Studi sul Cristianesimo Primitivo

Epittèto e i Galilei (Cristiani?), Arr.EpictD. 4,7,6

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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 08:32     +1   -1




Un passaggio del filosofo neo stoico Epittèto (50-120 d.C. c.a.) contiene un riferimento ai Galilei che viene interpretato come una allusione ai Cristiani del suo tempo. Si trova in Arr.EpictD. 4,7,6. Per prima cosa iniziamo a leggere e tradurre il testo. In seguito cercheremo di delineare i tratti caratteristici di questi Galilei e verificare se possono essere i Cristiani oppure se Epittèto allude a un'altra setta o gruppo o semplicemente agli abitanti della Galilea, il popolo Galileo. Ecco una traduzione, se volete ancora un po' legnosa, da rendere un po' più scorrevole in certe parti, ma che comunque rende fedelmente il testo originale, dove ho riportato le parole greche più importanti. Il testo parte dall'inizio del cap. 7 del quarto libro delle "Diatribe", capitolo che si intitola "Riguardo la mancanza di paura" (περι αφοβιας).

[4,7,1] Cos’è che rende temibile il tiranno (τυραννος)? – I pretoriani (1) – dice (l’interlocutore di Epittèto) – e le loro spade, chi sta (a guardia) sulla camera da letto (del tiranno) e quelli che possono lasciare fuori quelli che si presentano (al tiranno). – Per quale motivo, dunque, se (tu) condurrai (v. προσερχομαι) un bambino presso di lui (= presso il tiranno) mentre (= il tiranno) si trova assieme ai (suoi) pretoriani, (il bambino) non ha paura? Non sarà forse perché il bambino non ha paura di questi (dei pretoriani)? Se, dunque, uno avrà percezione (v. αισθανομαι) dei pretoriani e che (essi) hanno delle spade, tuttavia gli si avvicinerà (= al tiranno) per questo stesso (motivo), [cioè al fine di] voler morire (di proposito) a causa di una qualche situazione particolare (περιστασις) e cercando volontariamente/serenamente questo (= di voler morire) da parte di un altro, forse (costui) teme i pretoriani? – No. Desidera, infatti, ciò per cui (i pretoriani) sono temibili. – Dunque, se uno che non vuole né morire né vivere per forza (εξ απαντος, a tutti i costi, per forza) ma (si comporta) come è stato dato (come capita), gli si accosterà, che cosa impedisce (v. κωλυω) che (egli) non si trovi ad aver paura (ptc. perf.to di δειδω) di accostarsi a lui (= al tiranno)? – Niente. – Dunque se uno sarà disposto allo stesso modo (ωσαυτως εχῃ) anche per quanto concerne il patrimonio (κτησις), proprio come (καθαπερ) per quanto riguarda il corpo (το σωμα), e (così) anche per i figli (τα τεκνα) e per la moglie (η γυνη) e, in breve, sarà così disposto (ουτως ῃ διακειμενος) da follia/passione insensata (μανια) e insensatezza (απονοια), così che (ωστε + inf.to) avere o non avere queste (cose) sarà (per lui) indifferente, anzi, come (ως) i bambini (τα παιδια) che giocano (v. παιζω + dat.vo) con le conchiglie litigano per il gioco (η παιδια) ma non si preoccupano delle conchiglie, allo stesso modo (ουτως) anche costui non terrà per niente in conto le materie (η υλη) ma perseguirà con piacere (v. ασπαζομαι) il gioco riguardante le materie e la condotta di vita, (se avverrà tutto ciò), quale tiranno (risulterà a uno così disposto) temibile o quali pretoriani o quali spade di costoro?

