Studi sul Cristianesimo Primitivo

Epittèto e i Galilei (Cristiani?), Arr.EpictD. 4,7,6

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chimofafà
view post Posted on 23/6/2010, 00:00     +1   -1




CITAZIONE
P.S. La tua domanda su Theudas probabilmente meriterebbe l’apertura di un 3d.

Ti riferisci a questa?

CITAZIONE
In Atti 5, 36 (lasciando perdere la "sfasata" cronologia tra Giuda il Galileo e Teuda) Gamaliele parla di Teuda come di uno già ucciso [a quei tempi], secondo Flavio tutto si sarebbe svolto sotto Cuspio Fado (44-46 d.C.), ma ancora di Paolo in queste narrazioni non c'é traccia. Invece al capitolo 9, 25 i discepoli di Saulo lo fanno scendere [a Saulo] lungo le mura, calandolo da una cesta. In 2 Cor 11, 32-33 Paolo parla direttamente di questo fatto avvenuto al tempo di Areta (re dei Nabatei), quando aveva esteso la sua influenza anche a Damasco (37-39 d.C. circa).

Come é possibile che Gamaliele in Atti prima narri di un fatto avvenuto tra il 44-46 d.C. e successivamente si parla di Paolo che arriva a Damasco nel 37-39 d.C.?

C'é qualche spiegazione?

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/6/2010, 07:10     +1   -1




Invito ad aprire thread appositi per tutte le questioni che non hanno attinenza con la questione di Epittèto e dei Cristiani/Galilei, pena la cancellazione dei messaggi.
 
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chimofafà
view post Posted on 23/6/2010, 07:29     +1   -1




Ciao Hard, il thread si potrebbe anche fare, ma (come chiarirò meglio nel documento) a Luca non importavano le cronologie, lui "copiava" qua e la e poi assemblava il vario materiale a volte amplificandolo a volte "limando" e questo per motivi suoi teologici o di comunità, non so cosa ci potrebbe essere da discutere, la contraddizione é evidente, ma questa non é delle peggiori.

Ciao.
 
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view post Posted on 23/6/2010, 08:10     +1   -1
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Tornando in topic, se non sbaglio l'imperatore Flavio Claudio Giuliano (331 - 363, anche conosciuto come Giuliano l'Apostata) scrisse un'opera intitolata "Contro i Galilei"

http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/lib..._i_galilei_.htm

Trattandosi di un libro di polemica anti-cristiana, parzialmente ricostruito tramite l'opera Contra Iulianium di Cirillo d'Alessandria, sarebbe interessante capire perché Giuliano abbia optato per il nome "galilei" piuttosto del piu' affermato "cristiani".

Ciao,
Talità
 
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Saulnier
view post Posted on 23/6/2010, 10:26     +1   -1




Cit. Hard Rain
CITAZIONE
Ho fatto ulteriori indagini, tra gli autori antichi che parlano di Galilea o dei Galilei abbiamo ovviamente Flavio Giuseppe, non solo in Antichità Giudaiche e in Guerra Giudaica, ma ne parla anche nel Contro Apione e nella Vita, a me pare che praticamente sempre intenda i Galilei come popolo, abitanti della Galilea oppure in alcune situazioni parla dei Galilei come di quella parte del popolo Galileo che si ribellò ai Romani nel 66 (ma senza mai ricollegarli direttamente alla setta di Giuda, agli zeloti o altro gruppo, diciamo che tra questi Galilei potrebbero essere compresi individui di qualunque appartenenza, purchè caratterizzati dal provenire da questa regione).

Fermo restando che Giuseppe Flavio nella maggior parte delle sue citazioni intende effettivamente i Galilei come popolo, abitanti della Galilea, come tu stesso hai sottolineato:

CITAZIONE
in alcune situazioni parla dei Galilei come di quella parte del popolo Galileo che si ribellò ai Romani nel 66

Io credo che sia questo il punto cruciale della questione: il termine ‘Galilei’, ad un certo punto, finisce per perdere una connotazione puramente geografica diventando un termine teso ad individuare un partito, una setta o gruppo di individui caratterizzati da un comune denominatore: l’ardente amore per la libertà e la ribellione contro il popolo straniero dominante.

CITAZIONE
diciamo che tra questi Galilei potrebbero essere compresi individui di qualunque appartenenza, purchè caratterizzati dal provenire da questa regione

Questo invece il mio pensiero:

tra questi Galilei potrebbero essere compresi individui di qualunque regione, purché caratterizzati da questo comune sentimento: un ardente desiderio di libertà che non poteva non sfociare nella lotta contro i Romani.


