Ti rispondo con la mia consueta abbondanza e prolissità!
CITAZIONE (Hard-Rain @ 11/4/2009, 14:28)
Ora, la parabola del grano e della zizzania, come si vede chiaramente, non è che una estensione dello stesso concetto espresso in Mc. 4:13-24. Praticamente Matteo ha espanso e sviluppato più a fondo lo stesso discorso di Marco 4:26-29 a corollario della parabola del seminatore.
Non è certo questo il "punto" della tua relazione, però, intanto che ci sono, vorrei esprimere delle riserve sul fatto che la parabola della zizzania sia semplicemente uno sviluppo di quella marciana del seme da sé. Mi sembra invece che il "concetto" delle due parabole sia abbastanza differente (Mc: la presenza dinamica del regno già in atto, e che presto giungerà a maturazione col conseguente giudizio ; Mt: i cattivi non vanno separati dai buoni prima del momento del giudizio). Più che pensare ad una semplice modifica della parabola marciana da parte di Matteo, io sarei incline a pensare che Matteo, disponendo dalla propria tradizione speciale - scritta o orale che sia -, l'abbia preferita - per motivi suoi - a quella che trovava in Marco, collocandola al suo posto e forse adattandola in parte alla sua terminologia (poiché in effetti vi sono vocaboli comuni).
Insomma, come minimo è una questione aperta, su cui i commentatori sono divisi.
CITAZIONE
Forse Luca conosceva la divergenza fra Mt. e Mc., essendo stato composto dopo questi Vangeli, e ha prudenzialmente evitato di rifarsi ad una oppure all’altra tradizione prendendo posizione nei confronti di Mt o di Mc?
Anche questa è una mezza digressione: Hard, ma tu che posizione hai o adotti sul problema sinottico? Qui infatti parli di Luca che conosce Matteo (vedi anche sotto quando parli dell'improbabilità che Luca, per qualche misteriosa ragione, abbia omesso sia la parabola di Mc che quella di Mt). Ciò non corrisponde ovviamente alla teoria delle due fonti, bensì alla cosiddetta ipotesi "Mark without Q" proposta da Goulder e adottata da Sanders.
CITAZIONE
Come osservato, la frase del loghion 21(c) sembra provenire direttamente dal breve passo di Marco 4:26-29 o comunque collegata con esso per esserne eventualmente una fonte, da un punto di vista linguistico Mc 4:29 è il passo del NT più simile a VdT loghion 21(c). Quindi l’autore del VdT avrebbe qui effettivamente seguito il testo di Marco o la fonte che ispirò direttamente Marco, in contrapposizione alla versione di Mt (la parabola della zizzania). Questa concordanza, a prima vista, conferisce autorevolezza sia al testo di Mc che all’antichità del loghion di Tommaso. Ma il problema è che l’autore del VdT dimostra di conoscere anche la parabola della zizzania, materiale “speciale” di Matteo, cfr. loghion 57, contenuto esclusivamente in questo Vangelo.
Quindi egli conosceva – e con una certa precisione – sia la versione di Marco a chiudere la parabola del seminatore, più scarna e breve, sia la versione più articolata e colorita di Matteo, la famosa parabola del grano e della zizzania. Ovviamente, poi, l’autore del VdT conosceva anche la parabola del seminatore, attestata simultaneamente da tutti i sinottici, cfr. loghion 9. Sembra pertanto di poter concludere da qui che l’autore del VdT conosceva sia Matteo che Marco e quindi è stato composto dopo di essi.
L’ipotesi contraria presenta certamente maggiori difficoltà. Ipotizzando che VdT sia stato composto o si sia basato su una fonte indipendente dai sinottici e composta prima di essi, bisogna supporre che questa fonte speciale e antica conoscesse due parabole che per qualche motivo sono state recepite una soltanto da Matteo e una soltanto da Marco a conclusione della spiegazione della parabola del seminatore: le due parabole, antiche e indipendenti, sarebbero state cioè collocate esattamente nello stesso punto in due testi diversi. Inoltre Luca, che conosceva sia la fonte antica che Mt e Mc, avrebbe per qualche misteriosa ragione omesso di riportare non una soltanto ma entrambe queste parabole antiche. Ragionando in termini probabilistici è certamente più soddisfacente la prima spiegazione che vuole la parabola della zizzania una espansione della breve parabola marciana, mentre l’autore del VdT, a conoscenza sia della versione di Mc che di quella di Mt, avrebbe mutuato dai due testi altrettanti detti. Lc, infine, avrebbe omesso entrambe le versioni evitando di prendere posizione per Mt o per Mc.