[4,7,6] Ebbene, uno può essere così disposto (inf.to pass.vo di διατασσω) riguardo a queste (cose) da pazzia (μανια) e i Galilei (οι Γαλιλαιοι) da abitudine/usanza/costume/tradizione (εθος) (2): invece nessuno è capace di imparare dalla ragione (λογος) e da una dimostrazione deduttiva (αποδειξις) che (il) Dio (ο θεος) ha fatto (perf.to ind.vo di ποιεω) (3) tutte le (cose) nell’universo (τα εν τῳ κοσμῳ) e lo stesso universo intero (è stato fatto dal Dio) privo di impedimenti e autosufficiente (ακολωτος και αυτοτελης) mentre le sue parti (τα εν μερει αυτου) (sono state fatte dal Dio) per l’utilità del tutto (= dell’universo, τα ολα)? Tutti gi altri esseri (del creato) sono lontani (perf.to di απαλλασσω) dal poter comprendere il suo (= del Dio) ordinamento (διοικησις) mentre invece l’essere razionale (το λογικον ζῳον, l’uomo) ha mezzi/risorse (v. αφορμη) per la riflessione su tutte queste (cose), (per riflettere) che è (una) parte, una parte di un certo tipo e che è bene che le parti cedano/siano inferiori (v. εκω + dat.vo) al tutto. Ma oltre a queste (cose), [poiché] è venuto (sogg. το λογικον ζῳον, l’uomo) per natura nobile, magnanimo e libero, vede che tra le cose che lo riguardano, alcune le ha prive di impedimenti e a lui sottoposte, mentre invece altre (le ha) soggette a impedimenti e soggette ad altri (4): non soggette a impedimenti sono le (cose) dipendenti dalla propria possibilità di scelta morale (τα προαιρετικα), soggette a impedimenti sono le (cose) indipendenti dalla possibilità di scelta morale (τα απροαιρετα).

N.B.: traduzione coperta da copyright , da non copiare e postare in altri siti senza autorizzazione.

NOTE:

(1) οι δοριφοροι a Roma erano i pretoriani, le guardie armate dell’imperatore.

(2) I Galilei (οι Γαλιλαιοι) potrebbero essere i Cristiani. Sia la traduzione inglese di Oldfather che quella italiana di Cassanmagnago (curata da G. Reale) esprimono notevole sicurezza circa la possibilità (“Si tratta sicuramente di cristiani, ecc…” (cfr. p. 894 dell’edizione italiana). Questo è l’unico passaggio delle “Diatribe” in cui Epittèto allude ai Γαλιλαιοι. Un altro possibile riferimento al cristianesimo si rintraccia in Arr.EpictD. 2,9,19-21 (dove allude, tuttavia, ai Ιουδαιοι).

(3) Non si tratta del Dio creatore distinto dal creato come nel pensiero ebraico e cristiano, ma del fuoco-logos creatore della dottrina stoica, cfr. Arr.EpictD. 1,9,7.

(4) La tipica bipartizione degli oggetti e delle questioni (διαρισεσις), asse portante della filosofia di Epittèto.


Edited by Hard-Rain - 17/6/2010, 18:18
 
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view post Posted on 17/6/2010, 09:29     +1   -1
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Cioé, se capisco correttamente, Epitteto elogia un cerco tipo di atteggiamento (come quello dei bambini che litigano per il gioco, ma non per le conchiglie con le quali giocano) in quanto svincola dall'attaccamento alle cose materiali e permette di vivere liberamente e senza paura.

Dopodiché si lamenta di come nessuno riesca a predisporsi a tale atteggiamento usando la ragione, bensì soltanto tramite la pazzia o tramite usanze (tradizioni) come quelle dei Galilei.

Quindi da un lato sembrerebbe elogiare i Galilei per il loro virtuoso atteggiamento di distacco dai beni materiali, che anch'egli propone come virtuoso modello di libertà, dall'altro disprezza il motivo irrazionale per cui questo atteggiamento viene assunto (cioè una usanza/tradizione accettata acriticamente, equiparata alla pazzia).

Analisi condivisibile?

