Studi sul Cristianesimo Primitivo

Esaltazione senza preesistenza: la cristologia originaria

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JohannesWeiss
view post Posted on 17/3/2016, 07:29     +2   +1   -1




Risposte a Sant’Atanasio

Sulla lettura adamica di Fil 2,6-11


CITAZIONE
La cristologia di Paolo è tutta incentrata sulla natura salvifica del sacrificio di Cristo, e dubito serissimamente che Paolo considerasse una creatura, non importa quanto sovraeminente e pura rispetto alle altre, in grado di lavare i peccati del mondo e salvare l'umanità.
Pertanto mi sento di non sottoscrivere per nulla la tesi di Dunn.

pensare che Paolo e gli apostoli ritenessero concepibile una redenzione universale ad opera di una creatura mi pare alquanto bizzarro, e i passi di Colossesi e di Filippesi (che ripeto, a questo punto diventano davvero difficili da leggere nell'ottica della cristologia senza preesistenza) lo testimoniano.

1 . Se stiamo ragionando su Fil 2,6-11 in quanto inno pre-paolino (e ci sono buone ragioni per ritenere che lo sia), allora non ce ne può fregare di meno della cristologia e della soteriologia di Paolo. Fil 2,6-11 potrebbe benissimo essere un inno composto in prospettiva adamica che Paolo avrebbe letto e aggiustato in ottica preesistenziale e incarnatoria (così Barrett). E' importante sforzarsi di discutere le cose con ordine, altrimenti non ne veniamo più fuori (questo lo dico in generale, perché tendi a mischiare troppe cose diverse, affrontandole superficialmente, e discutere in questo modo diventa decisamente oneroso e poco piacevole).

2 . Che poi per Paolo l'efficacia salvifica del sacrificio di Cristo esiga che egli non sia niente meno che Dio, è un’affermazione del tutto gratuita. Sembra quasi che tu stia leggendo Paolo avendo in testa Anselmo d’Aosta (salvo che lui deve dimostrare la necessità dell'incarnazione-espiazione, mentre tu quella che l'espiante sia Dio incarnato).
Peraltro non è nemmeno esatto che la soteriologia paolina sia incentrata sul sacrificio di Cristo, o comunque principalmente su quello. L’aspetto sacrificale è solo uno dei modi in cui Paolo pensa la salvezza attuata in Cristo, e per lo più si tratta di un aspetto che egli riprende (condividendolo) dalla tradizione (cfr. Rm 3,24-26). L’aspetto più caratteristico e originale della soteriologia paolina è invece quello “partecipazionista”, in cui la salvezza del credente è determinata non dal fatto che il sacrificio di Cristo abbia espiato i suoi peccati, ma ha a che fare con il partecipare, nella fede, alla morte e quindi alla risurrezione di Cristo da parte di Dio, attraverso cui il potere del peccato è stato infranto, inaugurando in tal modo un’umanità rinnovata (cfr. Rm 6,1-11; Gal 2,19-20; 2 Cor 5,14-21; Fil 3,7-11).
In ogni caso, anche limitandoci all’interpretazione sacrificale, è del tutto infondato affermare che la salvezza esige la divinità di Cristo. Si legga con attenzione Rm 3,23-25: “Infatti tutti hanno peccato e sono privati della gloria di Dio; sono giustificati gratuitamente con la sua grazia, mediante la redenzione in Cristo Gesù. Dio lo ha predisposto come espiazione con il suo sangue, mediante la fede, per la dimostrazione della sua giustiziza…”.
E’ evidente che in questo passo chi compie la redenzione è Dio (se non ti fidi, cfr. A. Pitta, Lettera ai Romani, Paoline, 2001, 164: “il soggetto della redenzione, in questi versi, è sempre Dio e non Gesù Cristo”), il quale la realizza gratuitamente “in Cristo”, il quale è da Dio predisposto quale strumento di espiazione. Il testo distingue chiaramente tra Dio (che è il Padre) e Cristo, e nulla lascia intendere che l’efficacia espiatoria del sacrificio di Cristo dipenda dalla sua presunta natura divina. Tutto questo lo proietti tu gratuitamente sul testo, a partire dai tuoi pregiudizi teologici (in senso ermeneutico).

CITAZIONE
Quella lettura dell'inno di Filippesi, se non erro, è ampiamente minoritaria e meno armonica. Non spiega decentemente infatti perché Gesù dovrebbe afferrare qualcosa che non avrebbe, visto che appena prima s'è detto che l'aveva (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων). Il brano ha senso solo se prima l'autore dice che Gesù era di condizione divina, e, ciononostante, non decise di aggrapparsi a tale stato.

Certo che è minoritaria (se ‘ampiamente’ o no, bisognerebbe verificarlo con uno spoglio della letteratura in merito), ma a non avere senso è la tua obiezione. Penso che tu non abbia letto con attenzione la mia sintesi della interpretazione di Dunn. Rileggila e capirai che per Dunn “nella forma di Dio” è equivalente di “a immagine di Dio”* (da qui appunto la lettura adamica), e che quello che Gesù non aveva e che non volle usurpare non era ovviamente l’essere “en morphē theou” bensì l’essere “isa theō”, “come Dio”, ovvero la tentazione del serpente a cui cedettero i progenitori.
*P.S. che μορφή e εἰκών siano effettivamente pressoché sinonimi e interscambiabili non è universalmente accettato, ma è comunque oggetto di significativo consenso, come testimonia il fatto che tale equivalenza sia affermata anche nelle note della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, che cito:
“Il significato di questo termine [morphē] è pressoché identico a quello di ‘immagine’ (eikōn); ‘forma’ e ‘immagine’ sono utilizzati nella LXX in modo interscambiabile: la ‘forma di Dio’ è dunque sinonimo di ‘immagine di Dio’, che è il qualificativo attribuito ad Adamo (Gen 1,27; 1 Cor 11,7) e Cristo (2 Cor 4,4)”.


Se sia possibile intendere At 3,15 come affermazione che Gesù è Dio creatore della vita

CITAZIONE
Faccio inoltre presente che negli Atti degli Apostoli abbiamo un discorso di Pietro (ragguagliatemi, per piacere, sulla storicità di tale discorso, se potete :) ) che sembra un modello perfetto di Cristologia dell'esaltazione [Atti 2,32-36]
Questo passo sembra un modello perfetto per una cristologia "umana, troppo umana", eppure, in Atti 3:15, Pietro dice che "avete ucciso l'autore della vita", che è forse l'attestazione più importante e "chiara" della considerazione della divinità di Cristo, ancora più dell'inno di Filippesi, Colossesi, e persino del Prologo Giovanneo, visto che Dio e solo Dio è l'autore della vita, e non ci sono ambiguità in questo.
Non fraintendermi, so che Atti è tardivo quasi quanto il Vangelo di Giovanni, era per dire che anche di fronte a cristologie che sembrano tutto meno che divine in realtà vi troviamo sorprese come quella di Atti 3:15.

Mi sa che corri troppo... accertati prima di non correre invano! (Gal 2,2) ;)
Qui è opportuno enunciare una basilare regola pratica per chiunque voglia occuparsi di esegesi: “Quando una cosa appare troppo bella per essere vera, e sembra incredibile che nessuno ci abbia mai fatto caso, molto probabilmente stiamo sbagliando qualcosa ed è bene dare prima una controllatina ai commentari”.
Se l’avessi fatto, ti saresti reso conto da solo che la tua intuizione è completamente fuori strada, perché il senso di archēgos tēs zōēs è “guida alla vita”, dove la vita è da intendersi escatologicamente, con particolare riferimento alla risurrezione dei morti, di cui Gesù è appunto il “pioniere”.
Per questa volta ti risparmio il lavoro:

J. Fitzmyer, Atti degli Apostoli, Brescia, Queriniana, 2003, p. 276: “Non è facile tradurre archēgos tēs zōēs. Fondamentalmente, archēgos significa ‘battistrada, pioniere’… Qui deve voler dire qualcosa come ‘fautore originario, autore’. Il titolo tornerà in 5,31; cfr. Eb 2,10; 12,2. In 26,23 Luca identificherà il Cristo come ‘il primo risorto dai morti’ e quell’espressione spiega il titolo usato qui.
R. Pervo, Acts, Hermeneia, Minneapolis, Fortress, 2009, p. 105: “The word archēgos (‘the one who opens the way to life’) comes from the world of Hellenism, which had a great interest in founders, inventors, discoverers and origins of all sorts. Luke does not wish to ascribe to Jesus the ‘invention’ of (genuine) life. For him, the meaning may be that Jesus is leader by virtue of his standing as the first to rise from the dead”.
C.K. Barrett, Acts 1-14, ICC, Edinburgh, T&T Clark, 1994: "In Acts 5.31 the sense of founder and protector (sōtēr) is probably best. and this also fits the contrasting structure of the present verse: him who was bringing life into the world, and thereby establishing a new age, or reign, you put to death. If the word is taken to mean leader, tēs zōēs must be taken as a genitive of direction. not of object: he was not a leader of life but one who led the way to life.
R. Pesch, Atti degli Apostoli, Assisi, Cittadella, 1992, p. 191: “L’affermazione relativa all’uccisione di Gesù… è inasprita dal titolo di contrasto ‘guida’ (cfr. At 5,31; Eb 2,10; 12,2) ‘alla vita’: è stato ucciso colui che può portare fuori dalla morte. Ma Dio, mediante la sua risurrezione, gli ha restituito il diritto al suo ufficio e lo ha ‘glorificato’”.
J. Zmijewski, Atti degli Apostoli, Brescia, Morcelliana, 2006, p. 255: “L’accusa raggiunge il suo apice in una ulteriore contrapposizione: i Giudei hanno ucciso la ‘guida alla vita’. Invece di seguire Gesù, il quale – come ‘guida (archegos) alla vita’ – era stato chiamato a fondare, rappresentare e comunicare la vita (cioè la salvezza eterna) … il popolo giudaico lo ha ucciso e ha commesso il crimine peggiore, quello di sprecare la vita. Che Gesù fosse stato chiamato da Dio ad essere ‘guida della vita’, lo dimostra chiaramente la sua risurrezione: ‘Dio lo ha risuscitato dai morti’”.

Vedi inoltre sua divinità L. Hurtado, Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 2006, p. 192: “Archēgos (guida, fondatore, artefice) è documentato nel NT esclusivamente come titolo cristologico, e soltanto in Atti 3,15 (‘autore/guida alla vita’); 5,31 (‘guida e salvatore’) ed Ebr. 2,10 (‘pioniere/guida della salvezza’); 12,2 (pioniere e perfezionatore della nostra fede)…. Müller sostiene, probabilmente a ragione, che nell’uso neotestamentario del termine Gesù viene definito ‘guida escatologica del nuovo popolo di Dio’, dove il tema biblico di Israele fatto uscire (per mano di Dio) dall’Egitto è qui ‘trasposto in titolo cristologico’”.

Quanto invece alla “storicità” dei discorsi di Pietro (e Paolo) negli Atti, naturalmente è poco probabile che siano storici. Sono verosimilmente discorsi che Luca compone a partire da materiale tradizionale (eventualmente, se necessario, spiegheremo le ragioni di tale giudizio).

Sull’ “Ho tutto in testa, ma non riesco a dirlo” (Afterhours)

CITAZIONE
Ribadisco che per me la questione era meramente descrittiva e dovuta alla mancanza di categorie adatte per spiegare il mistero col quale erano venuti a contatto, ma le "basi" c'erano tutte.
Detto prosaicamente: non credo che coll'andare del tempo ci si sia "inventati" qualcosa, ma che si sia sviscerato sempre più e meglio il mistero col quale si era venuti a contatto.
E il problema descrittivo, come vediamo in Atti, c'era ed era pressante. Se, infatti, come dice anche Plinio il Giovane nella sua lettera all'imperatore Traiano, i cristiani cantavano lodi a Cristo "come a un Dio", è altrettanto vero che per loro Cristo non era il Padre. Allo stesso tempo, però, non era un "deuteros theos", un secondo Dio, perché si sarebbe ricaduti nel politeismo.
Penso che fosse questo il vero problema, come poter descrivere tutto ciò, e all'epoca erano sprovvisti di categorie adeguate.

