Studi sul Cristianesimo Primitivo

Spiegazione di 2 Pietro 1:20

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view post Posted on 11/2/2018, 19:34     +1   -1
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@ Akrio
La tua domanda è centrale per la soluzione del problema. Complimenti.
Nel mio primo intervento (10/2/2018, 17:26) ho segnalato come la Volgata (san Girolamo: 347-419/420) traduce 1,20: “.... omnis prophetia Scripturae propria interpretatione non fit”. Tieni presente che Girolamo è certamente un grande del periodo aureo della Patristica, con meriti universalmente riconosciuti quanto a conoscenza della Scrittura: non per nulla è ricordato col titolo di “doctor maximus”.
Il senso della Volgata è chiaramente commentato da Beda il Venerabile (673 circa–735):
“nessuno dei santi profeti annunziava ai popoli le dottrine della vita secondo la sua personale interpretazione, ma raccomandava ai suoi uditori, perché le attuassero, le cose che aveva appreso dal Signore, e trasmetteva inalterata al po-polo di Dio, con la parola o lo scritto, qualunque cosa segreta del cielo, di cui fosse venuto a conoscenza; (i profeti), quindi, non facevano come gli indovini pagani, che esponevano alle masse dei creduloni, come fossero responsi dell'oracolo divi-no, le cose che avevano tratto con l'immaginazione dal loro cuore. E come essi non scrivevano le loro proprie parole ma quelle di Dio, così anche il loro lettore, per non deviare dal vero senso, non può ricorrere alla sua personale interpretazione, ma deve ricercare con ogni cura come l'autore stesso di quelle parole volesse che fossero intese”.
Per Beda, la “propria interpretatione” è chiaramente operazione del profeta. Tuttavia, dal fatto che i profeti fossero fedeli portavoce di Dio, egli trae l'occasione per raccomandare anche al lettore di usare la stessa fedeltà, ricercando il senso voluto dal profeta, senza affidarsi ad un'interpretazione soggettiva.
Interessanti le prime Bibbie in volgare, tra fine ‘400 e inizio ‘500.
Comunque, fino al XVI secolo, nessun problema di interpretazione del versetto. Ma scoppia la riforma protestante, che predica e diffonde il “libero esame”. Comincia allora la ricerca del modo di contrastare i nuovi “eretici”.
(segue)
 
