Studi sul Cristianesimo Primitivo

Recensione: La Bibbia prima del dogma

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Teodoro Studita
view post Posted on 2/3/2014, 19:02 by: Teodoro Studita     +1   -1
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Rifiutata da ogni rivista scientifica del regno, posto qui una mia recensione a questo capolavoro.
Nel caso qualcuno (ad es. gli autori) volesse commentare, può farlo in questo post.


F. Arduini, S. Pizzorni, La Bibbia prima del dogma. La Traduzione del Nuovo Mondo come paradigma dell’ermeneutica biblica. Aracne, Roma, 2013.

La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture (d'ora in poi NM) è il nome della versione del testo biblico in uso presso la Congregazione dei Testimoni di Geova. La NM, tradotta dapprima in inglese a partire dagli anni '50 del secolo scorso e apparsa in italiano a partire dal 1963, è da sempre oggetto di trasversali critiche per le sue scelte traduttive, giudicate perlopiù orientate teologicamente fino al limite della falsificazione. Per la prima volta tale polemica, fino ad oggi confinata all'ambito dell'apologetica confessionale, prova ad affacciarsi al mondo dell'editoria scientifica. In questo agile saggio edito da Aracne gli autori si pongono il non banale obiettivo di elevare la NM a "paradigma dell'ermeneutica biblica", missione resa ancor più interessante dal fatto che né Arduini né Pizzorni sono specialisti nell'ambito della scienza della traduzione o della filologia biblica.
Il lavoro si apre con una condivisibile introduzione sui criteri di traduzione (pp. 13-23) che enuncia, tra l'altro, i principi sottesi all'opera dell'anonimo traduttore della NM. Appena si entra nel vivo della trattazione, tuttavia, iniziano a manifestarsi alcune contraddizioni: alle pp.17-18, ad esempio, sono gli stessi autori a disattendere i principi appena enunciati quando difendono la traduzione di Gv 1,1 “la Parola era un dio” (NM), a motivo dell'assenza dell'articolo davanti a θεός salvo poi rendere "La legge" invece di "legge / una legge" nel caso sintatticamente analogo (ma teologicamente irrilevante) di Rm 3,28. Analogamente, le considerazioni sull'uso corretto dell'equivalenza formale secondo cui “Il significato di una parola o di un’espressione può cambiare a seconda del contesto in cui viene usata” (p. 38), come pure rimarcato nella prefazione, sembrano non applicarsi a נֶפֶשׁ (che la NM rende costantemente "anima") per una precisa scelta dottrinale, proprio il motivo che autori e prefattore sostengono costituisca il principale elemento distorsivo delle traduzioni diverse dalla NM.
Ancora, gli autori presentano la NM come opera di un non meglio precisato "comitato internazionale di studiosi" (p. 24) laddove è stato da anni acclarato che nessuno dei cinque traduttori potesse vantare alcuna competenza specialistica nell'ambito delle lingue bibliche. Le fotografie che questo comitato fece del papiro Fouad 266 vengono presentate come un elemento cruciale di questo processo, sebbene tale testimone sia rilevante unicamente per la questione della presenza del tetragramma in alcune recensioni della versione greca dell'AT, valutazione soprendente almeno quanto quella in cui si afferma che il codice di Leningrado “è conservato nell'URSS” (sic, p. 27).
Procedendo oltre, gli autori ricordano che nelle note della NM il lettore “viene inoltre indirizzato a testi specialistici dove è possibile approfondire gli eventuali problemi traduttivi” (p. 33) senza tuttavia specificare che tali opere di rimando sono selezionate unicamente tra quelle che possono in qualche modo essere citate a sostegno delle scelte della NM quando esse si discostino significativamente dal consensus accademico. Analogamente, Arduini e Pizzorni menzionano il fatto che la NM riporti in calce le lezioni varianti dai principali testimoni manoscritti per consentire al lettore di farsi un'idea (p. 40) portando l'esempio di At 20,28, sebbene proprio in quel passo non sia affatto riportata la variante, ma la lezione autentica, mentre la variante (che per di più è un emendamento congetturale!) è inserita in textu.
