Studi sul Cristianesimo Primitivo

Leone X e la favola di Cristo

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Saulnier
view post Posted on 7/4/2010, 09:09 by: Saulnier     +1   -1




CITAZIONE
Mi sembra facile stabilire la veridicità di alcune informazioni di Taylor (la mia preferita rimane Krishna = Gesù). Ora lo si può denigrare?

Naturalmente sì, se ti va, magari aprendo un 3d apposito ed evitando, se possibile, di raccontare boiate come quella che sarebbe stato Taylor a tradurre per primo in latino al XIX secolo (sic!) la frase di Bale e che egli avrebbe affermato che la Bibbia fu inventata nel 250 a.c. (doppio sic!)

Per verificare l’autenticità della ormai famosa frase che Leone X avrebbe detto a Pietro Bembo non si può prescindere dal particolare contesto storico (l’Umanesimo cinquecentesco) nel quale vissero i personaggi coinvolti nella vicenda per comprendere in quale maniera e se è verosimile che tale aneddoto sia potuto finire alle orecchie di John Bale.
Se fu davvero Bale, il primo a menzionare questo aneddoto, per poter almeno ipotizzare che l’autore protestante inglese non se lo sia semplicemente inventato di sana pianta, occorre individuare un possibile percorso tramite il quale egli abbia potuto venire a conoscenza dell’aneddoto prima di metterlo per iscritto nel 1558 nel suo Acta Romanorum Pontificum, con queste parole:

Proponenti enim semel Cardinali Bembo quiddam ex laeto illo Dei nuncio, dissolute respondebat: quantum nobis ac nostro coetui profuerit ea de Christo fabula, satis est seculis omnibus notum. Sceleratissimus nebulo propalam expressit, se antichristum illum esse quem Paulus peccati hominem ac perditionis filium vocat.

Una volta quando il Cardinal Bembo stava spiegando qualcosa dal lieto messaggio di Dio, egli (Leone X) replicò in maniera dissoluta: E’ sufficientemente noto a tutti da secoli quanto questa favola sul Cristo ci ha giovato a noi e alla nostra compagnia. Questo scelleratissimo buono a nulla dichiarò pubblicamente che egli era l’Anticristo, colui che Paolo chiama un uomo di peccato e il figlio della perdizione.

Nel brano rileviamo che Bale chiama Bembo, Cardinale, fatto che per taluni costituirebbe un elemento probante per affermare l’inaffidabilità dell’aneddoto e la sua invenzione, a scopi denigratori, da parte di Bale. E’ noto infatti che l’umanista Pietro Bembo (1470-1547) fu, insieme al grande latinista e suo amico Jacopo Sadoleto (1477-1547), segretario di Leone X durante quasi tutto il suo pontificato (1513-1521) e fino alla morte del pontefice (1521). Pietro Bembo ricevette la berretta cardinalizia solo nel 1539 da papa Paolo III e pertanto ai tempi di Leone X non era affatto Cardinale.
In realtà, leggendo il brano dell’autore inglese, vediamo che è Bale a chiamare il Bembo Cardinale e non Leone X, la qualcosa potrebbe significare molto semplicemente che quando John Bale venne a conoscenza dell’aneddoto, Bembo era effettivamente Cardinale.
Questo significa che Bale venne a sapere dell’episodio in un periodo successivo al 1539.
Diventa importante adesso comprendere dove si trovasse Bale in quel periodo e in quello immediatamente successivo.
(John Bale, a study in the minor literature of the Reformation di Jesse W. Harris, pag.31-32.)

Per sfuggire alla persecuzione dei vescovi, Bale fuggì con la sua famiglia nella bassa Germania. “And so did I, poor creature” scrisse durante il suo esilio, “with my poor wife and children, at the gathering of this present commentary, fleeing into Germany for the same”. I suoi movimenti durante il suo esilio sono un po’ difficili da seguire.
...
Sebbene Bale ovviamente visitò le città svizzere citate sopra, non è certo che egli vi risiedé regolarmente dal 1543 al 1545. Al contrario, egli probabilmente dimorò durante la maggior parte di questo periodo nelle città della Germania del Nord a ad Antwerp. Nella Bassa Germania, Bale venne in contatto diretto con il Luteranesimo. Lutero stesso era ancora vivo quando Bale approdò nel continente.
...
Altri riformatori del continente con cui Bale probabilmente conferì furono Melanchthon, Gesner e altri. Con questi uomini egli corrispose dopo il suo ritorno a casa.