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(seguito)
Per le prime Bibbie in volgare ti segnalo il link per consultare direttamente, per esempio, le Bibbie del Malermi e del Brucioli, molto interessanti anche per 2Pt 1,20
All’inizio del ‘600 fioriscono molti commenti della Bibbia. Il più noto è quello di Cornelio A Lapide (1567–1637), che così spiega il testo della Volgata: “la profezia... non avviene per propria invenzione, con la quale il profeta metta in luce, interpreti e spieghi cose misteriose e future, da sé e con la sua intelligenza e capacità... Che questo sia il senso appare evidente da quanto spiega poco dopo San Pietro: (v. 21) non infatti per la volontà umana ecc.”.
Poco oltre, però, A Lapide inventa una soluzione contro il “libero esame”: “per Profezia della Scrittura si può intendere la stessa interpretazione della Scrittura. E così, di conseguenza, profetare è lo stesso che insegnare e interpretare... Allora il senso era che l'interpretazione e la spiegazione della Sacra Scrittura... non deve avvenire per propria interpretazione cioè con la propria intelligenza e capacità, secondo il proprio modo di sentire...” (*)
Complicato riferire dei difetti della traduzione (del 1516) di Erasmo, dal greco al latino (*). Essa è all’origine di un tipo di versione (per es. quella del Martini, fine ‘700) (*) molto ambigua, alla quale si sono rifatti molti altri traduttori: “nessuna profezia della Scrittura è di interpretazione privata”. Tale forma si presta facilmente ad essere usata per parlare dell’interpretazione delle profezie invece che della loro origine.
Tralascio tanti altri commentatori e traduttori, tutti dal latino della Volgata, fino alla fine dell’Ottocento.
Nel XX secolo ormai si abbandonano quasi del tutto le versioni dal latino e si parte dalle lingue originali. Si evidenziano, tuttavia, le radicali divisioni esistenti tra gli studiosi, tutti ecclesiastici, che polemizzano tra loro senza citarsi):
- In Francia. A. Crampon traduce: “... nessuna profezia della Scrittura procede da una interpretazione propria” e commenta: “Non è dal pensiero umano e personale del profeta che viene la profezia della Scrittura; perché è spinti dallo Spirito Santo che ecc. - Il senso non è dunque non è faccenda di interpretazione privata, in opposizione all'interpretazione ufficiale ed autentica della Chiesa. Qui non si tratta (cfr. v. 21) del magistero incaricato di spiegare le profezie” (*).
L.C. Fillion traduce: “... nessuna profezia della Scrittura si spiega mediante un’interpretazione particolare”; e annota “E' in modo arbitrario che taluni commentatori riferiscono l'aggettivo propria ai profeti stessi e alle profezie” (*).
Le Bibbie di Crampon e Fillion, pubblicate entrambe nel 1904, si sono rincorse attraverso molte riedizioni.
- In Italia, A. Vaccari è il primo a tradurre nel modo che sarà ripreso dalla CEI: “...ogni profezia contenuta nella Scrittura non va soggetta a privata spiegazione”. In nota spiega: “Qui profezia significa in genere parola ispirata, qual è tutta la Sacra Scrittura. Essa, come ha per autore Iddio, non le sole forze umane, così non può essere spiegata senza la guida dello Spirito Santo e della Chiesa, che ne è l'organo ufficiale”. (*)
Per “La Sacra Bibbia” edita da Marietti, sotto la direzione di S. Garofalo, troviamo due diverse edizioni:
- quella del 1941 si vale della collaborazione di P. De Ambroggi che traduce: “...nessuna profezia della Scrittura, è frutto di interpretazione privata”; e annota al v. 20: “nessun vaticinio contenuto nei libri sacri è frutto di interpretazione privata..., dovuta all'indagine personale dei singoli profeti. Nessuna profezia biblica diventa tale (ghìnetai), perché un profeta con il suo ingegno umano ha scrutato l'avvenire ed ha pronunciata una sua soluzione (epìlysis) o interpretazione personale degli eventi futuri. S. Beda spiega: "Poiché nessuno dei santi profeti, predicò ai popoli per propria interpretazione i dogmi della vita, ma raccomandava ai propri uditori che facessero quanto aveva appreso dal Signore". Al v. 21, annota: “Parecchi commentatori (... Charue, Chaine.... G.M. Perella...) credono che l'autore della 2 di Pietro con le parole "propria interpretatione non fit", condanni l'interpretazione privata dei lettori. Il contesto ci fa preferire la spiegazione data che si accorda con quella di S. Beda. La condanna del libero esame è una conseguenza necessaria di quanto qui asserisce S. Pietro”; (*)
- quella del 1960 si vale della collaborazione di G. Saldarini che traduce come il Vaccari (v. sopra). (*)
Se Dio vuole, la prossima volta spero di concludere la rassegna, assolutamente sommaria, riferendo del periodo dal 1960 ai giorni nostri.
Con viva preghiera ai forumisti di fermarmi se la questione non interessa, perché questo lavoro è piuttosto faticoso...
(*) sono pronto a documentare ogni cosa, ma intanto cerco di non appesantire il discorso...
(segue)
 
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CITAZIONE (Akrio @ 7/3/2017, 09:46) 
Ho letto pareri discordanti in merito al senso da attribuire a quel interpretazione personale. Secondo alcuni, il testo vuole dire che la spiegazione della scrittura profetica (e di tutta la Scrittura) non è un compito soggettivo, personale per l'appunto. Secondo altri, visto pure il contesto più ampio dal quale è estratto il versetto, Pietro starebbe ponendo in essere non un problema meramente ermeneutico, ma starebbe parlando dell'origine della Scrittura come si evince dal versetto successivo.

