Studi sul Cristianesimo Primitivo

Mc. 16,17 - Tmesi, Iperbato o cosa?

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Hard-Rain
icon11  view post Posted on 23/9/2009, 11:23     +1   -1




In Mc. 16:17 abbiamo γλωσσαις λαλησουσιν καιναις = "parleranno [in] lingue nuove".

Nel greco neotestamentario, tuttavia, la separazione del sostantivo dall'aggettivo con cui è concordato (per mezzo del verbo) è rarissima, praticamente assente, se si escludono casi particolari come certi genitivi, frasi con verbi copulativi (es. ειμι, γινομαι, ecc...) o basate sul verbo εχω.

In poche parole, sarebbe ben più normale nel greco neotestamenario trovare scritto: λαλησουσιν γλωσσαις καιναις. Per λαλεω combinato col dativo di γλωσσα, cfr. At. 10:46, 19:6, 1 Cor. 12:30, 13:1, 14:2, 14:4-5 e altri passaggi della 1 Corinizi.

Ciò premesso, la mia domanda è: come possiamo tecnicamente definire, secondo la corretta terminologia grammaticale, questo spezzettamento, ottenuto per interposizione di un verbo, così inusuale nel NT? Iperbato, tmesi, anastrofe o cosa?

Grazie.

Edited by Teodoro Studita - 15/5/2011, 13:24
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/9/2009, 13:11     +1   -1




Direi che "iperbato" può andare bene, poichè "tmesi" riguarda la separazione di una singola parola composta o un verbo dalla preposizione:

QUOTE
L’iperbato (dal greco hypèrbaton, inversione) consiste nell’interposizione di un segmento di discorso, che normalmente sarebbe collocato altrove, tra membri connessi da uno stretto legame sintattico: si tratta, pertanto, un’alterazione dell’ordo naturalis del discorso. L’iperbato genera, così, un allentamento del contatto tra coppie sintattiche fisse, come sostantivo e aggettivo e soggetto e verbo, e la messa in rilievo dell’elemento interposto (ad es. O belle agli occhi miei tende latine, dalla Gerusalemme Liberata).

fonte: http://www.eugenioiorio.it/wiki2.0/index.p..._wiki/Iperbato/

Edited by Hard-Rain - 23/9/2009, 15:07
 
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Frances Admin
view post Posted on 23/9/2009, 15:01     +1   -1




Tecnicamente, l’iperbato è possibile. In greco l’iperbato di un aggettivo attributivo è rarissimo e concentrato esclusivamente negli autori con una certa abilità stilistica. Scelta stilistica molto apprezzata da Demostene. Soprattutto in un contesto “contrastivo”, cioè in un contesto dove si pone l’accento tra il contrasto di due elementi. In Mc 16:17 gli elementi contrastanti dovrebbero essere “kainais glossais” e “palaiais glossais”. Ma il contesto marciano pone l’accento su questo contrasto? A mio avviso, no. O meglio, non c’è nessun indicatore preciso di questa valenza contrastiva. L’anomalia è spiegabile stilisticamente con l’enfasi. Ma l’iperbato non si realizza esclusivamente con esigenze di enfasi: ci deve essere un contesto, indicatori sintattici e semantici precisi che la giustificano. Anche l’iperbato esige il rispetto della sintassi. Infatti, postulato che l’aggettivo “kainais” abbia valenza attributiva, l’iperbato dovrebbe manifestarsi nel seguente ordine frasale:

kainais lalhsouisin glossais


Inoltre, bisogna considerare le abilità stilistiche dell’autore. Egli fa uso di un simile costrutto in altri contesti? Ovvero, Marco possiede la competenza, realizzata nell’atto di esecuzione, dell’iperbato? A mio avviso la risposta è negativa, in quanto se avesse competenze di questo tipo, avrebbe rispettato l’ordine frasale dell’iperbato in 16:17. A Prescindere se l’autore sia lo stesso di Mc 1:1-16:8, mi sembra di poter escludere che in Mc 16:17 ricorra un caso di iperbato.

