) between the texts in question there is a consistent pattern of dependence, i.e., that one author can be seen regularly to build upon the text of the other, rather than on yet another, shared source (oral or written); and that 2) the sequence of individual pericopae in each text is substantially the same" (S.J. Patterson, The Gospel of Thomas and Jesus, Polebridge Press, Sonoma, 1993, p. 16).
Questa obiezione del (dis)ordine del materiale sinottico in Tommaso, è a mio avviso molto forte e decisiva contro la tesi di una diretta dipendenza testuale di Tommaso nei confronti dei sinottici.
La mia impressione attuale è che il materiale sinottico sia confluito in Tommaso attraverso la tradizione orale. Molto più difficile, invece, è stabilire se questa tradizione orale fosse indipendente o meno rispetto ai sinottici. Forse è possibile che entrambi i casi siano veri: ossia che la tradizione orale confluita in Tommaso comprenda sia detti sinottici trasmessi oralmente (e questo sarebbe il caso di eventuali detti di Tommaso in cui compaiono elementi redazionali dei sinottici) sia detti paralleli a quelli sinottici ma trasmessi oralmente in modo indipendente.

Vediamo ora un caso concreto.
Poco prima del logion 21c di cui stiamo parlando, abbiamo in 21a la nota "parabola del ladro (in realtà io classificherei quest'ultimo come 21b, perché 21a coincide con la parabola dei bambini che si intrattengono in un campo che non è loro, per cui scalando il tuo 21b diventerebbe il mio 21c e il tuo 21c il mio 21d - ma lasciamo pure le cose così, onde non incasinarci troppo).
Riporto di seguito le varie forme in cui il detto è tramandao in Ev. Th., Mt, Lc.

Ev.Th. 21a: "Perciò dico: Se il padrone di casa sa che verrà il ladro, vigilerà prima che venga, e non permetterà che penetri nella casa del suo dominio e gli porti via i suoi beni".
(questa sarebbe la versione tradotta da T. Lambdin riportata nel volume "The Nag Hammadi Library in English" curato da M. Meyer e J. Robinson)
Oppure:
"Per questa ragione dico: Se il proprietario di una casa sa che sta venendo un ladro, continuerà a vigilare prima che egli arrivi. Non gli permetterà di irrompere nella sua casa, parte del suo possedimento, per rubargli i beni".
(questa è invece la traduzione di April DeConick in: The Original Gospel of Thomas in Translation, T&T Clark, New York/London, 2007, p. 110. Ho evidenziato la differenza più significativa, lasciando il carattere tondo. DeConick argomenta così la sua scelta: "H. Quecke and A. Guillaumont trace the odd expression with the double possessive article, literally, 'his house of his kingdom', to a mistranslation of a Syriac propleptic genitive suffix. Since it could also be explained as a Coptic explicative genitive, there is no reason to turn to the Syriac solution. So I have understood and translated it as a Coptic explicative genitive. Thus, 'his house, part of his estate' " (ibidem).

Mt 24,43 (Q): "Ma sappiate questo, che se il padrone di casa conoscesse in quale veglia il ladro viene, veglierebbe e non permetterebbe che fosse scassinata la sua casa. Perciò anche voi siate pronti, poiché nell'ora che non pensate il Figlio dell'uomo viene".

Lc 12,39 (Q): "Ma sappiate questo, che se il padrone di casa conoscesse in quale ora il ladro viene, non si lascerebbe scassinare la sua casa. Anche voi siate pronti, poiché nell'ora che non pensate il Figlio dell'uomo viene".

Ora, la differenza macroscopica che emerge tra la versione di Tommaso e quella di Q è senza dubbio il differente finale: Tommaso non conosce il riferimento al Figlio dell'uomo e in compenso ha un finale più completo. Secondo Koester, la tradizione Q avrebbe amputato questo finale più completo, così da attaccarci il riferimento alla venuta del Figlio dell'uomo. Ora Koester è uno di quelli che sostengono che in generale la tradizione sul FdU è sempre secondaria, una posizione da cui mi dissocio. Tuttavia in questo caso specifico è effettivamente possibile che il riferimento al FdU sia stato aggiunto. Difatti - almeno a mio modo di vedere - il discorso non fila troppo.
Per rendercene conto è bene richiamare un detto simile come Mc 3,27: "Ma nessuno può, entrando nella casa dell'uomo forte, saccheggiare le sue cose, se prima non lega il forte; e allora saccheggerà la sua casa", un detto che viene riportato nel contesto dell'attività esorcistica di Gesù (in particolare della discussione sulla sua vera origine). In questo detto, è chiaro che il saccheggiare è un azione positiva che ha come protagonista il più forte che lega l' "uomo forte".
Ora, la prima parte del detto Q sembra effettivamente sulla stessa onda del detto di Mc: il ladro è l'eroe positivo, il saccheggiare l'azione positiva, e il padrone di casa, evidentemente, non può che essere la figura che giustamente deve essere saccheggiata e per questa ragione deve guardarsi dal saccheggio, ma che, tuttavia, non è in grado di farlo perché non conosce l'ora.
Rispetto a questa prima parte, invece, la seconda sembra quasi dire il contrario: se nella prima parte l'incertezza dell'ora fa sì che il padrone non possa lasciarsi scassinare la casa (con l'implicazione che egli saprebbe vegliare se conoscesse l'ora, ma non conoscendola, non può mica vegliare tutto il tempo), nella seconda, invece, l'incertezza dell'ora è precisamente la causa della necessità di vegliare dei discepoli, e lo scassinamento, ossia l'essere visitati da addormentati, è precisamente ciò che non deve avvenire.
Sono quindi molti i commentatori che vedono nel riferimento al Figlio dell'uomo un'aggiunta secondaria.
Si veda ad es. Francois Bovon, secondo cui: "Abbiamo quindi sotto gli occhi una metafora viva, una parabola originale di Gesù. Prescindendo dall'applicazione secondaria del v. 40, si può supporre, in considerazione dell'immagine inquietante del furto, che Gesù volesse alludere al giudizio di Dio che piomberà in modo inatteso e inesorabile su tutti. La tradizione cristiana si è appropriata di questa parabola, la cui lezione non era esplicita, e l'ha associata subito al giorno del Signore, alla parusia, come testimoniano 1 Tess 5,2 ; Apoc. 3,3 ; 16 ; 15 ; 2 Pt 3,10 e certamente il versetto successivo della pericope Lc 12,40. A mio parere i detti 21 e 103 di Ev. Thom. non sono il risultato tardo di un processo di sottrazione gnostica della sua valenza escatologica" (F. Bovon, Luca 2, Paideia, Brescia, 2007, p. 363).