Comunque tornando alla domanda penso che in realtà in questo discorso lo scrittore sottenda entrambe le cose e che le due siano in realtà complementari.

In 1:20 spiega che le Scritture profetiche non possono essere "preda" di favole personali, umane.

Poiché

1:21 Provengono da Dio (che si è avvalso di uomini per annunciarle)

Quindi tutte le Scritture profetiche provengono da Dio e la spiegazione di esse proviene da chi ha lo Spirito, non possono essere liberamente interpretate.

Chi ha lo Spirito? Noi che vi "abbiamo" fatto conoscere la potenza e la venuta di Gesù 1:16, noi che "abbiamo" udita la voce e ne siamo testimoni 1:18, noi che "abbiamo" la solidissima parola dei profeti 1:19, gli apostoli 3:2.

Poi, che tutte le Scritture (quali che siano) siano cristocentriche e annunzino profeticamente: O in modo diretto, o per allegoria o per "tipos" Gesù Cristo ci può stare. Quindi parlare delle Scritture profetiche atte a conoscere Gesù può essere inteso come un riferimento a tutta la Scrittura, o comunque anche se il concetto non era nei pensieri dell'agiografo, in questo mondo può essere stato colto/estrapolato come un principio generale e comune a tutte le Scritture secondo me.
 
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Grazie agli intervenuti. Continuo a seguire gli sviluppi della discussione anche se mi sono fatto una idea abbastanza chiara della questione, specie con gli utili contributi di Tranego.

@^Alessandro^:
CITAZIONE
Chi ha lo Spirito?

Forse sbaglio, ma mi sembra estraneo alle intenzioni dell'autore far intendere che solo la cerchia degli apostoli avesse lo Spirito, laddove gli scritti del NT attestano chiaramente che tutti coloro che credono ricevono (quindi hanno) lo Spirito (addirittura l'autore di I Gv si spinge ad affermare che i suoi destinatari non avessero bisogno dell'istruzione di nessuno a motivo dell'unzione ricevuta).

Edited by Akrio - 12/2/2018, 11:51
 
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CITAZIONE (Akrio @ 12/2/2018, 10:53) 
Grazie agli intervenuti. Continuo a seguire gli sviluppi della discussione anche se mi sono fatto una idea abbastanza chiara della questione, specie con gli utili contributi di Tranego.

@^Alessandro^:
CITAZIONE
Chi ha lo Spirito?

Forse sbaglio, ma mi sembra estraneo alle intenzioni dell'autore far intendere che solo la cerchia degli apostoli avesse lo Spirito, laddove gli scritti del NT attestano chiaramente che tutti coloro che credono ricevono (quindi hanno) lo Spirito (addirittura l'autore di I Gv si spinge ad affermare che i suoi destinatari non avessero bisogno dell'istruzione di nessuno a motivo dell'unzione ricevuta).

Condivido. Tuttavia non comprendo il motivo di una tale precisazione da parte di Pietro
se essa riflette sull'origine della profezia.
Nell'AT il profeta è colui che pro-clama il volere divino, non esprime di certo un pensiero personale
per cui Pietro non direbbe nulla di nuovo ed originale sotto questo punto di vista.
Se invece Pietro riflette su problematiche ermeneutiche con particolare riferimento non a generiche profezie
ma alle profezie sul Messia (come mi pare che sostenga Alessandro) rintracciate nell'AT, allora l'affermazione
di Pietro assume un significato nuovo e cioè che è solo grazie allo Spirito Santo che possiamo interpretare
correttamente le profezie in senso cristiano ovvero trovando in esse riferimenti a Gesù: diversamente
questa possibilità è preclusa. Pietro probabilmente con la sua lettera offriva a questa comunità cristiana
a cui scriveva le ragioni per una difesa nei confronti di un'eventuale contestazione (sull'interpretazione
delle profezie in senso cristologico messianico) da parte di gruppi giudei o ereticali antagonisti:
insomma, se non avete ricevuto il dono dello Spirito, non potete capire nulla poichè il semplice ragionamento
(o interpretazione filosofica) non è sufficiente.