Qui invece siamo al "punto".
Io non sono convinto che la conclusione che tu trai ("Ev. Thom. conosceva Mt e Mc") s'imponga, e nemmeno sono sicuro che sia nel complesso la soluzione più probabile. Ritengo che più uno è deciso nell'affermare che il vangelo di Tommaso conosceva e utilizzava i vangeli sinottici, e più ha l'onere di trovare una spiegazione al peculiare ordine (o meglio: disordine) in cui il materiale "sinottico" si trova sparpagliato per tutto Tommaso.
Per usare un'immagine: "
Se l'autore della collezione avesse effettivamente usato i vangeli sinottici, sarebbe quasi come se avesse tagliuzzato le pagine dei vangeli in un piccolo mucchio di qualcosa di simile ai messaggi cinesi che predicono la sorte, avesse introdotto questi in un bariletto, avesse fatto rotolare bene il bariletto per strada e poi avesse cominciato a estrarre i detti uno alla volta" [L'immagine è citata da: Nicholas Perrin,
Tommaso, l'altro vangelo, Queriniana, Brescia, 2007, pp. 35-36, che la impiega nel riferire la posizione di Patterson. Può darsi che sia di Patterson stesso, ma non riesco a (ri?)trovarla].
Credo pertanto che si possa essere d'accordo con Stephen J. Patterson, quando scrive:
"
My assumption is that in order to be convincing, a theory of literary dependence must show not just that two texts share a good deal of material in common, but specifically that 1) between the texts in question there is a consistent pattern of dependence, i.e., that one author can be seen regularly to build upon the text of the other, rather than on yet another, shared source (oral or written); and that 2) the sequence of individual pericopae in each text is substantially the same" (S.J. Patterson,
The Gospel of Thomas and Jesus, Polebridge Press, Sonoma, 1993, p. 16).
Questa obiezione del (dis)ordine del materiale sinottico in Tommaso, è a mio avviso molto forte e decisiva contro la tesi di una diretta dipendenza testuale di Tommaso nei confronti dei sinottici.
La mia impressione attuale è che il materiale sinottico sia confluito in Tommaso attraverso la tradizione orale. Molto più difficile, invece, è stabilire se questa tradizione orale fosse indipendente o meno rispetto ai sinottici. Forse è possibile che entrambi i casi siano veri: ossia che la tradizione orale confluita in Tommaso comprenda sia detti sinottici trasmessi oralmente (e questo sarebbe il caso di eventuali detti di Tommaso in cui compaiono elementi redazionali dei sinottici) sia detti paralleli a quelli sinottici ma trasmessi oralmente in modo indipendente.
Vediamo ora un caso concreto.
Poco prima del logion 21c di cui stiamo parlando, abbiamo in 21a la nota "parabola del ladro (in realtà io classificherei quest'ultimo come 21b, perché 21a coincide con la parabola dei bambini che si intrattengono in un campo che non è loro, per cui scalando il tuo 21b diventerebbe il mio 21c e il tuo 21c il mio 21d - ma lasciamo pure le cose così, onde non incasinarci troppo).
Riporto di seguito le varie forme in cui il detto è tramandao in Ev. Th., Mt, Lc.
Ev.Th. 21a: "
Perciò dico: Se il padrone di casa sa che verrà il ladro, vigilerà prima che venga, e non permetterà che penetri nella casa del suo dominio
e gli porti via i suoi beni".
(questa sarebbe la versione tradotta da T. Lambdin riportata nel volume "The Nag Hammadi Library in English" curato da M. Meyer e J. Robinson)
Oppure:
"
Per questa ragione dico: Se il proprietario di una casa sa che sta venendo un ladro, continuerà a vigilare prima che egli arrivi. Non gli permetterà di irrompere nella sua casa, parte del suo possedimento,
per rubargli i beni".
