CITAZIONE
In base a cosa dici che è impossibile dire che i Romani appendessero al collo di un condannato alla croce il motivo della sua condanna?
Non l'ho detto, dunque è inutile chiedermi il motivo di una cosa che non ho detto. Io ho detto che è una possibilità, perché delle fonti che abbiamo solo una piccola parte riferisce del cartello appeso al collo. Ho invece chiesto quante attestazioni conosci di
tituli appesi al collo, domanda che hai brillantemente evaso con questa abduzione (o άπαγωγή, se preferisci), un mezzuccio alla Schopenhauer che prepara alla confutazione di una cosa mai detta dall'interlocutore e al tempo stesso ti leva d'impaccio dal dover fornire ragione di una asserzione altrimenti gratuita.
Ciò naturalmente non sposta di una virgola la questione. Stante che:
- Solo una minima parte delle fonti menziona l'uso di appendere al collo il
titulus- Nelle fonti della crocifissione non vi è alcuna attestazione di tale pratica, anzi tutto fa pensare al contrario
Su cosa basiamo l'asserzione che Gesù portò al collo il
titulus prima di essere crocifisso?
Quod gratis adfirmatur, gratis negatur!
CITAZIONE
Solo perché non avrebbero avuto voglia di toglierlo al momento di inchiodarlo alla croce? Questo è umorismo.
Abbiamo diverse fonti che ci descrivono come la prassi della crocifissione fosse improntata alla massima praticità: lo
stipes già piantato al suolo (che poi veniva riutilizzato), l'
aculeus per facilitare l'operazione di fissaggio del patibulum allo stipes, il
crurifragium per non andare troppo per le lunghe, sono solo alcuni esempi di questa mentalità romana tipicamente pragmatica. Sappiamo altresì che in condizioni di fretta o urgenza tale prassi era oltremodo accentuata. È celebre l'esempio di Giuseppe Flavio (Bellum, 2,14,9) in cui si dice che erano talmente tante le crocifissioni che i soldati si divertivano ad appendere i poveretti nei modi più disparati:
[...] προςήλουν δὲ οἱ στρατιῶται δι' ὀργὴν καὶ μῖσος τοὺς ἁλόντας ἄλλον ἄλλῳ σχήματι πρὸς χλεύην, καὶ διὰ τὸ πλῆθος χώρα τε ἐνέλειπε τοῖς σταυροῖς καὶ σταυροὶ τοῖς σώμασιν. [...]
Nella fattispecie della condanna di Gesù, la fretta ce l'avevano eccome, per l'imminente festività che avrebbe costretto a rimuovere in fretta e furia i cadaveri prima del tramonto. Questi elementi presi nel loro insieme suggeriscono che sia poco probabile che i soldati perdessero tempo a 1) fabbricare un
titulus con cordicella 2) tagliare o rimuovere la stessa prima della crocifissione 3) inchiodare il
titulus nel momento in cui dovevano anche – e
soprattutto – affiggere il condannato. La cosa più sensata è che il
titulus fosse posizionato sulla sommità dello
stipes prima della crocifissione vera e propria. È ovvio che questa non è una dimostrazione, ma almeno si basa sulle notizie che abbiamo, mentre l'idea che Gesù portasse il
titulus al collo si basa solo su una debole analogia. Come visto, le possibilità erano molteplici e, se proprio se ne vuole scegliere una, occorre darne ragione, come illustrato dal nostro Regolamento (art.3) e prima ancora dal buon senso.
CITAZIONE
La prova che hai portato caso mai conferma ciò che dico: il condannato è costretto a portare il motivo della sua condanna, ed è ovvio che un condannato alla croce portava al collo il motivo della sua condanna, essendo costretto al contempo a portare un pezzo della croce sulle spalle.
Questo lo dici tu, non le fonti che abbiamo. Per quanto ne sappiamo il
titulus poteva essere benissimo portato da chiunque in testa alla processione al Golgotha, o financo da nessuno, trovandosi già affisso allo
stipes. Infatti il dialogo di Gv 19,19-21 non ha ragion d'essere se la funzione del
titulus non fosse stata quella di rendere il più visibile il motivo della condanna:
ἔγραψεν δὲ καὶ τίτλον ὁ Πιλᾶτος καὶ ἔθηκεν ἐπὶ τοῦ σταυροῦ· ἦν δὲ γεγραμμένον, Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων. τοῦτον οὖν τὸν τίτλον πολλοὶ ἀνέγνωσαν τῶν Ἰουδαίων, ὅτι ἐγγὺς ἦν ὁ τόπος τῆς πόλεως ὅπου ἐσταυρώθη ὁ Ἰησοῦς· καὶ ἦν γεγραμμένον Ἑβραϊστί, Ῥωμαϊστί, Ἑλληνιστί. ἔλεγον οὖν τῷ Πιλάτῳ οἱ ἀρχιερεῖς τῶν Ἰουδαίων, Μὴ γράφε, Ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων, ἀλλ' ὅτι ἐκεῖνος εἶπεν, Βασιλεύς εἰμι τῶν Ἰουδαίων. ἀπεκρίθη ὁ Πιλᾶτος, Ὃ γέγραφα, γέγραφα.