Edited by feanor74 - 12/2/2018, 17:47
 
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CITAZIONE (Akrio @ 12/2/2018, 10:53) 
@^Alessandro^:
CITAZIONE
Chi ha lo Spirito?

Forse sbaglio, ma mi sembra estraneo alle intenzioni dell'autore far intendere che solo la cerchia degli apostoli avesse lo Spirito, laddove gli scritti del NT attestano chiaramente che tutti coloro che credono ricevono (quindi hanno) lo Spirito (addirittura l'autore di I Gv si spinge ad affermare che i suoi destinatari non avessero bisogno dell'istruzione di nessuno a motivo dell'unzione ricevuta).

Forse mi sono espresso male, non intendevo dire che solo gli apostoli hanno lo Spirito, ho solo elencato i punti nei quali la lettera sottolinea che è bene fidarsi degli apostoli e non di chi "inventa favole". Tutti i credenti hanno lo spirito, nondimeno sopra la pietra angolare di Gesù c'è il fondamento apostolico sul quale la chiesa poggia.
 
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CITAZIONE (feanor74 @ 12/2/2018, 16:08) 
Condivido. Tuttavia non comprendo il motivo di una tale precisazione da parte di Pietro
se essa riflette sull'origine della profezia. Nell'AT il profeta è colui che pro-clama il volere divino, non esprime di certo un pensiero personale
per cui Pietro non direbbe nulla di nuovo ed originale sotto questo punto di vista.

Considerando il tono della lettera (un "addio", ovvero una sorta di testamento dell'autore), non è poi così strano che l'autore stesse ricordando ai suoi lettori cose che loro in realtà già conoscevano, proprio per assicurarsi che le tenessero bene a mente (lui non ci sarebbe stato più per ricordagliele di persona o per iscritto nuovamente). La ripetizione di cose già note è un elemento che mi pare comune nelle epistole neotestamentarie e in questa lettera in particolare.

Chiarire poi la natura dell'ispirazione profetica e la sua origine, poteva servire a confutare qualche idea eretica di provenienza pagana, secondo la quale il profeta parla sotto l'impulso di una estasi personale (non indotta cioè da un agente esterno, quale è lo Spirito Santo). Da qui la precisazione al v. 21 che, introdotto da quel "poiché" (o "perché" o "infatti"), a mio avviso indica che il 21 è la spiegazione della frase contenuta nel v. precedente.
 
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A me sembra invece che proprio in virtù dell'origine divina della profezia (v. 21) essa debba essere interpretata secondo un'ermeneutica nuova dettata dallo Spirito. Pietro dunque rifletterebbe su questioni ermeneutiche a motivo del fatto che la profezia è di origine divina.
Attraverso la mediazione dello Spirito le profezie su Gesù nell'AT diventano per così dire intellegibili, comprensibili, altrimenti non si potrebbero nemmeno cogliere (e d'altra parte non mi risulta che le profezie su Gesù trovino riscontro nelle interpretazioni scribali prima della cosiddetta era volgare). Non di profezie generiche si parlerebbe ma, come dice Alessandro, di quelle riferite a Gesù.
 