Grazie, ciao
Talità
 
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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 10:37     +1   -1




Faccio una premessa per inquadrare correttamente il testo. Nella filosofia neo stoica di Epittèto il concetto portante è la cosiddetta bipartizione di tutte le cose e questioni umane, in greco διαιρεσις. Esistono cose, oggetti che sono sottoposti alla nostra capacità di controllo, sui quali possiamo liberamente esercitare il nostro desiderio e la nostra avversione, ed esistono invece oggetti sui quali il nostro controllo non potrà mai essere totale, perché dipendono da altre persone, da circostanze fortuite, da Dio. Fanno parte delle cose da noi non controllabili direttamente (le cosiddette τα ουκ εφ' ημιν) le cose esterne: la salute, il giudizio delle altre persone (per esempio il fatto di essere amato da un'altra persona non lo possiamo decidere a tavolino o obbligare qualcuno, se non piacciamo a qualcuno non possiamo fare un granché per ribaltare la situazione), il patrimonio economico, fino alla vita (che Dio può togliere quando vuole), ecc... Epittèto dice che il bene, το αγαθον, che consiste nella felicità interiore dell'individuo (la cosiddetta ευδαιμονια) non deve assolutamente essere collocato nelle cose esterne, perchè non possiamo governarle direttamente. Nell'ottica stoica diventa quindi un "valore" il non mettere il proprio bene nel patrimonio, nei rapporti affettivi, nella salute, ecc..., quindi di fatto non curarsi di queste cose che devono diventare indifferenti, cioè se ci sono, bene, se le perdiamo a causa di circostanze avverse allora pazienza, perché tanto il nostro bene risiede in noi, dentro di noi.

Ciò premesso, nella radicalizzazione del pensiero stoico e cinico diventa una "valore", una cosa estremamente positiva non curarsi della morte, del proprio corpo e della malattie, che non vuol dire essere sciatti o avventati, ma solo tenere in considerazione che se capita di morire o di subire una malattia dobbiamo accettarlo serenamente, come il fatto che oggi possa piovere o esserci il sole. La dottrina poggia su un fortissimo senso religioso che ora non sto qui a delineare ma che è essenziale. Il perfetto filosofo stoico e cinico (come Diogene di Sinope) arriva a questo per mezzo della ragione, del λογος che il Dio ha dato a tutti gli uomini. Esistono tuttavia categorie di persone che, pur partendo da basi diverse, possono tuttavia ottenere lo stesso risultato nella pratica, Epittèto non li elogia in quanto costoro non esercitano la ragione, non hanno riflettuto il problema, ma sono mossi da altri istinti. Per esempio cita i bambini con riferimento al fatto che non hanno paura del tiranno perché non sanno cosa può fare loro. Cita quelli che sono mossi da μανια e da απονοια, follia, passione insensata, non motivata dalla ragione. A mio avviso a un livello intermedio tra il perfetto filosofo mosso soltanto dal λογος e colui che è mosso da μανια si collocano questi “Galilei”, chiunque essi siano, i quali non sono propriamente dei folli o degli insensati, altrimenti li comprenderebbe nella categoria di quelli mossi da μανια, ma operano sulla base dell’εθος. In generale, in greco l’εθος denota l’abitudine, l’usanza, il costume di fare una cosa o di mantenere un certo atteggiamento. Faccio la cosa X perché l’ho sempre fatta e ci sono abituato, che sia o non sia logica e razionale. In certi casi denota anche il costume di un popolo o di un gruppo sociale: faccio la cosa X perché la fanno tutti gli altri miei simili. E’ appunto una abitudine, un costume sociale. Dunque questi Galilei sono mossi non da “follia” o “insensatezza” ma da una abitudine, da una consuetudine che li porta a non darsi cura di tante cose, fino al non darsi cura neppure del vivere o del morire. Attività da svolgere: studiare l'uso di εθος in Epittèto.