Ma perché proprio Galilei?
Perché il popolo galileo questo sentimento lo aveva nel sangue, si comportavano in una certa maniera per abitudine, per εθος per parlare come Epitteto ed è lo stesso Giuseppe Flavio a dircelo (Bell.3,41-42)

Pur avendo questa modesta estensione ed essendo circondate da tanti popoli stranieri, le due Galilee si sono sempre difese da ogni invasione nemica; infatti i Galilei sono bellicosi fin da piccoli e sono stati sempre numerosi, e come gli abitanti non hanno mai conosciuto la codardia così la regione non ha mai conosciuto lo spopolamento, poiché essa è tutta ubertosa e ricca di pascoli e di alberi di ogni specie, sì che per tale feracità alletta anche chi è meno propenso al lavoro dei campi.

Il termine ‘Galilei’ venne associato, per estensione, a coloro che della lotta armata contro i Romani avevano fatto la propria ragione di essere.

Ecco perché Giuda, nato a Gamala in Gaulanitide, viene chiamato ‘Giuda il Galileo’.

Ecco perché Giuseppe Flavio in Contra Apionem (I,47-48) afferma:

Ora, io feci pure un resoconto veritiero dell’intera guerra e delle cose che accaddero in ciascuna parte, poiché mi capitò di essere presente in tutte le vicende. Giacché io ero il comandante di coloro che noi chiamiamo ‘Galilei’ fino a che fu possibile resistere e, dopo essere stato catturato, vissi tra i Romani come prigioniero.

Un esempio analogo è quello relativo alla setta dei Samaritani, menzionata da Egesippo tra le 7 sette giudaiche insieme ai Galilei.
I Samaritani sono gli abitanti della Samaria ma lo stesso nome viene associato, per estensione, a coloro che sono Samaritani di fede pur non appartenendo geograficamente a quella regione.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/6/2010, 11:18     +1   -1




Sì, la tua analisi è in parte condivisibile, tuttavia l'εθος di cui parla Epittèto nel passaggio sui Galilei delle "Diatribe" non riguarda l'essere bellicosi o l'amore per la libertà politica (che peraltro è un oggetto esterno nel suo sistema filosofico, di cui non si deve tenere conto, perchè la libertà (ελευθερια) nel sistema è sempre di tipo psicologico) ma il non darsi cura di avere donne, non darsi cura di avere un patrimonio, nè darsi cura di avere i figli, fino all'estremo di non avere preoccupazioni per il corpo nel senso di non aver paura della morte, accetatata come una conseguenza possibile e ammissibile. Sono caratteristiche piuttosto stringenti, alle quali giungono i folli (quelli soggetti a μανια), il vero filosofo (come Socrate o Diogene di Sinope, mosso però dalla ragione, il λογος) e appunto, per abitudine o per costume (εθος) questi Galilei.

Che ne pensi dell'ipotesi che Epittèto intendesse riferirsi, con un errore di confusione, agli Esseni così come descritti da Plinio il vecchio nella Storia Naturale (vedi il mio messaggio precedente)? Per quanto riguarda la parola "Galilei", Flavio Giuseppe la usa persino per le persone che comandava egli stesso, come appunto si evince da Contra Apionem I,47-48, in contrapposizione ad altri Galilei. L'uso di questo termine è veramente molto generale e da una parola è estremamente complesso comprendere a cosa si riferisse un autore. Inoltre perchè pensare proprio ai Galilei? Per citare un esempio di popolo combattivo, bellicoso e amante dell'indipendenza politica Epittèto avrebbe potuto parlare anche dei Giudei o di altre popolazioni del mondo antico meglio note ai suoi uditori.
 
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view post Posted on 23/6/2010, 13:48     +1   -1
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Ripartendo da quanto ho riportato per Giuliano, vorrei tornare sul "fil rouge" che accomuna l'opinione dei filosofi antichi nei confronti del cristianesimo. A tal proposito abbiamo già visto le similitudini tra Epitteto e Luciano, ai quali si accoda Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180) che parlando proprio della predisposizione alla morte, scrive (Ad sem. XI, 3): <<tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralità>>.

