Studi sul Cristianesimo Primitivo

Spiegazione di 2 Pietro 1:20

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view post Posted on 13/4/2018, 21:10     +1   -1
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@Giosia
Devi chiedere a Teo la sua fonte, io non ho approfondito oltre non saprei come aiutarti :-\ . Nella foto che ha condiviso c'è scritto che in "Contro Celso" 2Pietro 1:7 è considerata 4 volte da Celso.
 
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Si, si ho letto ma nutro forti dubbi.
Si tratta in ogni caso di una citazione indiretta... non è assolutamente certo pertanto che Celso si riferisse alla Seconda lettera di Pietro.
Moreschini infatti non vede nessun collegamento per cui temo che tale citazione abbia scarso valore nella nostra ricerca.
Ciononostante una datazione alta, sulla base del contenuto della lettera, mi pare più probabile.

Edited by Giosia - 14/4/2018, 17:00
 
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CITAZIONE (Giosia @ 13/4/2018, 09:08) 
Penso che a livello filologico sia stato detto tutto quanto si poteva dire su 2 Pietro 1:20.
....

No: lo studio va completato. A mio avviso, abbiamo esaminato 1,20 alla luce del contesto e della struttura della lettera, arrivando a conclusioni favorevoli all’antica versione di Girolamo. Resta ora da esaminare quanto è stato detto e ripetuto, negli ultimi 80 anni, per motivare la nuova versione del Vaccari, che la CEI ha recepito (v. post 11/2/2018, 23:35 - “La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali con note a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma” - Casa editrice Adriano Salani, 1957 - Lettere di Pietro nella traduzione di Alberto Vaccari - l’imprimatur è del 1942).
Secondo la versione del Vaccari, il verbo γίνομαι reggerebbe un genitivo di possesso.
Così spiega M. Zerwick (in Analysis philologica Novi testamenti graeci - Pontificio Istituto Biblico - Roma 1960, pag. 548):
γίνεται: γίνομαί τινος fio, sum alcs, pertineo ad alqm: non fit (scil obiectum liberum) privatae interpretationis (sed eorum qui a Deo habent munus aut charisma interpretandi).
Per Zerwick, quindi, ἰδίας ἐπιλύσεως è un genitivo di possesso e il versetto si spiega così: «(la profezia) non appartiene (non è libero oggetto di) privata interpretazione (ma di coloro che da Dio hanno il compito e il carisma di interpretare)».
Si tratta di vedere che attendibilità abbia questa nuova lettura di 1,20, dopo tanti secoli di pacifica lettura della Volgata. Facciamoci aiutare da :
- ZORELL Franz: Novi Testamenti lexicon graecum - P. Lethielleux, Parigi 1911;
- BLASS F., DEBRUNNER A.: Grammatica del greco del Nuovo Testamento - Paideia 1982.
Complessivamente, questi autori individuano la costruzione di γίνομαι col genitivo di possesso nei seguenti passi: Lc 20,14; Lc 20,33; At 20,3; 2Pt 1,20; Ap 12,10 e Ap 11,15.
Tralasciando 2Pt 1,20, che è in discussione, esaminiamo i restanti cinque casi:
1) Lc 20,14: ἀποκτείνωμεν αὐτόν, ἵνα ἡμῶν γένηται ἡ κληρονομία (“Uccidiamolo e così l'eredità sarà nostra”. Letteralmente: “...., affinché l'eredità divenga di noi” - Volgata: “ut nostra fiat hereditas”). L'ἡμῶν (emôn) di questo versetto è senza dubbio un genitivo possessivo, ma quello in esame sembra un caso estremo: la costruzione di ghínomai col genitivo possessivo non si sarebbe neppure riconosciuta se fosse stato usato l'aggettivo “nostra”. L’uso del genitivo del pronome personale in luogo del possessivo è un fatto ordinario nel greco del NT, dove il possessivo emèteros è usato solo 16 volte, mentre gli altri innumerevoli casi sono risolti col genitivo emôn (es.: nel “Padre nostro” il possessivo “nostro” è reso per tre volte con la forma pronominale “di noi”). A mio parere, in questo caso emôn è un semplice complemento predicativo del soggetto “eredità” e non un genitivo dipendente da ghínomai.
2) Lc 20,33: ἡ γυνὴ οὖν ἐν τῇ ἀναστάσει τίνος αὐτῶν γίνεται γυνή; (“...di chi di loro sarà moglie?”). Il genitivo in questione è semplicemente un complemento di specificazione possessiva che si riferisce a “moglie” e non ha nulla a che fare col genitivo di possesso dipendente da ghínomai. Nella forma diretta, quale apparirebbe nella risposta “nella risurrezione la donna sarà (diventerà) moglie di X”, è evidente che “di X” è in relazione col sostantivo e non con il verbo.
3) At 20,3: “...decise...” (ἐγὲνετο γνώμης, divenne dell'opinione). Qui γνώμης non è un genitivo di pertinenza in dipendenza dal ἐγὲνετο, ma un genitivo di moto a luogo (figurato) dove è sottintesa la preposizione ἐπί. Qui, come in altri passi, γίνομαι ha il senso di “giungere, arrivare”: nella maggior parte di questi casi il verbo è costruito con una preposizione (en, epí, eis, engús, prós, katà) e il caso opportuno (genitivo, dativo, accusativo). In particolare troviamo 5 casi in cui è usata la preposizione epí: due volte col genitivo (Lc 22,40 e Gv 6,21), e tre volte con l'accusativo (Lc 3,2; 24,22; At 21,35). Nei due casi col genitivo e in due di quelli con l'accusativo, si tratta di complementi di moto a luogo. L’espressione ἐγὲνετο γνώμης non significa, quindi “divenne appartenente all’opinione”, ma esprime un moto a luogo figurato (venne/giunse all’opinione, o sull'opinione), che può essere espresso con epí e il genitivo, oppure col semplice genitivo, secondo la relativa indifferenza del greco per l'uso delle preposizioni .