(questa è invece la traduzione di April DeConick in:
The Original Gospel of Thomas in Translation, T&T Clark, New York/London, 2007, p. 110. Ho evidenziato la differenza più significativa, lasciando il carattere tondo. DeConick argomenta così la sua scelta: "H. Quecke and A. Guillaumont trace the odd expression with the double possessive article, literally, 'his house of his kingdom', to a mistranslation of a Syriac propleptic genitive suffix. Since it could also be explained as a Coptic explicative genitive, there is no reason to turn to the Syriac solution. So I have understood and translated it as a Coptic explicative genitive. Thus, 'his house, part of his estate' " (ibidem).
Mt 24,43 (Q): "
Ma sappiate questo, che se il padrone di casa conoscesse in quale veglia il ladro viene, veglierebbe e non permetterebbe che fosse scassinata la sua casa. Perciò anche voi siate pronti, poiché nell'ora che non pensate il Figlio dell'uomo viene".
Lc 12,39 (Q): "
Ma sappiate questo, che se il padrone di casa conoscesse in quale ora il ladro viene, non si lascerebbe scassinare la sua casa. Anche voi siate pronti, poiché nell'ora che non pensate il Figlio dell'uomo viene".
Ora, la differenza macroscopica che emerge tra la versione di Tommaso e quella di Q è senza dubbio il differente finale: Tommaso non conosce il riferimento al Figlio dell'uomo e in compenso ha un finale più completo. Secondo Koester, la tradizione Q avrebbe amputato questo finale più completo, così da attaccarci il riferimento alla venuta del Figlio dell'uomo. Ora Koester è uno di quelli che sostengono che in generale la tradizione sul FdU è sempre secondaria, una posizione da cui mi dissocio. Tuttavia in questo caso specifico è effettivamente possibile che il riferimento al FdU sia stato aggiunto. Difatti - almeno a mio modo di vedere - il discorso non fila troppo.
Per rendercene conto è bene richiamare un detto simile come Mc 3,27: "
Ma nessuno può, entrando nella casa dell'uomo forte, saccheggiare le sue cose, se prima non lega il forte; e allora saccheggerà la sua casa", un detto che viene riportato nel contesto dell'attività esorcistica di Gesù (in particolare della discussione sulla sua vera origine). In questo detto, è chiaro che il saccheggiare è un azione positiva che ha come protagonista il più forte che lega l' "uomo forte".
Ora, la prima parte del detto Q sembra effettivamente sulla stessa onda del detto di Mc: il ladro è l'eroe positivo, il saccheggiare l'azione positiva, e il padrone di casa, evidentemente, non può che essere la figura che giustamente deve essere saccheggiata e per questa ragione deve guardarsi dal saccheggio, ma che, tuttavia, non è in grado di farlo perché non conosce l'ora.
Rispetto a questa prima parte, invece, la seconda sembra quasi dire il contrario: se nella prima parte l'incertezza dell'ora fa sì che il padrone non possa lasciarsi scassinare la casa (con l'implicazione che egli saprebbe vegliare se conoscesse l'ora, ma non conoscendola, non può mica vegliare tutto il tempo), nella seconda, invece, l'incertezza dell'ora è precisamente la causa della necessità di vegliare dei discepoli, e lo scassinamento, ossia l'essere visitati da addormentati, è precisamente ciò che non deve avvenire.
Sono quindi molti i commentatori che vedono nel riferimento al Figlio dell'uomo un'aggiunta secondaria.
Si veda ad es. Francois Bovon, secondo cui: "
Abbiamo quindi sotto gli occhi una metafora viva, una parabola originale di Gesù. Prescindendo dall'applicazione secondaria del v. 40, si può supporre, in considerazione dell'immagine inquietante del furto, che Gesù volesse alludere al giudizio di Dio che piomberà in modo inatteso e inesorabile su tutti. La tradizione cristiana si è appropriata di questa parabola, la cui lezione non era esplicita, e l'ha associata subito al giorno del Signore, alla parusia, come testimoniano 1 Tess 5,2 ; Apoc. 3,3 ; 16 ; 15 ; 2 Pt 3,10 e certamente il versetto successivo della pericope Lc 12,40. A mio parere i detti 21 e 103 di Ev. Thom. non sono il risultato tardo di un processo di sottrazione gnostica della sua valenza escatologica" (F. Bovon,
Luca 2, Paideia, Brescia, 2007, p. 363).