A quanto sopra, si potrebbe forse aggiungere Celso. Per il seguente motivo. Trattando il tema dell'irrazionalità della fede cristiana, Origene nel Cap X del Contra Celsum obietta a Celso le seguenti cose (la traduzione è mia ed il corsivo pure):

<<[...] dal momento che i nostri avversari (Celso e i filosofi) continuano a ripetere tali dichiarazioni sulla fede (adesione irrazionale al cristianesimo), dobbiamo dire che, considerandola come una cosa utile per la moltitudine, si ammette di insegnare a credere senza ragione alle persone, le quali non riescono a tralasciare tutti gli altri impegni per dedicarsi all'esame degli argomenti; e i nostri avversari (Celso e i filosofi), anche se non se ne rendono conto, in pratica fanno lo stesso. Perché chi, avvicinandosi allo studio della filosofia, e gettandosi tra le fila di qualche setta, vuoi per caso, vuoi perché è dotato di
un insegnante di quella scuola, [...] deve ritenere la sua setta particolare superiore a qualsiasi altra? Perché, in attesa di sentire le argomentazioni di tutti gli altri filosofi, e di tutte le diverse sette, e le ragioni per condannare un sistema e per sostenere un altro, lui in questo modo sceglie di diventare uno stoico, ad esempio, o un platonico, o un peripatetico, o un epicureo, o un seguace di qualche altra scuola [...] >>

Anche Celso quindi contesta la natura irrazionale della fede cristiana. Questo è un leit motif al quale, a quanto sembra, nessuno si sottrasse :-)

Ecco perchè la nota di Epitetto può a buon titolo essere riferita ai cristiani, seguendo essa la tendenza della riflessione filosofica "pagana" del II secolo.

Sarebbe interessante capire se ai tempi della scuola di Epitteto fosse in atto qualche persecuzione nei confronti dei cristiani, magari geograficamente attigua, tale da giustificare il suo riferimento.

Ciao,
Talità
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/6/2010, 15:36     +1   -1




QUOTE
Sarebbe interessante capire se ai tempi della scuola di Epitteto fosse in atto qualche persecuzione nei confronti dei cristiani, magari geograficamente attigua, tale da giustificare il suo riferimento.

Si tenga conto che il periodo storico di riferimento in cui Epittèto pronunciò quelle parole registrate dal suo discepolo Arriano è al tempo di Traiano o di Adriano. Diciamo dal 100 al 130 d.C. massimo, con preferenza per gli anni attorno al 120 d.C., per esempio parla al passato del filosofo Eufrate la cui data di morte è collocata con precisione al 118 d.C. E' interessante osservare comunque che attorno al 115 ci furono delle rivolte dei Giudei della diaspora, di entità particolarmente rilevante.

QUOTE
A tal proposito abbiamo già visto le similitudini tra Epitteto e Luciano, ai quali si accoda Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180) che parlando proprio della predisposizione alla morte, scrive (ecc...)

Le parole di Epittèto a mio avviso sono meno dure nei confronti di questi Cristiani/Galilei, rispetto a Marco Aurelio, Celso e gli altri. Gli studiosi si sono interrogati sulla differenza tra le parole di Epittèto e le altre testimonianze:

http://books.google.it/books?id=0sInrZZxYQ...istiani&f=false
 
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view post Posted on 23/6/2010, 18:07     +1   -1
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CITAZIONE (Hard-Rain @ 23/6/2010, 16:36)
Si tenga conto che il periodo storico di riferimento in cui Epittèto pronunciò quelle parole registrate dal suo discepolo Arriano è al tempo di Traiano o di Adriano.

E' corretto affermare che coincide col periodo in cui fu martirizzato Ignazio (sotto Traiano), il quale scrisse le sue epistole durante il viaggio da Antiochia a Roma? E coincide con il periodo in cui Plinio il Giovane ha uno scambio epistolare con Traiano riguardo alle persecuzione verso i cristiani, dei quali scrive: <<quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma>>.

Sembra anche in questo caso che la cocciutaggine (di nuovo, "follia") dei cristiani di fronte allo spauracchio della morte, il periodo storico e la posizione geografica abbiano una certa pertinenza con quanto, quando e dove Epitteto fece le sue affermazioni.

Ciao, Talità
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/6/2010, 18:09     +1   -1




CITAZIONE
E' corretto affermare che coincide col periodo in cui fu martirizzato Ignazio (sotto Traiano), il quale scrisse le sue epistole durante il viaggio da Antiochia a Roma? E coincide con il periodo in cui Plinio il Giovane ha uno scambio epistolare con Traiano riguardo alle persecuzione verso i cristiani, dei quali scrive: <<quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma>>.