Nel secondo capitolo si trattano alcune importanti questioni sull'AT. Stupisce qui il modo sbrigativo con cui agli autori liquidano la scelta dei traduttori della NM di ignorare un principio elementare della sintassi ebraica come il waw inversivo (p. 41), ma soprattutto colpisce il grande spazio dedicato alla scelta della NM di introdurre forzosamente il tetragramma anche nel NT, rifacendosi a vecchie teorie ampiamente rifiutate dalla pressoché unanime totalità degli studiosi. In questo frangente, gli autori sollevano obiezioni all' interpretazione corrente di A.Pietersma secondo cui la LXX non contenesse il tetragramma se non nelle sue revisioni giudaizzanti e, pur accennando ai testi di Qumran, dimenticano di ricordare che proprio quei testi hanno fornito ulteriore evidenza della caduta in disuso del tetragramma in un ambiente ebraico e non certo ellenizzante come nella vulgata delle pubblicazioni della Società Torre di Guardia. Purtroppo in questo caso gli autori si spingono alla vera e propria falsificazione, citando un autorevole studio di Tov per fargli affermare il contrario di quanto dica sull'uso dei tetrapuncta (pp. 68-69) proprio in sostituzione del nome divino.
Sulla scorta di tali premesse e su quella — ancor più problematica — che tutti i 27 libri del NT siano stati composti entro il I secolo e in ambiente giudaico palestinese (p. 70), gli autori affermano che “è naturale pensare che, con tutta probabilità, gli scrittori del NT consultassero copie della LXX in cui il nome divino non era stato ancora sostituito da κύριος” (p. 64), donde l'ardua apologia dell'interpolazione del tetragramma nel NT.
L'anelito all'approccio scientifico enunciato nell'introduzione sembra lasciare il passo ad un approccio apologetico nella sostanza quando il testo inizia ad affrontare la traduzione di brani significativi per la cristologia. Gli autori, ad esempio, ricordano in più occasioni che in brani come Fil 2,11 e Gv 1,1 l'intento dell'autore non fosse quello di identificare Gesù con YHWH (p. 82 e scc.) o “l’identificazione del Gesù biblico con il Dio dell’AT” (p. 280) dimenticandosi, tuttavia, che tale lettura teologica di marca modalista non sia sostenuta da alcuno nel panorama degli studi. Più in generale, Arduini e Pizzorni affermano che quando si ha a che fare con passi biblici che possono riguardare la divinità di Cristo tutti i traduttori – salvo quelli della NM – sarebbero influenzati dalla loro cristologia (p. 108), sebbene non menzionino il fatto che anche le traduzioni scientifiche e non confessionali, che difficilmente possono essere accusate di pregiudizio teologico, operano di norma in una direzione nettamente divergente rispetto a quella della traduzione geovista.
Nel terzo capitolo il saggio rende ragione delle scelte traduttive della NM nei passi dove il lessema θεός può esser riferito a Cristo. Tale scelta stupisce, dal momento che le critiche verso la NM riguardano solo una piccola parte di questi. Anche in questo caso si assiste a una certa distorsione nella presentazione dell'obiettività, come quando gli autori evocano Moulton per sostenere l'idea che τοῦ ἰδίου in At 20,20 possa sottintendere "Figlio" (p. 112) cosa che, tuttavia, Moulton non ha mai affermato. Relativamente a questi brani, gli autori si limitano ad ammettere la marginalità della scelta della NM e a giustificarla come "non impossibile" sotto il profilo teorico.
Proseguendo nella lettura, ci si imbatte ancora in qualche difficoltà, come quando gli autori, commentando la traduzione di Gv 14,14 dichiarano: “si sottolinea che l’edizione critica di riferimento di Nestle e Aland, rende esattamente come la CEI” (p. 153), paragone – tra un'edizione critica e una versione italiana – difficile a intendersi, seguito poi da un pasticcio nella presentazione delle varianti testuali di Gv 1,18 (p. 160) con fonti omesse e grande disordine concettuale.
Per finire, si deve notare che l'ortografia dei pur pochi lessemi greci presenta problemi nei diacritici (θεὸς in luogo di θεός ripetuto una quindicina di volte; due occorrenze di οὗτος con due accenti). I testi ebraici, infine, sono presentati in interlineare da sinistra a destra e senza diacritici. Queste dimenticanze, oltre alla presenza di alcune note incomplete (e.g. n. 254) lascerebbero pensare all'uso di materiale di seconda mano e ad una certa disinvoltura nelle tecniche di cut-paste.