L’argomento “gli apostoli avevano già chiaramente in testa la cristologia del quarto vangelo, solo che non riuscivano ad esprimerlo”, è un argomento straordinariamente debole e infalsificabile, essendoci purtroppo precluso l’accesso ai loro inesprimibili pensieri.
Tutto quello che abbiamo sono i testi e certe tradizioni anteriori che, quando siamo fortunati, è possibile isolare. E i testi vanno letti per quello che dicono, certamente tenendo conto del loro possibile background culturale (ad es. le idee giudaiche sulla Sapienza relativamente a 1 Cor 8,6 e Col 1,15-20, o le allusioni intertestuali alla storia di Adamo per Fil 2,6-11 etc.), ma MAI leggendoli alla luce di cristologie manifestamente differenti e, a maggior ragione, successive.
Ovvero: se leggiamo Rm 1,3-4, non forzeremo il testo ficcandoci dentro Col 1,15-20, e se leggiamo Fil 2,6-10 non cercheremo di infilarci il prologo giovanneo.
Voler vedere a forza la cristologia del Quarto Vangelo dentro quella dell’esaltazione, risponde semplicemente ad un’esigenza apologetica. E’ un modo inaccettabile di fare esegesi, e – per quel che vale – è anche un modo scadente di fare teologia, perché confonde ed elimina la pluralità di voci differenti che costituiscono la Rivelazione, trasformando una sinfonia nella “canzone mono-nota” di Elio.

Sulla presunta cristologia “umana, troppo umana”

CITAZIONE
francamente dubito che un inno come quello di Filippesi, dei primi anni 40, sia potuto sorgere dal nulla a partire da una cristologia del tutto umana o, al più, angelica, in soltanto 10 anni a partire dalla morte di Cristo il 7 Aprile del 30 D.C con il successivo ritrovamento del sepolcro vuoto e le esperienze di Resurrezione. Troppo, davvero troppo poco tempo, per quanto mi concerne.

Faccio inoltre presente che negli Atti degli Apostoli abbiamo un discorso di Pietro… (Atti 2,32-36)
Questo passo sembra un modello perfetto per una cristologia "umana, troppo umana"…

Un altro grande problema è che non sembri riuscire a capire che quella che definisci “cristologia umana, troppo umana”, cioè quella dell’esaltazione (o dei due stadi), non è affatto “bassa” e nemmeno semplicemente “umana”. Essa afferma chiaramente che Gesù sta “dalla parte di Dio” ed è Kyrios, ovvero partecipe della sovranità universale propria di Dio: solo che pensa tutto questo escatologicamente in riferimento alla risurrezione, e non (ancora) in rapporto ad una qualche forma di preesistenza, come angelo, Sapienza o Logos.
E se anche vogliamo leggere Fil 2,6-11 in ottica di preesistenza, ebbene in tale prospettiva l’inno appare chiaramente come un esempio di evoluzione iniziale dalla cristologia dell’esaltazione a quella della preesistenza. Perché è evidente, come già accennavo nella replica precedente, che l’inno è focalizzato sull’abbassamento-esaltazione, con la preesistenza appena accennata come punto di partenza del movimento di abbassamento ed esaltazione.

Un paio di citazioni, forse, potrebbero aiutarti a capire e accettare questa cosa:

“Il testo nel suo nerbo è un’espressione della cristologia a due stadi, poiché presenta la morte di Gesù come culmine di un processo drammatico di spoliazione motivata dall’obbedienza assoluta (Fil 2,7). A suo seguito si leggono le affermazioni sulla risurrezione, che è descritta come una sorta di sovraesaltazione in cui Gesù viene ad assumere la signoria di dio sul cosmo, che lo porta ad essere riconosciuto e confessato come tale da ogni creatura…. Qui la cristologia a due stadi presuppone un momento previo: quello della preesistenza, seppure questo faccia da sfondo e non costituisca il vertice concettale del brano”.
(R. Fabris – S. Romanello, Introduzione alla lettura di Paolo, Roma, Borla, 2006, 187)

“Per determinare il centro teologico di gravità del testo è decisiva la questione della prospettiva narrativa. Muovendo da quale prospettiva l’inno si esprime riguardo al suo eroe? Non può esservi dubbio: a questo racconto soggiace l’esperienza di Gesù Cristo crocifisso, innalzato e quindi presente tramite lo Spirito di Dio come Kyrios. Di conseguenza è chiaro che questo testo non parte da nessun’altra prospettiva se non da quella della post-esistenza! L’autore muovendo dall’esperienza del Signore risorto, innalzato e operante nel presente, guarda retrospettivamente alla vita terrena di Gesù nell’umiliazione e al suo precedente essere presso Dio….
Dunque, non propriamente la pretemporalità di Gesù e quindi la sua natura divina data per presunta, ma il suo abbassamento sino alla croce e la sua elevazione a Signore e giudice del mondo!
In questo inno Gesù Cristo non è, pertanto, in primo luogo una figura divina del mondo celeste che ha assunto la forma di servo per poi risalire nuovamente in cielo, ma è prima di tutto l’uomo crocifisso e innalzato, venuto da Dio.
Anche questa affermazione sulla ‘forma divina’ di Gesù va dunque interpretata alla luce di abbassamento ed elevazione a posteriori, per così dire. Essa non sta all’inizio di una riflessione cristologica, ma alla fine di un processo interpretativo alla luce dell’Innalzato. Gli asserti sulla ‘forma divina’ di Gesù vanno capiti come ampliamento delle affermazioni su passione ed esaltazione… L’asserto sulla ‘forma divina’ designa, in certa misura, quella ‘dimensione profonda’ in cui la vita, la morte e la risurrezione di Gesù vanno viste… La pre-temporalità è qui una funzione della post-temporalità.
Una cristologia della preesistenza che riflette o addirittura specula sull’essere o sulla natura di Cristo non va riconosciuta in un inno come quello della lettera ai Filippesi… L’asserto sulla preesistenza personale è una pura funzione dell’affermazione riguardante l’abbassamento e l’elevazione, uno sfondo, o meglio, una dimensione profonda dell’evento di abbassamento ed elevazione, il cui soggetto è il Nazareno crocifisso.
Il dato quindi è sobrio; esige cautela teologica”.
(K.-J. Kuschel, Generato prima di tutti i secoli? La controversia sull’origine di Cristo, BTC 84, Queriniana, Brescia, 1996 [ed. or. 1990], 348-349, 351, 346-347)

Ma se tu leggessi anche soltanto Hurtado per quello che Hurtado scrive davvero, senza proiettare (anche su di lui!) quello che vorresti che dicesse, ti accorgeresti che lui stesso afferma che l’idea della preesistenza nasce come espansione all’indietro della originaria prospettiva escatologica:

“la logica delle affermazioni di 1 Cor 8,6 e degli altri passi paolini in cui si allude alla preesistenza di Gesù rimandano alla tradizione giudaica, in particolare a idee apocalittiche giudaiche. L’idea della mediazione di Gesù nella creazione e nella redenzione non è motivata da interessi speculativi… La logica che vi soggiace consegue piuttosto dalle convinzioni… che si esprimono nella tradizione apocalittica giudaica, per la quale tutta la storia è sottomessa a Dio, ai cui disegni predeterminati tutto corrisponde… Questo trionfo escatologico corrisponde e adempie alla volontà creatrice di Dio, e le entità escatologiche possono così essere definite preesistenti in diversi modi.
Nei passi paolini qui indicati e anche in altri del Nuovo Testamento (ad es.Col 1,16-17; Eb 1,2; Gv 1,1-3) è evidente che l’attribuzione a Gesù della preesistenza dipende dalla convinzione che egli sia il mediatore escatologico della redenzione. Poiché i primi credenti erano certi che Gesù fosse stato inviato da Dio e che la salvezza finale si dovesse realizzare mediante Gesù, nella logica dell’apocalittica giudaica era solo un passo da poco e naturalissimo sostenere che egli era anche in qualche modo ‘là’ insieme a e in Dio da prima della creazione del mondo”.
(L. Hurtado, Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 132-133)

Concludendo, la cristologia dal basso è già una cristologia alta, e la cristologia della preesistenza nasce da quella della postesistenza. Riconoscere ciò non significa destituire di validità teologica (di cui noi comunque non ci occupiamo) gli sviluppi successivi, e in particolare la cristologia giovannea - se è questo che ti preme. Per due ragioni: 1) perché teologicamente è indifferente che una cristologia sia nata 5, 10, 20, 30 o 50 anni dopo Gesù, purché sia canonica; 2) perché, a livello di teologia sistematica, si può argomentare che la cristologia dell'esaltazione, pur dicendo la cosa essenziale (Gesù è il Signore) sia tuttavia sotto il profilo teoretico aporetica, "instabile", e bisognosa di ulteriore approfondimento. Un meraviglioso professore di cristologia sistematica che conosco, ad esempio, argomenta che nessuna creatura è ontologicamente in grado di sopportare di essere intronizzata alla destra di Dio, senza 'scoppiare', per cui si può dire che già l'asserto originario della risurrezione come intronizzazione implichi necessariamente la divinità dell'intronizzato. In breve: la divinità funzionale esige quella ontologica.
Come argomento storico non vale nulla ed è falso (anche il Libro delle Parabole di Enoc conosce un "intronizzato", il Figlio dell'uomo, ma è un messia angelico, o eventualmente per il cap. 71 aggiunto in seguito è Enoc stesso - in ogni caso non è Dio), ma dal punto di vista teoretico è solido e più che apprezzabile.

Spero di trovare il tempo per rispondere a Talità :( (con cui però si va via molto più lisci)

P.S. Poiché tutte le cose mi sono state date (a maggior ragione ora che sono ritornato dai morti), in virtù dell'exousia di moderatore di sezione che mi compete, dichiaro solennemente, infallibilmente e definitivamente OFF-TOPIC la questione del Figlio dell'uomo rispetto al Gesù storico.

Edited by JohannesWeiss - 17/3/2016, 08:51
 
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view post Posted on 17/3/2016, 09:06     +1   +1   -1
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X S'Anastasio

CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 16/3/2016, 17:47) 
Al momento non ho riferimenti a portata di mano, ma vorrei comunque portare alla vostra attenzione questa mia considerazione. Secondo me il concetto di pre–esistenza è strettamente legato al riconoscimento della natura divina di Gesù. Nel momento in cui è stata chiara questa visione automaticamente è stato chiaro anche il concetto di pre–esistenza. Diversamente avremmo avuto una pericolosa deriva politeista, con una divinità padre e una figlia. Quindi dal punto di vista storico il riconoscimento di un chiaro accenno alla divinità di Gesù è, secondo me, evidente sintomo di una cristologia della pre–esistenza. Mi riprometto di fare un post più esaustivo sulla questione.

Saluti Astro

Concordo assolutamente. Il riconoscimento della natura divina di Cristo presuppone la Sua preesistenza, tuttavia, per evitare la deriva politeistica di cui hai parlato, è necessario assumere anche l'eternità di Cristo.
Il riconoscimento della natura divina di Cristo presuppone sia la Sua preesistenza all'incarnazione sia la Sua eternità, perché anche qualora fosse la prima tra tutte le creature sempre una creatura sarebbe, e ricadremmo nel politeismo, assolutamente inaccettabile per i giudeo-cristiani dell'epoca. Anche i Tdg ammettono, anzi difendono, la preesistenza di Cristo, ma il discrimine è la Sua eternità, senza la quale non vi è divinitá.

Secondo me il tuo discorso sta prendendo una piega un po' troppo "teologica". Se non ho capito male lo scopo del post era cercare traccie storiche delle due cristologie citate nel cristianesimo primitivo. Io ho solo proposto un possible metodo per trovare qualche traccia dell'idea del Cristo pre-esistente all'alba del cristianesimo. Certamente, per non minare il monoteismo, oltre che pre-esistente il Cristo doveva essere anche coeterno, non eterno, con tutti i limiti di questa affermazione. Infatti il concetto di eternità, come noi lo intendiamo, non apparteneva agli ebrei del secondo tempio.