I vocabolari ci presentano altri casi del genere:
- Liddell-Scott, da Plutarco (citato anche dal Rocci e da La Magna-Annaratone): tén pòlin elpídos megáles ghinomènen (la città venne in grande speranza = “concepì grande speranza”);
- Bonazzi e La Magna-Annaratone, da Demostene: ghígnomai epí taútes tês gnómes ("sono di questo parere/sono venuto su questo parere").
Anche questo terzo caso deve essere pertanto derubricato.
4-5) Vanno trattati insieme i due passi dell’Apocalisse:
- Ap 11,15: eghèneto e basileía toû kósmou toû Kyríou emôn kaí toû Chistoû autoû (Bibbia CEI: “Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo”);
- Ap 12,10: árti eghèneto e sotería kaí e dýnamis kaí e basileía toû Theoû emôn kaí e exousía toû Chistoû autoû (Bibbia CEI: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”).
Curiosamente, nella versione della CEI, che ho riportato per entrambi i versetti, in Ap 11,15 eghèneto viene reso con “appartiene” (e i genitivi sono decisamente possessivi) e in 12,10 con “si è compiuta” (e i genitivi sono semplici complementi di specificazione riferito ai sostantivi σωτηρíα, δύναμις ecc.). Lo stesso fa la Nuova Riveduta. Ma i due passi hanno struttura del tutto simile, evidenziata dal fatto che delle 12 parole di Ap 11,15 ben 9 si ritrovano, nello stesso ordine, in 12,10 e una (Kýrios), ha il suo elemento corrispondente in Theòs. Stante la perfetta identità delle due frasi, non c’è motivo di vedere valore diverso nei genitivi che vi sono contenuti. Girolamo ha tradotto entrambi i passi intendendo i genitivi come specificazioni riferite ai sostantivi; allo stesso modo si regola A. Romeo (La Sacra Bibbia, a cura di Mons. Garofalo - ed. C.E.M. 1966). Sto con Girolamo.
- - -
La conclusione è scontata: non c’è nessuna evidenza che il NT conosca l'uso del genitivo possessivo dipendente da ghínomai.
Di quanto sopra ci sono, al contrario, chiare controprove:
1) ricercando nel NT le espressioni nelle quali il significato di “appartenere” è seguito dal genitivo di possesso, non troviamo mai usato il verbo ghínomai, ma il più comune eimí (essere): - At 27,23: οὗ εἰμι (al quale appartengo);
- Gv 10,12: οὗ οὐκ ἔστιν τὰ πρόβατα (al quale le pecore non appartengono);
- Mt 19,14 (Mc 10,14; Lc 18,16): τῶν γὰρ τοιούτων ἐστὶν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν (a chi è come loro appartiene il regno dei cieli).
2) abbiamo anche tre casi in cui il verbo è correntemente tradotto con “appartenere” o “essere dato” o “diviene di”, ma in greco è costruito invece col dativo: cfr. Rm 7,3.3.4;
3) se poi teniamo conto del fatto che i pochi casi classici di ghínomai col genitivo di possesso si hanno in espressioni idiomatiche di senso riflessivo (Rocci: g. autoû, divenire padrone di sé: umôn autôn, di voi stessi; Liddell-Scott: umôn autôn ghenèsthai - entòs eoutoû g. - en eautô g. - en sautoû ghenoû = rientrati in noi, rientrato in sé), troviamo che il NT ha perso occasioni veramente preziose di valersi di questa costruzione. In due casi col genitivo riflessivo abbiamo infatti eimí (essere): - 1Cor 6,19: οὐκ ἐστὲ ἑαυτῶν (non appartenete a voi stessi); - Rm 8,9: οὗτος οὐκ ἔστιν αὐτοῦ (non gli appartiene);
4) in un caso “da manuale”, in tutto simile a quelli registrati dai vocabolari, pur essendo usato ghínomai, questo verbo non è seguito dal genitivo, ma dal dativo preceduto da en (At 12,11: ἐν ἑαυτῷ γενόμενος, rientrato in sé).
Concludendo, prima di ritrovare l'insolita costruzione proprio in 2Pt 1,20, prudenza vorrebbe che si esaminassero anche altre possibilità. Tutto quello che è stato detto a difesa della “nuova” versione di 1,20 negli ultimi 80 anni va, secondo me archiviato senza appello, compreso il parere di M. Mazzeo (Lettere di Pietro - Lettera di Giuda, Paoline 2002, pag. 282).
- - -
Capisco che, per chi non ha dimestichezza col greco, è più facile affrontare un sudoku da un metro quadro che le questioni che ho proposto qui. Ma, pur frequentando il forum solo da due mesi, mi sono reso conto che qui ci sono competenze, in materia di analisi grammaticale e di lessico greco, largamente superiori alle mie: conto, quindi, su un’attenta verifica di quanto esposto e, se occorre, anche sulle opportune correzioni. Spero, comunque, che al mio esame venga riconosciuta, quantomeno, l’intenzione di andare a fondo su un modo di leggere un passo biblico in aperta contraddizione con quanto inteso per 15 secoli.
 