Morale della favola, la "parabola del ladro" che troviamo in Ev. Th. 21 può costituire la testimonianza di un detto parallelo alla tradizione sinottica, ma trasmesso in modo indipendente da essa.

Infine, dobbiamo notare il legame organico che, nel vangelo di Tommaso, connette le varie parti del logion 21 tra loro, attraverso alcune "parole gancio" (catchwords), che Patterson ha così evidenziato (dal copto, ovviamente, che io non cito non saprendo dove prendere i fonts):

"Allorché verranno i padroni del campo, diranno: "Lasciateci il nostro campo". Essi (saranno) nudi davanti a loro mentre lasciano e restituiscono il campo. Perciò dico: Se il padrone di casa sa che verrà il ladro, vigilerà prima che venga, e non permetterà che penetri nella casa del suo regno e asporti i suoi beni. Ma voi vigilate al cospetto del mondo! Cingetevi i fianchi di grande potenza, affinché i ladri non trovino la strada per giungere fino a voi. Giacché il profitto che aspettate, essi lo troveranno. Ci sia tra voi un uomo giudizioso! Allorché il frutto è maturo, egli viene subito recando in mano la sua falce, (e) lo raccoglie. Chi ha orecchie da intendere, intenda".

Queste "catchwords" (a mio avviso più evidenti nei primi due casi - padrone e vigilare - che non nel terzo - venire)
costituiscono un accorgimento tipico della trasmissione orale.

P.S. mi faccio da solo un'obiezione. Mentre la secondarietà del riferimento al FdU nella tradizione Q 12,39-40, rispetto alla parabola originale di Gesù, è convincente, potrebbe essere in effetti più discutibile l'affermazione che Ev.Th. non conoscesse la forma Q del detto. In effetti, vediamo che il v. 21a è seguito in v. 21b da un detto che in qualche modo potrebbe sembrare un'alternativa gnostica (ma voi vigilate al cospetto del mondo) al finale di Q (siate pronti poiché nell'ora che non pensate il figlio dell'uomo viene). Ciò è possibile...
Tuttavia, ecco una contro-obiezione alla auto-obiezione:
Infatti, come è possibile il caso appena citato, è però anche possibile che tanto Q quanto Ev. Th. abbiamo allungato una enigmatica (e quindi "provocante") parabola di Gesù, con un'applicazione che ne offriva la corretta ermeneutica, in relazione alle rispettive "teologie": l'attesa della parusia in Q, la fuga dal mondo in Ev. Th.
Né l'uno ne l'altro, avrebbero compreso correttamente la parabola di Gesù che, a mio avviso, faceva riferimento al fatto che la venuta piena del regno di Dio (con annesso giudizio), che negli esorcismi di Gesù si stava già manifestando, pur essendo fortemente imminente, non era però determinabile con assoluta precisione (...cf. il detto dove si dice che nessuno conosce il giorno e l'ora...). Per quanto a noi possa apparire bizzarro, l' "esorcista apocalittico" Gesù pensava che se il giorno e l'ora potessero essere determinabili con precisione, le potenze demoniache ostili alla venuta del regno, avrebbero potuto prendere le misure e correre ai ripari. Per cui, seppur imminente, l'ora precisa della venuta del regno doveva essere occulta (o non ancora rivelata).

_______________________________

Comunque, tornando al nostro problema iniziale, ritengo - come ho detto sopra - che per affermare che Ev. Th. dipenda testualmente da Mc, Mt o Lc , sia necessario offrire una spiegazione convincente del modo insensato in cui il materiale sinottico si trova sparpagliato di qua e di là. Chi ha davanti una fonte, se anche è un redattore di manica larga, difficilmente si prende una simile e poco comprensibile libertà.
Altro discorso è invece affermare che Ev. Th. dipenda dalla tradizione sinottica, ma attraverso la trasmissione orale. Questo può essere. Ma ragionando su questa ipotesi, riterrei allora più verosimile, che questa trasmissione orale abbia potuto convogliare sia detti derivati da Mc, Mt e Lc , ma anche detti paralleli trasmessi in modo indipendente. E poi si valuta caso per caso.

Edited by JohannesWeiss - 11/4/2009, 21:11
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 11/4/2009, 19:28     +1   -1




Aggiunta alla risposta precedente in risposta alla tua aggiunta:

CITAZIONE (Hard-Rain @ 11/4/2009, 14:28)
Buona parte del successo che ha avuto il vangelo di Tommaso presso i commentatori moderni deriva dal fatto che i detti sono più brevi e scarni per cui sembra che gli autori dei sinottici abbiano aggiunto del materiale appositamente per piegare le parole di Gesù in un certo senso. Ora, a parte il fatto che le parole di Gesù possono similmente essere state piegate in senso gnostico dall'autore del vangelo di Tommaso, certamente non si può credere che tutto un discorso di Gesù ai discepoli o alla folla si riducesse per esempio a: "Ho appiccato fuoco al mondo, e guardate, lo curo finché attecchisce", punto e basta, oppure abbia parlato in pubblico dicendo: "Quando vedrete uno che non è nato da una donna, prostratevi e adoratelo. Quello è il vostro Padre" e poi se ne siano andato. Sembrano massime, riassuntini di discorsi che dovevano essere ben più complessi e articolati. Non so se la versione "canonica" almeno ci riporti qualcosa di più completo (che l'autore del vangelo di Tommaso avrebbe decurtato per far emergere il suo significato gnostico), certamente è impossibile che uno abbia dialogato soltanto a quel modo. La dottrina della lectio brevis preferenda ha senso, ma c'è un limite a tutto.