Saluti
Astro

Edited by astroclipper - 17/3/2016, 09:22
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 17/3/2016, 09:33     +1   -1




CITAZIONE (astroclipper @ 17/3/2016, 09:06) 
Certamente, per non minare il monoteismo, oltre che pre-esistente il Cristo doveva essere anche coeterno

Coeterno al Padre, esatto. Questo era il centro del mio discorso. Tra l'altro anche l'inno di Colossesi è molto importante in tal senso perché evidenzia l'importanza di Gesù nella Creazione, quanto il prologo Giovanneo, questo a prescindere dalla lettura minoritaria ma interessante proposta da Johannes su Filippesi. E qui verrebbe da chiedersi: perché Paolo o i suoi discepoli (qualora la lettera ai Colossesi fosse deutero paolina) avrebbero inserito nella lettera omonima un inno molto antico come quello se fosse stato in conflitto o dissonante con l'inno di Filippesi? Nell'inno di Colossesi abbiamo senza alcuna ambiguità la preesistenza di Gesù e il Suo essere Creatore. Leggiamo infatti

Cor 1,3-12-20

"Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà.Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli."

Quindi cosa dobbiamo pensare? Che chi ha composto quest'inno considerasse Cristo un demiurgo inferiore al Padre? In questo caso ricadremmo nel politeismo, senza se e senza ma. E perché Paolo o i Suoi discepoli avrebbero accolto un inno simile in una loro lettera se quest'inno non rispecchiasse il pensiero Paolino (e a fortiori degli altri discepoli, coi quali non sono registrati malanimi relativi alla cristologia, come ha ricordato anche Talità, semmai a questioni come la circoncisione e l'apertura ai gentili) ma addirittura confliggesse con quello di Filippesi? Bipensiero orwelliano? Queste questioni sono quelle che rendono l'interessante lettura di Johannes dell'inno di Filippesi minoritaria tra gli studiosi, secondo me.

Se infatti Gesù venne riconosciuto come mediatore escatologico della Redenzione universale, come scrive Hurtado, o pensiamo che i primi cristiani lo ritenessero coeterno al Padre e della stessa Maestà e Potenza oppure dovremmo supporre che per un certo periodo di tempo, più o meno lungo, siamo caduti nel politeismo. Poi si può discutere di "quando" sia avvenuta la presa d'atto della preesistenza di Gesù, ma se si accetta la lettura maggioritaria dell'inno di Filippesi (ed è la soluzione che crea meno problemi) avremmo una chiara dottrina della preesistenza già ad inizio anni '40. E non sono forse troppo pochi 10 anni per pensare che ci sia stata un'evoluzione teologica così importante? In questo caso verrebbe da pensare che l'associazione di Cristo al Padre sia nel culto che nella preesistenza e coeternità risalga direttamente alle esperienze post pasquali posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto, con un rapido e subitaneo passaggio dalla cristologia della post esistenza a quella delle preesistenza e coeternità al Padre, probabilmente grazie anche a successive (ma sempre databili agli anni '30) esperienze di visione e Rivelazione (vedi Santo Stefano), che come riconosciuto anche da Hurtado hanno avuto una parte importante non solo nel ministero prepasquale di Cristo, ma anche nella vita post Pasquale dei discepoli.



Mi scuso se sono andato troppo nel teologico, appena posso rispondo a Johannes, che ha scritto un lungo post che non ho fatto in tempo a leggere per intero.

Edited by Sant'Atanasio - 17/3/2016, 15:45
 
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view post Posted on 17/3/2016, 15:26     +1   -1
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CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 17/3/2016, 09:33) 
Se infatti Gesù venne riconosciuto come mediatore escatologico della Redenzione universale, come scrive Hurtado, o pensiamo che i primi cristiani lo ritenessero coeterno al Padre e della stessa Maestà e Potenza oppure dovremmo supporre che per un certo periodo di tempo, più o meno lungo, siamo caduti nel politeismo.

Da un punto di vista storico non possiamo assolutamente escludere che ci sia stata una breve deriva politeista, in fondo anche gli ebrei ne hanno avute,
a cui sia seguita una riflessione teologica e un rientro nei canoni del monoteismo. Se ciò è avvenuto sospetto che sia fortemente legato all'affermarsi
della cristologia della preessitenza. Devo assolutamente produrmi in un post documentato sulla questione.

Saluti
Astro
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 17/3/2016, 16:41     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 21:47) 
Sant'Atanasio, quando fai affermazioni circa quello che dicono gli studiosi - sarebbe opportuno mettere qualche citazione. Deve essere cioè possibile distinguere tra quelle che sono tue opinioni e quelle che sono opinioni di altri (quindi verificabili)

Grazie, Talità

Talità, in questo periodo sono via e non ho facile accesso ai testi, non avendoli con me. Pertanto devo andare a memoria, quando tornerò potrò certamente riportare più fonti e in maniera più precisa, scusami. :)

QUOTE=JohannesWeiss,17/3/2016, 07:29 ?t=72259111&st=15#entry589450818]

Se stiamo ragionando su Fil 2,6-11 in quanto inno pre-paolino (e ci sono buone ragioni per ritenere che lo sia), allora non ce ne può fregare di meno della cristologia e della soteriologia di Paolo. Fil 2,6-11 potrebbe benissimo essere un inno composto in prospettiva adamica che Paolo avrebbe letto e aggiustato in ottica preesistenziale e incarnatoria (così Barrett).
[/QUOTE]

E questa speculazione di Barrett su cosa si basa, se posso chiederlo?

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 07:29) 
E' importante sforzarsi di discutere le cose con ordine, altrimenti non ne veniamo più fuori (questo lo dico in generale, perché tendi a mischiare troppe cose diverse, affrontandole superficialmente, e discutere in questo modo diventa decisamente oneroso e poco piacevole)

Hai ragione, chiedo scusa.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 07:29) 
Mi sa che corri troppo... accertati prima di non correre invano! (Gal 2,2) ;)
Qui è opportuno enunciare una basilare regola pratica per chiunque voglia occuparsi di esegesi: “Quando una cosa appare troppo bella per essere vera, e sembra incredibile che nessuno ci abbia mai fatto caso, molto probabilmente stiamo sbagliando qualcosa ed è bene dare prima una controllatina ai commentari”.
Se l’avessi fatto, ti saresti reso conto da solo che la tua intuizione è completamente fuori strada, perché il senso di archēgos tēs zōēs è “guida alla vita”, dove la vita è da intendersi escatologicamente, con particolare riferimento alla risurrezione dei morti, di cui Gesù è appunto il “pioniere”.
Per questa volta ti risparmio il lavoro:

Ti ringrazio per la spiegazione su Atti. Sono via e non ho potuto controllare sui volumi di Hurtado, non ricordavo la trattazione su Atti.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 07:29) 
E se anche vogliamo leggere Fil 2,6-11 in ottica di preesistenza, ebbene in tale prospettiva l’inno appare chiaramente come un esempio di evoluzione iniziale dalla cristologia dell’esaltazione a quella della preesistenza. Perché è evidente, come già accennavo nella replica precedente, che l’inno è focalizzato sull’abbassamento-esaltazione, con la preesistenza appena accennata come punto di partenza del movimento di abbassamento ed esaltazione.

Ripeto che la lettura di Fil 2,6-11 nell'ottica della preesistenza continua a sembrarmi la tesi più sensata (oltre che essere quella maggiormente condivisa dagli studiosi), poiché è davvero difficile pensare che Paolo abbia ospitato, nelle Sue stesse lettere, delle cristologie confliggenti tra loro.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 07:29) 
Ma se tu leggessi anche soltanto Hurtado per quello che Hurtado scrive davvero, senza proiettare (anche su di lui!) quello che vorresti che dicesse, ti accorgeresti che lui stesso afferma che l’idea della preesistenza nasce come espansione all’indietro della originaria prospettiva escatologica:

Ma io non metto in dubbio che l'idea della preesistenza sia venuta dopo l'esaltazione, il punto è capire QUANTO dopo. Io concordo con Hurtado nel dire che sia tutto avvenuto molto in fretta, dopo le esperienze di Resurrezione.

Ma passiamo a quanto scrive Hurtado, ricopio la citazione dal tuo post.

"la logica delle affermazioni di 1 Cor 8,6 e degli altri passi paolini in cui si allude alla preesistenza di Gesù rimandano alla tradizione giudaica, in particolare a idee apocalittiche giudaiche. L’idea della mediazione di Gesù nella creazione e nella redenzione non è motivata da interessi speculativi… La logica che vi soggiace consegue piuttosto dalle convinzioni… che si esprimono nella tradizione apocalittica giudaica, per la quale tutta la storia è sottomessa a Dio, ai cui disegni predeterminati tutto corrisponde… Questo trionfo escatologico corrisponde e adempie alla volontà creatrice di Dio, e le entità escatologiche possono così essere definite preesistenti in diversi modi.
Nei passi paolini qui indicati e anche in altri del Nuovo Testamento (ad es.Col 1,16-17; Eb 1,2; Gv 1,1-3) è evidente che l’attribuzione a Gesù della preesistenza dipende dalla convinzione che egli sia il mediatore escatologico della redenzione. Poiché i primi credenti erano certi che Gesù fosse stato inviato da Dio e che la salvezza finale si dovesse realizzare mediante Gesù, nella logica dell’apocalittica giudaica era solo un passo da poco e naturalissimo sostenere che egli era anche in qualche modo ‘là’ insieme a e in Dio da prima della creazione del mondo”.
(L. Hurtado, Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 132-133)"

Ebbene io sono d'accordo con lui, anche perché possiedo il suo libro e conosco la sua tesi. Il punto è che a quanto pare, stando anche alla lettura maggioritaria dell'inno di Filippesi, che prevede la preesistenza, l'accostamento di Gesù a Dio è stato straordinariamente veloce, e non un lento processo di sedimentazione di mito su mito.

Da un certo punto di vista posso capire la messa in discussione dell'inno di Filippesi, perché se accettiamo che la cristologia di quell'inno sia inerente la preesistenza diventa davvero molto difficile attribuire quella grande "creatività" che si è supposta per molto tempo alla comunità primitiva.

Ad ogni modo, non fraintendermi, non sto mettendo in dubbio che i discepoli inizialmente possano aver avuto una cristologia dell'esaltazione senza preesistenza, ma il "salto" deve esserci stato molto presto, prima degli anni '40, con ogni probabilità nei primi anni '30, e quindi riguarda gli stessi discepoli di Cristo, non le generazioni successive che avrebbero "tradito" Gesù.

Hurtado stesso, infatti, ha ritenuto di poter eliminare del tutto una spiegazione di tipo evoluzionistico della venerazione di Gesù, adducendo motivazioni di tipo temporale (il fenomeno sorse rapidamente), quantitativo (il fenomeno non fu limitato a gruppi ristretti, ma si diffuse largamente e con rapidità), analogico (non esistono nel mondo romano esempi di movimenti religiosi che passarono da una tradizione di monoteismo esclusivo all'accettazione di un culto di una seconda figura) e qualitativo (questa venerazione fu un tema centrale dei primi gruppi cristiani).

Hurtado spiega bene che lo stesso titolo di kyrios (Signore) non costituisce un'innovazione cristologica dovuta ai cristiani ellenizzati, tratta dai culti pagani, ma era già usuale all'interno della vita devozionale delle cerchie cristiane giudaiche.
Infine, l'argomento della figliolanza divina di Gesù nelle concezioni religiose di Paolo non nasce dall'ambiente religioso pagano, dove i figli degli dèi erano venerati come esseri divini, ma va spiegato alla luce della tradizione biblica e giudaica, dove il lessico della figliolanza divina connotava un favore e un rapporto particolare con Dio e non poteva servire come connotazione della natura divina di Gesù.