 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/9/2009, 15:11     +1   -1




Frances, il punto è che quella porzione appartiene al finale spurio del vangelo di Marco (= Mc. 16,9-20) e questa costruzione è sospetta anche perchè tutto il brano è in generale dubbio (in quanto alla paternità di Marco) per altri motivi che sono ben noti, non solo dovuti alla tradizione manoscritta ma anche per come è scritto.

Io ti posso dire che tolti alcuni casi di verbi copulativi e alcuni del verbo εχω (ci sono anche i genitivi, volendo) questa separazione aggettivo/sostantivo con verbo interposto non ricorre mai. Sto leggendo da tempo ormai il NT in greco e sto appositamente tenendo sotto controllo la situazione. Men che meno compare nel vangelo di Marco dove la sintassi è relativamente semplice e lineare.

In Mc. 16,17 non vi sono i contrasti che hai sottolineato tu, soltanto ricorre questa anteposizione del sostantivo (o posticipazione dell'aggettivo con cui è concordato) e mi sembra sospetta perchè come dicevo non ricorre mai altrove. Siamo in presenza di una "anomalia" sintattica che sicuramente non appartiene nè a Marco (quello autentico) nè al resto del Nuovo Testamento (tolti i casi che ho accennato), non so se ricercata o casuale.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/9/2009, 18:08     +1   -1




Avevo appena finito di scrivere il post di cui sopra quando per un caso fortuito nel leggere 1 Tessalonicesi ho riscontrato una situazione analoga. Lo riporto qui perchè si tratta di un caso veramente rarissimo nel corpus degli scritti neotestamentari, almeno.

In 1 Tess. 5,3 abbiamo dunque τοτε αιφνιδιος αυτοις εφισταται ολεθρος = "... allora una rovina improvvisa cadrà sopra di loro ..."

Qui abbiamo il sostantivo ολεθρος (nom.vo sing. masch.) perfettamente concordato con il suo aggettivo αιφνιδιος ma tra i due elementi è interposto non soltanto il verbo εφιστημι (qui ha valore di presente indicativo ma il senso è al futuro, si tratta di una specie di profezia od oracolo per cui l'uso del presente è abbondantemente attestato) ma addirittura il complemento αυτοις.

Non è un vero e proprio "iperbato" io credo, come sottolinea Frances, non credo che Paolo abbia ricercato volutamente una particolare e piuttosto rara figura retorica. Si tratta comunque di una rarità sintattica, confrontabile a mio avviso con il citato caso di Mc. 16,17. Vi terrò aggiornati se rintraccio nel Nuovo Testamento anche altri casi analoghi (esclusi come dicevo i casi "banali" di cui parlavo nei prec. post).

Tutte le traduzioni che ho consultato (C.E.I., Luzzi, ecc...) concordano nel collegare l'aggettivo al sostantivo, il senso è sostanzialmente "rovina improvvisa". La vecchia Diodati, invece, traduce con un avverbio in italiano: "allora di subito sopraggiungerà loro perdizione" ma formalmente il testo greco non presenta l'avverbio αιφνιδιως bensì l'aggettivo, che peraltro è al nom.vo, non all'acc.vo.

N.B. Tmesi e/o anastrofe non hanno nulla a che vedere con quanto sopra, cfr. N. Basile, Sintassi storica del greco antico, Levante, Bari, ediz. 2001, pp. 131-132.

Edited by Hard-Rain - 23/9/2009, 19:57
 
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Frances Admin
view post Posted on 23/9/2009, 19:54     +1   -1




Anche se contrasta con la sintassi normativa italiana, in greco è normale trovare un aggettivo in luogo di un avverbio. Il NT brulica di questo uso specifico dell'aggettivo. Mi sembra la spiegazione più logica dell'ordine frasale in 1 Ts 5:3.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/9/2009, 19:57     +1   -1




QUOTE
Anche se contrasta con la sintassi normativa italiana, in greco è normale trovare un aggettivo in luogo di un avverbio. Il NT brulica di questo uso specifico dell'aggettivo. Mi sembra la spiegazione più logica dell'ordine frasale in 1 Ts 5:3.