Indubbiamente il periodo storico è proprio quello. Lo scritto di Plinio il giovane indirizzato all'imperatore Traiano è databile al periodo in cui fu governatore della Bitinia, tra il 111 e il 113 d.C. Per quanto concerne le epistole ritenute autentiche e attribuite a Ignazio di Antiochia sono databili al 110 d.C., ancora al tempo di Traiano (cfr. ad es. Bruce N. Metzger, Il canone del Nuovo Testamento, Paideia, ediz. 1997, p.49). Ma il clima di tensione proseguì anche sotto l'imperatore Adriano (117-138 d.C.) per esempio si può citare il rescritto dello stesso Adriano a Caio Minucio Fondano in carica tra il 122 e il 123 d.C. (tale rescritto è riportato nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, libro IV, capp. 9, vv. 2-3). Un periodo storico che si adatta molto bene alla datazione di queste Diatribe di Epittèto (io ritengo attorno al 120, comunque dopo il 118 (anno della morte del filosofo Eufrate, del quale parla al passato nelle due occasioni in cui lo menziona) e prima della rivolta di bar Kokhba del 132-135 d.C.).

Tuttavia: quelle di cui sopra non sono prove che Epittèto abbia pensato per forza ai Cristiani chiamandoli Galilei. Se vi erano provvedimenti contro i Cristiani, questi non erano l'unico gruppo esistente a quel tempo, sappiamo che ci furono preoccupanti rivolte dei Giudei della diaspora e che tanti altri gruppi avevano avuto dei problemi con le autorità, a cominicare dagli stessi filosofi stoici (Epittèto stesso era stato esiliato anni prima). Inoltre io continuo a non vedere il collegamento del termine εθος con la parola italiana "ostinazione" (che lascia intuire una opposizione a un determinato tipo di autorità). Io vi leggo una "abitudine", un "costume" a comportarsi a quel modo. A quale modo? A non tenere in considerazione la donna (= la moglie), i figli, il patrimonio e addirittura la vita stessa: sono, dice Epittèto, le cose che può fare un folle, un Galileo (per abitudine, per costume secolare, non motivato da un ragionamento logico) e un perfetto filosofo (che però giunge a questo comportamento sulla base di una speculazione filosofica basata sul λογος).

Edited by Hard-Rain - 23/6/2010, 20:25
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/6/2010, 19:54     +1   -1




Ho riletto G. Jossa nel libro I Cristiani e l'impero romano, testo che non consultavo da un po' di tempo, ed. Carocci, rist. 2006, pp. 97-102 (il capitolo si intitola "Il cristianesimo sotto Traiano ed Adriano"). Ebbene, Jossa intende sempre nel capitolo εθος con "abitudine" (non "ostinazione" o altre parole). La sua interpretazione del passaggio è assolutamente condivisibile, anche per quanto concerne l'inquadramento generale del pensiero filosofico di Epittèto. In particolare Jossa ci ricorda un aspetto che io ho un po' involontariamente dimenticato sopra: disinteresse, certo, per la moglie, i figli, il patrimonio (come gli Esseni o gruppi ascetici similari). Ma anche e soprattutto disinteresse per il corpo (το σωμα), che significa disinteresse per la vita, per il vivere o il morire, e in effetti la domanda di apertura della "Diatriba" era proprio: "Cos’è che rende temibile il tiranno (τυραννος)?", da cui scaturisce tutta la questione su ciò che lo rende temibile ai più (essenzialmente il potere di uccidere). Jossa identifica dunque i Galilei con i Cristiani che non avevano paura della morte e fa proprio riferimento al clima di tensione del periodo e alla vocazione per il martirio citando la figura di Ignazio di Antiochia. Anche Jossa, tuttavia, non riesce a citare alcuna fonte antica a sostegno di una identificazione certa, univoca e veramente soddisfacente dei Cristiani con i Galilei e si limita soltanto a scrivere: "Nonostante le obiezioni spesso avanzate dagli studiosi, questi Galilei sono quasi certamente i Cristiani" (op. cit., p. 100).

Edited by Hard-Rain - 24/6/2010, 08:18
 
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Saulnier
view post Posted on 23/6/2010, 21:27     +1   -1




cit. Hard Rain
CITAZIONE
Che ne pensi dell'ipotesi che Epittèto intendesse riferirsi, con un errore di confusione, agli Esseni così come descritti da Plinio il vecchio nella Storia Naturale (vedi il mio messaggio precedente)?