Ora, il punto è proprio questo: Hurtado ritiene che qualsiasi considerazione sulla prima venerazione di Cristo debba confrontarsi con la prospettiva monoteista del giudaismo, nell'ambito del quale scaturì il movimento cristiano.
Questo monoteismo ebbe una funzione primaria nella costituzione della venerazione di Cristo, soprattutto in quei gruppi cristiani noti dal Nuovo Testamento che stanno all'origine di quello che divenne il cristianesimo a noi familiare. L'insistenza sul monoteismo, egli ritiene, si era rafforzata in seguito ai numerosi contatti che i giudei ebbero con l'ambiente religioso politeistico del vicino oriente, infatti neppure le figure angeliche e i grandi protagonisti umani della Bibbia non poterono mai meritare di essere fatti oggetto di venerazione cultuale.

Nell'accettare una venerazione cultuale di Gesù il monoteismo giudaico non aveva rotto con la propria tradizione, bensì l'aveva allungata, piegata senza spezzarla: ne è un esempio l'atteggiamento di Paolo, fortemente ostile al politeismo ma allo stesso tempo tutto impegnato nel tributare un culto al Signore. I modelli devozionali rispecchiati dal Nuovo Testamento contengono una forte affermazione di un monoteismo esclusivo e, contemporaneamente, l'accoglimento di Cristo accanto a Dio come destinatario legittimo di venerazione cultuale. Gesù non divenne una nuova divinità, ma contribuì a formare una forma di monoteismo che Hurtado chiama "binitaria": due figure distinguibili (Dio e Gesù) che stanno in un rapporto reciproco stretto.

Naturalmente nessuno (nemmeno Hurtado), ritiene che si fosse già arrivati al "genitus non factus", e alla sistematizzazione che c'è stata a Nicea, anche perché mancavano le categorie adatte per spiegare bene il tutto, ma lui ritiene di poter affermare che i primi cristiani adorassero Gesù come "Dio" e non come "dio", nè, tantomeno, come un angelo o un nuovo Adamo esaltato.

Il problema, torno a ripeterlo, era secondo me spiegare in che modo Gesù era Dio, e tuttavia non era il Padre, e tuttavia non era un altro Dio. Senza le categorie adatte spiegare una cosa del genere senza dare l'impressione di scivolare nel monoteismo era molto difficile. Ma penso che ormai la prospettiva "neodarwinista" che vede un Gesù passare con lentezza e gradualità estrema da "Nuovo Adamo esaltato" a "angelo celeste incarnato" a "Dio incarnato" con un affastellarsi di mito in mito sia ormai obsoleta, sebbene molto cara a Bultmann e ai suoi epigoni.

Ma c'è di più: se parliamo dalle lettere Paoline, i testi più antichi che si riferiscono al cristianesimo antico, vediamo che le lettere di Paolo indirizzate a cerchie cristiane già fondate ed attive negli anni '50, riprendono ed esprimono anche tradizioni di fede e pratiche religiose che provengono da anni precedenti. La venerazione di Cristo attestata dalle lettere di Paolo dimostra che un grande cambiamento era già accaduto all'interno del movimento cristiano, e contribuisce fortemente a promuoverne lo sviluppo. Paolo è l'esempio più perfetto del giudeo che continua a presentarsi come tale, pur riconoscendo la necessità che tutti i popoli obbediscano al vangelo e ricevano la salvezza mediante la fede in Gesù. Egli, come ogni convertito, è uno zelante difensore della nuova fede (che prima aveva perseguitato), e sente una forte spinta alla missione verso i gentili. Quest'ultimo aspetto, cioè che i gentili dovessero essere affrancati sulla base della fede in Cristo, lo portò ad avere qualche scontro con altri esponenti del cristianesimo nascente: ma non è affatto evidente, come aveva già fatto notare Talità e come ho ribadito anche io, che nelle convinzioni riguardo a Cristo e nelle pratiche devozionali rispecchiate nelle sue lettere si possa rinvenire una deviazione significativa dalla tradizione cristiana generalmente condivisa, anche da parte di molti dei suoi detrattori.



CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 07:29) 
L’argomento “gli apostoli avevano già chiaramente in testa la cristologia del quarto vangelo, solo che non riuscivano ad esprimerlo”, è un argomento straordinariamente debole e infalsificabile, essendoci purtroppo precluso l’accesso ai loro inesprimibili pensieri.

Anche affermare che gli apostoli siano stati seguaci di una cristologia "bassa" (che poi bassa non è, ma ci capiamo) o subordinazionista (intendo subordinazionismo ontologico, non economico, quello lo troviamo anche nel Vangelo di Giovanni -il subordinazionismo economico intendo) è completamente gratuito e non trova riscontri.

Stando ai testi e alle esegesi maggioritarie, l'identità tra Gesù e Dio nelle lettere Paoline e alcune lettere deuteropaoline appare chiara tanto come nel Vangelo di Giovanni, seppur meno sistematizzata e con passi contraddittori, che evidenziano la "giovinezza" di un pensiero teologico che ancora doveva trovare piena maturazione.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 07:29) 
E i testi vanno letti per quello che dicono, certamente tenendo conto del loro possibile background culturale (ad es. le idee giudaiche sulla Sapienza relativamente a 1 Cor 8,6 e Col 1,15-20, o le allusioni intertestuali alla storia di Adamo per Fil 2,6-11 etc.), ma MAI leggendoli alla luce di cristologie manifestamente differenti e, a maggior ragione, successive.

Ovvero: se leggiamo Rm 1,3-4, non forzeremo il testo ficcandoci dentro Col 1,15-20, e se leggiamo Fil 2,6-10 non cercheremo di infilarci il prologo giovanneo.

Voler vedere a forza la cristologia del Quarto Vangelo dentro quella dell’esaltazione, risponde semplicemente ad un’esigenza apologetica. E’ un modo inaccettabile di fare esegesi, e – per quel che vale – è anche un modo scadente di fare teologia, perché confonde ed elimina la pluralità di voci differenti che costituiscono la Rivelazione, trasformando una sinfonia nella “canzone mono-nota” di Elio.

Peccato che, per esempio, nella stessa lettera ai Romani, abbiamo Rom 9,5, dove Paolo identifica Gesù col "Dio benedetto nei secoli".

"Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen." "


Trattandosi il NT di un testo scritto dalla Chiesa per la Chiesa, non si può per nessun motivo prescindere dal fatto che la maggior parte dei commentatori antichi la riferì al Figlio, anche in età ante-nicena:
IRENEO, Adversus Haereses, III, 16, 3; IPPOLITO, Contra Noëtum, 6; NOVAZIANO, De Regula Fidei, 13; De Trinitate, 13; TERTULLIANO, Adversus Praxeam, XIII, 9 e XV, 7; CIPRIANO, Testimonia ad Quirinum, II, 6; ATANASIO, In Arianos, 1,10; 4,1; Ep. ad Epictetum, 10; AGOSTINO, De Trinitate, II, 13,23, ID., Le Confessioni, VII, 18; BASILIO, Contra Eunomium, 4; EPIFANIO, Panarion, 57; GREGORIO DI NISSA, Contra Eunomium, 11; ILARIO DI POITIERS, De Trinitate, 8,37; AMBROGIO, De fide 4,6; De Spiritu Sancto 1,3,46; GIOVANNI CRISOSTOMO, Hom. in Rom. 17,3; TEODORO DI MOPSUESTIA, Comm. in Rom. (ad locum); GIROLAMO, Ep. 121, 2; CIRILLO DI ALESSANDRIA, Adv. libros athei Iuliani, 10."

E francamente, da quello che so, gli elementi per l'attribuzione di questa dossologia “Dio benedetto nei secoli”, al Figlio sono preponderanti sia per numero che per rilevanza rispetto a quelli a sostegno dell’attribuzione al Padre.

Anche da un punto di vista strettamente grammaticale la migliore lettura è proprio quella per la quale Paolo in questo caso chiamerebbe Cristo "Dio", e riguardo a questo una trattazione molto chiara è quella di Raymond Brown, “Does the New Testament call Jesus ‘God’?” (l'ho letto recentemente ma non ricordo le pagine esatte, ed essendo via non ho i testi e non posso controllare, perdonami).

Pertanto torno a ripetere che mettere varie cristologie in contrapposizione nelle lettere di Paolo, o addirittura nella medesima lettera (nella fattispecie quella ai Romani) quasi fosse afflitto da bipensiero orwelliano, non mi pare una soluzione vincente, e non parlo da apologeta, ma è primariamente una questione logica.
Un dato come quello di Rom 9,5 dovrebbe fare riflettere sull'opportunità di pensare che, forse forse, il problema era davvero quello di una mancata organicità e sistematizzazione del pensiero teologico Paolino e apostolico nei primi tempi, del resto i problemi cristologici continueranno fino a Nicea, fino a quando il Santo che da nome al mio nick non porrà fine alla questione ariana.

Ma che Paolo e gli altri apostoli (coi quali, ribadisco di nuovo, non sono registrate tensioni cristologiche) siano caduti nel politeismo o nel subordinazionismo o nell'adozionismo mi pare un dato debole sia dal punto di vista storico che logico, coi dati abbiamo in mano.

CITAZIONE (astroclipper @ 17/3/2016, 15:26) 
CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 17/3/2016, 09:33) 
Se infatti Gesù venne riconosciuto come mediatore escatologico della Redenzione universale, come scrive Hurtado, o pensiamo che i primi cristiani lo ritenessero coeterno al Padre e della stessa Maestà e Potenza oppure dovremmo supporre che per un certo periodo di tempo, più o meno lungo, siamo caduti nel politeismo.

Da un punto di vista storico non possiamo assolutamente escludere che ci sia stata una breve deriva politeista, in fondo anche gli ebrei ne hanno avute,
a cui sia seguita una riflessione teologica e un rientro nei canoni del monoteismo. Se ciò è avvenuto sospetto che sia fortemente legato all'affermarsi
della cristologia della preessitenza. Devo assolutamente produrmi in un post documentato sulla questione.

Saluti
Astro

Non esiste nemmeno un singolo dato che ci faccia pensare che gli apostoli siano caduti nel politeismo.
Le "derive politeiste" a cui ti riferisci, si basano sull'attestazione preesilica che abbiamo, se non ricordo male, in un solo passo dell'At sui giudici chiamati "dei", o di retaggi di monolatria in cui YHWH nella corte degli elohim appare circondato da altrettanti "dei". Questo nel I sec D.C è semplicemente impensabile, col monoteismo oramai radicatissimo.

La questione secondo me si può riassumere così: le prime comunità intendevano senz'altro il Cristo come Dio ma non potevano né volevano rinunciare al monoteismo. Di qui a concepire un Dio tri-personale c'è solo voluto il tempo necessario a dotarsi dei mezzi pratici per descriverlo, cioè un lessico e una mente teologica.

Poi certo, di cose "assolutamente escludibili" in campo storico ce ne sono poche, ma stando ai dati che abbiamo, pensare che i discepoli abbiano avuto cadute politeiste è quanto di più gratuito si possa pensare.

Edited by Sant'Atanasio - 17/3/2016, 17:11
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 17/3/2016, 18:49     +2   +1   -1




@Astroclipper

CITAZIONE
Io ho solo proposto un possible metodo per trovare qualche traccia dell'idea del Cristo pre-esistente all'alba del cristianesimo. Certamente, per non minare il monoteismo, oltre che pre-esistente il Cristo doveva essere anche coeterno, non eterno, con tutti i limiti di questa affermazione. Infatti il concetto di eternità, come noi lo intendiamo, non apparteneva agli ebrei del secondo tempio.

Temo che il metodo che proponi sia eccessivamente selettivo. E’ evidente che se troviamo un testo che attribuisce a Gesù un’esistenza coeterna a Dio, abbiamo trovato anche l’idea che egli preesisteva alla sua storia terrena ed eventualmente alla creazione stessa. Ma è perfettamente possibile preesistere alla propria storia senza esistere ab aeterno. Fil 2,6-11 forse ci dice che Cristo iniziò il suo movimento di abbassamento a partire da una condizione celeste: ma tale modalità di preesistenza poteva benissimo essere quella del nuovo Adamo o di un angelo. Per il Libro delle Parabole di Enoc, l’Eletto/Figlio dell’uomo è un messia angelico che esiste, nascosto davanti al Signore degli spiriti, fin da prima che fosse creato il mondo (cfr. 1 En 48,3.6). E anche in 4 Ezra abbiamo una figura ibrida tra Figlio dell’uomo angelico e Messia davidico, che da un lato è preesistente (13,26) e dall’altro è mortale (7,29).