Bale fu dunque in Europa nel periodo compreso tra il 1540 e il 1547 (quando Bembo era Cardinale), e principalmente in Germania, a contatto con i più famosi riformatori del suo tempo, tra cui Filippo Melantone (1497-1560), ‘il più dotto di Germania e in altri luoghi ancora avendo pochi pari’ come ebbe a dire di lui Girolamo Rorario in una lettera al cardinale Verulano, giudizio tanto più sincero in quanto proveniente da un cattolico nei confronti di un protestante. E proprio su Melantone conviene concentrare la nostra attenzione, poiché nella prefazione del suo Acta Romanorum Pontificum John Bale ringrazia proprio Melantone e Calvino per l’ospitalità concessagli durante il suo esilio.

Ma c’è di più tra il 1543 e il 1545 troviamo a Wittenberg in Germania a studiare presso Melantone, anche il grande riformatore ungherese, Stephanus Kis (1515-1572), detto Szegedinus. Kis fu l’autore del libro “Speculum Pontificum Romanorum”, un’opera non dissimile da quella scritta da Bale sul papato e che fu pubblicata postuma a Basilea nel 1584. In questa opera sorprendentemente ritroviamo l’aneddoto di Leone X, con parole pressoché identiche a quelle utilizzate da Bale.

Proponenti semel Cardinali Bembo quiddam ex laeto illo Dei nuncio, dissolute respondebat: quantum nobis ac nostro coetui profuerit ea de Christo fabula, satis est seculis omnibus notum. Hic sceleratissimus nebulo palam hac voce expressit, se Antichristum illum esse quem Paulus peccati hominem ac perditionis filium vocat. Hic nec coelum, nec inferos post hanc vitam esse credebat.


Due autori che menzionano l’aneddoto su papa Leone X, Bale e Kis, l’uno inglese, l’altro ungherese, si trovano entrambi a Wittemberg a contatto con Filippo Melantone praticamente negli stessi anni. Le coincidenze sono davvero tante.
Inevitabile a questo punto pensare che proprio al Melantone, il più grande discepolo di Lutero, uno dei più grandi eruditi del suo tempo, dobbiamo l’aneddoto della ‘favola di Cristo’.
Per quanto nelle numerosissime opere (epistole comprese) pubblicate da Melantone non vi sia traccia alcuna direttamente correlabile all’episodio su Leone X raccontato da Bale e Kis, in ‘Philippi Melanthonis, Opera quae supersunt omnia, vol. xx’ troviamo menzione di una raccolta di sentenze di Melantone dal titolo “Historiae quaedam recitate inter publicas lectiones” che gli autori della raccolta hanno reperito in un codice manoscritto della Biblioteca Ducalia Guelferhytana.
La descrizione del codice è la seguente:

Hic Codex chartaceus num.21. quatern. Continet 88 folia non num.; fol.1a in med. exhibet nonnisi haec verba: Wericus Vendenhaimer Noribergensis Anno 1557; fol.1b vacat ; fol.2a init. cont. hanc inscriptionem: Historiae quaedam recitatae a praeceptore f Mel. inter publicas lectiones; fol.2b vacat ; fol.3a -87a exhibent 304 historias numeris romanis, qui dicuntur, signatas ; fol.87a 88b 4 carmina continet.

Dunque il manoscritto è stato redatto dal discepolo di Melantone, Werich Vendenheimer nel 1557, e raccoglie una serie di storie di Melantone, raccontate tra le sue lezioni pubbliche.
Ecco sorprendentemente cosa leggiamo al n°48.

