Studi sul Cristianesimo Primitivo

Il Cristo storico, il Gesù della fede ed una "coraggiosa" riflessione del prof Jossa

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jehoudda
view post Posted on 19/8/2010, 22:01 by: jehoudda     +1   -1

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Buonasera,

sempre a proposito delle questioni sollevate dal prof Pesce nell' articolo che ho citato ieri (ed in via più generale sulle metodologie di approccio storiografico alla vicenda gesuana) segnalo anche un altro articolo apparso sul suo sito:

Come studiare la nascita del cristianesimo? Alcuni punti di vista

http://webcache.googleusercontent.com/sear...t&ct=clnk&gl=it

particolarmente collegato alle questioni trattate in questa discussione il terzo paragrafo di questo articolo

3. La storia a ritroso e le origini della cristologia

nel quale si legge fra l'altro:

"Come ho già altre volte osservato, non di rado, i tentativi di spiegare le origini del cristianesimo si propongono di ricostruire la preistoria di una nascita. Hanno più o meno chiaramente in mente cosa sia il cristianesimo e cercano di mostrare come quella grandezza storico-religiosa già nata in una certa epoca che loro identificano come cristianesimo, si sia formata pezzo per pezzo, fase per fase. Vogliono ad esempio rintracciare il formarsi della teologia, del dogma e delle strutture ecclesiastiche che esistono in un certo momento. Così facendo, essi assumono come punto di riferimento un cristianesimo unitario come si configura in un certo momento storico e in una determinata area geografico-ecclesiastica. Ne ricostruiscono poi a ritroso le fasi di formazione. In queste sintesi, le diversi correnti e i diversi gruppi originari di seguaci di Gesù appaiono come se fossero fasi o tappe della configurazione successiva e, di conseguenza, vi figurano solo per singoli brandelli staccati dal loro contesto.
Tutto ciò che non è parte di quel presunto processo formativo, viene tralasciato. Alcune di queste sintesi finiscono così per cancellare addirittura la fisionomia delle origini cristiane..."


Poi dopo aver ricordato il giudizio di Maurice Sachot riportato nel post precedente,
il prof Pesce aggiunge:

"Della debolezza metodologica indicata da Sachot mi sembrano soffrire anche gli studi che cercano di ritrovare già in Gesù le origini della cristologia cristiana della fine del II secolo e in fondo di Nicea. L’opera di Romano Penna, I ritratti originali di Gesù Il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria in due volumi - il primo dedicato a Gli inizi, il secondo a Gli sviluppi è un'opera poderosa per impegno e mole, certamente una delle più significative dell'esegesi italiana del XX secolo. L'opera si presenta come «cristologia neotestamentaria», cioè come uno di quei lavori che vogliono ricostruire quali siano state le diverse interpretazioni che gli scritti contenuti nel Nuovo Testamento hanno dato della figura di Gesù. Penna, tuttavia, per certi aspetti, cerca anche di rintracciare nel Gesù storico le origini della cristologia della chiesa primitiva. È, questa, una prospettiva nella quale Penna si trova in buona compagnia da quando, ormai da quasi mezzo secolo, si cercò di trovare un ponte tra il Gesù storico e il Gesù della fede, tentando di trovare in certi atteggiamenti di Gesù e in certe sue parole degli agganci legittimi per gli sviluppi e le trasformazioni successive operate dall’interpretazione protocristiana.
Io credo che, per certi aspetti, questo modo di procedere, pur volendo rimanere sul piano storico, sia anch’esso precondizionato da una scelta teologica che rischia di vanificarne la correttezza dell’analisi. La debolezza metodologica sta a mio avviso nel fatto che, per cercare gli agganci nel Gesù storico e nella cristologia protocristiana, è necessario leggere ciò che è avvenuto prima alla luce di ciò che è avvenuto dopo. Con ciò si rovescia l’ordine della storia. Il fatto che ciò che è avvenuto dopo possa trovare una qualche giustificazione in ciò che Gesù disse o fece non significa che i suoi atti e le sue parole mirassero realmente alle future affermazioni della chiesa primitiva. Le opere che tendono a ritrovare nel Gesù storico gli agganci della cristologia post-gesuana scelgono solo alcuni elementi e segmenti dell’attività di Gesù inserendoli in un contesto teologico che non è quello gesuano. Omettono poi interi settori della cristologia protocristiana, si pensi ad esempio alla cristologia dell’Ascensione di Isaia o del Vangelo di Tommaso, perché non fanno parte del canone neotestamentario."