@Sant’Atanasio

CITAZIONE
Quindi cosa dobbiamo pensare? Che chi ha composto quest'inno [Col 1,15-20] considerasse Cristo un demiurgo inferiore al Padre? In questo caso ricadremmo nel politeismo, senza se e senza ma.

Perché ragioni così? Chi ha composto l’inno semplicemente applicava (secondo l'opinione comune) a Gesù l’idea giudaica della Sapienza di Dio quale mediatrice della creazione, che troviamo in Pr 8,22-30 (“Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all'origine. Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra… quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice”); Sir 24,9: “Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno”; Sap 7,26 (“È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e immagine della sua bontà”), oltre naturalmente alla speculazione di Filone.
E la Sapienza cos’è? Una divinità indipendente? No di certo, in prospettiva ebraica, perché non è mai stata oggetto di culto. E allora è una personificazione, un modo figurato di esprimere l’attività di Dio creativa e la sua presenza immanente al mondo, analogamente all’idea di “Spirito”? Pare proprio di sì. Che poi dall’applicazione a Gesù, una persona concreta, di questa figura personificata della Sapienza di Dio ne seguano possibili aporie per il monoteismo, si può ben capire, e non a caso Pr 8,22-25 e Col 1,18 saranno testi cruciali per i dibattiti trinitari, in particolare per la posizione ariana. Ma i nostri testi (Fil 2,6-11; 1 Cor 8,6; Col 1,15-20) si collocano a monte di questo processo: il loro mondo è quello della poesia e del culto liturgico, non quello del pensiero filosofico.

CITAZIONE
E perché Paolo o i Suoi discepoli avrebbero accolto un inno simile in una loro lettera se quest'inno non rispecchiasse il pensiero Paolino (e a fortiori degli altri discepoli, coi quali non sono registrati malanimi relativi alla cristologia, come ha ricordato anche Talità, semmai a questioni come la circoncisione e l'apertura ai gentili) ma addirittura configgesse con quello di Filippesi? Bipensiero orwelliano? Queste questioni sono quelle che rendono l'interessante lettura di Johannes dell'inno di Filippesi minoritaria tra gli studiosi, secondo me.

Nell’ipotesi che Fil 2,6-11 fosse un inno su Gesù quale nuovo Adamo (non preesistente), il fatto che Paolo lo utilizzi implica semplicemente che 1) gli garbava sia perché lui stesso utilizza ampiamente la tipologia di Adamo altrove, sia perché calzava a pennello con l’argomentazione parenetica che sta sviluppando nel contesto specifico (cfr. Fil 2,2-4); 2) che, a livello cristologico, Paolo non trovava che la prospettiva adamica dell’inno fosse incompatibile con la sua credenza nella preesistenza di Cristo (sempre ammesso che Paolo pensasse davvero in questi termini, cosa che metterò in discussione più avanti).
Io non sposo la proposta di Dunn (la trovo intrigante e valida, ma resto incerto), ma le obiezioni che fai non la scalfiscono minimamente.

CITAZIONE
Se infatti Gesù venne riconosciuto come mediatore escatologico della Redenzione universale, come scrive Hurtado, o pensiamo che i primi cristiani lo ritenessero coeterno al Padre e della stessa Maestà e Potenza oppure dovremmo supporre che per un certo periodo di tempo, più o meno lungo, siamo caduti nel politeismo.

Come ho detto sopra, continui a proiettare su questi testi problematiche che essi non si pongono. Non si capisce proprio perché un messia umano insediato da Dio in una posizione di sovranità universale a partire dalla sua risurrezione, dovrebbe infrangere il monoteismo. Idem per l’ipotesi di un essere angelico incarnato. E’ solo nella tua visione teologica che questi modi di vedere sono insufficienti e problematici. Quanto poi alla presunta necessità che Gesù abbia la stessa maestà e potenza del Padre, spiacente, ma Paolo stesso è chiarissimo sul fatto che Gesù sia nettamente subordinato al Padre, vedi 1 Cor 15,28: “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”. Hurtado stesso, nella citazione che riporto in fondo al post, parla esplicitamente di "supremazia" del Padre nel culto all'unico Dio che pure vede coinvolto, come tramite, Gesù.

CITAZIONE
Poi si può discutere di "quando" sia avvenuta la presa d'atto della preesistenza di Gesù, ma se si accetta la lettura maggioritaria dell'inno di Filippesi (ed è la soluzione che crea meno problemi) avremmo una chiara dottrina della preesistenza già ad inizio anni '40. E non sono forse troppo pochi 10 anni per pensare che ci sia stata un'evoluzione teologica così importante?
In questo caso verrebbe da pensare che l'associazione di Cristo al Padre sia nel culto che nella preesistenza e coeternità risalga direttamente alle esperienze post pasquali posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto, con un rapido e subitaneo passaggio dalla cristologia della post esistenza a quella delle preesistenza e coeternità al Padre, probabilmente grazie anche a successive (ma sempre databili agli anni '30) esperienze di visione e Rivelazione (vedi Santo Stefano), che come riconosciuto anche da Hurtado hanno avuto una parte importante non solo nel ministero prepasquale di Cristo, ma anche nella vita post Pasquale dei discepoli.

Cioè, 10-15 anni (non c’è ragione di collocare Fil 2,6-11 all’inizio piuttosto che alla fine degli anni 40), sono troppo pochi perché si verifichi l’evoluzione dalla cristologia dell’esaltazione a quella della preesistenza… mentre uno sviluppo semi-istantaneo dall’una all’altra sarebbe invece plausibile???
Quindi Rm 1,3-4 e At 2,32-36; 5,30-32; 13,31-32 sarebbero reliquie di una cristologia divenuta obsoleta praticamente subito? La cristologia dei primi 5 minuti dopo Pasqua? Che culo! Rendiamo grazie a Dio di avercela preservata intatta dall’esplosione atomica della cristologia della preesistenza. :lol:

CITAZIONE
E questa speculazione di Barrett su cosa si basa, se posso chiederlo?

No, non puoi chiederlo. Cioè, lo spiegherei volentieri, ma c’è già troppa carne al fuoco, e siccome Barrett era solo un’esemplificazione per illustrare un basilare principio metodologico, non serve addentrarci nella sua posizione. Il punto era semplicemente che se l’inno è pre-paolino, va interpretato autonomamente; argomentazioni che fanno leva sulla cristologia e soteriologia di Paolo non sono rilevanti né cogenti; e nemmeno possono diventarlo in forza del principio che Paolo difficilmente citerebbe qualcosa che va manifestamente contro la sua teologia, perché non è evidentemente questo il caso (altrove Paolo usa la tipologia adamica e altrove Paolo – secondo l’opinione comune – parla di Cristo come preesistente, per cui nessuna contraddizione). Vedi sopra il commento sul perché un ipotetico Fil 2,6-11 adamico poteva garbare a Paolo, quand’anche l’avesse ritenuto limitato sotto il profilo cristologico.

CITAZIONE
Ripeto che la lettura di Fil 2,6-11 nell'ottica della preesistenza continua a sembrarmi la tesi più sensata (oltre che essere quella maggiormente condivisa dagli studiosi), poiché è davvero difficile pensare che Paolo abbia ospitato, nelle Sue stesse lettere, delle cristologie confliggenti tra loro.

La difficoltà non esiste, come ho già spiegato.

CITAZIONE
Ma io non metto in dubbio che l'idea della preesistenza sia venuta dopo l'esaltazione, il punto è capire QUANTO dopo. Io concordo con Hurtado nel dire che sia tutto avvenuto molto in fretta, dopo le esperienze di Resurrezione.

Ad ogni modo, non fraintendermi, non sto mettendo in dubbio che i discepoli inizialmente possano aver avuto una cristologia dell'esaltazione senza preesistenza, ma il "salto" deve esserci stato molto presto, prima degli anni '40, con ogni probabilità nei primi anni '30, e quindi riguarda gli stessi discepoli di Cristo, non le generazioni successive che avrebbero "tradito" Gesù.

Non è questione di fraintendere… è che ora stai esprimendo una posizione differente da ciò che andavi dicendo nei post precedenti, inclusi gli ultimi (vedi poco sopra) dove affermavi chiaramente che l’idea della preesistenza e coeternità (!!) risalgono già al ritrovamento del sepolcro vuoto/apparizioni del Risorto, per poi essere ulteriormente approfondita attraverso successive esperienze visionarie. Cito:
“verrebbe da pensare che l'associazione di Cristo al Padre sia nel culto che nella preesistenza e coeternità risalga direttamente alle esperienze post pasquali posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto, con un rapido e subitaneo passaggio dalla cristologia della post esistenza a quella delle preesistenza e coeternità al Padre, probabilmente grazie anche a successive (ma sempre databili agli anni '30) esperienze di visione e Rivelazione (vedi Santo Stefano)”.
Quindi non ti fraintendo, ma mi fa piacere che stai rivedendo sensibilmente la tua posizione iniziale.

CITAZIONE
Hurtado stesso, infatti,

Naturalmente nessuno (nemmeno Hurtado), ritiene che si fosse già arrivati al "genitus non factus", e alla sistematizzazione che c'è stata a Nicea, anche perché mancavano le categorie adatte per spiegare bene il tutto, ma lui ritiene di poter affermare che i primi cristiani adorassero Gesù come "Dio" e non come "dio"

Il mega-ripassone di Hurtado per quanto mi riguarda non era richiesto, ma forse sarà utile ad altri lettori. Questo thread in ogni caso ha come oggetto l’esame e la collocazione storica delle varie cristologie neotestamentarie e specificamente (ma non solo) quelle dell’esaltazione e della preesistenza, e non la questione della venerazione cultuale di Gesù nel cristianesimo primitivo.
In linea di principio, sarebbe perfettamente possibile affermare che fino a Paolo, oppure fino a Colossesi, o anche fino al Quarto Vangelo i cristiani abbiano venerato Gesù includendolo nel loro culto all’unico Dio (il Padre), secondo il modello binitario presentato da Hurtado, il tutto esclusivamente in una prospettiva di “Kyrios esaltato”, senza alcuna idea di preesistenza. Il fatto che poi Hurtado legga Fil 2,6-11 e altri passi paolini in ottica di preesistenza non è decisivo: il suo modello di venerazione binitaria può essere valido anche se tali passi vengono letti altrimenti.
Non voglio bannare latesi di Hurtado come off-topic (per ora), ma invito a distinguere la sua problematica dalla nostra.

Continuo in ogni caso ad avere la sensazione che Hurtado non si riconoscerebbe completamente nel modo in cui presenti la sua posizione. Ho letto i suoi volumi tempo fa, e nemmeno completamente, per cui può essermi sfuggita qualche affermazione… ma per quel che so Hurtado non dice affatto che dai primi cristiani Gesù era venerato come Dio con la lettera maiuscola. Quello che dice è molto più sfumato:

“Proprio come si presenta regolarmente Gesù in rapporto all’unico Dio nelle affermazioni cristologiche paoline, così Gesù è coerentemente venerato in rapporto a Dio negli atti di devozione dei cristiani paolini. Gesù non riceve un culto proprio… I cristiani paolini acclamano Gesù come kyrios ‘per la gloria di Dio Padre’. Il loro culto si distingue certo per riguardare anche Gesù, ma solitamente esso è presentato a Dio per il tramite di Gesù… Le lettere di Paolo esprimono l’intento evidente di comprendere la venerazione riconosciuta a Gesù come estensione del culto di Dio. Questa attenzione a definire e venerare Gesù in rapporto all’unico Dio è ciò che intendo con il termine ‘binitario’…. Penso che per il cristianesimo paolino si possa parlare a buon diritto di venerazione cultuale di Gesù, presentata tuttavia in obbedienza all’unico Dio e nel riconoscimento della supremazia a Dio ‘padre’”.
(L.W. Hurtado, Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 2006, p. 157)

Quel “in rapporto” è una sfumatura molto importante, che Hurtado ha cura di ripetere più volte, mentre nei tuoi post non ce n’è traccia.

