Studi sul Cristianesimo Primitivo

Il Cristo storico, il Gesù della fede ed una "coraggiosa" riflessione del prof Jossa

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jehoudda
view post Posted on 5/8/2010, 23:47 by: jehoudda     +1   -1

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La ringrazio per i commenti, meno lusinghieri, ma non per questo meno stimolanti.

Replico in ordine sparso sui punti che mi sembrano più rilevanti (mi scuso anticipatamente per la lunghezza della risposta ma come è evidente il tema è di grande complessità e richiede a mio avviso una adeguata argomentazione)

La mia riflessione attiene alla questione dell' impostazione di base della ricerca sul Cristo storico ed alla (a mio avviso) ambigua e discutibile stretta relazione con il Gesù della fede oggetto ( o più propriamente soggetto) principe della Cristologia (o piu propriamente "teologia cristologica")

Rimando ovviamente, per non eccedere nelle ripetizioni, ai miei due post precedenti chi voglia analizzare le idee che ho esposto in merito.

Ho tentato di mettere in luce quello che a me appare l’evidente errore metodologico di questa "relazione cognitiva rovesciata" e le conseguenti insoddisfacenti risultanze, anche attraverso una testimonianza specifica e assai incisiva di uno studioso autorevole quale il prof Jossa.

Il tentativo di effettuare una analisi del genere anche e soprattutto avvalendomi dell' interessante (e secondo me corretto) giudizio di un' autorità del campo, identifica il mio discorso quale (e non potrebbe essere altrimenti) modesta e personalissima trascrizione in sintesi della percezione che da semplice appassionato della materia mi sono fatto dello stato della ricerca.

Le mie considerazioni di ordine metodologico erano peraltro primariamente rivolte a ricercatori/storici professionisti e titolati, per i quali, cela va sans dire, do per scontata la conoscenza/padronanza profonda degli strumenti linguistici e critici necessari che lei giustamente rimette in gioco.

Il prof Jossa con le sue riflessioni indicava come un ‘uomo di cultura curioso di conoscere e comprendere meglio questi testi (mi sento tale) non abbia, a causa di questa asfittica impostazione degli studi, soprattutto in Italia (ma non solo in Italia), potuto avvalersi di un valido quadro storico della questione
Con la conseguenza che:

La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata.

Jossa sostiene giustamente che

con poche eccezioni, esso ["Il tema della “verità” dei Vangeli ] è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti

e attacca anche quelle poche eccezioni sostenendo che anche nei pochi casi in cui questo tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto

esso rivela quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.

Nel condividere a pieno questo intrigante e coraggioso atto d’accusa ho voluto tentare di identificare le ragioni profonde che hanno spinto la comunita scientifica laica a percorrere con una prevalente uniformità questo cliché ermeneutico che ha inevitabilmente generato l’impasse denunciata anche dal prof Jossa.

E ho creduto opportuno in tal senso, voler precisare che, congiuntamente alle evidenti ragioni di tipo storico-politico (l’orientamento robusto che la Chiesa cattolica ha sempre potuto praticare in funzione del grande peso di cui ha sempre goduto come struttura istituzionale nelle strutture sociali “laiche”) si possono identificare anche motivazioni più sottili e personali connesse alla psicologia del singolo ricercatore che trovandosi di fronte ad una questione storica di particolare complessità e delicatezza (non tutti i problemi storici presentano oltre alle variabili/incognite classiche della piu svariata fattura, la “singolarità” di un rapporto così centrale e sfuggente tra dato immanente e assunto trascendente)

In questa ottica ho tentato di evidenziare come, l ‘osservazione conoscitiva di un sistema di riferimenti di tale portata possa risultare particolarmente (e maggiormente) “sensibile” alle specifiche connotazioni emotive dell’osservatore, non esimendo da questo fenomeno di distorsione percettiva l’osservatore “non credente”, ma ritenendo in linea generale che le sovrastrutture (o infrastrutture) tipiche del soggetto con fede trascendente finiscano inevitabilmente per “inquinare” diversamente e più significativamente il sistema studiato.