Mi sembra di poter dire che queste riflessioni del prof Pesce siano particolarmente acute e contribuiscano a rafforzare una parte delle considerazioni che mi hanno motivato ad aprire questa discussione.
Apprezzo molto nel prof Pesce, al di la delle indiscutibili competenze, la grande apertura mentale ed una spiccata onestà intellettuale, caratteristiche secondo me fondamentali per uno storico.
Pur non condividendo poi la sua visione "finale" del fenomeno storico (che peraltro come si deve nel caso di una ricerca storica degna di tal nome, può essere soggetta a ripensamenti continui e su questo il professore sembra assolutamente d'accordo) trovo illuminante nel suo discorso metodologico la capacità, nonostante anni di consolidata ricerca personale, di rimettere (e rimettersi) sempre in discussione i parametri generali e specifici di tale ricerca, dando spazio culturale e tecnico alle più diverse opzioni.
E' ovvio che la mia visione "finale" della vicenda gesuana, che ho in altri casi su questo forum evidenziato, non è altrettanto "equilibrata" e risulta (ad oggi) una lettura difficilmente accettabile nel quadro generale delle attuali conoscenze.
Ma io, che ovviamente non sono uno storico nè tanto meno un esegeta, mi concedo quelle che definirei delle "libertà ermeneutiche" che però, come nel caso di alcuni altri appassionati dilettanti presenti in questo ed altri spazi interattivi, non vogliono essere delle mere provocazioni ideali/ideologiche ma sono piuttosto il risultato e l'espressione di una "sensazione di fondo" consolidatasi in anni di letture, riflessioni e studio amatoriale.
Sono d'altra parte convinto (oggi, domani potrei rivenire su altra posizione) che le problematiche di natura metodologica e criteriologica esposte in questi post non siano delle questioni di poco conto.
In buona sostanza credo che le difficoltà evidenziate dagli ottimi Jossa e Pesce in merito ad una palese forzatura/distorsione che la ricerca sul Gesù storico ha subito (e ancora subisce) nella sua stessa impostazione di base potrebbe aver generato una deformazione delle risultanze (dei contenuti) perfino più rilevante di quanto questi due competenti studiosi indichino.
Tendo cioè a condividere pienamente l' idea che urga ridisegnare il metodo e i criteri di ricerca, ma radicalizzo questa posizione (in questo ripeto la mia posizione è senza dubbio molto meno equilibrata e quindi tanto più "criticabile") dal momento che ritengo che se si pervenisse a ribaltare quella struttura metodologica, che in qualche modo è diventata contenuto, si potrebbero aprire orizzonti totalmente rivoluzionari, che ieri ed oggi apparivano e appaiono implausibili o comunque impercorribili.

So bene, per fare un esempio concreto, che il prof Pesce ha espresso giudizi molto precisi e decisi come questo:

"Di Brandon ho scritto decine di pagine di critica aspra per dimostrare che la sua idea di un Gesù rivoluzionario politico-militare è esegeticamente infondata"

(questo giudizio è tratto dalla acuta e piccata risposta che aveva dato alla incredibile "stroncatura" di Cantalamessa, che più che una critica nei contenuti si
configurava quale attacco personale e difesa aprioristica di posizioni teologiche.
La si trova qui:
www.storicamente.org/02pesce_cantalamessa.htm )

Io penso invece che Brandon (e non solo lui) avesse aperto a delle possibili riletture alternative che possono sicuramente essere criticate e criticabili, ma non sono poi così sicuro che questa legittima conclusione del prof Pesce (e del generale consensus ) non sia stata parzialmente "viziata" proprio da una valutazione che si articola all' interno di una impostazione metodologica fortemente "orientata" (sarebbe forse piu giusto semanticamente dire "orientante") che in quanto tale rende inaccettabili e incongruenti gli assunti e le conclusioni di quella ricostruzione.