Il riferimento ai bambini e alle conchiglie è più sottile e richiede qualche conoscenza supplementare della terminologia stoica. I materiali, le materie, in greco αι υλαι, sono tutte le cose che vengono usate dall’uomo per la sua vita. Quindi i bambini giocano con le conchiglie ma si concentrano sul gioco, non sulle conchiglie, che sono il mezzo attraverso cui il gioco si può svolgere. Allo stesso modo il patrimonio economico, i nostri famigliari, persino la nostra vita e in generale tutte le cose esterne a noi, sono “materiali” del gioco della vita, le cui regole sono state definite dal Dio: come i bambini nel loro piccolo gioco non importa delle conciglie, al perfetto filosofo deve premere la vita, non le materie attraverso cui si svolge la vita, queste sono solo dei mezzi, non il fine della vita. Ma l'uomo deve arrivare a questa conclusione attraverso un ragionamento logico, non per passione/follia, non perché lo fanno anche gli altri o per una abitudine irrazionale o razionale che sia. Non devo temere il tiranno non perchè ignoro cosa può farmi (questa è la condizione del bambino) ma in quanto pur sapendo bene che può togliermi la vita so anche che per me la vita non è un bene in sè, dunque posso accettare serenamente di perderla se un calcolo basato sulla ragione (λογος) e non sulla follia o insensatezza o passione di qualunque tipo può farmi concludere che è meglio morire che vivere, affrontando il tiranno. L'esempio massimo di questo atteggiamento mentale è costituito da Socrate il quale decise di morire, rifiutando l'esilio, a fronte di un preciso ragionamento logico, come era solito fare, non perchè fosse un fanatico, nè perchè faceva parte di una setta che per abitudine e consuetudine si atteggiava a quel modo.

QUOTE
Analisi condivisibile?

Direi proprio di sì.

Edited by Hard-Rain - 17/6/2010, 11:57
 
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chimofafà
view post Posted on 17/6/2010, 16:27     +1   -1




Avrei un paio di osservazioni da fare:

Tu dici in 4, 7,6 parlando dei Galilei come di qualcosa di cui hanno usanze e abitudini consolidate.

Non mi sembra che nella Galiela le abitudini Gesuane si consolidarono in così poco tempo, anzi gli atti e persino nelle pieghe dei Vangeli si leggono delle "persecuzioni" verso gli aderenti alla nuova via ed a Jamnia (fine del primo secolo) tutto ciò viene ratificato.

Epitteto non avrebbe avuto il tempo di vedere sviluppate queste (mai consolidate) abitudini "cristiane".

Nelle protocomunità cristiane e Atti ne da testimonianza, c'era invece un certo interesse alla "cassa comune" e la violazione di questo comportò la morte di Anania e Saffira (At 5, 1-11), anche se é solo un episodio pedagogico, ma la "cassa comune" già c'era con Giuda. Anche Paolo si sbatte qua e la a battere cassa, quindi qualche motivazione prettamente economica c'era pure.

Inoltre sempre in At 6,1 le vedove [di lingua greca] si sentono trascurate.

Inoltre la Palestina aveva conosciuto l'ellenizzazione, non é escluso che ci fossero gruppi di stoici in quel territorio e certamente anche qualche galileo avrebbe potuto essere attirato da quella filosofia.

Forse Epitteto vuole riferirsi alla loro testardagine (tradizionale), sprezzo del pericolo (vedi rivolte giudaiche), ma concludere che potessero essere una setta di cristiani al momento mi sembra poco sostenibile, forse se li avrebbe definiti "nazarei", qualche elemento maggiore ci sarebbe stato.

Poi avrei una domanda da farti, ma tu identifichi i Galilei con i cristiani o chi in particolare? Mi sembra che hai prodotto un documento.

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 17:24     +1   -1




Allora: io per il momento sospendo il giudizio. Ho visto che moltissimi studiosi autorevoli considerano questo riferimento ai Γαλιλαιοι come un riferimento a Cristiani. Sto cercando di effettuare delle ricerche per vedere cosa si possa dedurre pro e contro questa tesi. Il riferimento di Epittèto, come vedi, è molto scarno e succinto.