Brulica, però in genere l'aggettivo con senso di avverbio è in accusativo (singolare) a quanto vedo, es. εν λογωι μονον (1 Tess. 1,5). Non trovo molti casi in nominativo singolare (ne abbiamo nel NT?) ma la mia memoria non è come quella di Pico della Mirandola (ahimè!).

P.S. Grazie dei tuoi sempre preziosissimi aiuti.

Edited by Hard-Rain - 24/9/2009, 10:01
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/9/2009, 20:24     +1   -1




Wallace (Greek Grammar, pag. 293) ci ricorda di τουτο αληθες ειρηκας (Gv. 4:18), dove αληθες è aggettivo in caso nom.vo singolare, tradotto dal medesimo con "this you have spoken truly" cioè con un avverbio inglese (infatti cataloga questo uso dell'agg.vo αληθες come avverbiale). Non so però quanti siano i casi del genere. Molti dei cosiddetti usi avverbiali avvengono con l'accus.vo singolare. Cfr. anche Porter, Idioms, pag. 121. Comunque se anche 1 Tess. 5,3 non dovesse essere un caso di pseudo-iperbato allora si fa fatica ad andare a pescare degli esempi. Per quanto concerne Marco, cfr. 16:6 (ma qui ad essere "spezzata" è una apposizione, Gesù il Nazareno), 4:11 (ma qui è il genitivo ad essere separato dal suo sostantivo per mezzo di un verbo), 9:3 (frase copulativa), 13:4 (ma abbiamo un pronome e l'aggettivo παντα), 3:1 (costruzione basata su εχω) e 8:17 (ancora una costruzione basata su εχω).

Edited by Hard-Rain - 23/9/2009, 21:32
 
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Frances Admin
view post Posted on 23/9/2009, 20:29     +1   -1




CITAZIONE (Hard-Rain @ 23/9/2009, 20:57)
CITAZIONE
Anche se contrasta con la sintassi normativa italiana, in greco è normale trovare un aggettivo in luogo di un avverbio. Il NT brulica di questo uso specifico dell'aggettivo. Mi sembra la spiegazione più logica dell'ordine frasale in 1 Ts 5:3.

Brulica, però in genere l'aggettivo con senso di avverbio è in accusativo (singolare) a quanto vedo. Non trovo molti casi in nominativo singolare (ne abbiamo?) ma la mia memoria non è come quella di Pico della Mirandola (ahimè!).

P.S. Grazie dei tuoi sempre preziosissimi aiuti.

In greco è normale trovare un aggettivo al grado positivo in luogo di un avverbio, che assumerà il caso della funzione logico-sintattica, quindi anche nominativo. Nelle lettere paoline ho trovato due esempi pertinenti: 1 Co 9:17, Rm 8:20. In italiano, questo valore lo ritroviamo in avverbi e in locuzioni avverbiali del tipo "improvvisamente", "di spontanea volontà", "controvoglia", etc. In latino queste locuzioni si esprimevano con il participio presente, che è un aggettivo verbale; lo stesso dicasi in greco per locuzioni avverbiali di tempo, di spazio, di modo, etc. La differenza è che mentre in greco queste locuzioni hanno morfologia aggettivale, in italiano i suffissi avverbiali si legano all'aggettivo e hanno subito processo di grammaticalizzazione (un morfema lessicale diventa un morfema grammaticale, es. lat. "mens" → it. "mente"). Il greco poteva optare tra la forma avverbiale e la forma aggettivale, spesso a discrezione dell'autore, anche se quest'ultima non subiva grammaticalizzazione. Anche in italiano certi aggettivi (senza aggiunta di suffissi) possono essere impiegati in funzione avverbiale.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/9/2009, 20:36     +1   -1




Sì è vero, 1 Cor. 9:17 è proprio un caso simile, con aggettivo in nom.vo usato come un avverbio. Probabilmente c'è anche Gv. 4:18 (vedi sopra). Se così, dovremmo allora dismettere 1 Tess. 3,5 da una possibile analogia sintattica con Mc. 16,17.

Edited by Hard-Rain - 24/9/2009, 10:02
 
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Hard-Rain
view post Posted on 24/9/2009, 20:56     +1   -1




Dal momento che stiamo esplorando queste costruzioni, cito anche questa:

ινα τι μεταδω χαρισμα υμιν πνευματικον (in Romani 1,11).