A parte va considerata l'ultima sezione del libro, dedicata al tentativo di giustificare il rifiuto di tutta la letteratura geovista (ivi compresa la Traduzione del Nuovo Mondo) di riconoscere la croce quale strumento del supplizio di Gesù, a favore di un semplice palo verticale. Il capitolo è affidato al dr. Simone Frattini, di cui sappiamo solo essere il titolare del sito testimonidigeova.net e non avere pubblicazioni al suo attivo. La sezione sulla crocifissione si apre con una nota di metodo con la quale l'autore prende le distanze dalla letteratura "di parte cattolica" o "di matrice cattolica" (p. 195) ponendosì così in ottica manifestamente apologetica. Il testo, che tenta di presentare le fonti sulla crocifissione romana, risulta fortemente problematico sul piano metodologico e disastroso su quello dell'ortografia al punto che delle molte fonti greche citate, nessuna è esente da vistosi errori di trascrizione. Tra i più curiosi si possono citare κύλον (p.194 per ξύλον, ripetuto in larga parte delle successive citazioni del lessema), σταυροϋν e άνε (p. 227) e ancora il "verbo ἀνεσταυροῦν" (p. 228), ὐντες (nota 415), τριακοσίονς, πρώτονς, ἔμφντον, αὑὐτοῦ, ἐστe (sic, p. 252, mentre si discute di una "equivalenza alle lettere greche JE"), πρὁσδήσας (p. 266), ξύλος (p. 275). Non mancano, infine, traslitterazioni fantasiose (e.g. anastauro'o, p. 195), ed errori di latino (um pro dum, p. 217), il tutto unito a qualche svista tipografica (e.g. il lessema crux scritto talora in italico, talora in tondo).

L'autore, soprattutto, sembra non avere particolar confidenza con la presentazione e l'esegesi di un testo antico. Il risultato è una metodologia di utilizzo delle fonti piuttosto bizzarra che prende come riferimento la datazione dei testimoni manoscritti o la "rilevanza storica" attribuita a seconda che l'autore descriva avvenimenti storici o meno. Così, a puro titolo di esempio, l'Oneirocritica di Artemidoro è destituta da Frattini di ogni utilità poiché non descrive un caso concreto di crocifissione. Sono stranamente omesse alcune fonti fondamentali (come Luciano), e nelle altre emerge il notevole pregiudizio di stampo teologico (i Testimoni di Geova stigmatizzano filosofi e autori pagani come manifestazioni sataniche) con cui le fonti sono affrontate. A proposito di Firmico Materno si leggerà, ad esempio: “il testo in questione è altamente filosofico, non cristiano, e chiaramente influenzato da religioni pagane”. Emblematica di questo metodo complessivo l'affermazione, tra le conclusioni della sezione, secondo cui l'identificazione dello stauròs del NT con una croce a due bracci “sarebbe basata non su fonti propriamente storiche, bensì sulle visioni mistiche dello pseudo Barnaba, di Giustino e, molto più tardi, di Tertulliano, direttamente legate al logos e alla forma del X platonici (sic) oltre che al simbolismo mistico cristiano del loro ambiente” (p. 276).
Delle circa 170 voci di bibliografia (che non distingue fonti da studi), una trentina abbondante sono fonti – indicizzate in modo davvero sui generis – o traduzioni di fonti, una quindicina sono opere di critica alla NM, e una dozzina tra lavori ottocenteschi e altri comunque di almeno 70 anni fa. Di ciò che resta, notevole è il peso attribuito a opere marginali e totalmente irrilevanti nel panorama degli studi: significativi in tal senso, oltre i ben sette titoli editi dalla ditta di pulizie (sic!) Azzurra7, anche il ricorso a una oscura tesi dottorale inedita del 1961 il cui unico pregio sembrerebbe essere quello di affermare qualcosa di simile a ciò che gli autori cercavano.
Fra tutti i problemi del testo, quest'ultimo è forse il più vistoso: non presentare lo stato dell'arte ma una selezione bibliografica orientata a sostenere in modo capzioso tesi del tutto minoritarie e destituite di ogni credibilità nell'attuale panorama degli studi.
L'impressione complessiva, per concludere, è quella di un'opera sostanzialmente dilettantistica, sensazione accentuata da un ampio ricorso ad una terminologia di stampo confessionale (e.g. "theos anche per esseri diversi da Dio Onnipotente", p. 144; "l'Iddio Onnipotente", p.152 e passim; “mediare tra gli uomini e la lingua divina, compito arduo perché sulla lingua umana pesa "la maledizione divina". ”, p. 280). Pur dunque nel lodevole tentativo di smarcarsi dal settarismo per affacciarsi alla letteratura scientifica, il saggio di Arduini e Pizzorni sembra fallire sostanzialmente il suo obiettivo.
 
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