Non mi sembra che nella Galiela le abitudini Gesuane si consolidarono in così poco tempo, anzi gli atti e persino nelle pieghe dei Vangeli si leggono delle "persecuzioni" verso gli aderenti alla nuova via ed a Jamnia (fine del primo secolo) tutto ciò viene ratificato.

Epittèto visse tra Roma e la Grecia (precisamente Nicopoli), tra il 50 e il 120 dopo Cristo. Poichè alle lezioni assistette Arriano, che le mise per iscritto, questo passaggio viene datato tra la fine del I secolo d.C. e al massimo qualche anno prima della morte di Epittèto. Indicativamente lo si può datare al periodo di Adriano e difatti in una diatriba precedente si menziona questo imperatore. Al tempo i Cristiani erano sparsi per tutto l'impero romano, vedi la lettera di Plinio il Giovane, il rescritto di Adriano (appunto) a Fondano, vedi Tacito e Sventonio. Di conseguenza Epittèto avrebbe potuto benissimo conoscere i Cristiani, quindi alludere ad essi. Rimane misterioso il motivo per cui li avrebbe chiamati Galilei, quando appunto gli altri li chiamavano già Cristiani. D'altra parte è pur sempre vero che Giuliano nel IV secolo d.C. chiama i Cristiani Galilei. Insomma: la questione è particolarmente ingarbugliata e complessa. Al momento sto sondando le fonti disponibili, sia cristiane che pagane. Nei prossimi giorni discuteremo il tutto.
 
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chimofafà
view post Posted on 17/6/2010, 17:33     +1   -1




CITAZIONE
Rimane misterioso il motivo per cui li avrebbe chiamati Galilei

Con queste premesse buona fortuna.

Una curiosità:

CITAZIONE
Ho visto che moltissimi studiosi autorevoli considerano questo riferimento ai Γαλιλαιοι come un riferimento a Cristiani.

Sulla base di quali evidenze?

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 17:56     +1   -1




CITAZIONE
Sulla base di quali evidenze?

Sulla base di alcuni passaggi del Nuovo Testamento, di Giuliano l'Apostata e altri autori. Diciamo che il gotha degli studiosi sostiene che si tratti di un riferimento ai Cristiani, poi si mettono a discutere se volesse darne una connotazione positiva piuttosto che negativa. E' indubbio che vi siano diversi punti di contatto tra il neo stoicismo romano e il Cristianesimo, cioè elementi filosofici che potrebbero andare bene nell'uno e nell'altro sistema, comprese evidentemente tante differenze. Non dimentichiamo che Musonio Rufo, maestro di Epitteto, se non ricordo male è citato da Giustino Martire e lodato da Origene.

Per quanto riguarda i Galilei, l'allusione potrebbe fare riferimento ai seguenti tre gruppi:

(1) Galilei intesi come popolo abitante la Galilea;

(2) Semplice denominazione alternativa per i Cristiani, diffusi in tutto l'impero romano a quel tempo;

(3) Una setta giudaica diversa dai Cristiani, o un nome alternativo o poco preciso per zeloti o altri gruppi simili. Potrebbe anche trattarsi di una setta cristiana particolare, come i Montanisti, alcuni esperti sostengono questa ipotesi.

Le tre ipotesi cercheremo di verificarle e di prendere posizione per una piuttosto che per l'altra, ammesso che sia possibile. Sempre tenedo d'occhio il parere degli studiosi che hanno già affrontato la questione.

Cercheremo anche di vedere cosa voglia intendere esattamente con εθος, ammesso che sia possibile scoprirlo.
 