Si tratta in fin dei conti di comprendere il senso profondo di quel "esegeticamente infondata" che il bravissimo prof Pesce utilizza.
Si tratta di stabilire se ciò che correttamente (dopo una appropriata analisi) si definisca "esegeticamente infondato" sia anche "storicamente infondabile", cioè soppesare con estrema pazienza se l'esegesi (interpretazione) delle specifiche fonti vagliate e i criteri utilizzati non abbiano potuto concorrere a "deformare" l'esito della verifica "informandola" eccessivamente e rendendo "inverosimile" una lettura dei fatti accaduti parecchi decenni prima.

Ho letto (e continuo ovviamente a leggere) molte critiche importanti e competenti mosse al lavoro di Brandon e ho rilevato che quasi tutte sono formalmente ineccepibili all' interno del sistema di coordinate documentali che utilizzano. Senonchè il punto è proprio che se per vagliare la verosimiglianza di fondo e la congruenza dei suoi elementi costitutivi si "filtra" il lavoro di Brandon attraverso le strutture narrative prodotte dall' interno di una comunità teologica (cristologica) e sviluppatesi in un arco di tempo mediamente lungo che ne ha anche fortemente differito spazialmente la elaborazione, si ricade nella stessa contraddizione perfettamente sintetizzata dal prof Pesce e che mi preme ripetere:

Io credo che, per certi aspetti, questo modo di procedere, pur volendo rimanere sul piano storico, sia anch’esso precondizionato da una scelta teologica che rischia di vanificarne la correttezza dell’analisi. La debolezza metodologica sta a mio avviso nel fatto che, per cercare gli agganci nel Gesù storico e nella cristologia protocristiana, è necessario leggere ciò che è avvenuto prima alla luce di ciò che è avvenuto dopo. Con ciò si rovescia l’ordine della storia. Il fatto che ciò che è avvenuto dopo possa trovare una qualche giustificazione in ciò che Gesù disse o fece non significa che i suoi atti e le sue parole mirassero realmente alle future affermazioni della chiesa primitiva. Le opere che tendono a ritrovare nel Gesù storico gli agganci della cristologia post-gesuana scelgono solo alcuni elementi e segmenti dell’attività di Gesù inserendoli in un contesto teologico che non è quello gesuano

Forse il principale limite analitico del tentativo ermeneutico di Brandon risiede proprio nell'aver tentato di fondare ed ancorare un Gesù storico diverso (che l'autore probailmente "intravedeva" in una visione più globale, oserei dire più personale ed intuitiva e quindi giocoforza meno "solida") all'interno di uno scenario storiografico "classico", cioè troppo dipendente dalla tradizione documentale neotestamentaria (e cristiano-cattolica in generale) la quale essendo, per le ragioni ampiamente esposte, il frutto di una costruzione (elaborazione/rielaborazione) di natura eminentemente teologica (ed in questo tanto più "umana"...) non permette, a causa della sua peculiare (e comprensibile/giustificata) raison d'etre, di "collocare" quel tipo di presunta figura storica senza che se ne avvertano stridenti ed irresolvibili incompatibilità.

Ricordo che fin da quando, molti anni fa, lessi per la prima volta questo lavoro ebbi la sensazione che Brandon si fosse attenuto (comprensibilmente per uno storico) nell'elaborazione delle sue tesi ad un principio che definirei di "prudenza".
Il problema è che quella giustificata e giustificabile "prudenza" se da un lato ne ha permesso la diffusione e la discussione in ambiti di primo livello, oltre che un accettabile "equilibrio espositivo", dall'altro ne ha, secondo me, minato significativamente la portata e la capacità di incidere a fondo un preesistente schema interpretativo che in ogni caso le sue ipotesi andavano, cosa di cui l'autore doveva essere ben consapevole, violentemente a "sfidare".