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Ho trovato questo commentario che mi pare corrisponda con quanto afferma Tranego.
L'autore afferma che il Magistero è del tutto estraneo al testo ed al contesto della storia.

Pesante l'accusa nei confronti dell'interpretazione cattolica... che dire, una verità dal sapore amaro.

Curioso poi l'uso del verbo procedere... sembra che abbia lo stesso significato che normalmente attribuiamo al meccanismo della processione dello Spirito Santo.

Certo che è incredibile quanto possa cambiare il significato di una frase ... e con quali conseguenze poi.
(mi vengono in mente certi insegnamenti di Gershom Scholem).

CITAZIONE
2Pietro 1,20

sapendo prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura procede da vedute particolari;

La frase si connette col 'fate bene di prestare attenzione' alla parola profetica, ed è intesa a rilevarne l'alta importanza come rivelazione procedente da Dio. La devono quindi studiare avendo presente alla mente, sopra ogni altra considerazione, il fatto della sua origine divina. La Scrittura è l'Antico Test. chiamato anche: 'La Legge ed i Profeti'. Le ultime parole del versetto (ιδιας επιλυσεως ου χινεται ) sono diversamente tradotte ed intese. Molti traducono come il Diodati: «non è di particolare (o privata, o propria) interpretazione» e intendono: Nessuna profezia contiene la propria interpretazione che va cercata nei fatti che ne sono il commento e insieme l'adempimento. Ma non è questo il pensiero che troviamo espresso in 2Pietro 1:21. Altri intende: Nessuna profezia può intendersi colle sole forze di cui dispone il credente; essa non s'intende, dicono i cattolici, se non col magistero della Chiesa la quale, per impedir l'abuso dell'interpretazione privata, proibisce ai laici la lettura delle Scritture. Essa non s'intende, dicono i protestanti, senza l'aiuto dello Spirito. Procede dallo Spirito e lo Spirito solo può esserne l'interprete. Pensiero, ad ogni modo, giusto e santo, che ogni lettore della Scrittura deve tener sempre presente. Accostandosi alle sacre pagine con umiltà e spirito di preghiera, sarà preservato dal pericolo di una interpretazione delle profezie capricciosa e pretenziosa che ne forza o ne torce il senso (cf. 2Pietro 3:16) e determina tempi e date ed eventi... che poi sono smentiti dalla storia. Ma per quanto sia giusto tutto questo, dobbiamo notare anche qui che non è quello il pensiero esposto nel v. che segue, e quanto al magistero della Chiesa esso è del tutto estraneo al testo ed al contesto. Il solo fatto che l'interpretazione cattolica ha condotto a proibire ai fedeli la lettura della Bibbia mentre S. Pietro dice che fanno bene di prestarvi attenzione, basterebbe a condannarla.