CITAZIONE
Peccato che, per esempio, nella stessa lettera ai Romani, abbiamo Rom 9,5, dove Paolo identifica Gesù col "Dio benedetto nei secoli".

Questa obiezione non ha rilevanza rispetto a quello che stavo dicendo io… comunque, si tratta di una vexata quaestio che divide fortemente gli esegeti. Brown stesso, il quale propende per la lettura che hai riportato, riconosce che “l’obiezione più forte a questa interpretazione è che mai altrove Paolo parla di Gesù come Dio”. Ed è un’obiezione tremendamente pesante. Data quindi l’incertezza e la stranezza di questo passo, non è assolutamente opportuno utilizzarlo come argomento per risolvere in partenza le problematiche interpretative relative alla cristologia paolina (nel nostro caso: la preesistenza).

CITAZIONE
Anche affermare che gli apostoli siano stati seguaci di una cristologia "bassa" (che poi bassa non è, ma ci capiamo) o subordinazionista (intendo subordinazionismo ontologico, non economico, quello lo troviamo anche nel Vangelo di Giovanni -il subordinazionismo economico intendo) è completamente gratuito e non trova riscontri.

Ma che Paolo e gli altri apostoli (coi quali, ribadisco di nuovo, non sono registrate tensioni cristologiche) siano caduti nel politeismo o nel subordinazionismo o nell'adozionismo mi pare un dato debole sia dal punto di vista storico che logico, coi dati abbiamo in mano.

L'opportunità delle qualifiche “cristologia subordinazionista” o “adozionista” può apparire opinabile semplicemente perché si tratta di termini e concetti che appartengono propriamente alle successive controversie di teologia trinitaria, e sono quindi anacronistici rispetto ai nostri testi. Come osserva il teologo John Macquarrie: “We must be aware that when modern scholars speak of adoptionism in the New Testament, their language is anachronistic. Strictly speaking, adoptionism only emerges when there is an alternative ‘orthodox’ view with which to contrast it” (J. Macquarrie, Christology Revisited, Harrisburg, Trinity Pres, 1998, p. 69)
A parte tali questioni di precisione terminologica, la sostanza della cristologia dell’esaltazione di Rm 1,3-4 e dei passi citati di Atti, può benissimo essere qualificata come adozionista, e diversi esegeti lo fanno.
 
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view post Posted on 17/3/2016, 19:17     +1   +1   -1
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Sant'Atanasio
view post Posted on 17/3/2016, 20:11     +1   -1




CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
Perché ragioni così? Chi ha composto l’inno semplicemente applicava (secondo l'opinione comune) a Gesù l’idea giudaica della Sapienza di Dio quale mediatrice della creazione, che troviamo in Pr 8,22-30 (“Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all'origine. Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra… quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice”); Sir 24,9: “Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno”; Sap 7,26 (“È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e immagine della sua bontà”), oltre naturalmente alla speculazione di Filone.
E la Sapienza cos’è? Una divinità indipendente? No di certo, in prospettiva ebraica, perché non è mai stata oggetto di culto. E allora è una personificazione, un modo figurato di esprimere l’attività di Dio creativa e la sua presenza immanente al mondo, analogamente all’idea di “Spirito”? Pare proprio di sì. Che poi dall’applicazione a Gesù, una persona concreta, di questa figura personificata della Sapienza di Dio ne seguano possibili aporie per il monoteismo, si può ben capire, e non a caso Pr 8,22-25 e Col 1,18 saranno testi cruciali per i dibattiti trinitari, in particolare per la posizione ariana. Ma i nostri testi (Fil 2,6-11; 1 Cor 8,6; Col 1,15-20) si collocano a monte di questo processo: il loro mondo è quello della poesia e del culto liturgico, non quello del pensiero filosofico.

Si collocheranno anche a monte, non lo metto in dubbio, nondimeno è importante capire quale tipo di culto i primi cristiani riservassero a Cristo e quale tipo di insegnamento gli apostoli abbiano dato sul Suo conto.
Nella fattispecie, noto che riconosci che l'attribuzione a Cristo dell'idea giudaica della sapienza di Dio pone delle problematiche relative al monoteismo, nondimeno i primi cristiani e Paolo rimasero fermamente monoteisti.

Come è stato possibile questo? Io la mia idea l'ho detta, secondo me è stato possibile grazie alla conoscenza (seppur intuitiva e "raffazzonata") del fatto che vi era piena identità tra Cristo e il Padre, pur essendo e rimanendo due Persone distinte.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
Nell’ipotesi che Fil 2,6-11 fosse un inno su Gesù quale nuovo Adamo (non preesistente), il fatto che Paolo lo utilizzi implica semplicemente che 1) gli garbava sia perché lui stesso utilizza ampiamente la tipologia di Adamo altrove, sia perché calzava a pennello con l’argomentazione parenetica che sta sviluppando nel contesto specifico (cfr. Fil 2,2-4); 2) che, a livello cristologico, Paolo non trovava che la prospettiva adamica dell’inno fosse incompatibile con la sua credenza nella preesistenza di Cristo (sempre ammesso che Paolo pensasse davvero in questi termini, cosa che metterò in discussione più avanti).
Io non sposo la proposta di Dunn (la trovo intrigante e valida, ma resto incerto), ma le obiezioni che fai non la scalfiscono minimamente.

Gesù poteva benissimo essere il nuovo Adamo secondo la Sua natura umana ed essere preesistente e coeterno al Padre secondo la Sua natura divina, se volessimo ammettere la lettura adamica del passo di Filippesi (lettura che trovo non convincente e che è e rimane minoritaria).

In questo caso non vi sarebbe alcuna contraddizione, in effetti.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
Come ho detto sopra, continui a proiettare su questi testi problematiche che essi non si pongono. Non si capisce proprio perché un messia umano insediato da Dio in una posizione di sovranità universale a partire dalla sua risurrezione, dovrebbe infrangere il monoteismo. Idem per l’ipotesi di un essere angelico incarnato. E’ solo nella tua visione teologica che questi modi di vedere sono insufficienti e problematici.

Il problema, la "frizione" col monoteismo l'abbiamo quando a questo Messia "umano, troppo umano" viene tributato un culto che prima era riservato solo e soltanto a YHVH. Questa è una cosa completamente inaccettabile per un ebreo di quel tempo, se Gesù fosse stato considerato solo umano e gli apostoli nom avesdero avuto nemmeno il minimo barlume dell'unione ipostatica (secondo le categorie a loro disposizione all'epoca).
Lo stesso dicasi per l'essere angelico incarnato.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
Quanto poi alla presunta necessità che Gesù abbia la stessa maestà e potenza del Padre, spiacente, ma Paolo stesso è chiarissimo sul fatto che Gesù sia nettamente subordinato al Padre, vedi 1 Cor 15,28: “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”. .

Proprio per niente. Il versetto Paolino da te citato non indica una presunta inferiorità del Figlio al Padre, bensì la sottomissione salvifica di tutti gli esseri umani -- che costituiscono il corpo di Cristo -- a Dio. A sottomettersi al Padre sarà l'umanità di Cristo, e non la Sua divinità, che in quanto tale è pari a quella del Padre ed è anzi la stessa divinità del Padre.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
Cioè, 10-15 anni (non c’è ragione di collocare Fil 2,6-11 all’inizio piuttosto che alla fine degli anni 40), sono troppo pochi perché si verifichi l’evoluzione dalla cristologia dell’esaltazione a quella della preesistenza… mentre uno sviluppo semi-istantaneo dall’una all’altra sarebbe invece plausibile???
Quindi Rm 1,3-4 e At 2,32-36; 5,30-32; 13,31-32 sarebbero reliquie di una cristologia divenuta obsoleta praticamente subito? La cristologia dei primi 5 minuti dopo Pasqua? Che culo! Rendiamo grazie a Dio di avercela preservata intatta dall’esplosione atomica della cristologia della preesistenza. :lol:

Intendevo dire che le esperienze di Rivelazione che hanno portato i discepoli a pensare a Cristo come ad un essere preesistente sono verosimilmente avvenute negli anni '30, e sono state il motore della riflessione teologica, basti pensare a Santo Stefano.

Senza quelle esperienze di Rivelazione non avremmo mai avuto il fatto unico di un altro essere associato nel culto a Dio, e in quel caso -senza, cioè, le esperienze di rivelazione- 10 anni sarebbero stati decisamente insufficenti per lo sviluppo di un pensiero del genere.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
In linea di principio, sarebbe perfettamente possibile affermare che fino a Paolo, oppure fino a Colossesi, o anche fino al Quarto Vangelo i cristiani abbiano venerato Gesù includendolo nel loro culto all’unico Dio (il Padre), secondo il modello binitario presentato da Hurtado, il tutto esclusivamente in una prospettiva di “Kyrios esaltato”, senza alcuna idea di preesistenza.

Francamente non vedo la ragione di rimanere attaccati a questa idea, se non quella di voler mantenere un approccio che, a mio modestissimo parere, è un po' superato, ovvero quello di voler per forza dilatare i tempi affinché il "mito" fermentasse. Mi sembra una concezione vecchia.

Poi tu riporti una citazione di Hurtado

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
"Proprio come si presenta regolarmente Gesù in rapporto all’unico Dio nelle affermazioni cristologiche paoline, così Gesù è coerentemente venerato in rapporto a Dio negli atti di devozione dei cristiani paolini. Gesù non riceve un culto proprio… I cristiani paolini acclamano Gesù come kyrios ‘per la gloria di Dio Padre’. Il loro culto si distingue certo per riguardare anche Gesù, ma solitamente esso è presentato a Dio per il tramite di Gesù… Le lettere di Paolo esprimono l’intento evidente di comprendere la venerazione riconosciuta a Gesù come estensione del culto di Dio. Questa attenzione a definire e venerare Gesù in rapporto all’unico Dio è ciò che intendo con il termine ‘binitario’…. Penso che per il cristianesimo paolino si possa parlare a buon diritto di venerazione cultuale di Gesù, presentata tuttavia in obbedienza all’unico Dio e nel riconoscimento della supremazia a Dio ‘padre’”.
(L.W. Hurtado, Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 2006, p. 157)"

Come se questa citazione configgesse con quello che avevo scritto io. Ma non è così.
Io infatti avevo scritto
"Nell'accettare una venerazione cultuale di Gesù il monoteismo giudaico non aveva rotto con la propria tradizione, bensì l'aveva allungata, piegata senza spezzarla: ne è un esempio l'atteggiamento di Paolo, fortemente ostile al politeismo ma allo stesso tempo tutto impegnato nel tributare un culto al Signore. I modelli devozionali rispecchiati dal Nuovo Testamento contengono una forte affermazione di un monoteismo esclusivo e, contemporaneamente, l'accoglimento di Cristo accanto a Dio come destinatario legittimo di venerazione cultuale. Gesù non divenne una nuova divinità, ma contribuì a formare una forma di monoteismo che Hurtado chiama "binitaria": due figure distinguibili (Dio e Gesù) che stanno in un rapporto reciproco stretto."
E non ci trovo alcuna contraddizione con quello che tu hai riportato.

Nota bene però Gesù non divenne una nuova divinità, ma contribuì a formare una forma di monoteismo che Hurtado chiama "binitaria": due figure distinguibili (Dio e Gesù) che stanno in un rapporto reciproco stretto.", questo non significa non riconoscere una supremazia al Padre, che sussiste sicuramente, ma il subordinazionismo del Figlio nei confronti del Padre è di tipo economico, relativo cioè alla Sua missione e funzione, non ontologico, e non ci sono prove nelle lettere Paoline o negli altri testi che portino a a pensare che gli apostoli fossero subordinazionisti anche in senso ontologico, come ti ho spiegato nel passo di 1 Cor 15,28.