Questo tuo argomento è senza dubbio valido nei confronti di quelle ricostruzioni che fanno di Gesù un "laconic sage" (cf. R. Hoover, R. Funk and the Jesus Seminar, The Five Gospels, Harper Collins, San Francisco, 1997, p. 32). E io infatti non mi ritrovo assolutamente con questa linea della ricerca (anche se in Crossan c'è molto di buono).
Ed è mia opinione che, a conti fatti, ciò che si può trovare di antico, e forse pure di indipendente dalla tradizione sinottica, nel vangelo di Tommaso, modifica assai poco l'immagine generale che ricaviamo dai sinottici.
Nondimeno, è giusto dare a Tommaso quel che è di Tommaso (se è suo!), per cui la possibilità che in esso abbiamo a che fare con un ramo antico della tradizione detti di Gesù, anche solo parzialmente indipendente dai sinottici, deve essere valutata spassionatamente (lasciando perdere le esagerazioni di chi pensa ad una rivoluzione generale del paradigma delle origini cristiane, con la tradizione sapienziale di Q1 - il presunto strato redazionale sapienziale più antico di Q - e di Ev. Thom., che scalzerebbe la tradizione escatologico-apocalittica dal primo posto).

________________________________

Stavo inoltre pensando al detto 14b: "Quando entrate in qualche regione e camminate per la campagna, se vi accolgono, qualunque cosa vi servano, mangiate! Coloro che sono ammalati tra di loro, guariteli!
(Così la traduzione di DeConick dal copto: "When you enter any district and walk around the countryside, if they take you in, whatever they serve you, ea! The people among them who are sick, heal!").

I paralleli sinottici di questo logion sono:

Lc 10,8-9 (Q): "E in qualunque città entriate e vi accolgano, mangiate ciò che vi sarà posto davanti e curate gli infermi che sono in essa".

Mt 10,8 (Q): "Curate gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demoni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".

E' chiaro che il parallelo più prossimo è quello di Luca. E tuttavia, rispetto ad esso, il detto di Tommaso ha una sua originalità. Si parla infatti di entrare in regioni o distretti e di camminare per la campagna. Ora, io non ritengo che sia necessario parlare di una contrapposizione Lc/Ev. Th. del tipo città/campagna: sappiamo infatti benissimo che con città si potevano tranquillamente intendere dei villaggi. Possiamo quindi ritenere entrambe le tradizioni plausibili con l'ambiente entro cui si muoveva Gesù.
Ma quello che davvero importa è il fatto che la variante di Tommaso (con "regioni/distretti" e "campagna") non può essere spiegata come una modifica del vangelo di Luca in direzione gnostica. La variante non ha assolutamente nulla di gnostico. La comunità a cui possiamo attribuire la redazione del vangelo di Tommaso era con ogni probabilità una comunità stanziale, di asceti e mistici, che di certo non andavano in giro per le campagne o per i villaggi. Non è possibile pensare che una modifica alle "città" di Luca, nei "distretti e campagne" del logion 14b potesse rientrare nei loro interessi.
Pertanto è decisamente da preferirsi che il detto 14b di Ev. Th. sia frutto di una trasmissione orale di detti di Gesù, parallela ma indipendente rispetto a quella sinottica.

Edited by JohannesWeiss - 12/4/2009, 02:30
 
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Hard-Rain
view post Posted on 12/4/2009, 09:16     +1   -1




Johannes, causa Pasqua faccio solo una piccola osservazione, poi semmai tornerò sull'altra discussione. Il punto è che questo vangelo di Tommaso conosce non pochi detti che si rintracciano nel sondergut di Matteo, nel sondergut di Luca e persino - con il segmento 21(c) - in Marco soltanto (ma non negli altri due). In più aggiunge detti che o sono ignoti (se non attraverso questo vangelo) o sono effettivamente citati da alcuni padri della Chiesa. Mi domando come sia possibile che questo autore conosca così tante tradizioni orali. Si dice che il sondergut di Matteo costituisce quel materiale - orale o scritto - che conosceva la comunità di Matteo ma non quella di Luca o altre tradizioni. Viceversa il sondergut di Luca è materiale peculiare della scuola presso cui quell'evangelista si era formato. Questo autore del vangelo di Tommaso quanti dettagli conosceva? Oltre a conoscere la fonte Q (cita infatti anche molto materiale di Mt. e Lc. non presente in Mc.). A parte Giovanni, dà prova di conoscere moltissime tradizioni indipendenti e il fatto è assai interessante.

Per quanto concerne il vangelo di Luca, tendenzialmente sono per il modello 2Q ma mantengo aperta la possibilità che Luca sia posteriore a Marco e Matteo. Innanzitutto è veramente incredibile quella frase di cui in apertura del vangelo: "Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi". E quanti testi circolavano quando Luca scriveva? Mi sono anche chiesto se il verso inziale non contenesse un misunderstanding. Il verbo che Luca usa è anatassô che significa "comporre, ordinare", ma anche "ripetere, recitare". Sfortunatamente un simile verbo è usato solo qui in tutto il Nuovo Testamento. Luca non dice espressamente che qualcuno ha scritto, ma usa quel giro di parole. Tuttavia, al v. 1:3 dice che "anche lui" ("kamoi" = crasi di "kai emoi") ha deciso di fare ricerche e scrivere (qui usa il verbo "grafô" = "scrivere"). Il parallelismo, in altre parole, mi sembra dirci che in 1:1 appunto Luca intendesse fonti scritte. E' interessante anche notare come Luca sia il vangelo più letterario di tutti, secondo gli studiosi corregge continuamente le fonti che usa risp. a Marco e/o Matteo, anche da un punto di vista letterario, mentre gli altri due sinottici hanno un testo meno letterario e più vicino a quella che doveva essere la lingua vernacolare. Un certo lavorio di Luca, anche a livello letterario, si nota. La sua dichiarazione di aver fatto anche ricerche approfondite potrebbe giustificare il fatto che abbia selezionato determinate fonti e sospeso il giudizio su alcune parti di Matteo che non lo convincevano. Poi, rimarrebbe da stabilire quale versione del vangelo di Matteo egli conoscesse nel momento in cui scrive, cioè se Matteo ha subito delle espansioni posteriori al momento in cui Luca compose il suo vangelo (qui occorrerebbero studi approfonditi).
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 12/4/2009, 13:16     +1   -1




CITAZIONE (Hard-Rain @ 12/4/2009, 10:16)
Johannes, causa Pasqua faccio solo una piccola osservazione, poi semmai tornerò sull'altra discussione.