Siamo condotti pertanto a tradurre ed intender le parole in questione in un modo che quadri col contesto e specialmente col vers. che segue ove il concetto dell'interpretazione è espresso col sost. ermeneía e col verbo ermeneuo. La parola epilusis non s'incontra altrove nel N.T. Essa indica l'atto dello sciogliere cose o animali, quindi anche la soluzione di un problema, oppure la risoluzione cui si giunge dopo l'esame di una questione. Così il verbo (επιλυω ) è usato da S. Marco a significare la spiegazione che Gesù dava delle parabole ai discepoli Marco 4:34, o ancora da Luca in Atti 19:39 delle risoluzioni prese da un'assemblea. Si può quindi tradurre: Nessuna profezia procede da una particolare soluzione, procede cioè dalla soluzione personale che un profeta abbia potuto dare colla sua intelligenza dei problemi relativi all'avvenire. E diciamo: procede perchè l'apostolo non usa il verbo è, ma il verbo che significa spesso: avviene, viene all'esistenza, nasce; quindi pare accennare all'origine della profezia che non va cercata nelle elucubrazioni o nelle vedute particolari di un uomo qualsiasi, ma va cercata più in alto, in Dio stesso. Se la profezia procedesse dalle riflessioni di un semplice uomo non meriterebbe d'esser proclamata più ferma delle rivelazioni date dalla Trasfigurazione, nè d'esser raccomandata come lampada atta a guidare i cristiani fino all'Avvento di Cristo. Ma così non è, e il v. che segue ne dà la ragione.

E' interessante poi quanto riporta wikipedia in merito allo Shekinah, molto trattato nella mistica ebraica e che per certi versi trova in personaggi come Beda sorprendenti somiglianze:
e si cita proprio 2 Pt 1:20. Questa pericope è incredibilmente ricca di sorprese. Non c'è poi molta distanza tra la mistica ebraica e quella cristiana... o meno questo è ciò che sembra
leggendo i testi perchè sembra sempre che si parli delle medesime cose.

CITAZIONE
La Shekhinah nel Nuovo Testamento è comunemente equiparata alla presenza o dimora dello "Spirito del Signore" (generalmente indicato come Spirito Santo, o "Spirito di Cristo") nel credente, facendo paralleli con la presenza di Dio nel Tempio di Salomone: fra i piu' importanti, il Corpo Tempio dello Spirito (1 Cor 6: 12-20). Rispetto all'Antico Testamento, dove il Santo dei Santi significava la presenza esterna di Dio (presenza costante nel Tempio; nelle tenda, nelle Epifanie), dal Nuovo Testamento in poi, è lo Spirito Santo che evoca la costante presenza di Dio: nella Pentecoste presenza interiore negli apostoli e discepoli, cui dona carismi che manifestano all'esterno i Suoi effetti.

Inoltre, nello stesso modo in cui la Shekhinah è collegata alla profezia nell'ebraismo, così lo è nel cristianesimo:
« Poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio. » (2 Pietro 1:21)

L'Eucaristia, custodita nel Tabernacolo, per la Chiesa Cattolica e Ortodossa e' la presenza reale e sostanziale del Dio Uno e Trino, come nel Tempio: presenza fisica di Gesu' Cristo che la istitui' nell'Ultima Cena, ma anche dello Spirito Santo, che dal Padre e dal Figlio procede.

C'è qualcosa di veramente profondo in tutto questo che colpisce ... forse sono anche le suggestioni della mistica ebraica che muovono queste sensazioni ma, che dire,
sono molto forti. So che non è molto scientifica come riflessione... però penso che sia giusto ogni tanto lasciar parlare anche il cuore.

Edited by feanor74 - 18/4/2018, 10:33
 
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CITAZIONE (feanor74 @ 18/4/2018, 09:16) 
Ho trovato questo commentario che mi pare corrisponda con quanto afferma Tranego.