L'uomo Gesù è il nuovo Adamo esaltato e intronizzato, il Cristo è invece preesistente (cosa che ovviamente non si può dire del Gesù uomo) e coeterno al Padre, e le due nature, umana e divina, convivono nella stessa Persona di Gesù Cristo.
Anche gli apostoli avevano ben chiaro il problema della doppia natura di Cristo, ma, di nuovo, le categorie che avevano a disposizione per spiegare il tutto erano quelle che erano.
Non c'è alcuna contraddizione, nè c'è bisogno di sostenere che gli apostoli fossero adozionisti o subordinazionisti, lo ribadisco.
Lo stesso Vangelo di Giovanni si premura a più riprese di identificare l'identità di Cristo con Dio e allo stesso tempo la Sua distinzione dal Padre, facendoci capire che Cristo è Dio ma non il Padre, e nemmeno però un altro Dio.

Allo stesso modo, anche il Vangelo di Giovanni fa dire a Gesù cose come "il Padre è maggiore di me" che però, di nuovo, vista anche la cristologia complessiva del Vangelo, a fortiori non implicano un subordinazionismo ontologico del Figlio ma solo economico, e attinente al Suo essere umano.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 18:49) 
Questa obiezione non ha rilevanza rispetto a quello che stavo dicendo io… comunque, si tratta di una vexata quaestio che divide fortemente gli esegeti. Brown stesso, il quale propende per la lettura che hai riportato, riconosce che “l’obiezione più forte a questa interpretazione è che mai altrove Paolo parla di Gesù come Dio”. Ed è un’obiezione tremendamente pesante. Data quindi l’incertezza e la stranezza di questo passo, non è assolutamente opportuno utilizzarlo come argomento per risolvere in partenza le problematiche interpretative relative alla cristologia paolina (nel nostro caso: la preesistenza).

1) Non ha rilevanza? Non capisco come si possa dire questo, dal momento che se davvero Paolo ha identificato Gesù Cristo come il "Dio benedetto nei secoli" non c'è alcun modo di pensare che lui non Lo ritenesse preesistente e coeterno al Padre. Gli esegeti, anche qui, condividono maggioritariamente l'attribuzione della dossologia al Figlio, e anche la maggioranza dei Padri della Chiesa (e la lettera ai Romani fu scritta dalla Chiesa e per la Chiesa) condivide questa attribuzione, perciò non sto certo qui a dire che risolva in partenza la problematica della cristologia paolina, ma di certo è un passo molto pesante, che da una brusca sterzata verso una certa interpretazione, e non è lecito nè ignorarlo nè minimizzarlo.

Anche perché è perfettamente lecito, in campo esegetico, dire che Paolo utilizzasse di norma "Dio" e "Signore" come sinonimi (e se volessimo avremmo tutto l'At a dimostrarlo, ma andremmo ot) e che li abbia usati per differenziare Dio Padre dal Figlio, nella maggioranza dei casi, con l'eccezione di Rom 9,5.

Troviamo una cosa simile nella lettera agli Ebrei 1,8, perciò non mi stupirei più di tanto.
" Al Figlio invece dice: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli".


La mia impressione, che non fa testo in quanto totalmente opinabile, naturalmente, è che da quando è diventato più difficile proporre la forte discontinuità ( quando non, addirittura, platele contraddizione) tra il Gesù della Storia e il Cristo della Fede che ha imperversato per decenni si voglia riproporre questa discontinuità tra gli apostoli e ciò che è venuto dopo di loro, mi sbaglierò....

Edited by Sant'Atanasio - 17/3/2016, 21:37
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 17/3/2016, 21:36     +1   +1   -1




Scusa, ma temo di non poter dialogare oltre con te. Sta diventando una discussione sterile e stancante. Non comprendi adeguatamente quello che scrivo, tendi troppo a deviare sul discorso hurtadiano del culto binitario (riguardo a cui potresti provare a sentire una campana un po' diversa, ad es. J.D.G. Dunn, Did the First Christians Worship Jesus?, SPCK, 2010, oppure sempre Dunn, The Parting of the Ways, 2nd ed., SCM, 2006) e soprattutto hai un'incorreggibile tendenza a leggere i testi alla luce di concetti e problemi teologici successivi.
L'eroe sventola bandiera bianca. :(
Cercherò di rispondere a Talità e sopratutto mi prometto di scrivere un ampio post in cui esamino la solidità dei passi normalmente citati come prove della credenza di Paolo nella preesistenza di Gesù.
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 17/3/2016, 21:45     +1   -1




CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 21:36) 
Scusa, ma temo di non poter dialogare oltre con te. Sta diventando una discussione sterile e stancante. Non comprendi adeguatamente quello che scrivo, tendi troppo a deviare sul discorso hurtadiano del culto binitario (riguardo a cui potresti provare a sentire una campana un po' diversa, ad es. J.D.G. Dunn, Did the First Christians Worship Jesus?, SPCK, 2010, oppure sempre Dunn, The Parting of the Ways, 2nd ed., SCM, 2006) e soprattutto hai un'incorreggibile tendenza a leggere i testi alla luce di concetti e problemi teologici successivi.
L'eroe sventola bandiera bianca. :(
Cercherò di rispondere a Talità e sopratutto mi prometto di scrivere un ampio post in cui esamino la solidità dei passi normalmente citati come prove della credenza di Paolo nella preesistenza di Gesù.

Ok, faccio solo notare che prima avevi scritto

"L’argomento “gli apostoli avevano già chiaramente in testa la cristologia del quarto vangelo, solo che non riuscivano ad esprimerlo”, è un argomento straordinariamente debole e infalsificabile, essendoci purtroppo precluso l’accesso ai loro inesprimibili pensieri."

A me questa cosa sta benissimo, ma allora vorrei capire come possiamo escludere o minimizzare il fatto che Paolo potesse vedere l'uomo Gesù esaltato in quanto uomo appunto, e in alcuni passi si riferisse (ad esempio Rom 9,5, altra lettera dove ci sono diversi passi inerenti l'esaltazione) al Cristo preesistente parificandoLo a Dio. L'esempio del subordinazionismo economico che c'è anche nel Vangelo Giovanneo, dove Cristo viene parificato a Dio con la massima chiarezza e poi il redattore fa dire a Gesù "il Padre è maggiore di me", non l'ho fatto a caso, e se dobbiamo valutare ciò che pensavano quelle persone e cosa insegnavano non mi sembrano irrilevanti queste considerazioni.

Ti ho riportato anche il passo di Ebrei 1,8, dove il Figlio viene chiamato Dio...
Anche tralasciando termini anacronistici come subordinazionismo o o adozionismo, non mi pare affatto irrilevante capire se quelle persone considerassero Cristo inferiore ontologicamente o solo per la Sua missione e ruolo nella storia della salvezza, perche è un concetto è una problematica che si saranno posti senza dubbio.

Edited by Sant'Atanasio - 18/3/2016, 00:24
 
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view post Posted on 17/3/2016, 22:40     +1   -1
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CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 21:36) 
Scusa, ma temo di non poter dialogare oltre con te. Sta diventando una discussione sterile e stancante. Non comprendi adeguatamente quello che scrivo, tendi troppo a deviare sul discorso hurtadiano del culto binitario (riguardo a cui potresti provare a sentire una campana un po' diversa, ad es. J.D.G. Dunn, Did the First Christians Worship Jesus?, SPCK, 2010, oppure sempre Dunn, The Parting of the Ways, 2nd ed., SCM, 2006) e soprattutto hai un'incorreggibile tendenza a leggere i testi alla luce di concetti e problemi teologici successivi.
L'eroe sventola bandiera bianca. :(
Cercherò di rispondere a Talità e sopratutto mi prometto di scrivere un ampio post in cui esamino la solidità dei passi normalmente citati come prove della credenza di Paolo nella preesistenza di Gesù.

Grazie Weiss. Io sto preparando qualcosa di un pò più tecnico sulla lettura adamitica di Filippesi.
Avanti! :)

Ciao
Talità
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 18/3/2016, 02:05     +1   -1




CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 21:36) 
mi prometto di scrivere un ampio post in cui esamino la solidità dei passi normalmente citati come prove della credenza di Paolo nella preesistenza di Gesù.

Ti auguro un buon lavoro, nel frattempo io segnalo questo lavoro di Bauckam, importante studioso di Nt e origini cristiane, così vediamo se ciò che ho scritto in questo topic è così insostenibile o errato www.forananswer.org/Top_JW/Richard_Bauckham.pdf

Naturalmente consiglio di leggere il trattato nella sua interezza, cosa che io ho già fatto, io ora riporterò alcune citazioni che ritengo significative, estrapolate dall'intero trattato.

"In my view high Christology was possible within a Jewish monotheistic context, not by applying to Jesus a Jewish category of semi-divine intermediary status, but by identifying Jesus directly with the one God of Israel, including Jesus in the unique identity of this one God. I use the term 'unique identity' as the best way of speaking of the uniqueness of God as generally conceived in early Judaism. The concept of identity is more appropriate, as the principal category for understanding Jewish monotheism, than is that of divine nature. In other words, for Jewish monotheistic belief what was important was who the one God is, rather than what divinity is."

"The early Christian movement, very consciously using this Jewish theological framework, created a kind of christological monotheism by understanding Jesus to be included in the unique identity of the one God of Israel."

"Thus the earliest christology was already in nuce the highest christology. All that remained was to work through consistently what it could mean for Jesus to belong integrally to the unique identity of the one God".

"If Jesus was integral to the identity of God, he must have been so eternally. To include Jesus also in the unique creative activity of God and in the uniquely divine eternity was a necessary corollary of his inclusion in the eschatological identity of God. This was the early Christians' Jewish way of preserving monotheism against the ditheism that any kind of adoptionist Christology was bound to involve. Not by adding Jesus to the unique identity of the God of Israel, but only by including Jesus in that unique identity, could monotheism be maintained. This applies also to the worship of Jesus, which certainly began in Palestinian Jewish Christianity. This expressed the inclusion of Jesus in the unique identity of the sole Creator of all things and sole Sovereign over all things."

"Jesus himself is the eschatological manifestation of YHWH's unique identity to the whole world, so that those who call on Jesus' name and confess Jesus as Lord are acknowledging YHWH the God of Israel to be the one and only true God. It becomes clear that Paul's purpose is to include Jesus in the unique identity of the one God, not to add Jesus to the one God as a non-divine agent of God, for Jesus can manifest the unique identity of the one God and receive the universal acknowledgement of that God's sole lordship only if he himself belongs to the unique identity of God."

"In Romans 10:9-13 Paul propounds a christological version of Jewish eschatological monotheism, such that confessing Jesus as Lord or calling on the name of the Lord Jesus is tantamount to acknowledging YHWH as the one and only God. In this context there is nothing incidental or unconsidered about Paul's identification of 'the name of YHWH' in Joel 2:32 as the name of Jesus. It is the climax of a clear statement of christological monotheism, which makes a very serious identification of Jesus with YHWH.The identifying name YHWH names Jesus as well as God his Father and in such a way that they are certainly not two gods. As Rowe puts it well, Paul's God and the God of Israel are the same God only if YHWH is so identified with Jesus and Jesus with YHWH that the first two commandments are not violated."


E ora arriviamo all'inno di Filippesi, dove riguardo alla preesistenza dice esattamente quanto sto dicendo io da inizio topic. ;)

"Therefore it does not mean that Christ only begins to belong to the divine identity at his exaltation. Rather only one who already belonged to the divine identity could occupy this position of eschatological supremacy. It is part of the function of the opening words of the passage (2:6), which I understand, [color=red] with the majority of scholars, as depicting the pre-existence of Christ, to make clear his identity with the one God from the beginning.
"The pre-existent Christ has equality with God; the issue is his attitude to it. He elects to express it, not by continuing to enjoy the 'form of God' (morfh'/ qeou'), which is the visible splendour of divine status in heaven,31 but by exchanging this glorious form for the humble status of the human form (morfh;n douvlou) on earth (2:7)."
"As a final comment on Philippians 2:6-11, it is worth noting the possibility that the exegesis of Isaiah 45:23 that lies behind it distinguished two divine subjects in that verse. In the Septuagint (MT is different) it reads: 'By myself I swear, righteousness shall go out from my mouth, my words will not be frustrated: that to me every knee shall bow and every tongue shall confess to God (ejxomologhvsetai ... tw'/ qew'/, v.l. ojmei'tai ... to;n qeovn).' The speaker is YHWH (v 18), but in this verse he speaks not only of himself ('to me every knee shall bow') but also in the third person of 'God' ('every tongue shall confess to God'). When he quotes this verse in Romans 14:11, Paul seems to take advantage of this possibility of distinguishing two divine subjects, identfying 'the Lord' (YHWH) as Jesus and 'God' as the Father."