Ma certamente! E intanto che ci siamo...buona Pasqua a te, e a tutti gli altri utenti di buona volontà che seguono questa verbosa discussione.
Magari - diciamo dopo Pasquetta - potresti trasferire in appositi topic sia il precedente scambio sulla questione delle errate attese escatologiche di Gesù e Paolo (attualmente sepolta dal dialogo su Ev. Thom.), e questa discussione sul vangelo di Tommaso. Che so... puoi intitolarle "Escatologia imminente: Gesù e Paolo si sono sbagliati?" e "Vangelo di Tommaso: una tradizione indipendente?"...oppure vedi tu!

CITAZIONE
Il punto è che questo vangelo di Tommaso conosce non pochi detti che si rintracciano nel sondergut di Matteo, nel sondergut di Luca e persino - con il segmento 21(c) - in Marco soltanto (ma non negli altri due). In più aggiunge detti che o sono ignoti (se non attraverso questo vangelo) o sono effettivamente citati da alcuni padri della Chiesa. Mi domando come sia possibile che questo autore conosca così tante tradizioni orali. Si dice che il sondergut di Matteo costituisce quel materiale - orale o scritto - che conosceva la comunità di Matteo ma non quella di Luca o altre tradizioni. Viceversa il sondergut di Luca è materiale peculiare della scuola presso cui quell'evangelista si era formato. Questo autore del vangelo di Tommaso quanti dettagli conosceva? Oltre a conoscere la fonte Q (cita infatti anche molto materiale di Mt. e Lc. non presente in Mc.). A parte Giovanni, dà prova di conoscere moltissime tradizioni indipendenti e il fatto è assai interessante.

Questa è una buona obiezione. Come cavolo faceva Ev. Thom. ad essere a conoscenza di un po' di tutti i rami della tradizione su Gesù (Mc, Q, M, L - lasciamo in sospeso Gv) ??? Eh, non c'è che dire è un'obiezione forte, come forte è quella dell' (dis)ordine in cui tali detti simil-sinottici compaiono in Tommaso, e che rende molto inverosimile che egli avesse di fronte a sé gli scritti di Mc, Mt e Lc.
Continuando a ragionare sull'ipotesi di cui parlavo, potremmo pensare - come ho detto - che la tradizione orale che gradualmente ha dato origine a Tommaso (DeConick vede in Ev.Th. un "rolling corpus", formatosi a partire da un nucleo antico di detti di Gesù, accresciutisi col tempo di nuovi detti, parallelamente alle crisi e agli sviluppi che la comunità che ne era portatrice veniva man mano ad attraversare, il tutto in un processo di continuo interscambio tra trasmissione orale e stesura scritta dei detti, sempre finalizzata alla trasmissione orale), convogliasse sia detti paralleli sinottici ma indipendenti, sia detti presi dai vangeli sinottici scritti (DeConick invece contempla solo la prima opzione, non la seconda). Non dovremmo infatti pensare che la composizione dei vangeli scritti costituisca la fine della tradizione orale. La cultura dell'epoca aveva una carattere predominantemente orale, anche quando ci si avvaleva di testi scritti. La tradizione orale continuò perciò ancora a lungo.
Però a questo punto bisognerebbe condurre un lavoro esaustivo di analisi, un compito in definitiva precluso dall'ostacolo del copto, insormontabile per noi comuni mortali e forse anche per mezzi-immortali come Hard o Frances!
Intanto che ci siamo, cito come una suggestiva alternativa di soluzione, quella elaborata da Nicholas Perrin nella sua dissertazione di dottorato Thomas and Tatian, e, a un livello più popolare, in Thomas, the other Gospel, pubblicato anche da noi come: Tommaso, l'altro vangelo, Queriniana, Brescia, 2007.
Perrin risolve (o crede di risolvere) il problema del (dis)ordine dei detti simil-sinottici in Tommaso, attraverso la tesi che Ev. Th. si basi sul Diatessaron di Taziano (spostando per ciò là composizione di Tommaso molto in là, alla fine del II secolo). Recensioni di questi suoi lavori si trovano qui: http://www.bookreviews.org/pdf/2967_3057.pdf ; http://www.bookreviews.org/pdf/5983_6370.pdf .


CITAZIONE
Per quanto concerne il vangelo di Luca, tendenzialmente sono per il modello 2Q ma mantengo aperta la possibilità che Luca sia posteriore a Marco e Matteo.

Che sia posteriore, è ok. Ma nella tua relazione del 2007 sembravi dire non solo che fosse posteriore a Matteo, ma che conoscesse Matteo. E che Lc conoscesse Mt , di norma, non è contemplato nella teoria delle due fonti (pena il venir meno del bisogno di postulare Q). Forse, su questo punto specifico, hai nel frattempo cambiato idea?
 
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Hard-Rain
view post Posted on 12/4/2009, 13:36     +1   -1




Il vero problema è capire quale versione di Matteo circolasse a quel tempo. Io sono sicuro di una cosa: non solo rispetto a Marco ma anche rispetto a Luca il vangelo di Matteo è stato indubbiamente quello più utilizzato - nelle citazioni e nelle allusioni - nel periodo apostolico, vale a dire negli autori successivi ai vangeli/Atti. Sicuramente Matteo ebbe grande diffusione. Ora, capire cosa fosse esattamente presente al tempo di Luca non è affatto semplice e lascio il tutto in sospeso.