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view post Posted on 17/6/2010, 18:20     +1   -1
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Si potrebbe provare a mettere a confronto il giudizio di Epitteto sull'atteggiamento dei "Galilei" (un atteggiamento di distacco dal mondo, dovuto alle proprie tradizioni piuttosto che al raziocinio) con quello che certe fonti "extracristiane" ci forniscono riguardo ai cristiani.
In particolare:

Galeno (129-200 ca)<<vediamo nel nostro tempo quegli uomini chiamati Cristiani trarre la propria fede dai miti. Essi, tuttavia, compiono le medesime azioni dei veri filosofi. Infatti, che disprezzino la morte e che, spinti da una sorta di ritegno, aborriscano i piaceri carnali, lo abbiamo tutti davanti agli occhi>>(De sentent. Pol. Plat)

Luciano di Samostata (120-180 ca): <<disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi” (De morte Per. XI-XIII)

In questo caso Luciano risponde anche a chimofafà: il fatto di mettere i beni in comune non significa esservi attaccati. Al contrario.

Tacito (54-119) parlando del rogo di Roma e dei cristiani <<[...]fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano>> .

Ciao, Talità
 
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chimofafà
view post Posted on 17/6/2010, 18:30     +1   -1




CITAZIONE
Al tempo i Cristiani erano sparsi per tutto l'impero romano, vedi la lettera di Plinio il Giovane, il rescritto di Adriano (appunto) a Fondano, vedi Tacito e Sventonio. Di conseguenza Epittèto avrebbe potuto benissimo conoscere i Cristiani,

Per quanto riguarda Plinio il giovane (governatore del Ponto e della Bitinia, nell'attuale Turchia) e la sua epistola (X,96) a Traiano é datata al 112 d.C. e poiché Epitteto fu espulso nel 90 d.C. (circa) da Domiziano e si stabilì a Nicopoli in Grecia, mi sembra diffcile che conoscesse quella corrispondenza (non aveva accesso agli archivi imperiali);

Il passo di Tacito (negli Annales) é datato anch'esso al 112 d.C. circa e pur riferendosi a fatti del 64 d.C. già si nominano come "cristiani", ma quando Tacito scrive, Epitteto é a Nicopoli, quindi escluderei anche la conoscenza di questo passo;

Il passo di Svetonio (Vite dei Cesari, nella Vita di Claudio 25,4) in questione risale al 120 d.C. quando Epitteto é già sepolto;

CITAZIONE
D'altra parte è pur sempre vero che Giuliano nel IV secolo d.C. chiama i Cristiani Galilei.

Si, ma questo Epitteto non poteva saperlo, essendo vissuto tre secoli prima.

Per il resto vedremo quali "prove" emergeranno sull'identificazione Galilei-cristiani, anche se la prima ipotesi mi sembra quella più plausibile.


Per Talità

CITAZIONE
In questo caso Luciano risponde anche a chimofafà: il fatto di mettere i beni in comune non significa esservi attaccati.

No, non significa necessariamente essere attaccati, ma rappresenta l'antitesi dello stoicismo di Epitteto che considerava utile il bene privato.

Inoltre gli autori che tu hai citato (Galeno, Samostata), scrivono tutti dopo che Epitteto é morto.

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 18:42     +1   -1




Ma Epitteto non aveva bisogno di alcuna corrispondenza, anzi se l'avesse avuta a disposizione avrebbe letto la parola "Cristiani" che in essa ricorre se non vado errato. Piuttosto proprio a Nicopoli sorgeva una comunità cristiana, come si evince da Tito 3,12. Ma senza aver bisogno di parlare di Nicopoli, a Roma dove Epittèto risiedette diversi anni, esisteva una comunità cristiana: Paolo, quando scrive l'epistola ai Romani negli anni '60 o '50 del I secolo, ne parla come una comunità fondata da altri prima di lui e ben attiva e operante. Nella stessa Grecia e Anatolia Paolo fondò delle comunità, a Tessalonica, Antiochia, Corinto (città citata diverse volte da Epittèto). In teoria poteva benissimo aver sentito parlare dei Cristiani, non aveva certo bisogno di leggere una lettera di un imperatore che peraltro sarà stata una corrispondenza privata non certo indirizzata "in copia" anche ad Epittèto.

CITAZIONE
Si, ma questo Epitteto non poteva saperlo, essendo vissuto tre secoli prima.