Purtroppo quella prudenza intellettuale, che ripeto, si può comprendere anche sotto un profilo strettamente deontologico,e una sua formazione culturale classica che lo ha indotto , in fase di analisi, ad utilizzare, forse troppo generosamente, elementi appartenenti alla posteriore rielaborazione fideistica neotestamentaria, si è rivelata un' arma a doppio taglio, dando la possibililità ai suoi moltissimi detrattori di "anestetizzare" molte delle sue risultanze con un adeguato "gioco di sponda", che come ripeto, date le premesse dell'autore, non si può neanche considerare metodologicamente scorretto.

D'altra parte però a me sembra evidente che alla "intellettualmente onesta prudenza brandoniana" (e non solo brandoniana) abbia fatto da contrappeso meno prudente (e forse meno intellettualmente onesto?) una ricerca che per sua intrinseco sviluppo storico si è attestata fondamentalmente su una posizione di presuntuosa/pretestuosa convinzione che il dato cristologico metastorico racchiudesse in sè, un po miracolosamente oserei dire, una autonoma cogenza storica.

A me sembra evidente quindi che qualora pure il cristo (Gesù?) storico fosse stato (come io continuo a pensare) una delle molteplici (e non uniformi) figure di aspiranti liberatori politico/religiosi del popolo di Israele (o per lo meno un uomo che abbia significativamente intersecato quella "speranza") , non sarebbe in alcun modo possibile sperare di ricostruirne la "storia fattuale" procedendo a ritroso dalla multiforme (e discontinua) rielaborazione che una determinata comunità di individui (o più comunità distinte in parallelo) produsse "costruendo" una "identità" totalmente differente. (e quando dico "costruendo" alludo, almeno per le prime fasi, non ad un processo "intellettuale" che potrebbe far pensare a consapevoli e volontarie artefazioni, quanto piuttosto ad un processo squisitamente "emozionale", la cui "genuinità" però non ingenera necessariamente una oggettiva "aderenza" aì reali eventi soggiacenti)

Non vorrei essere brutale ma una comunità di individui che nell'immediato susseguirsi della morte del suo leader carismatico ne attesti, quale plausibile elaborazione del dolore, una impossibile resurrezione fisica e una ancora più impossibile conseguente identificazione metafisica, che poi consegnerà attraverso una tradizione orale alle generazioni seguenti che la "sanciranno" con la parola scritta, non appare, sotto un profilo strettamente storico, garante irreprensibile di quanto trasmesso.

Peraltro, pur senza voler abusare di categorie logiche ed antropologiche, mi sembra opportuno sottolineare che ciò che è "storicamente impossibile" non è necessariamente "storicamente incredibile" nei termini in cui la storia della civiltà umana è ricchissima di esempi di gruppi umani che hanno storicamente creduto ad "eventi" storicamente impossibili .
Fatto questo che , ovviamente, non ha reso (e non rende) necessariamente possibile (reale) l'oggetto di quella convinta (e reale) credenza.

Si è poi spesso sovrestimata la cosiderazione, sovente prodotta in termini di obiezione a chi tentasse di decodificare eventi umani del passato, secondo la quale bisogna sempre contestualizzare una valutazione al periodo e alla forma mentis dei protagonisti dell'epoca evitando di proiettare "categorie di pensiero" attuali su gruppi umani che ne possedevano di totalmente (?) diverse.
Fermo restando la validità generale di questo principio, non ne farei un uso estremizzato che per certi versi potrebbe condurre ad un paradosso di inconoscibilità storica.
In ogni caso il fatto di utilizzare (nel senso di conoscere) le categorie mentali del gruppo antropologico in analisi, fondamentale per la comprensione delle modalità di interpretazione della realtà da parte di quel gruppo umano nel suo contesto, non deve e non può trasformare quella/e specifica/specifiche interpretazione/i in un fatto storico in sè.
La realtà storica generale e particolare non può strettamente coincidere con una delle molteplici interpretazioni "a caldo" che gli individui che l'hanno vissuta "sulla pelle e nello spirito" ci hanno lasciato.
Soprattutto quando appare evidente che la visione dei fatti rapportata è costruita con una forte valenza "ideologica" e con una comprensibilmente scarsa volontà di fare "resoconto storico", almeno per come lo intendiamo oggi (e su questo bisognerebbe aprire una specifica discussione)