Per quanto concerne il VdT, vi sono interessanti considerazioni in M. Pesce, Le parole dimenticate di Gesù, fondazione L. Valla, pag. 549. Le riassumo con parole mie sia a motivo del copyright, sia a motivo della lunghezza del paragrafo:

1) il vangelo di Tommaso come lo conosciamo oggi nella versione copta presenta alcuni logia che dipendono da elementi redazionali dei sinottici, cioè da quegli elementi letterari che possono essere ascritti solo alla redazione dell'autore di ciascun vangelo. Ergo l'autore del vangelo di Tommaso come lo conosciamo conosceva i sinottici. Pesce (che si appoggia a J.D. Kaestli, il quale ha sintetizzato le posizioni contrastanti di Crossan e Meier) non fa esempi specifici. Io penso che un elemento come il logion 21(c) possa essere citato a fianco del logion 57. Con questi due logia siamo in presenza di materiale del solo Marco (da un lato) e del solo Matteo (dall'altro) rielaborato e/o citato in VdT. Vale poi tutto il discorso delle diverse tradizioni - in teoria indipendenti - che curiosamente confluiscono in questo vangelo, il quale sembra conoscere tutto e il contrario di tutto.

2) Sarebbe comunque eccessivo affermare che nella sua interezza tutto il VdT dipenda testualmente dai sinottici (per i detti che hanno riscontro in essi). Alcuni passaggi mostrano dipendenza testuale, altri, invece, sembrano preservare un testo indipendente dalla versione dei sinottici.

3) Ne conseguirebbe una stratificazione di questo vangelo, cioè una stesura secondo più redazioni. Le differenze tra i frammenti greci del VdT di cui disponiamo e la recensione copta (l'unica integrale) indicherebbero che abbiamo a che fare con un testo "in movimento", cioè che subì espansioni e modifiche. E' probabile che esistesse un nucleo più antico indipendente dai sinottici, poi in seguito il testo venne aggiornato e/o espanso con il materiale sinottico di cui era a conoscenza l'ultimo redattore.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 12/4/2009, 14:06     +1   -1




Sì, esattamente. Pesce si richiama spesso al saggio di Kaestli scritto per l'ottima miscellanea curata da M. Marguerat - E. Norelli - M. Poffet, Jésus de Nazareth. Nouvelle approches d'une énigme, Labor et Fides, Geneve, 1998 (lo trovate anche su googlebooks, ma del capitolo di Kaestli mancano 5 o 6 pagine...).
E' appunto quella posizione "mediana" che stavo cercando di esprimere e che mi sembra la più equilibrata.
Io attualmente mi sto lasciando tentare dalla tesi "rivoluzionaria" di April DeConick, che - ribaltando clamorosamente la posizione della scuola di Koester-Robinson-Crossan-Patterson - sostiene che il "rolling corpus" del vangelo di Tommaso, si sia formato da un nucleo primitivo (DeConick lo data addirittura prima di Q e di Paolo, ossia prima del 50) di detti apocalittici di Gesù, trasmessi dall'ambiente gerosolimitano. Successivamente questa tradizione si è spostata in Siria, dove - in seguito alle crisi affrontate dalla comunità, tra cui soprattutto quella del mancato avvento del Regno - si sarebbe accresciuta di nuovi detti (e modificata nella interpretazione e redazione dei detti precedenti) di stampo ascetico, encratico e mistico, conformemente ad una comunità che aveva sostituito l'attesa escatologico-apocalittica con una "escatologia mistica" in cui il paradiso poteva essere riguadagnato nel presente (paradise now) attraverso l'ascesi e la disciplina ermetica.
A volte ho l'impressione che DeConick forzi molto la mano in tante cose, il che capita spesso quando si cerca di proporre qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Comunque noto che un'eco positiva della sua proposta è arrivata anche qui in Italia: ne parla infatti Claudio Gianotto nel suo contributo "Il Vangelo secondo Tommaso e i primi sviluppi del movimento di Gesù" pubblicato in A. Guida - E. Norelli, Un altro Gesù? I vangeli apocrifi, il Gesù storico e il cristianesimo delle origini, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2009, pp. 89-99.

_________________________

Ritengo utile, ai fini del nostro dibattito, riportare una delle critiche che Kaestli rivolge a Meier.
Quest’ultimo in “Un ebreo marginale” vol. 1 aveva scritto che:
CITAZIONE
“anche se solo uno dei passi che ho elencato fosse una creazione propria di Matteo o riflettesse la redazione di Matteo, proverebbe, al di là di ogni dubbio, che Tommaso conobbe e usò il vangelo secondo Matteo per comporre il suo” (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol 1: le radici del problema e della persona, Queriniana, Brescia, 2001, p. 148).

A mio avviso, Kaestli ha pienamente ragione a obiettare a questa conclusione esagerata di Meier, nel modo seguente:

CITAZIONE
“Il n’est certainement pas possible de prouver la dépendance de l’Ev.Th par rapport aux synoptiques sur la base d’un seul passage [e io direi neanche attraverso un «pugno » di detti]. L’affirmation péremptoire de Meier ne tient pas compte des multiples incertitudes qui pèsent sur l’étude de notre apocryphe et qui rendent problématique toute conclusion généralisante.
Le texte copte actuel de l’EvTh est en effet l’aboutissement d’un long processus de transmission. Comme le montre la comparaison avec les papyrus d’Oxyrhynique, l’ordre et la teneur des logia ne correspondent pas toujours à ceux du grec. Il faut certainement compter avec la possibilité que le texte de l’EvTh ait été assimilé à celui du Nouveau Testament copte, tant au moment de la traduction qu’au cours de sa transmission ultérieure. Cette tendance à l’assimilation peut expliquer certains accords avec les éléments rédactionnels des évangiles canoniques (J.D. Kaestli, «Évangile de Thomas et paroles de Jésus », Op. cit., p. 384).

Anche Patterson ha puntato l’attenzione sulla possibilità appena citata, ossia che alcuni detti trasmessi in modo autonomo da Ev.Th. possano avere in seguito, nel corso della trasmissione testuale, subito l’influenza del NT:

CITAZIONE
“Since the text as a whole does not rely upon the synoptic tradition, it is reasonable to assign the handful of instances in which influence from a synoptic text is likely, to the phenomenon of textual harmonization. In consequence of this it is not entirely accurate to speak of the Gospel of Thomas as an “independent” tradition, for over the course of two or three centuries of textual transmission it is scarcely imaginable that the synoptic tradition did not come to affect the text of Thomas in some way, especially during the period in which the canonical gospels were experiencing great popularity and gradual ascendency. It may therefore be preferable to speak of the Thomas tradition as an autonomous, rather than independent tradition. Indeed, it would be foolish to speak of any early Christian tradition as absolutely “independent” from other perspectives at work in the early Christian movement and their respective texts. Nontheless (…) Thomas is not linked to the synoptic gospels in any generative way. In this sense the Gospel of Thomas is to be considered the representative of an autonomous early Christian tradition” (S.J. Patterson, The Gospel of Thomas and Jesus, Polebridge Press, Sonoma, 1993, p. 93).