Peraltro tendo a distinguere la volontaria e cosciente necessità di chi, parte integrante della Chiesa Cattolica, teologizza con la convinzione che cosi facendo stia storicizzando, e l’involontario riflesso di chi, appartenendo al mondo laico, tenta onestamente di storicizzare senza accorgersi di cadere spesso nella “trappola” della teologizzazione (o quanto meno nel mancato riconoscimento di elementi pseudo-storici che sono storicizzazioni di teologumeni)

Quando dunque lei osserva e domanda:

Nessuno dovrebbe dunque fare ricerca storica su Gesù per non correre il rischio di non essere obbiettivo?
….Mi domando allora chi sia nella posizione ideale - se esiste - per fare ricerca: forse nessuno?


Le rispondo che la mia è una riflessione di ordine marcatamente epistemologico e non vuole assolutamente definire chi può e chi non può fare ricerca. (non è un mio diritto)
Al contrario io ritengo che tutti coloro che ne hanno i requisiti minimi richiesti abbiano diritto ad esercitare la loro ricerca. (ognuno secondo le proprie specifiche culturali)
Ciò non impedisce a chiunque ne sia fruitore di poter esprimere una propria personale idea sui risultati raggiunti ed in special modo sulle metodologie utilizzate per conseguirli.
L’obiettività dei riscontri e dell’ impostazione di base e non quella selettiva dei ricercatori in base alle loro credenze.

Io non so se possa o non possa ma lo stesso criterio lo si dovrebbe allora applicare anche a quelli che non credono, a quelli che sono mossi da pregiudizi anticlericali, a quelli che hanno fede in altre religioni, ecc...

Ho aggiunto che allora anche l'anticlericalismo o l'ateismo possono essere parimenti un ostacolo in quanto, allo stesso modo, uno potrebbe essere spinto dalla foga di voler dimostrare l'opposto della divinità di Gesù o dall'intento di danneggiare la Chiesa o altro, cioè uno si lascerebbe guidare dal fine che vuole perseguire piuttosto che dai dati nudi e crudi.

Per quelli che non credono e per quelli che hanno fede in altre religioni le ho detto…
Non trovo particolarmente rilevante il problema di “quelli che sono mossi da pregiudizi anticlericali”
Non capisco neanche cosa intenda precisamente per “pregiudizi anticlericali”.
Si può emettere o avere un giudizio negativo sulla Chiesa Cattolica, corretto o sbagliato, giustificato o meno, per molteplici specifici motivi, ma in ogni caso è ovvio che questo non può e non deve condizionare una ricerca storica.

D’altra parte conosco credenti che in funzione di certi comportamenti della loro Chiesa hanno sentito una forte esigenza di distacco da essa (alcuni l’hanno drasticamente abbandonata) ma non per questo hanno smesso di credere al loro Dio. Come dire che l’oggetto (il soggetto) della loro fede non appartiene ad una Chiesa istituzionalizzata ma alla sensibilità di ogni singolo credente. E pur avendo abbandonato la Chiesa ritengono ancora che il Cristo storico sia il Gesù della loro fede (a rigore ritengono che sia la Chiesa che stia “tradendo” quel Gesù).
Chi dovesse avere “pregiudizi anticlericali” palesemente immotivati ed irragionevoli, per partito preso o assolutamente disancorati da una qualsivoglia forma di pensiero, mi risulterebbe persona priva di quei requisiti minimi richiesti per svolgere una ricerca degna di tal nome (professionista o dilettante che fosse.)

Jossa direbbe (dice) che la “storicità dei Vangeli” non risolve il problema della “verità” dei Vangeli.
Cioè che la storicità dei Vangeli non comporta automaticamente la storicità dei contenuti ivi narrati.
E questa mi sembra una verità logica di non poco conto.

Non credo si possa “dimostrare storicamente l’opposto della divinità di Gesù”, su un piano storico-razionale. La divinità di Gesù non è un fatto storico, chi volesse dimostrare “l’opposto della divinità di Gesù” avrebbe deciso di muoversi sul piano del Gesù della fede, quindi farebbe teologia e non storia.