Indubbiamente vi sono delle analogie piuttosto forti, tuttavia questa ipotesi presenta almeno due gravi limiti:

1) suppone che Epitteto abbia commesso un errore, (a meno di dimostrare che gli Esseni erano anche detti Galilei)

2) nella descrizione di Plinio degli Esseni non vi è traccia di quel disinteresse verso la vita (o verso la morte) che è invece la caratteristica essenziale per la quale i Galilei vengono tirati in ballo da Epitteto.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 23/6/2010, 23:17     +1   -1




QUOTE
Indubbiamente vi sono delle analogie piuttosto forti, tuttavia questa ipotesi presenta almeno due gravi limiti:

1) suppone che Epitteto abbia commesso un errore, (a meno di dimostrare che gli Esseni erano anche detti Galilei)

2) nella descrizione di Plinio degli Esseni non vi è traccia di quel disinteresse verso la vita (o verso la morte) che è invece la caratteristica essenziale per la quale i Galilei vengono tirati in ballo da Epitteto.

Ti ringrazio. Nello specifico il punto 1) sarebbe anche superabile poichè sono documentati altri errori e lapsus più o meno gravi nel resto delle "Diatribe", spiegabili col fatto che comunque erano lezioni pronunciate al pubblico anche a braccio, come meglio veniva, oltretutto fanno parte di una parte delle lezioni, quella meno tecnica, in cui Epittèto si sbottonava (tra virgolette) e parlava di morale stoica, si presume che fossero discussioni libere che si svolgevano al termine delle parti teoriche delle lezioni dove si studiavano i filosofi e la logica. Il punto 2) ritengo sia effettivamente più importante. Come nota anche Jossa, il richiamo al disinteresse per il corpo e quindi al disinteresse per la morte e per quanto può fare il tiranno è fondamentale e non costituisce un elemento secondario: per gli Esseni non è documentato un simile atteggiamento, nè nel ritratto di Plinio il vecchio, nè nel ritratto di Flavio Giuseppe. D'altra parte neppure gli zeloti, nè i membri della quarta filosofia di Giuda di Gamla, nè i Galilei intesi come popolazione della Galilea assommano in sè tutte queste caratteristiche (disinteresse per il corpo, per le ricchezze economiche, per le relazioni con l'altro sesso e per i figli), ragion per cui l'ipotesi cristiana sembra tornare in ballo.

Per quanto concerne Giuliano l'apostata, faccio notare che opera in un periodo relativamente molto tardo, conosceva molto bene i vangeli, conosceva tutto della vicenda del Gesù canonico e quindi poteva benissimo chiamare Galilei i Cristiani in senso spregiativo, come di rozzi contadini venuti da una terra periferica, attraverso le storie che ben conosceva dai vangeli canonici. Ma Epittèto non conosceva i vangeli cristiani e nel dettaglio le vicende cristiane, almeno non è possibile provare che fosse a conoscenza di queste cose, sebbene si noti una certa affinità di linguaggio che però alcune volte è solo formale (per esempio la parola λογος è frequentemente usata nei testi cristiani e nella filosofia stoica ma il significato non è lo stesso e lo stesso concetto di Dio in Epittèto non può essere confuso col monoteismo giudeo-cristiano, ecc...). In questo libro (vedi pag. 135):

http://cdigital.dgb.uanl.mx/la/1080020363/1080020363_07.pdf

si afferma che: "... i Galilei, come Giuliano chiamava per derisione i cristiani, furono allontanati dalle grandi cariche dell'impero ...". In questo testo:

http://books.google.it/books?id=lhvh26ZuID...istiani&f=false

è scritto invece: "Giuliano chiamava Galilei i cristiani non per disprezzo, ma per sottolineare il regionalismo della loro religione."

Interessante anche quanto riportato in questo libro:

http://books.google.it/books?id=FVJ5I0Vcda...istiani&f=false

riguardante Gregorio Nazianzieno, da cui si evince che Giuliano usava il nome come un titolo spregiativo per deridere i cristiani o comunque per sminuirli.