Edited by JohannesWeiss - 12/4/2009, 15:43
 
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view post Posted on 15/4/2009, 16:05     +1   -1
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Vorrei aggiungere un paio di elementi a questa fantastica discussione.. e possibilmente allargare la cerchia dei partecipanti :-)

Per capire se il VdT possa essere stato un vangelo soggetto a "stratificazione" credo si possa considerare il confronto tra il codice rinvenuto a Nag-Hammadi (in copto) ed i più antichi frammenti (in lingua greca) rinvenuti ad Ossirinco. A quanto mi risulta, i frammenti di Ossirinco possono essere ricondotti ad alcuni loghia del VdT, ma non so se si possano far risalire con certezza al VdT.
Mi sembra che HardRain abbia studiato i papiri di Ossirinco, in questo caso spero possa aiutare a chiarire qual è la posizione dominante riguardo all'identificazione di tali frammento con il VdT

Il secondo punto riguarda la dipendenza testuale del VdT dal materiale sinottico e in più in generale da materiale neotestamentario.
Vi è un loghia molto interessante, che è 1Cor 2,9:
<<Sta scritto infatti: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano">>

La domanda è: dov'è che sta scritto? Personalmente, il presunto riferimento di Paolo ad Isaia 64,3 mi sembra improponibile.

Il Vangelo di Tommaso, loghia 17 riporta:
17 Gesù disse: «Vi offrirò ciò che occhio non vide, orecchio non intese, mano non raggiunse e ciò
che non è mai entrato nel cuore dell'uomo»

L'accostamento qui appare, al contrario, possibile.
Seguendo Origene, è possibile che Paolo stia citando un apocrifo dell'AT (forse l'Apocalisse di Elia), ma (a quanto mi risulta) non abbiamo testimoni evidenti di questo passo apocrifo. Lo stesso Clemente Romano riporta il passo in questione (1Cor xxxiv, 8):
<<la Scrittura dice infatti: "Occhio non vide, orecchio non ascoltò e non penetrò nel cuore dell'uomo quanto ha preparato per quelli che l'attendono".>>

Forse attinge all'apocrifo, forse a Paolo, forse ad un loghia di Gesù riportato da Tommaso?

Gerolamo, in fondo, nega che Paolo potesse citare un apocrifo (!), tuttavia l'autore della lettera di Giuda cita chiaramente il Libro di Enoch.

Talità

Edited by Talità kum - 15/4/2009, 17:56
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 15/4/2009, 18:14     +1   -1




Ottima questione, Talità, ottima come tutte quelle difficilmente risolvibili (e sono tante!).

Il detto lo troviamo anche in:

Atti di Pietro 39: In lui, dunque, anche voi fratelli, cercando rifugio e comprendendo che soltanto in lui voi esistete, otterrete ciò che egli vi dice: "Le cose che né occhio vide, né orecchio udì, né salirono in cuore di uomo". Ti chiediamo dunque le cose che hai promesso di darci, o Gesù senza macchia.

Perché, a differenza di questo testo o del vangelo di Tommaso, Paolo non attribuisce esplicitamente il detto a Gesù? Mah. Certo, è probabile che Paolo non sempre attribuisse esplicitamente a Gesù ciò che sapeva (o pensava) provenire da lui, bensì si limitasse a farlo solo quando il contesto lo richiedeva (correggere una certa interpretazione...). Ma, in ogni caso, cosa intende dire con "sta scritto"? Dove sta scritto?
Paolo era convinto che questo passo fosse presente nelle Scritture di Israele? Può darsi...
In Isaia 64,3 troviamo scritto: "Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto, che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui".

Oppure starebbe riferendosi al vangelo di Tommaso? Qui dovremmo specificare... è ovvio che egli non avrebbe mai potuto riferirsi al vangelo di Tommaso quale lo conosciamo noi, vuoi perché gli avrebbe fatto accaponare la pelle, vuoi perché, semplicemente, in tale forma esso non poteva ancora esistere all'epoca di Paolo.
Potremmo invece speculare che egli si riferisse a quella fonte di "logia" che costituirebbe, secondo alcuni studiosi, il nucleo più antico del vangelo di Tommaso e che in effetti alcuni di costoro sono disposti a datare intorno al 50 se non prima ancora.
Questa ipotesi tuttavia richiede non solo che un nucleo antico di ciò che poi divenne Ev.Th. esistesse in forma scritta già intorno al 50, ma anche che esso - che, se appunto lo consideriamo nei suoi detti più antichi, spesso paralleli a quelli di Q, avrebbe origine e carattere decisamente palestinese - fosse già diffuso tra le comunità gentili (poiché dobbiamo pensare che Paolo presumesse che i suoi destinatari fossero in grado di comprendere la "citazione").
Mi sembra evidente che tutto ciò sia nel complesso piuttosto improbabile.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 15/4/2009, 19:22     +1   -1




Salve, la presenza della formula "sta scritto" esclude che si possa trattare di Paolo che attinge dal vangelo di Tommaso, lo provano tanti studi sull'uso di questa formula in Paolo e non solo, qui Paolo sta citando la Scrittura ebraica o forse qualche apocrifo ma della Bibbia Ebraica. Se fosse vero che il vangelo di Tommaso è qui stato citato, allora sarebbe per Paolo una autorità testuale al pari della Bibbia Ebraica, ma lo escludo categoricamente.
 