La definizione dei “dati nudi e crudi” è proprio uno dei problemi piu delicati che si pone e che pongo con la mia riflessione.
E dovremmo quindi intenderci su cosa debba intendersi per “dati nudi e crudi”.
Se lei intende “dati nudi e crudi” in un’ ottica di ricerca storica (Cristo storico), mi pare evidente che chi consapevolmente (la Chiesa e i ricercatori più parziali ad essa legati) o chi meno/non consapevolmente (tutti gli altri, credenti e non), tenda a partire o a dare particolare rilevanza al Gesù della fede, si esponga al rischio di considerare quali “dati nudi e crudi” anche molti “dati puramente teologici”, teologicamente “veri” ma non necessariamente storicamente reali.

E’ dato storicamente accertato (nudo e crudo) che qualcuno scrisse dei Vangeli (quando, dove e chi non è ancora perfettamente chiaro)

E’ dato storicamente accertato (nudo e crudo) che qualcuno scrisse nei Vangeli noti che un certo Gesù morì sotto Ponzio Pilato e risorse dopo tre giorni.

Non è dato storicamente accertato (nudo e crudo) che il Cristo storico sia realmente morto sotto Pilato,
Non è certamente dato storico, ma teologico (non nudo e crudo), il fatto che resuscitò dalla morte

Credo purtroppo che una corretta ed univoca definizione dei “dati nudi e crudi” nella ricerca del Cristo storico sia quasi impossibile se non ci si accorda prima sulla metodologia d’approccio al problema.
Se si continua, per esempio a considerare come dato nudo e crudo che Gesù, come effettivamente “narrato” dalle fonti neotestamentarie “apparve” ai suoi discepoli, facendone conseguire che Gesù (intanto morto) realmente apparve ai suoi discepoli (fatto narrato= dato nudo e crudo =fatto storico) mentre ovviamente io credo sia decisamente più corretto sostenere che in una costruzione narrativa sovrastrutturalmente concepita quale resoconto mistico di una comunità, si trova evidenza che uno sparuto gruppo di discepoli probabilmente ebbero delle visioni di un leader carismatico che era stato appena giustiziato, ebbene se i criteri di definizione dei “dati nudi e crudi” dovessero essere così lontani, non vedo come si possa sperare, pur partendo dai “dati nudi e crudi” di trovare dei riscontri compatibili.

Dispiace dirlo in maniera cosi cruda, ma viene inevitabile pensare che un analogo episodio proveniente dalla tradizione religiosa di qualsiasi altro gruppo umano della nostra civiltà (fossero gli aborigeni australiani, gli antichi Inca o isolati eschimesi) sarebbe tranquillamente archiviato come immaginifico prodotto culturale della mitologia di quel gruppo.
Il tanto sbandierato abbandono del vecchio approccio positivista alla storia delle religioni (delle credenze religiose) si è forse drammaticamente reso necessario ed irrinunciabile quando si è voluto evitare che il Gesù della fede, uomo/dio/risorto dalla morte rischiasse di essere repertoriato fra quelli che sono giustamente considerati prodotti della Storia dell’ immaginario religioso umano?

A me pare quindi fin troppo evidente la necessità che gli storici epistemologicamente avveduti riportino lo studio di questa affascinante tradizione religiosa giudaico-cristiana nel confacente quadro della storia delle credenze religiose umane, privandola, ripeto da un punto di vista storico, di quello statuto di Religione della storia che ha graniticamente assunto nel corso dei suoi duemila anni di vita.

Restituendo così uno dei tanti sistemi di credenze al suo solo legittimo “proprietario”, il libero credente…
E recuperando eventualmente la possibilità di discernere e ritrovare il vero Cristo della storia.