XLIII. Papa quondam dixit ad Bembum: O Bembe, nescis, quanta illa fabula de Christo nobis profuerit?

XLL. Un giorno il papa disse a Bembo : O Bembo, non sai, quanto ci ha giovato questa favola di Cristo?

La conferma di quanto sopra ipotizzato.
L’origine dell’aneddoto è da riportarsi al Melantone, un personaggio con uno spessore ben diverso rispetto a John Bale.
La traccia più antica dell’aneddoto risulta dunque questo manoscritto del 1557, che rappresenta naturalmente solo la data in cui Vendenheimer mise per iscritto gli aneddoti del suo maestro.
A questo punto vale la pena analizzare da più vicino la citazione di Melantone.
Osserviamo in primo luogo che tanto Melantone quanto Leone X (non menzionato) nominano Bembo col suo nome senza affibbiargli un’anacronistica carica cardinalizia. Inoltre osserviamo che la terminologia utilizzata da Melantone è differente da quella di Bale e Kis, i quali riportano l’aneddoto pressoché con le stesse parole. Inoltre, leggendo l’aneddoto in Bale e in Kis non si può fare a meno di restare stupiti. Vi vediamo in effetti il Bembo spiegare a Leone X un passaggio tratto dal lieto messaggio di Dio (i Vangeli?), quando questi senza nessun motivo consequenziale esclama la famosa frase:

“E’ sufficientemente noto a tutti da secoli quanto questa favola sul Cristo ci ha giovato a noi e alla nostra compagnia.”

La sequenza logica dell’aneddoto raccontato da Melantone non poteva essere questa. L’impressione è che uno tra Bale e Kis abbia rielaborato con un po’di fantasia e sicuramente a memoria un aneddoto narrato da Melantone nel corso delle sue lezioni, dopodiché l’uno ha copiato l’altro senza citarlo con la consapevolezza che la ‘source’ originaria era Melantone, che probabilmente, come avremo modo di meglio specificare nel seguito, non voleva essere citato.
Ora per chi conosce anche un minimo quel grande umanista e mecenate, ma pessimo cattolico che fu papa Leone X, non deve essere difficile comprendere a cosa precisamente si stesse riferendo il papa con la sua frase. Qualcosa che nulla aveva a che vedere con il lieto messaggio di Dio, ovvero il vergognoso mercato delle indulgenze, la grande macchia della Chiesa Cattolica.
Leone X, non dimentichiamolo, fu il papa che con il suo comportamento sfacciato spianò la strada alla Riforma Protestante. La proverbiale goccia che fece traboccare il caso fu la Bolla che Leone X promulgò il 18 ottobre 1517, i cui contenuti, nonostante la loro evidente importanza storica, risultano sconosciuti ai più e che pure dovrebbero essere studiati nelle scuole.

(Il diario di Bucardo, di Angelo Bianchi, 1854)