Morale della favola, la "parabola del ladro" che troviamo in Ev. Th. 21 può costituire la testimonianza di un detto parallelo alla tradizione sinottica, ma trasmesso in modo indipendente da essa.
Infine, dobbiamo notare il legame organico che, nel vangelo di Tommaso, connette le varie parti del logion 21 tra loro, attraverso alcune "parole gancio" (catchwords), che Patterson ha così evidenziato (dal copto, ovviamente, che io non cito non saprendo dove prendere i fonts):
"Allorché verranno i
padroni del campo, diranno: "Lasciateci il nostro campo". Essi (saranno) nudi davanti a loro mentre lasciano e restituiscono il campo. Perciò dico: Se il
padrone di casa sa che verrà il ladro,
vigilerà prima che
venga, e non permetterà che penetri nella casa del suo regno e asporti i suoi beni. Ma voi
vigilate al cospetto del mondo! Cingetevi i fianchi di grande potenza, affinché i ladri non trovino la strada per giungere fino a voi. Giacché il profitto che aspettate, essi lo troveranno. Ci sia tra voi un uomo giudizioso! Allorché il frutto è maturo, egli
viene subito recando in mano la sua falce, (e) lo raccoglie. Chi ha orecchie da intendere, intenda".
Queste "catchwords" (a mio avviso più evidenti nei primi due casi - padrone e vigilare - che non nel terzo - venire)
costituiscono un accorgimento tipico della trasmissione orale.
P.S. mi faccio da solo un'obiezione. Mentre la secondarietà del riferimento al FdU nella tradizione Q 12,39-40, rispetto alla parabola originale di Gesù, è convincente, potrebbe essere in effetti più discutibile l'affermazione che Ev.Th. non conoscesse la forma Q del detto. In effetti, vediamo che il v. 21a è seguito in v. 21b da un detto che in qualche modo potrebbe sembrare un'alternativa gnostica (ma voi vigilate al cospetto del mondo) al finale di Q (siate pronti poiché nell'ora che non pensate il figlio dell'uomo viene). Ciò è possibile...
Tuttavia, ecco una contro-obiezione alla auto-obiezione:
Infatti, come è possibile il caso appena citato, è però anche possibile che tanto Q quanto Ev. Th. abbiamo allungato una enigmatica (e quindi "provocante") parabola di Gesù, con un'applicazione che ne offriva la corretta ermeneutica, in relazione alle rispettive "teologie": l'attesa della parusia in Q, la fuga dal mondo in Ev. Th.
Né l'uno ne l'altro, avrebbero compreso correttamente la parabola di Gesù che, a mio avviso, faceva riferimento al fatto che la venuta piena del regno di Dio (con annesso giudizio), che negli esorcismi di Gesù si stava già manifestando, pur essendo fortemente imminente, non era però determinabile con assoluta precisione (...cf. il detto dove si dice che nessuno conosce il giorno e l'ora...). Per quanto a noi possa apparire bizzarro, l' "esorcista apocalittico" Gesù pensava che se il giorno e l'ora potessero essere determinabili con precisione, le potenze demoniache ostili alla venuta del regno, avrebbero potuto prendere le misure e correre ai ripari. Per cui, seppur imminente, l'ora precisa della venuta del regno doveva essere occulta (o non ancora rivelata).
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Comunque, tornando al nostro problema iniziale, ritengo - come ho detto sopra - che per affermare che Ev. Th. dipenda testualmente da Mc, Mt o Lc , sia necessario offrire una spiegazione convincente del modo insensato in cui il materiale sinottico si trova sparpagliato di qua e di là. Chi ha davanti una fonte, se anche è un redattore di manica larga, difficilmente si prende una simile e poco comprensibile libertà.
Altro discorso è invece affermare che Ev. Th. dipenda dalla tradizione sinottica, ma attraverso la trasmissione orale. Questo può essere. Ma ragionando su questa ipotesi, riterrei allora più verosimile, che questa trasmissione orale abbia potuto convogliare sia detti derivati da Mc, Mt e Lc , ma anche detti paralleli trasmessi in modo indipendente. E poi si valuta caso per caso.
Edited by JohannesWeiss - 11/4/2009, 21:11