In questo vecchio libro del 1840 (p. 34) che descrive il rinvenimento di un epigramma funerario greco contenente la parola "galileo" si sostiene che Giuliano usava come una offesa il nome "Galileo":

http://books.google.it/books?id=XaMXAAAAYA...istiani&f=false

La storia di questo epigramma potrebbe essere di un qualche interesse e forse vale la pena di leggere l'intera opera (scaricabile in PDF). E' conosciuto come epigramma o epitaffio di Pettorio, è venuto alla luce nel 1839 a Bibracte nelle Gallie, in un cimitero dove erano sepolti cristiani. Pare sia databile alla fine del II secolo d.C. (ma per alcuni risale a non prima del III sec. d.C.), la lezione "pesce Galileo" è comunque incerta, inoltre molto probabilmente si tratta di un titolo per Gesù, non è detto che si possa riferire a qualche setta dei Galilei. Già dai vangeli sinottici sappiamo comunque che Gesù stesso era chiamato "il Galileo" quasi come fosse un titolo o un soprannome. In concreto, non c'è nulla che abbia attinenza col nostro problema.

Sembra, dunque, che Giuliano l'apostata abbia coniato egli stesso il nomignolo di Galilei per deridere o sminuire i Cristiani: se così il suo uso non avrebbe alcuna attinenza col nome di una specifica setta dei Galilei e non può dirci alcunchè di storico che riguardi l'epoca precedente. Anche il documento di cui sopra riguardante l'epitaffio greco afferma che Giuliano coniò egli stesso quel particolare modo di riferirsi ai cristiani per schernirli e sminuirli. Il documento cita in particolare le seguenti fonti: (1) Socrate scolastico, Historia Ecclesiastica, III, 12; (2) Teodoreto di Ciro, Historia Ecclesiastica, libro III, capp. 4 e 16; (3) Gregorio Nazianzeno, Orat. III.

Ho trovato il passaggio riguardante Socrate scolastico (380-440 d.C.), Hist. Eccl. III, 12 che legge in greco: Γαλιλαιον γαρ ειωθει ο Ιουλιανος καλειν τον Χριστον και τους Χριστιανους Γαλιλαιους che tradotto è: "Giuliano infatti era solito chiamare il Cristo [come] Galileo, e i Cristiani [come] Galilei.

Per quanto concerne Teodoreto di Ciro (393-457 d.C.), il cap. 4 del terzo libro della sua Historia Ecclesiatica non ha nulla di interessante per il nostro argomento, mentre invece in Hist. Eccl. III,16 Teodoreto scrive (sta ovviamente parlando di Giuliano: "(...) had visions of a campaign against the Galileans, for so he called the Christians, thinking thus to bring discredit on them." (trad. P. Schaff, non ho il testo in lingua originale al momento).

Edited by Hard-Rain - 25/6/2010, 10:02
 
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Hard-Rain
view post Posted on 24/6/2010, 20:13     +1   -1




Aggiungo che il disprezzo per la morte davanti al tiranno non è direttamente riportato nella descrizione degli Esseni di cui abbiamo traccia in Plinio il vecchio. A parlarne è invece Flavio Giuseppe che oltre a ricordarci caratteristiche simili a quelle delineate da Plinio il vecchio, ci informa che:

Bell. 2,152-153 - [152] Il loro spirito (= degli Esseni) fu assoggettato ad ogni genere di prova durante la guerra contro i romani, in cui stirati e contorti, bruciati e fratturati e passati attraverso tutti gli strumenti di tortura perché bestemmiassero il legislatore o mangiassero qualche cibo vietato, non si piegarono a nessuna delle due cose, senza nemmeno una parola meno che ostile verso i carnefici e senza versare una lacrima. [153] Ma sorridendo tra i dolori, e prendendosi gioco di quelli che li sottoponevano ai supplizi, esalavano serenamente l'anima come certi di tornare a riceverla.

Come noto la descrizione degli Esseni di Flavio Giuseppe nel Bell. Iud. è più ampia e articolata.

Edited by Hard-Rain - 25/6/2010, 13:54
 
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view post Posted on 25/6/2010, 14:04     +1   -1
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Rimane il fatto che quella degli esseni fu una setta piuttosto polarizzata geograficamente e cronologicamente più lontana dalle Dissertazioni di Epitteto, specialmente se confrontata con il cristianesimo, il quale (1) ha uno stretto legame con la Galilea, (2) è oggetto di persecuzioni in ampie aree dell'Impero, (3) tali persecuzioni avvengono nel periodo delle Dissertazioni.
Ciò non ci dice nulla di certo, ovviamente, ma in termini di probabilità di identificazione con i "galilei" di Epitteto l'ipotesi essena mi sembra faccia qualche difficoltà in più.

Ciao,
Talità
 
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