Ci tengo a precisare che io non ho esposto concetti nuovi: semplicemente, essendo nato qualche decennio prima di Akrio, mi sono trovato a pormi, molto tempo fa, la stessa domanda con la quale Akrio ha aperto la discussione ed ho avuto più tempo di lui per informarmi, trovando le diverse versioni e valutando quale fosse la più corretta.
CITAZIONE (feanor74 @ 18/4/2018, 09:16) 
L'autore afferma che il Magistero è del tutto estraneo al testo ed al contesto della storia.

E’ esattamente quanto annotava l’abate Crampon: “Il ne s'agit pas ici (cf. vers. 21) du magistère chargé d'expliquer les prophéties” (Non si tratta/discute qui del magistero incaricato di spiegare le profezie) (v. post 11/2/2018, 23:35).
CITAZIONE (feanor74 @ 18/4/2018, 09:16) 
Pesante l'accusa nei confronti dell'interpretazione cattolica... che dire, una verità dal sapore amaro.
....
Certo che è incredibile quanto possa cambiare il significato di una frase ... e con quali conseguenze poi.

Il testo che riporti, tratto da un sito evangelico, è molto giusto: sono cose dette anche da autori cattolici che hanno sostenuto la versione corretta, fino alla metà del secolo scorso.
E’ bene, tuttavia, ripetere che ufficialmente il Magistero cattolico non ha mai proposto come vincolante una determinata interpretazione di 2Pt 1,20. Basta rivedere (v. post 11/2/2018, 23:35) come traducono le due Bibbie (di Crampon e di Fillion) pubblicate in Francia nel 1904: le due versioni di 1,20 sono in aperta polemica l’una con l’altra, ma entrambe sono munite di regolare imprimatur cattolico.
Ciò vuol dire che su questo versetto la ricerca è assolutamente libera. Il solo fatto che la CEI abbia adottato una versione errata non permette, a stretto rigore, di parlare di una “interpretazione cattolica”, visto che oggi sussistono testi ufficiali cattolici con versione corretta di 2Pt 1,20 (es. Liturgia delle ore in francese; Verbum Domini 29, in latino)...
 
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CITAZIONE (Tranego @ 19/4/2018, 19:20) 
Ci tengo a precisare che io non ho esposto concetti nuovi: semplicemente, essendo nato qualche decennio prima di Akrio, mi sono trovato a pormi, molto tempo fa, la stessa domanda con la quale Akrio ha aperto la discussione ed ho avuto più tempo di lui per informarmi, trovando le diverse versioni e valutando quale fosse la più corretta.

Si, si stai tranquillo... hai difeso un'interpretazione molto antica che per secoli nessuno ha mai messo in discussione.

Sarebbe interessante anche discutere sul tormentone del "non indurmi in tentazione ma liberaci dal male":
hai approfondito la questione? Anche in questo caso si direbbe che l'interpretazione non è univoca.

Edited by feanor74 - 22/4/2018, 07:21
 
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Vedo che c'è una discussione apposita: https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=46085681
Io qui ho praticamente esaurito le mie competenze: spero solo che qualcun altro intervenga o mi corregga.
 