Quello che comunque a me sembra evidente è che continui a costituire una pregiudiziale in termini cognitivi (su un piano di ricerca storica) il considerare fondante la “metafisica gesuana" cristallizzatasi nei testi posteriori, la quale quindi non viene sentita e valutata come accessoria e susseguente problema storico-religioso ma quale base di partenza primordiale, piattaforma ermeneutica sulla quale “ricostruire” la figura dell’ uomo che avrebbe incarnato divinamente quel radicale ed imprevisto pensiero metafisico.
Bisognerebbe invece, secondo me, accettare quale premessa di base che la materia costitutiva di quel pensiero sia al di la della sua intrinseca complessità (problema ermeneutico generale) non storicamente e direttamente riconducibile in maniera oggettivamente certa alla persona che si sta indagando (e al sue specifico agire nella Storia) ma sia, come ho tentato di argomentare, a sua volta frutto di un lungo processo ermeneutico di vasto respiro (tradizione orale, delocalizzazione delle tradizioni orali, elaborazione scritta non uniforme nello spazio e nel tempo delle stesse, rielaborazioni successive durante una lunga fase di consolidamento delle scritture operate in un clima di drammatici conflitti di natura sempre più teologica e quindi sempre meno sensibile al recupero di “informazioni reali”)

Su queste basi non posso che ribadire la mia posizione:

a mio avviso, dalla finalizzazione di questo processo, e quindi dal Gesù della fede pervenutoci, non si può sperare di ritornare, quale che siano gli strumenti critici utilizzati, al Cristo storico originario.

Epistemologicamente l’artata inferenza del trascendente nell’immanente (e la sua accettazione fideistica) stravolge il concetto di “storia” astraendo l’essenza dal “fatto in sé” per proiettarne in una dimensione metastorica una fantomatica irrilevante spiritualizzazione che scissa dalla sua materia originaria finisce per diventare nella sua incommensurabile “perfezione” un irraggiungibile simulacro metafisico.

La teologica forzosa separazione dell’essenza dalla materia e la sua collocazione mistica in un’irrealtà cronotopologicamente metafisica, non può che sbiadire il senso quotidiano dell’ umana esistenza, generando inevitabilmente tensioni escatologiche verso un presunto ma (storicamente) inesistente “senso ultimo”
In un mondo alternativo in cui la storia non è più composizione infinita di infiniti possibili sbocchi ma un imbuto che ineluttabilmente trascina tutto e tutti verso una singolarità che è ultimo punto di contatto immateriale fra “vana fisica” e “perfetta metafisica”, un mondo dequantificato, dequalificato e de-ontologizzato.

Mi viene spontaneo ipotizzare a questo punto che per quanto concerne la vicenda del cristo storico, abbia potuto paradossalmente agire, in un contesto storico in cui l’atavica attesa messianica stava provocando una serie di frustranti e dolorose disillusioni, e una conseguente deriva verso una concezione astrattamente escatologica (componente latente e preesistente nell’ attesa messianica) sempre più spinta, un colpo di coda di un Cristo che, davanti alla perdurante assenza dell’agognato intervento divino, decida consapevolmente di catalizzare quella estrema escatologizzazione dell’ Attesa.
La prima elaborazione cristologica potrebbe essere stata dunque, non tanto il tentativo di divinizzare un uomo, quanto al contrario il riflesso di una volontà/necessità di incarnare in un uomo (redentore del popolo d’Israele) quell’ idea di Dio “che purtroppo non interviene” e che più di qualcuno cominciava a sentire lontano, astratto, indifferente al doloroso, tragico destino del suo popolo.
Una radicale “forzatura” di un gruppo di messianisti ebrei che decide di non attendere più e senza ripudiare il proprio Dio, ma esaltandone la sua promessa, lo scuote dalla sua dimensione, lo rimaterializza nella storia presente e si lancia alla “riconquista del Regno”

Solo il fallimento, ripetuto, di questa nuova azione "post-messianica", e la contestuale conseguente liquefazione di questa speranza incarnata, darà spazio, tempo e motivazione ad un’ ulteriore rielaborazione che svestendo la figura di quel Cristo e dei suoi seguaci dalle originali spoglie giudaiche e delle connesse reali motivazioni, e attraverso una progressiva deumanizzazione, ma mantenendo ed esaltando la componente escatologica, ne farà la base di quello che poi in ambito altro diventerà il Gesù della fede, il Dio della Teologia cattolica.
Ma questa, ovviamente, è solo una mia ipotetica speculazione.

Grazie per l’attenzione
Buonanotte
jehoudda
 
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17 replies since 31/7/2010, 17:11   1771 views
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