Tanto più che si può facilmente dimostrare che nell'ambito di una certa epoca, in uno stesso luogo, qualunque società umana ha presentato al suo interno dinamiche di pensiero (e quindi di azione) estremamente eterogenee, tanto più quanto tale struttura sociale sia stata, per scelta o per imposizione, contintuamente soggetta ad interazioni importanti con altri "sistemi sociali" esterni al proprio.

In tutta le epoche vi sono stati individui/gruppi portati a visioni/interpretazioni di tipo mistico-trascendentale ed individui/gruppi più "pragmatici" che oltre ad essere impermeabili a quelle concezioni, hanno magari spesso saputo strumentalizzarne pro domo sua quelle altrui proprensioni.

Anche nell' ambito della società ebraica dei tempi del Gesù storico, non mancavano certamente fra i componenti di quella società individui che fossero immuni (o sensibilmente meno condizionati) da queste tendenze e che al contrario orientavano con estremo "cinismo" il proprio agire nella quotidianità dell 'epoca (l'estremo realismo di Flavio giuseppe e della sua condotta ne è forse uno degli esempi più emblematici)
Per la grande etereogeneità dell' approccio "religioso" in seno alla società ebraica del tempo di Gesù, esiste ormai una importante consapevolezza (basti pensare alla mistica isolazionista essena in contrapposizione alla "flessibile" concezione dell' aristocrazia sacerdotale del Tempio che spesso fece prevalere prosaiche logiche di potere arrivando a tratti a comportamenti di vero e proprio collaborazionismo con l'occupante Romano )

Purtroppo per motivi che possiamo ben comprendere questa naturale ricchezza e difformità di visioni sociali, religiose, politiche, economiche ecc caratterizzanti la società ebraica in cui visse d operò il Cristo della storia non sono, se non in misura davvero marginale e comunque fortemente filtrata, deducibili ed estraibili dal corpus documentale che una inizialmente minuta componente di quella società, avrebbe contribuito in nome di una personalissima visione mistica a tramandare.

La consacrazione/sacralizzazione sociale che poi questa complessa elaborazione teologica ha saputo conquistarsi, dopo essersi sufficientemente consolodata ed attestata, il suo "innesto politico" nella struttura decadente dell' Impero, avrebbe ovviamente ulteriormente "impoverito" (attraverso una lunga fase di monopolistica trasmissione culturale inevitabilmente autoreferenziale e fortemente autoconservativa) tutte le "tradizioni storiche" estranee alla propria, in parte attraverso una "selettiva omissione della memoria", in parte attraverso un intelligente ed articolato processo di fagocitazione/snaturamento/appropriazione delle "tradizioni culturali pagane".

E su queste basi, in attesa di elementi oggettivamente nuovi (bisogna insistere...con passione), e in assenza di una svolta innovativa dell' approccio investigativo non posso che fare mio il pensiero del prof Pesce:

Il fatto che ciò che è avvenuto dopo possa trovare una qualche giustificazione in ciò che Gesù disse o fece non significa che i suoi atti e le sue parole mirassero realmente alle future affermazioni della chiesa primitiva.

Jehoudda

Ps
Vedo solo ora il post inserito da PAS60 e ne sto leggendo attentamente il contenuto.
Intanto, Pasquale, ti ringrazio per la riflessione e mi riprometto di risponderti presto, per comunicarti le mie personali sensazioni su quanto mi scrivi.
Per adesso non posso esimermi dal rimarcare, al di la delle fondamentali ed evidenti differenze di vedute, l'estremo garbo e la particolare sensibilità che le tue parole denotano.
 
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17 replies since 31/7/2010, 17:11   1771 views
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