Se, come sostieni (gratuitamente) tu, non era importante che il
titulus fosse visibile una volta fissato sulla sommità dello
stipes, gli ἀρχιερεῖς non avrebbero avuto motivo di protestare. È chiaro infatti che un numero relativamente esiguo di persone avrebbero potuto leggere il
titulus appeso al collo durante il suo trasporto (sia per la relativamente breve durata di questo, sia per la difficoltà pratica di leggere un cartello con un uomo piegato sopra che gli fa sicuramente ombra, oltre al fatto di muoverlo), ma moltissimi avrebbero potuto leggerlo nelle
ore in cui sarebbe stato fermo, bene in vista in cima alla croce.
Inoltre trovo del tutto insensata la tua obiezione:
CITAZIONE
questo avrebbe costretto il palo centrale ad essere 1m più alto almeno sopra la testa del condannato, e se già trattasi di una crocifissione particolarmente alta affinché fosse vista da lontano, quanto sarebbe stato alto questo palo? Una croce di questo tipo doveva essere alta almeno 3m o giù di lì, una croce di 2m sarebbe stata una croce normale come tutte le altre, essendo gli uomini del tempo alti 1,6-1,7m o qualcosa del genere.
Ancora una volta, sappiamo che le crocifissioni avvenivano sempre in luoghi isolati e spesso elevati (Artemidoro, Onirocritica, 1,76 ; 4,49; Plin. Nat. Hist. XIV, 12 ). Il nostro caso rientra in questa fattispecie visto che ci troviamo fuori delle mura della città e in cima a un monticello. Il contesto, dunque, consente una perfetta leggibilità di un cartello posto a un paio di metri da terra. Tuttavia le dimensioni del frammento di S.Croce in Gerusalemme anche a questa modesta altezza (e anche ipotizzando che le tracce bianco-bluastre siano un segno che l'originale fosse
dealbata) risultano illeggibili anche agli spettatori "in prima fila". Ho personalmente fatto l'esperimento con una riproduzione del
titulus di S.Croce in dimensioni originali e ti assicuro che
non si legge. Dunque bisogna concludere che l'originale doveva esse più grande, non molto più grande ma di certo tale da precludere definitivamente l'ipotesi del trasporto al collo, il che fornisce un ulteriore
argomentum contra tale ipotesi.
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Infine dimentichi un particolare: lamentarsi della non conservazione dei tituli è un poco umoristico, giacché non si capirebbe il motivo per cui i familiari di un condannato dovessero andare a chiedere il titulus.
E da quale fonte siamo documentati del fatto che i familiari richiesero il
titulus di Gesù? Ancora una volta da nessuna, né mi risulta che in casi analoghi siamo sommersi da questo genere di documentazione. Tale ipotesi, viceversa è la spiegazione fornita dalla signora Rigato per spiegare una altrimenti poco comprensibile conservazione del
titulus, che ella vuole far coincidere con quello conservato presso s.Croce in Gerusalemme. Ciò chiarisce il
movens di questa asserzione (compiacere gli amici di s.Croce), ma come tutte le affermazioni prive di una solida (o in questo caso di
qualsiasi) fonte documentale a sostegno, va senz'altro rigettata.
CITAZIONE
Il fatto che se ne sia eventualmente conservato uno (in copia) è dunque un fatto del tutto eccezionale, collegato ad un evento ritenuto del tutto eccezionale. Mentre la Venere Callipigia è conservata in numerose copie per il suo valore artistico rimasto immutato nei secoli, cosa che per il titulus evidentemente non avviene.
Ciò infatti dimostra che l'analogia che stabilivi tra originale-copia per il
titulus e per le statue romane copia di greche è priva di ogni logica.
CITAZIONE
Non ci sono prove evidenti e definitive per emettere una sentenza sul titulus: le uniche evidenze certe e/o convincenti sono la datazione al X secolo della tavoletta e la datazione al I secolo della scrittura ebraica, o quanto meno certamente la paleografia non risulta di X secolo.
Se posso essere d'accordo sulla prima parte della frase, certamente la paleografia (ma qui si tratta più propriamente di
epigrafia) non ha mai costituito una "prova evidente e definitiva". Tanto più se parliamo di una mezza riga smozzicata di una lingua che non ha certo conservato milioni di attestazioni tali da poter stabilire confronti sicuri. Se è così per il greco, lingua il cui uso è attestato per millenni in tutto il mediterraneo (per inciso la codicologia nasce proprio per l'impossibilità della paleografia greca di datare con certezza un manoscritto) a maggior ragione per l'ebraico e l'aramaico.
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Le restanti sono opinioni poco utili ai fini scientifici.
Visto che finora l'unico a citare delle fonti sono stato io, posso tranquillamente rispedire al mittente questa accusa.
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Solo se la paleografia fosse dimostrabile essere di X secolo o comunque molto tarda, avremmo chiuso il cerchio in favore di un artefatto medievale, altrimenti mi pare di poter dire che attualmente l'opinione più convincente va verso la possibile autenticità dell'originale. Altra possibilità: il falsario medievale è stato molto bravo a copiare la scrittura ebraica antica. Chi aderisce a questa posizione deve però anche dimostrarla e non già soltanto enunciarla. Io la trovo totalmente inverosimile.
Che sia un artefatto medioevale è il radiocarbonio a dircelo, con buona pace della signora Rigato, su questo non credo ci sia molto da aggiungere. Che sia una copia di un originale è una possibilità che non possiamo né provare né escludere, dunque l'unico giudizio possibile mi pare essere un
non liquet, e non è certo accusando il tuo interlocutore di "umorismo" (ben tre volte) che si può far pendere l'ago della bilancia da una parte o dall'altra.