Qui abbiamo ινα + cong.vo (μεταδω infatti altro non è che l'aoristo congiuntivo del verbo μεταδιδωμι). Il senso complessivo di questa frase è di fine/scopo: "affinchè [io, Paolo] possa comunicarvi, ...".

Il verbo μεταδω è interposto fra il pronome indefinito τι (può essere accus.vo o nom.vo, comunque è neutro singolare) e il sostantivo χαρισμα (accus.vo o nom.vo neutro singolare) il quale è separato dall'aggettivo πνευματικον (che si potrebbe benissimo pensare come concordato con χαρισμα, come accusativo singolare neutro) dal complemento di vantaggio υμιν.

Come intendere correttamente la costruzione? Soluzione più conservativa di tutte: τι + χαρισμα come doppio accusativo, da intendersi: "io comunico a voi qualcosa [come un, simile a un] carisma (= dono, regalo)". Dopodichè l'accusativo πνευματικον si può pensare come aggettivo avverbiale "spiritualmente", "in modo spirituale". Così Paolo sta dicendo: "io comunico a voi spiritualmente [= in modo spirituale] qualcosa [come un, simile a un] carisma (= dono, regalo)". Porter sostiene che in Paolo il 65% degli aggettivi è a precedere il sostantivo (Idioms, pag. 290) così da questa % non schiacciante, non si può stabilire se sia più "probabile" in Paolo aspettarsi un aggettivo prima del suo sostantivo piuttosto che il contrario: di fatto, entrambi i casi sono abbastanza equiprobabili.

Soluzione più estrema (pseudo iperbato), τι χαρισμα πνευματικον è spezzato nella frase dal verbo e dal compl. di vantaggio, ma il tutto si dovrebbe intendere: "un [qualche tipo di] dono spirituale". La traduzione C.E.I. (1974) rende la frase: "per comunicarvi qualche dono spirituale", evidenziando sintatticamente πνευματικον come aggettivo concordato con χαρισμα.

Edited by Hard-Rain - 24/9/2009, 23:12
 
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view post Posted on 24/9/2009, 22:16     +1   -1
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Io queste stranezze non le vedo, certo la costruzione è poco "marciana" ma non vedo nessuna anomalia. Quanto alla diodati ricorda che traduce dal testo di Erasmo, quindi potrebbe benissimo essere un testo diverso dal tuo na27. Io sto a 700 km da casa in un albergo a scrivere dall'iphone quindi non posso proprio controllare. Infine, l'uso di un aggettivo (di qualsiasi grado) e sempre neutro si usa abitualmente in luogo di un avverbio. Anche qui dunque nulla di strano.
Cordialità,
 
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Hard-Rain
view post Posted on 24/9/2009, 22:37     +1   -1




CITAZIONE
Io queste stranezze non le vedo, certo la costruzione è poco "marciana" ma non vedo nessuna anomalia.

Per vedere le anomalie bisogna prima definire rispetto a che cosa. Appunto dicendo che è poco marciana (in realtà non è che è "poco": non c'è mai nulla di simile in quel testo, con le eccezioni che ho segnalato e che comunque non sono proprio sintatticamente identiche a questo caso particolare), hai appunto già evidenziato la stranezza. Questo, per quanto riguarda Mc. 16,17.

CITAZIONE
quindi potrebbe benissimo essere un testo diverso dal tuo na27.

Nelle varianti di NA27 - che comunque non sono tutte quelle esistenti in tutti i mss. possibili - non c'è alcuna lezione tale da rafforzare la traduzione con l'avverbio. Peraltro la traduzione con avverbio in linea di principio è sostenibile anche basandosi sul testo di NA27 in virtù di quanto detto da Frances, sebbene non sia certo frequente in Paolo un aggettivo in caso nominativo con questa funzione. Stiamo parlando ovviamente di 1 Tess. 5,3.

CITAZIONE
Infine, l'uso di un aggettivo (di qualsiasi grado) e sempre neutro si usa abitualmente in luogo di un avverbio.