Ma Giuliano dovrà pure aver mutuato la tradizione di chiamare Galilei i Cristiani da qualche parte? Ora la mia domanda è: da dove nasce questa tradizione, quanto è antica? Esisteva ai tempi di Epittèto oppure no?
 
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chimofafà
view post Posted on 17/6/2010, 18:58     +1   -1




CITAZIONE
In teoria poteva benissimo aver sentito parlare dei Cristiani,

Certamente, in linea generale questo era possibile, mi sembrava di aver capito che avessi fatto riferimento ad una conoscenza dei "cristiani" tramite gli autori citati, comunque nessuno li chiama "Galilei", intesi come cristiani.

CITAZIONE
Ma Giuliano dovrà pure aver mutuato la tradizione di chiamare Galilei i Cristiani da qualche parte? Ora la mia domanda è: da dove nasce questa tradizione, quanto è antica? Esisteva ai tempi di Epittèto oppure no?

Stiamo parlando di un gap di tre secoli, tra l'altro con testimonianze mistificanti i cristiani, cioé alcuni li vedevano [male] come li descrivevano, ma questo non era certo la cartina di tornasole. Da quello che "scrive" Epitteto, questo non si evince.

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 19:02     +1   -1




CITAZIONE
Certamente, in linea generale questo era possibile, mi sembrava di aver capito che avessi fatto riferimento ad una conoscenza dei "cristiani" tramite gli autori citati, comunque nessuno li chiama "Galilei", intesi come cristiani.

No, tramite gli autori che voglio sondare cercherò di stabilire tutto quel che si può dire intorno ai Galilei, rispetto ai tre filoni di ricerca che ho sopra delineato (popolo dei Galilei, Cristiani oppure altra setta giudaica). Epittèto poteva benissimo aver avuto una conoscenza popolare, diretta o indiretta, dei Cristiani, era un uomo di grande cultura e sapeva bene cosa succedeva attorno a lui nel mondo.

CITAZIONE
Stiamo parlando di un gap di tre secoli, tra l'altro con testimonianze mistificanti i cristiani, cioé alcuni li vedevano [male] come li descrivevano, ma questo non era certo la cartina di tornasole. Da quello che "scrive" Epitteto, questo non si evince.

E che significa questo? Ancora oggi parliamo di Cristiani e Galilei, nel XXI secolo. Eppure l'origine di queste parole risale appunto a migliaia di anni fa. Infatti Giuliano è il punto di partenza per andare a ritroso nel tempo.
 
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chimofafà
view post Posted on 17/6/2010, 19:17     +1   -1




CITAZIONE
Infatti Giuliano è il punto di partenza per andare a ritroso nel tempo.

Ma Giuliano nella sua opera, se non erro, si riferisce ai galilei come una minoranza (non in genere dei galilei) di eretici che si staccarono dal giudaismo. Su quali linee passano le sue differenziali che dovrebbero coincidere con i galilei di Epitteto?
 
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Hard-Rain
view post Posted on 17/6/2010, 19:24     +1   -1




CITAZIONE
Ma Giuliano nella sua opera, se non erro, si riferisce ai galilei come una minoranza (non in genere dei galilei) di eretici che si staccarono dal giudaismo. Su quali linee passano le sue differenziali che dovrebbero coincidere con i galilei di Epitteto?

Si riferisce ai Cristiani che ben conosciamo e li chiama Galilei.
 
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chimofafà
view post Posted on 17/6/2010, 19:51     +1   -1




CITAZIONE
Si riferisce ai Cristiani che ben conosciamo e li chiama Galilei.

E' possibile che nell'ambito della sua contrapposizione religiosa abbia voluto richiamare in senso "dispregiativo" la genesi di quell'eresia [cristiana], appunto con "galilei" i primi seguaci eretici, ma nel IV secolo i cristiani erano già affermati nell'impero, non vedo altro senso all'utilizzo del termine [dispregiativo], o stia contestualizzando qualche situazione a lui coeva.

 
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