E perchè non si dubiti di questa infallibile verità cattolica, apostolica, romana, fra le tante bolle che inzeppano il Bullarium magnum, ne trascegliamo una, che è la più famosa, che comincia ‘Postquam ad apostolatus apicem’ pubblicata da papa Leone X ai 14 Novembre 1517 e che diede origine alla riforma di Lutero; avverto che fu omessa dalle edizioni di Roma, e la ricavo dalla edizione di Lucemburgo 1727 supplemento al tomo X pag. 38. Per Leone trattavasi di trovar denari per sopperire al lusso della sua corte, per dotare una sua sorella, moglie di Franceschetto Cibo, il quale era un figlio bastardo di papa Innocenzo VIII, e per coprire le ingenti spese richieste dalla fabbrica di San Pietro incominciata da Giulio II; ma Leone X, mettendo in circolazione una quantità strabocchevole d'indulgenze, fece come l’imperator d'Austria, che per necessità di pecunia mettendo in circolazione una quantità smodata di carta, ha screditata anche quella che prima vi era. È singolare che il Sarpi, nella sua Storia del Concilio Tridentino, appena accenni la detta bolla, mentre un'analisi della medesima tornava così acconcia a descrivere la fede ed i costumi della Santa Romana Chiesa d'allora. Quanto al Pallavicino, da esperto gesuita, si limita a dirci che Leone X « promulgò nel Cristianesimo alcune indulgenze ed insieme concessioni di mangiar latticini nei giorni obbligati a digiuno, e di eleggersi il confessore per chi concorresse con volontaria limosina a rifabbricare il tempio del Principe degli apostoli ». Eppure nella bolla vi è qualche cosa di più che non sono le uova e i latticini.
Omessi i preamboli col solito Tu et Petrus et super hanc petram etc., ivi è detto che, occorrendo molto denaro per compire la fabbrica di San Pietro, e convenendo che tutto il mondo cristiano contribuisse ad innalzare quel monumento al Principe degli apostoli, egli si era avvisato di conferire la facoltà di distribuire le indulgenze ai fedeli e di raccoglierne i denari a frate Cristoforo da Forlì, prete cardinale di Santa Maria in Ara coeli e generale dei frati Minori, e col suo mezzo a tutti i frati Minori sparsi nelle venti provincie in cui si erano divisa l’Europa. In conseguenza di che il papa concedeva al detto cardinale ed a quelli che fossero delegati da lui in Italia, Francia, Germania, Spagna ecc., la facoltà di concedere, mediante spontanea elemosina o prezzi da stabilirsi secondo i casi, indulgenze pei vivi e pei morti, assoluzione e remissione di tutti i peccati, e segnatamente per tutti i reati di simonia, per l'omicidio volontario, sempreché fosse segreto, con abilità di purgare e dispensare l'omicida dalle irregolarità canoniche io cui egli sarebbe incorso, nel caso che aspirasse agli ordini sacri o a benefizi ecclesiastici; piena assoluzione agli usurai, ai ladri, ai truffatori, a tutti quelli che si fossero arricchiti con mezzi illeciti o che avessero usurpata la roba d'altri, quand'anche si trattasse di beni pii, o destinati a dotare fanciulle povere o a celebrare messe o divini uffizi, raccomandando però di fare una stima approssimativa di questi valori fraudati onde imporre al penitente un'analoga contribuzione pecuniaria: dispensa per promovere agli ordini sacri o per aderire a dignità o benefizi ecclesiastici a quelli che non avessero ancora l' età voluta dai canoni; talché anche un fanciullo poteva essere promosso all'episcopato, come era già successo molte volte: dispensa pei matrimoni nei gradi proibiti; dispensa ed assoluzione per quelli che si fossero resi colpevoli di fornicazione od anche d'incesto, purché non fosse pubblico e scandaloso: facoltà di comporre e di ottenere una piena assolutoria, pagando una somma da convenirsi, a quelli che si fossero impadroniti di beni di chiese o di monasteri. (Si può dunque rubare cristianamente e cattolicamente, purché chi vuole essere ladro in regola, ottenga una dispensa dal papa e faccia a mezzo con lui.) Facoltà di rompere i contratti, di sciogliere i giuramenti, di assolvere dallo spergiuro, facoltà di seppellire quelli che muoiono senza confessione, abbenchè da lungo tempo non frequentassero i sacramenti, e bastare che qualcheduno testimoniasse che il defunto prima di morire aveva fatto un segno di contrizione: facoltà di assolvere dalle scomuniche e dai casi riservati, e di celebrare la messa e i divini uffìzi i in tempo e in luogo sottoposto all'interdetto, eccettuato però il giorno di Pasqua. Questa eccezione di un giorno così solenne, nel quale è assolutamente vietato di celebrare i divini uffizi, neppure pagando dei denari, è degna dell'acume di un papa. Se qualche pio cristiano la trovasse anche empia, noi non sapremmo che dire, e ci rimetteremmo alla sapienza dei teologi.
Oltre al permettere l'uso delle uova e dei latticini in quaresima; e di eleggersi quel confessore che trovasse di manica più larga, la bolla liberaleggia moltissime altre indulgenze e privilegi, sempre però da comperarsi a denari sonanti.
Ripetiamo la frase denari sonanti, perché su questo proposito la bolla di Leone X non fa reticenze; ma annoverando le facoltà da lui date al cardinale da Forlì, e che questi potrà trasmettere a suoi delegati, dice netto e schietto che gli conferisce anco quella di limitare e tassare la somma di denari da pagarsi per ottenere l'indulgenza in discorso e le altre già premesse, come anco per eleggersi un confessore di proprio comodo, o per concedere l'uso di un altare portatile a nobili, preti e persone graduate ecc. ecc.
...
Ecco dunque una bolla che, mercé una pattuita somma di denari, largisce l'indulgenza ai simoniaci, agli omicidi, ai ladri , ai truffatori, agli usurai, a chiunque si fosse arricchito per disoneste vie, ai fornicatori, agl'incestuosi; che per denari libera le anime dal purgatorio e concede ogni qualità di grazie e dispense. Ben ci duole che, per essere brevi, non abbiamo potuto presentarla ai nostri lettori nella originale sua ingenuità, respirante una così fatta evangelica unzione da convenire non che i Luterani, ma financo gli Ebrei ed i Turchi.