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view post Posted on 16/4/2009, 15:54     +1   -1
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CITAZIONE (Hard-Rain @ 15/4/2009, 20:22)
Salve, la presenza della formula "sta scritto" esclude che si possa trattare di Paolo che attinge dal vangelo di Tommaso, lo provano tanti studi sull'uso di questa formula in Paolo e non solo, qui Paolo sta citando la Scrittura ebraica o forse qualche apocrifo ma della Bibbia Ebraica. Se fosse vero che il vangelo di Tommaso è qui stato citato, allora sarebbe per Paolo una autorità testuale al pari della Bibbia Ebraica, ma lo escludo categoricamente.

Grazie hard, in effetti è impossibile che paolo (ma anche clemente, che nella sua epistola si riferisce con insistenza all'antico testamento) considerasse "scrittura" qualcosa che non fosse la Bibbia Ebraica, o qualche eventuale libro apocrifo.
Tuttavia va notato che le citazioni di questo passo (Paolo, Clemente Romano, Tommaso, Atti di Pietro) sono tra loro somiglianti, e differiscono tutte dal passo di Isaia quantomeno per quelle cose che "mai entrarono in cuore di uomo".
Questo fatto è singolare, anche se non sono in grado di valutare eventuali dipendenze testuali.

Ciò significa che tutti riportano un medesimo passo apocrifo, e mi domando perché la scelta sia caduta proprio su questo apocrifo (piuttosto che il canonico Isaia).

Si può forse ipotizzare, seguendo Tommaso e gli Atti di Pietro, che il detto (tratto dall'Apocalisse di Elia) sia stato effettivamente pronunciato da Gesù - e quindi ripreso dalla prima tradizione?
Gesù potrebbe averlo pronunciato in un contesto di annuncio del Regno tipo quello di Mt 11,4

Abbiamo anche esempi come quello della lettera di Barnaba ("...Vedi come David lo chiama Signore e non lo chiama figlio"), dove detti di Gesù (in questo caso Mc 12,37) vengono riportati in forma indiretta, cioè come se non fossero stati pronunciati da Gesù, ma sono utilizzati dall'autore a supporto del discorso.

Ciao, Talità


 
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paola860
view post Posted on 16/4/2009, 18:12     +1   -1




Salve, non ho letto tutte le descussione per cui non so se ne avete parlato.
Nel vangelo di Marco c'è scritto:

Marco 7 14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: 15 non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».
17 Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. 18 E disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, 19 perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?». Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. 20 Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. 21 Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, 22 adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo».

il vangelo di Tommaso riporta la stessa frase:

14. Gesù disse loro, "Se digiunate attirerete il peccato su di voi, se
pregate sarete condannati, e se farete elemosine metterete in pericolo il
vostro spirito. Quando arrivate in una regione e vi aggirate per la
campagna, se la gente vi accoglie mangiate quello che vi offrono e
prendetevi cura dei loro ammalati. Dopo tutto, quello che entra nella vostra
bocca non può rendervi impuri, è quello che viene fuori dalla vostra bocca
che può rendervi impuri."



I due passi fanno intendere che il digiuno e il cibo impuro, essenziali per gli ebrei, non contaminano l'uomo mentre quello che contamina è ciò che esce dalla bocca. Lo stesso Paolo, se non sbaglio, dice una cosa del genere.

Cosa ne pensate?

Saluti.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 16/4/2009, 20:50     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 16/4/2009, 16:54)
Si può forse ipotizzare, seguendo Tommaso e gli Atti di Pietro, che il detto (tratto dall'Apocalisse di Elia) sia stato effettivamente pronunciato da Gesù - e quindi ripreso dalla prima tradizione?
Gesù potrebbe averlo pronunciato in un contesto di annuncio del Regno tipo quello di Mt 11,4

Ipotizzando che il detto di 1 Cor 2,9-10 costituisca appunto una citazione dell'Apocalisse di Elia, credo che non sia facile attribuirlo a Gesù. E' vero che Paolo usa detti di Gesù senza attribuirglieli esplicitamente, tranne laddove ciò sia richiesto da un particolare contesto... ma qui Paolo starebbe "citando" l'Apocalisse di Elia (secondo l'ipotesi che stiamo seguendo) o una qualche altra scrittura, dunque evidentemente egli non lo considerava un detto di Gesù.

Va comunque detto che, in effetti, nel Vangelo di Tommaso, il logion 17 non sembra essere di quelli più marcatamente gnostici, ermetici o ascetici, che lo caratterizzano. April DeConick ritiene che questo detto fosse parte del più antico nucleo (kernel) di detti di Gesù che vennero poi sviluppandosi nel vangelo di Tommaso (il che non significa che sia per questo da attribuirsi a Gesù). Ha un "sapore" escatologico e - pur non costituendo certo un parallelo - potremmo forse accostarlo a Q 10,23-24:

(Mt) "Beati i vostri occhi che vedono e i vostri orecchi che ascoltano. Perché in verità vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere ciò che voi guardate e non lo videro e udire ciò che voi udite e non lo udirono"

(Lc) "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Perchè vi dico che molti profeti e re vollero vedere ciò che voi vedete e non lo videro, e udire ciò che voi udite e non lo udirono"

Naturalmente balza all'occhio che ciò che in Ev. Th. 17 è promesso, in Q sembra già essere una realtà, il che, tuttavia, non dovrebbe stupire troppo poiché è noto che Gesù vedeva il regno di Dio era una realtà non solo futura-imminente, ma anche già parzialmente in atto.

Tuttavia non ritengo che ci siano le condizioni per attribuire questo detto a Gesù.

Per quanto riguarda possibili detti autentici di Gesù, attestati solo in Ev. Th., io proporrei la candidatura di:

8. Egli disse: L'uomo è simile a un pescatore saggio che gettò la sua rete in mare, e dal mare la ritirò carica di pesci piccoli. In mezzo a quelli il saggio pescatore scorse un bel pesce grosso; allora gettò via, in mare, tutti i pesci piccoli, e scelse, senza sforzo, il pesce grande. Chi ha orecchie da intendere, intenda!

