QUOTE (Teodoro Studita @ 15/11/2012, 18:47)
Su questa storia segnalo una curiosità. Il mio amico Stramare ha pubblicato qualche anno fa su un articolo dal titolo "La risposta di Gesù a Maria alle nozze di Cana. Il test della ragionevolezza", Bibbia e Oriente 213 (2002) in cui sostiene che la corretta traduzione sia "Ciò che è mio è tuo".
Grammaticalmente possibile, ma filologicamente inaccettabile.
Eh già, il "problema" della rispostaccia di Gesù a sua madre ha catalizzato (a parer mio ingiustamente) l'attenzione su questo aspetto relazionale a discapito dell'interessante aspetto filologico di questa espressione idiomatica. Senza parlare di tutti i discorsi relativi all'utilizzo del termine "donna", che infatti ho accuratamente evitato, quasi ci trovassimo di fronte a degli
ipsissima dei quali cogliere le sfumature!
Rimanendo nel contesto giovanneo, cioè del dialogo Gesù/Maria, un'altra possibile traduzione (che ho trovato più volte nella mia modesta ricerca in preparazione di questo thread) di questo "cosa a me e a te" sarebbe "cosa (ne viene) a me e a te", denotando quindi una sorta di implicita complicità, patto, per cui Gesù domanderebbe a sua madre cosa ci guadagnerebbero entrambi dall'operare un miracolo in quel momento e in quel contesto, ben sapendo qual è lo scopo ultimo della sua "missione".
In questo modo si eliminerebbe l'effetto "barriera"/"distanza" della traduzione "che vuoi da me".
Per quanto tale traduzione ("cosa ne viene a me e a te") potrebbe essere legittima se considerata in un contesto isolato (quale quello di Gv 2:4), devo dire che il confronto con l'utilizzo di "Ti emoi kai soi" nella letteratura veterotestamentaria, neotestamentaria e classica (e in questo caso proprio a cavallo tra il I e II sec.) sembrebbe confermare come più plausibile la traduzione CEI, quale netta presa di distanza dall'interlocutore (siamo cioè più vicini al "che vuoi"/"non mi rompere le scatole").
QUOTE (Polymetis @ 15/11/2012, 23:48)
A mio avviso questa frase ha un significato in gran parte determinato dall'intonazione della voce con cui la si pronuncia...
Già lo scriveva Ricciotti:
Grazie Poly, vedo che Ricciotti ha anche indicato il testo ebraico soggiacente: mah li wal (ak).
Il problema legato all'intonazione della voce si può esprimere nei seguenti termini:
1) Ben difficilmente ci troviamo di fronte a degli
ipsissima Jesu (in campo scientifico quella degli ipsissima è considerata una premessa impossibile)
2) Ricciotti è risalito al testo ebraico, ma Gesù presumibilmente parlava in aramaico a sua madre, quindi bisognerebbe spostare il problema dell'intonazione all'aramaico (supponendo di conoscere gli ipsissima in aramaico)
In pratica l'intonazione del dialogo tra Gesù e Maria a Cana sembra presentare un problema scientificamente irrisolvibile, e quella di Ricciotti rimane quindi un'ipotesi non verificabile - per quanto, ovviamente, non impossibile.
Devo dire tuttavia che apprezzo la delicatezza con cui Ricciotti ha affrontato la questione nel suo complesso, e anche la *competenza*: egli non nega infatti che tale espressione implichi un dissenso tra Gesù e Maria, semplicemente cerca di misurarne i toni, e pone correttamente quest'episodio in linea con il battibecco tra Gesù ed i genitori nell'episodio della visita al tempio (Lc 2:48-50). Qui secondo me Ricciotti ha ragione da vendere, ed aggiungerei gli episodi di Mc 3:21 e Mc 3:33-35, quale ulteriore esempio di attrito familiare (tanto per fare contenti i
fans del citerio dell'imbarazzo!)
Ciao,
Talità