La Bolla è datata 15 Ottobre 1517 ed il testo in latino (con traduzione in tedesco) è consultabile qui:

http://books.google.it/books?id=eHYNAAAAYAAJ&pg=RA1-PA425&dq

Nessuna meraviglia che un tale papa possa avere riferito al suo segretario e grande umanista Pietro Bembo la famosa frase sulla ‘fabula de Christo’, il che naturalmente non significa che l’abbia effettivamente detta.
Dopo questo lungo ma necessario excursus, torniamo alla nostra ‘favola di Cristo’
L’aneddoto in Melantone era dunque evidentemente correlato all’indegno mercato che Leone X aveva fatto delle indulgenze, ma cosa dire della frase immediatamente precedente il passaggio e in cui vediamo Bembo spiegare qualcosa riguardanti il Vangelo? Tale frase, citata forse a memoria da Bale o Kis, era forse riferita ad un altro contesto?
E’ quello che io credo ed è quanto è possibile appurare nell’opera “De papa romano libri decem” di Sibrandus Lubbertus, pubblicata nel 1594 dove ritroviamo l’aneddoto in quella che poteva essere in effetti la sua costruzione originaria in Melantone. Vi leggiamo:

Idem Papa prosternit se quidem ante imaginem Christi, sed omnem doctrinam de Christho habet pro fabula. Leo decimus cum admiraretur pecuniam ex indulgentiis collectam, dixit ad Bembum, O Bembe, quantum nobis profuit fabula de Christo. Idem, cum Bembus aliquem locum ex novo testamento ad eum consolandum adduceret, dixit, Appage istas nugas de Christo.

Quello stesso papa si prosternava in verità davanti all’immagine di Cristo, ma riteneva una favola tutta la dottrina sul Cristo. Leone Decimo quando ammirò il denaro raccolto con le indulgenze, disse a Bembo, “O Bembo, quanto ci ha giovato la favola di Cristo”. Allo stesso modo, quando Bembo citò per consolarlo un certo passo del nuovo testamento, egli disse “Falla finita con queste sciocchezze sul Cristo”.

Notiamo il lessico utilizzato da Lubbertus, quasi identico a quello del passaggio di Melantone, che costituisce la fonte primaria dell’aneddoto. La sequenza logica del passaggio inoltre è decisamente più coerente rispetto a quella che ritroviamo in Kis e Bale. Quando Bembo cita un passaggio del Nuovo Testamento per consolarlo (in punto di morte?) Leone X non gli risponde con la ‘fabula de Christo’ ma con l’altrettanto scioccante ma molto più logica ‘Appage istas nugas de Christo’.

Giunti a questo punto, ovvero appurato che è al Melantone e non al Bale che va attribuita la paternità dell’aneddoto su Leone X, il problema risulta solamente spostato.
Ovvero, in quale maniera questa storia su Leone X può esser giunta alle orecchie del Melantone?
 
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10 replies since 6/4/2010, 15:54   7665 views
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