E questa era una lettura che avevo offerto io in un post più sopra, non sul brano di Isaia, ma sulla possibilità concreta e niente affatto minimizzabile che Paolo abbia chiamato una sola volta Gesù "Dio" (Rom 9,5) perché distingueva tra Dio Padre e Dio Figlio, usando appunto Dio per il primo, e Signore per il secondo. ;).

Avevo infatti scritto " è perfettamente lecito, in campo esegetico, dire che Paolo utilizzasse di norma "Dio" e "Signore" come sinonimi (e se volessimo avremmo tutto l'At a dimostrarlo, ma andremmo ot) e che li abbia usati per differenziare Dio Padre dal Figlio, nella maggioranza dei casi, con l'eccezione di Rom 9,5."

1 Corinthians 8:5-6
"But he goes on to give in verse 6 a fuller monotheistic formulation, which is remarkable in that, while it follows the structure of Jewish monotheistic assertions, it also incorporates Jesus Christ into the unique divine identity. This is probably Paul's most explicit formulation of what we have called christological monotheism. That Paul has here produced a Christian version of the Shema‘ has now rightly been recognized quite widely,41 but the fully decisive way in which he has here included Jesus in the Jewish definition of the unique identity of the one God can be appreciated only in the light of the account of Jewish monotheism that we offered in the first section of this paper".

" Contrary to what many exegetes who have not sufficiently understood the way in which the unique identity of God was understood in Second Temple Judaism seem to suppose, by including Jesus in this unique identity Paul is precisely not repudiating Jewish monotheism, whereas were he merely associating Jesus with the unique God he certainly would be repudiating monotheism".


Qua invece pone l'accento sul ruolo del Cristo nella creazione, ruolo di cui ho parlato anche io in tutto il topic e che è stato continuamente minimizzato.

"In the uniquely divine role of creating all things it was for Jewish monotheism unthinkable that any being other than God could even assist God (Isa 44:24; Sir 42:21; 4 Ezra 3:4; 6:6; Josephus, C. Ap. 2.192; Philo. Opif. 23).45 But to Paul's unparalleled inclusion of Jesus in the Shema‘ he adds the equally unparalleled inclusion of Jesus in the creative activity of God. No more unequivocal way of including Jesus in the unique divine identity is conceivable, within the framework of Second Temple Jewish monotheism".

"The fact that in Romans 11:36 all three prepositions apply to God, whereas in 1 Corinthians 8:6 one of them applies to Christ, does not mean that they no longer all describe the Creator's relationship to the whole of creation. On the contrary, it means precisely that Christ is included in this relationship as the instrumental cause of creation".

"The purpose of what is said about Jesus Christ in 1 Corinthians 8:6 is not primarily to designate him the 'mediator' (a not strictly appropriate term in this context, but frequently used) of God's creative work or of God's salvific work, but rather to include Jesus in the unique identity of the one God. [color=red]<u><b>Jesus is included in God's absolutely unique relationship to all things as their Creator. The purpose of the whole verse in its context is strictly monotheistic."

Jewish precedents for Paul's christology of divine identity?
Melchizedek Psalm 82:1
" the word here cannot, for exegetical reasons, refer to YHWH, it must refer to a principal angel."
Psalm 7:8b-9a

" Thus the quotation and implied interpretation of this biblical text make very clear that there is no confusion between Melchizedek and YHWH."
In both texts Melchizedek is understood to be this prominent angelic member of YHWH's council. In the second text it is clear that it is YHWH who actually judges, though Melchizedek executes his judgment.

Yahoel
" Careful investigation of this figure therefore makes wholly redundant scholarly speculations that Yahoel is some kind of embodiment of the divine glory or participant in divine nature or even a personification of the divine Name.68 Yahoel is wholly intelligible as a principal angel (one of at least two), who exercises a delegated authority on God's behalf as the angelic high priest, the heavenly and cosmic equivalent of the Aaronide high priest in the Jerusalem temple. He is neither included in the unique identity of YHWH, as understood by Jews of this period, nor any sort of qualification of or threat to it. Throughout the work he is, as a matter of course, distinguished from God and never confused with God. He worships God (17:3), but there is no suggestion at all that he himself might be worshipped".

"It has to be admitted that the alleged precedents of Melchizedek and Yahoel offer no help at all in understanding how Paul acquired and developed his Christology of divine identity".


Per concludere, caro Johannes

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 17/3/2016, 21:36) 
e soprattutto hai un'incorreggibile tendenza a leggere i testi alla luce di concetti e problemi teologici successivi.

Ritengo che questa tendenza che tu vedi in me sia quantomeno curiosa, perché francamente non riesco ad immaginare nulla di più rilevante, studiando il cristianesimo primitivo, del capire quale fosse la Fede degli apostoli che hanno conosciuto Gesù Cristo e che cosa hanno insegnato sul Suo conto.

A quanto pare ci sono sempre più storici ed esegeti che assegnano a Paolo e agli altri la piena "ortodossia", ovvero un pensiero che anche a volerlo guardare con occhi teologici successivi è pienamente coerente.
Poi certo, le eresie ci sono sempre state, ma se permetti non trovo affatto irrilevante l'idea che Paolo possa essere considerato "un eretico" verso il Cattolicesimo per come lo conosciamo da Nicea.

Edited by Sant'Atanasio - 18/3/2016, 03:48
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 18/3/2016, 03:30     +1   -1





Invito Sant’Atanasio a non utilizzare più il colore rosso (meglio ancora, nessun colore), né caratteri di dimensioni spropositate.
Varie parti del messaggio precedente sono state messe sotto “spoiler” in quanto il numero e l’ampiezza delle citazioni era eccessivo, soprattutto considerando la modesta o scarsa rilevanza, a seconda dei casi, delle citazioni rispetto all’argomento che è oggetto del thread.
Ribadisco per l’ultima volta che il tema della discussione sono le diverse forme di cristologia presenti nel Nuovo Testamento e NON questioni come la venerazione cultuale di Gesù o le categorie teoretiche più adatte per descrivere tale venerazione nel quadro del monoteismo giudaico.
Ho già detto una volta che tali problematiche, pur toccando la nostra questione, tendono ad andare off-topic (e ho già spiegato che il modello binitario può essere valido anche là dove si ha soltanto una cristologia dell’esaltazione, e lo stesso vale in linea di principio per quello della “identità unica condivisa” di Bauckham). Se si continua a spingere su questo tasto, tali argomenti diventeranno off-topic a breve.
Chi non è in grado di affrontare una discussione esegetica sulle cristologie NT.rie senza finire a parlare della ridefinizione cristologica del monoteismo giudaico, è pregato di lasciare la discussione, aprendo eventualmente un nuovo topic dedicato a tale argomento. Questo è l’ultimo avviso.
 
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Sant'Atanasio
view post Posted on 18/3/2016, 03:43     +1   -1




CITAZIONE (JohannesWeiss @ 18/3/2016, 03:30) 

Invito Sant’Atanasio a non utilizzare più il colore rosso (meglio ancora, nessun colore), né caratteri di dimensioni spropositate.
Varie parti del messaggio precedente sono state messe sotto “spoiler” in quanto il numero e l’ampiezza delle citazioni era eccessivo, soprattutto considerando la modesta o scarsa rilevanza, a seconda dei casi, delle citazioni rispetto all’argomento che è oggetto del thread.
Ribadisco per l’ultima volta che il tema della discussione sono le diverse forme di cristologia presenti nel Nuovo Testamento e NON questioni come la venerazione cultuale di Gesù o le categorie teoretiche più adatte per descrivere tale venerazione nel quadro del monoteismo giudaico.
Ho già detto una volta che tali problematiche, pur toccando la nostra questione, tendono ad andare off-topic (e ho già spiegato che il modello binitario può essere valido anche là dove si ha soltanto una cristologia dell’esaltazione, e lo stesso vale in linea di principio per quello della “identità unica condivisa” di Bauckham). Se si continua a spingere su questo tasto, tali argomenti diventeranno off-topic a breve.
Chi non è in grado di affrontare una discussione esegetica sulle cristologie NT.rie senza finire a parlare della ridefinizione cristologica del monoteismo giudaico, è pregato di lasciare la discussione, aprendo eventualmente un nuovo topic dedicato a tale argomento. Questo è l’ultimo avviso.

Chiedo scusa per il colore rosso (lo avevo messo unicamente per dare rilevanza a certe parti), tuttavia continuo a non capire una cosa: Bauckam tratta, tra le altre cose, della preesistenza di Cristo e di ciò che Paolo e gli altri apostoli pensavano al riguardo, che è tema del topic.

Pertanto, io posso anche aprire un topic apposito, tuttavia, giuro, non riesco a capire in che modo questo non sia attinente al topic, dal momento che la trattazione di Hurtado riguarda la cristologia paolina e quindi anche la preesistenza, il rapporto tra Cristo e il Padre, il ruolo di Gesù nella creazione e come i primi cristiani leggevano questo ruolo eccetera.
 
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JohannesWeiss
view post Posted on 18/3/2016, 03:53     +1   -1




Solo due brevi osservazioni e risposte in merito all'ultimo post di Sant'Atanasio.

1) L'argomento di Bauckham (ora nel primo spoiler) sul fatto che se Gesù appartiene integralmente all'identità di Dio, allora le cose devono essere così da sempre bla bla... non è affatto applicato da Bauckham indiscriminatamente a tutte le forme cristologiche nt.rie, incluse quelle dell'esaltazione, bensì riguarda specificamente i passi cristologici in cui a Gesù viene attribuita una dimensione protologica, ovvero: prologo giovanneo, Colossesi 1, Ebrei 1. E Bauckham stesso indica chiaramente che si tratta di sviluppi della riflessione protocristiana che originariamente concepiva l'appartenenza di Gesù all'identità di Dio dal punto di vista della partecipazione e implementazione della sovranità escatologica di Dio. Vedi qui il link seguente, del quale la parte iniziale dell'articolo da te linkato è una sintesi: https://books.google.it/books?id=IqDTA9UTb...ally%22&f=false

2) Non ho idea di chi sia stato a minimizzare il ruolo di Cristo nella creazione in questo topic, dal momento che i testi paolini comunemente citati al riguardo sono 1 Cor 8,6 e Col 1,15-20, e io non ho ancora discusso di nessuno dei due. E in FIl 2,6-11 non c'è traccia di mediazione nella creazione. A meno che tu non ti stia riferendo ad At 3,15, che ti ho dimostrato non avere nulla a che vedere con la creazione.

CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 18/3/2016, 03:43) 
Chiedo scusa per il colore rosso (lo avevo messo unicamente per dare rilevanza a certe parti), tuttavia continuo a non capire una cosa: Bauckam tratta, tra le altre cose, della preesistenza di Cristo e di ciò che Paolo e gli altri apostoli pensavano al riguardo, che è tema del topic.
Pertanto, io posso anche aprire un topic apposito, tuttavia, giuro, non riesco a capire in che modo questo non sia attinente al topic, dal momento che la trattazione di Hurtado riguarda la cristologia paolina e quindi anche la preesistenza, il rapporto tra Cristo e il Padre, il ruolo di Gesù nella creazione e come i primi cristiani leggevano questo ruolo eccetera.

Le citazioni dell'articolo di Bauckham relative alla preesistenza di Cristo in Fil 2,6-11 e alla sua mediazione creatrice in 1 Cor 8,6 non sono stati messi sotto spoiler (tranne parte della seconda) appunto perché attinenti all'oggetto della discussione.

Edited by JohannesWeiss - 18/3/2016, 03:57
 
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64 replies since 14/3/2016, 16:25   3468 views
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