Infatti in Romani 1,11 si può appunto benissimo intendere πνευματικον come avverbio e non è per nulla strano. Se così, tuttavia, il senso della C.E.I. 1974 "dono (= χαρισμα) spirituale" non sarebbe formalmente precisissimo (c.v.d.).

CITAZIONE
o sto a 700 km da casa in un albergo a scrivere dall'iphone quindi non posso proprio controllare.

Fa sempre piacere che comunque Teodoro si sia ricordato del ns. forum e si sia collegato anche lontano da casa sua per farci visita.

Saluti.

Edited by Hard-Rain - 24/9/2009, 23:56
 
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Frances Admin
view post Posted on 26/9/2009, 09:34     +1   -1




Rispondo in ritardo a causa di impegni esterni.
Il mio parere è che mentre 1 Ts 5:3 l'aggettivo ha valore avverbiale, Mc 16:17 non rappresenta una stranezza linguistica, ma testuale. Infatti, il verso successivo inizia con l'espressione "kai en tais chersin". Questa lezione è testimoniata dalla famiglia alessandrina, ma assente in altri importanti testimoni, come W, theta e f13. Secondo me l'aggettivo "kainais" del verso 17 rappresenta omoteleuto con l'inizio del verso successivo. L'omofonia della forma "kain en tais" e o della forma contratta "kan tais" del verso 18 potrebbe essere all'origine dell'aggiunta dell'aggettivo "kainais" del verso precedente. Infatti, omettendo questo aggettivo, rimane il sintagma verbale "glwssais lalhsousin". Ora, "lalew glwssais" ("parlare in lingue") è una tipica locuzione neotestamentaria. Facendo una ricerca delle ricorrenze di questa espressione, scoprirete che non solo compare in contesti simili a quello marciano (demonio, spiriti maligni, eventi di guarigione), ma non è mai accompagnata dall'aggettivo "kainais" o da altri aggettivi attributivi descrittivi, eccetto l'aggettivo "heteros". In particolare, la locuzione è patrimonio linguistico sia dell'evangelista Luca sia delle lettere paoline. L'espressione neotestamentaria "parlare in altre lingue", ovvero "parlare in lingue sconosciute" è costantemente "lalein heterais glwssais". Dunque, ci si aspetterebbe che in Mc 16:17 ricorra questa tipica espressione anziché quella attualmente attestata, la quale rappresenta un caso unico di tutto il repertorio neotestamentario.
Per concludere, a mio avviso la lezione corretta di Mc 16:17 è "glwssais lalhsousin" e l'aggettivo "kainais" si è originato per omoteleuto con il verso successivo. Spero di essere stata utile.

Edited by Frances Admin - 26/9/2009, 11:16
 
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Hard-Rain
view post Posted on 26/9/2009, 10:14     +1   -1




Infatti paralare "lingue" o "in lingue" è detto in particolare nella 1 Corinizi. L'aggettivo καινος Paolo non lo usa in combinazione con il verbo λαλεω e non dice mai "parlare lingue nuove".

E' interessante notare che la crasi è rara nel vangelo di Marco, tuttavia proprio nel finale interpolato Mc. 16:9-20 sono concentrati ben tre casi (di cui proprio un καν in 16:18).

Quindi si può ipotizzare che il testo fosse:

... γλωσσαις λαλησουσιν <b>και εν ταις χερσιν οφεις ....

una lezione attestata dai mss., il copista si sarebbe sbagliato magari sotto dettatura e avrebbe riportato:

... γλωσσαις λαλησουσιν καιναις οφεις ....

Ovviamente la scrittura va supposta tutta attaccata (scriptio continua) così che la situazione sarebbe stata:

da: ΛΑΛΗΣΟΥΣΙΝΚΑΙΕΝΤΑΙΣΧΕΡΣΙΝΟΦΕΙΣ

a: ΛΑΛΗΣΟΥΣΙΝΚΑΙΝΑΙΣΟΦΕΙΣ

La cosa che mi lascia perplesso è che si sarebbe perso per strada anche χερσιν.
 
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57 replies since 23/9/2009, 11:23   1780 views
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