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INTERPRETAZIONE DEI TESTI SACRI
“Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale." (I PIETRO, 1:20)
Gesù è il Cammino, la Verità e la Vita. La sua luce imperitura risplende sui millenni terreni, come il verbo del principio, penetrando nel mondo, da quasi venti secoli.
Combattimenti sanguinosi, guerre di sterminio, calamità sociali non hanno cambiato una tilde nelle parole che si aggiornano, sempre di più, con l'evoluzione multiforme della Terra. Tempeste di sangue e lacrime non hanno fatto altro che ravvivare la loro grandezza. Tuttavia, noi, sempre in ritardo nell’approfittare dalle preziose opportunità, molte volte, nel corso delle vite rinnovate, abbiamo disprezzato il Cammino, indifferente ai patrimoni di Verità e di Vita.
Il Signore, tuttavia, non ci ha mai lasciato indifesi.
Ogni giorno riforma i titoli di tolleranza per i nostri debiti; però, è nel nostro interesse innalzare il livello della volontà, stabilire discipline per uso personale e per rieducare noi stessi, a contatto con il Divino Maestro. Lui è l'Amico Generoso, ma tante volte dimentichiamo il Suo consiglio, che siamo suscettibile di raggiungere aree oscure di indefinibile ritardo nella nostra illuminazione interiore per la vita eterna.
Allo scopo di valutare l'opportunità di servizio, abbiamo organizzato questa umile opera interpretativa, senza alcuna pretesa di esegesi. Concateniamo solo un modesto insieme di pagine sciolte destinate a meditazioni comuni.
Molti amici troveranno strano forse, l'atteggiamento, isolando i versi e dando loro un colore, indipendentemente dal capitolo evangelico a cui appartengono. In certi brani, ne estraiamo solo piccole frasi, fornendole speciale volto e in determinati circostanze, sembreranno le disposizioni del capitolo a cui si ispirano.
Così si è proceduto, però, considerando che, in una collana di perle, ciascuna ha un valore specifico e che, nell'immenso insieme di insegnamenti dati dalla Buona Novella, ogni concetto di Cristo o dei suoi diretti collaboratori si adattano a certe situazioni dello Spirito, sulle strade della vita. La lezione del Maestro, inoltre, non è un'imposizione per i misteri del culto di adorazione. Il Vangelo non si riduce a breviario per l'inginocchiatoio. È una mappa imprescindibile per la legislazione e amministrazione, per il servizio e obbedienza. Il Cristo non stabilisce linee divisorie tra il tempio e l'officina. Tutta la Terra, allo stesso tempo, è il Suo altare di preghiera e il Suo campo di lavoro. Per lodarlo nelle chiese e deprecare o disdegnarlo nelle strade, che abbiamo naufragati mille volte, per colpa nostra. Tutti i luoghi, pertanto, possono essere consacrati al servizio divino.
Molti discepoli, nelle varie scuole cristiane, si consegnarono alle inchieste teorie teologiche, trasformando gli insegnamenti del Signore in una reliquia morta negli altari di pietra; tuttavia, il Cristo aspetta che tutti noi convertiamo il Suo Vangelo di Amore e Sapienza in un compagno di preghiera, in un libro di scuola nell'apprendimento di ogni giorno, come fonte ispiratrice delle nostre azioni più umili nel lavoro comune e in codice di buone maniere nello scambio fraterno.
Benché chiarisca i nostri semplici obiettivi, prendo atto, in anticipo, in modo ampio la perplessità in questo o quel gruppo di credenti.
Cosa fare? Abbiamo immense distanze da vincere nel Cammino, per acquisire la Verità e Vita nel suo pieno significato.
Comprendiamo il rispetto dovuto a Cristo, ma, per l’esemplificazione del Maestro, sappiamo che il lavoro del fedele apprendista consiste nell'adorazione e lavoro, preghiera e impegno personale.
Quanto più, siamo consolati nel riconoscere che i Testi Sacri sono doni del Padre a tutti i suoi figli e, per questo, qui riportiamo le sagge parole di Simon Pietro: “Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale."
Emmanuel
Pedro Leopoldo, 2 settembre 1948.
 
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view post Posted on 3/6/2022, 23:24     +1   -1

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CITAZIONE (Akrio @ 7/3/2017, 09:46) 
Buongiorno.
Ho bisogno del vostro aiuto per risolvere un problema di interpretazione di 2 Pietro 1:20:

Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale.

Ho letto pareri discordanti in merito al senso da attribuire a quel interpretazione personale. Secondo alcuni, il testo vuole dire che la spiegazione della scrittura profetica (e di tutta la Scrittura) non è un compito soggettivo, personale per l'appunto. Secondo altri, visto pure il contesto più ampio dal quale è estratto il versetto, Pietro starebbe ponendo in essere non un problema meramente ermeneutico, ma starebbe parlando dell'origine della Scrittura come si evince dal versetto successivo. Il tutto comunque sembra dipendendere dal senso di ἐπίλυσις: spiegazione, interpretazione, che non pare accordarsi tanto con la seconda spiegazione che ho indicato. Tuttavia, dato il contesto, anche io propenderei per quest'ultima soluzione. Noto che ad esempio, la versione NIV (New International Version) traduce (o interpreta?) così:

Above all, you must understand that no prophecy of Scripture came about by the prophet’s own interpretation of things.

Resto in attesa dei vostri autorevoli pareri, specialmente in merito al senso di ἐπίλυσις.


P.S. Mi rendo conto adesso che forse la sezione più appropriata era Esegesi. Mi scuso se ho sbagliato a postare qui.

Provo a risponderti molto semplicemente...
"Un interpretazione personale"


Romani 8:6
Ma ciò che brama la carne è morte, mentre ciò che brama lo Spirito è vita e pace;

Personale=corpo/falso ego/carne

Spirito=divino nell'uomo

Quindi qui si asserisce che nulla viene dalla "carne" bensì dallo spirito
 
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