10. Gesù disse: Ho gettato il fuoco sul mondo, e guarda! - lo custodisco fino a che divampi.

82. Gesù disse: Colui che è vicino a me, è vicino al fuoco. Colui che è lontano da me, è lontano dal Regno.

97. Gesù disse: Il regno del Padre è simile a una donna che recava una brocca piena di farina; mentre camminava per una strada lontano da casa, si ruppe l'ansa della brocca e la farina fuoriusì sulla via; lei non se ne accorse e non badò all'incidente. Giunta a casa sua, posò la brocca e la trovò vuota.

98. Gesù disse: Il regno del Padre è simile a un uomo che vuole uccidere una persona potente: in casa propria estrae la spada e trapassa una parete, per provare se la sua mano è abbastanza forte. Poi uccide quella persona potente.

April DeConick ha inoltre considerato come detto conclusivo del "kernel" originario il primo verso dell'attuale logion 111 (il resto del logion lo considera invece un accrescimento):

111. I cieli e la terra si arrotoleranno davanti a voi.

in altre traduzioni, come quella che troviamo in Van Voorst, Gesù nelle fonti extrabibliche, San Paolo, 2004 , troviamo "scompariranno". DeConick invece - che sa il copto - traduce "roll up". E cita come paralleli i seguenti passi:

Isaia 34,4: Tutta la milizia celeste si dissolve, i cieli si arrotolano come un libro, tutti i loro astri cadono come cade il pampino della vite, come le foglie avvizzite del fico.

Apocalisse 6,14: La volta celeste si squarciò e si arrotolò, come un foglio di pergamena; tutte le montagne e le isole furono strappate via dal loro posto.

Ebrei 1,10-12: E poi: Tu, Signore, all'inizio hai creato la terra; opera delle tue mani sono i cieli. Essi spariranno, ma tu resterai. Tutti invecchieranno, come un vestito. Come un mantello, li arrotolerai; come un vestito, saranno cambiati.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 17/4/2009, 11:57     +1   -1




Tornando alla questione della dipendenza/indipendenza di Ev. Th. dai sinottici, vi riporto le conclusioni dello studio di Christopher Tuckett, che sono decisamente più sfumate e "aperte" di quel che Meier - che, appunto, si appoggia a Tuckett - farebbe pensare.

CITAZIONE
L'analisi ha mostrato che vi è un numero di casi in cui Th si mostra in accordo con elementi che sono probabilmente redazionali nei vangeli sinottici. Inoltre, Th mostra collegamenti con materiale che è dovuto all'attività redazionale di tutti e tre i vangeli sinottici. Si sarebbe tentati di dedurre da ciò che Th sia dipendente dai sinottici in toto. Tale conclusione sarebbe certamente prematura.
La possibilità che di una secondaria assimilazione [dei detti di Th a quelli sinottici - n.d.r.] scribale non può mai essere eliminata, cosicché un elemento di incertezza deve inevitabilmente rimanere.
Oltre a ciò, l'esistenza di un parallelo tra Th e un elemento redazionale nei sinottici può solamente mostrare possibile dipendenza di Th dai sinottici in quel punto. Non può mostrare che tutti i detti di tipo sinottico di Th sono dovuti alla dipendenza dai sinottici. Come Wilson ha osservato in numerose occasioni, dovremmo prendere in considerazione una crescita in Th: alcuni detti potrebbero essere dovuti alla dipendenza dai sinottici, altri invece potrebbero rappresentare linee indipendenti della tradizione. Ogni logion deve essere esaminato sulle sue proprie qualità.
D'altra parte, bisognerebbe che ci si ricordasse che Th non fu scritto per il passatempo degli studi critici del XX secolo. Th fu scritto per l'impiego da parte di un gruppo cristiano (si presume), sicché l'autore era quasi certamente beatamente inconsapevole allorché stava echeggiando materiale redazionale nei nostri vangeli sinottici, e quando stava echeggiando materiale tradizionale.
Inoltre, non bisognerebbe fare presupposizioni troppo avventate circa la forma in cui la tradizione sinottica era nota a Th: ad esempio, essa potrebbe essere stata nota nella forma di un singolo testo armonizzato, anziché di tre vangeli separate (il che è anche rilevante rispetto alla discussione dell'ordine di Th e se Th sia a conoscenza dell'ordine sinottico: Th potrebbe benissimo essere "post-sinottico", ma dipendente da una fonte anch'essa "post-sinottica" nel senso di presupponente gli attuali vangeli sinottici).
Ma è quasi inevitabile che, se Th dipende dai sinottici (qualsiasi sia il numero di stadi da cui è rimosso) per il suo materiale di tipo sinottico, non ogni detto conterrà per questo un parallelo con materiale redazionale dei vangeli sinottici. E' di gran lunga più probabile che talvolta Th sia parallelo solamente ad elementi tradizionali. Stando così le cose, il problema della relazione tra Th e i sinottici è probabilmente, in definitiva, insolubile. Th potrebbe essere dipendente dai sinottici ogni qual volta vi è un parallelo; ma la natura delle testimonianze fa sì che ciò attualmente non possa mai essere provato in modo chiaro.
Nondimeno, il fatto che Th talvolta mostri paralleli con materiale redazionale nei sinottici, indica che vi è una misura di dipendenza tra la nostra(e) versione(i) di Th e i nostri vangeli sinottici. Come minimo, ciò dovrebbe ci dovrebbe indurre a guardarci dal fare ampie generalizzazioni circa l'indipendenza di Th e dal fare ulteriori deduzioni basate su una tale teoria.(C. Tuckett, "Thomas and the Synoptics" in Novum Testamentum (1988) 30, pp. 156-157 - traduzione mia, neretto mio, corsivi suoi)

 
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antvwala
view post Posted on 6/5/2012, 15:26     +1   -1




Il VdT lo conosciamo in base a un manoscritto copto del IV secolo, se non erro. Perciò non abbiamo la certezza che il testo noto corrisponda alla versione originale del VdT. Vi è la possbilità che esso sia molto fedele alla versione originale, ma redattato da persona letterata che, pur mantenendosi fedele al senso del testo primitivo, lo ha "migliorato" in senso letterario. E' possibile che sia andata così? Ma se così fosse, s'indebolirebbe un argomento che attribuisce il VdT a un momento successivo a Mc, M e L.

Antvwala
 
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30 replies since 11/4/2009, 13:28   1423 views
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