Studi sul Cristianesimo Primitivo

τί ἐμοὶ καὶ σοί (ti emoi kai soi), su Gv 2:4 ed altre storie

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Talità kum
view post Posted on 16/11/2012, 11:39 by: Talità kum     +1   -1
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QUOTE (Teodoro Studita @ 15/11/2012, 18:47) 
Su questa storia segnalo una curiosità. Il mio amico Stramare ha pubblicato qualche anno fa su un articolo dal titolo "La risposta di Gesù a Maria alle nozze di Cana. Il test della ragionevolezza", Bibbia e Oriente 213 (2002) in cui sostiene che la corretta traduzione sia "Ciò che è mio è tuo".
Grammaticalmente possibile, ma filologicamente inaccettabile.

Eh già, il "problema" della rispostaccia di Gesù a sua madre ha catalizzato (a parer mio ingiustamente) l'attenzione su questo aspetto relazionale a discapito dell'interessante aspetto filologico di questa espressione idiomatica. Senza parlare di tutti i discorsi relativi all'utilizzo del termine "donna", che infatti ho accuratamente evitato, quasi ci trovassimo di fronte a degli ipsissima dei quali cogliere le sfumature!

Rimanendo nel contesto giovanneo, cioè del dialogo Gesù/Maria, un'altra possibile traduzione (che ho trovato più volte nella mia modesta ricerca in preparazione di questo thread) di questo "cosa a me e a te" sarebbe "cosa (ne viene) a me e a te", denotando quindi una sorta di implicita complicità, patto, per cui Gesù domanderebbe a sua madre cosa ci guadagnerebbero entrambi dall'operare un miracolo in quel momento e in quel contesto, ben sapendo qual è lo scopo ultimo della sua "missione".
In questo modo si eliminerebbe l'effetto "barriera"/"distanza" della traduzione "che vuoi da me".

Per quanto tale traduzione ("cosa ne viene a me e a te") potrebbe essere legittima se considerata in un contesto isolato (quale quello di Gv 2:4), devo dire che il confronto con l'utilizzo di "Ti emoi kai soi" nella letteratura veterotestamentaria, neotestamentaria e classica (e in questo caso proprio a cavallo tra il I e II sec.) sembrebbe confermare come più plausibile la traduzione CEI, quale netta presa di distanza dall'interlocutore (siamo cioè più vicini al "che vuoi"/"non mi rompere le scatole").

QUOTE (Polymetis @ 15/11/2012, 23:48) 
A mio avviso questa frase ha un significato in gran parte determinato dall'intonazione della voce con cui la si pronuncia...
Già lo scriveva Ricciotti:

Grazie Poly, vedo che Ricciotti ha anche indicato il testo ebraico soggiacente: mah li wal (ak).

Il problema legato all'intonazione della voce si può esprimere nei seguenti termini:

1) Ben difficilmente ci troviamo di fronte a degli ipsissima Jesu (in campo scientifico quella degli ipsissima è considerata una premessa impossibile)
2) Ricciotti è risalito al testo ebraico, ma Gesù presumibilmente parlava in aramaico a sua madre, quindi bisognerebbe spostare il problema dell'intonazione all'aramaico (supponendo di conoscere gli ipsissima in aramaico)

In pratica l'intonazione del dialogo tra Gesù e Maria a Cana sembra presentare un problema scientificamente irrisolvibile, e quella di Ricciotti rimane quindi un'ipotesi non verificabile - per quanto, ovviamente, non impossibile.

Devo dire tuttavia che apprezzo la delicatezza con cui Ricciotti ha affrontato la questione nel suo complesso, e anche la *competenza*: egli non nega infatti che tale espressione implichi un dissenso tra Gesù e Maria, semplicemente cerca di misurarne i toni, e pone correttamente quest'episodio in linea con il battibecco tra Gesù ed i genitori nell'episodio della visita al tempio (Lc 2:48-50). Qui secondo me Ricciotti ha ragione da vendere, ed aggiungerei gli episodi di Mc 3:21 e Mc 3:33-35, quale ulteriore esempio di attrito familiare (tanto per fare contenti i fans del citerio dell'imbarazzo!) ^_^

Ciao,
Talità
 
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16 replies since 15/11/2012, 14:33   1578 views
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