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@ Alessandro
Se dici che 1:20 spiega che “le Scritture profetiche non possono essere "preda" di favole personali, umane” e se parli di spiegazione delle Scritture, che “non possono essere liberamente interpretate”, vuol dire che ritieni corretta una versione del tipo CEI 2008.
Qui si sta discutendo di due diverse interpretazioni del v. 1:20, cercando di capire quale sia quella corretta.
Tu, però, dici di pensare che “in realtà in questo discorso lo scrittore sottenda entrambe le cose e che le due siano in realtà complementari”.
Se hai presente quello che diceva Beda (post 11/2/2018, 19:34), l’autore della 2Pt affermerebbe solo una cosa: che i profeti non parlano di testa loro; l’altra questione (che il lettore non deve abbandonarsi ad interpretazioni soggettive) è principio solo desumibile dall’affermazione di 1:20, ma non affermato direttamente dall’agiografo. Fra l’altro, Beda raccomanda di “ricercare con ogni cura come l'autore stesso di quelle parole volesse che fossero intese”. Ma questo non è che il criterio che dovrebbe applicare qualunque esegeta (come qualunque studioso di opere del pensiero altrui): ed è difficile che qualcuno, sia pure ispirato come un agiografo, riesca ad esprime due concetti molto diversi con sole 4 parole (ἰδίας ἐπιλύσεως οὐ γίνεται). Se da queste parole, due schieramenti contrapposti di esegeti estraggono cose diverse, ritengo che la cosa più probabile sia che uno degli schieramenti è andato fuori strada.
A più tardi.

(seguito e conclusione del breve excursus storico-esegetico)
In Italia, nei primi anni ’60 vennero pubblicate la nota “Bibbia a mille lire” e la Bibbia dell’UTET. Per 2Pt 1,20 entrambe si rifacevano (alla lettera o nella sostanza) alla versione di De Ambroggi, che nel versetto vedeva un riferimento all’origine delle profezie.
L’Editio princeps della Bibbia della CEI, pubblicata nel 1971, per 1,20 segue invece la versione del Vaccari, che vedeva nel versetto il divieto di interpretazione soggettiva da parte del lettore. Il contrasto tra il Vaccari e De Ambroggi viene così risolto dalla CEI a favore del primo e il parere del secondo, che era in linea con quello di Girolamo e Beda, viene del tutto abbandonato.
Nel 1979 è stata completata la revisione della Volgata e nel 2001 venne stabilito (v. Liturgiam authenticam) che ogni futura versione si sarebbe dovuta adeguare al testo della Nova Vulgata. (*)
Nel 2008 la Cei ha pubblicato la sua nuova versione, ma per 2Pt 1,20, ha conservato il testo del 1971, che è in contrasto con la Neo-Volgata.
Tutte le versioni e i commenti successivi al Concilio Vaticano II si sono prontamente allineati alla versione della CEI.
La situazione attualmente presenta curiose incongruenze:
- nella Chiesa cattolica: la Nova Vulgata, dichiarata “normativa” per le future versioni, è stata trascurata dalla CEI stessa; la Verbum Domini, corretta nella versione latina, nella versione italiana riporta la versione della CEI, mentre in quella francese si legge il senso della Volgata (*); la liturgia delle Ore in italiano sta con la versione della CEI; quella francese con il senso della Volgata... (*);
- fra tutti gli studiosi in genere: coesistono pareri diversi, ma da settant’anni nessuno più ricorda san Girolamo, né ritiene utile un’indagine storico-esegetica. Questo mi pare un errore, perché il primo strumento esegetico deve essere la ricerca di come gli antichi testi erano interpretati da chi era più vicino ad essi, nel tempo, rispetto a noi.
(*) sono pronto a documentare ogni cosa, ma intanto cerco di non appesantire il discorso...
 
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CITAZIONE (feanor74 @ 12/2/2018, 16:08) 
Condivido. Tuttavia non comprendo il motivo di una tale precisazione da parte di Pietro
se essa riflette sull'origine della profezia.
Nell'AT il profeta è colui che pro-clama il volere divino, non esprime di certo un pensiero personale
per cui Pietro non direbbe nulla di nuovo ed originale sotto questo punto di vista.
Se invece Pietro riflette su problematiche ermeneutiche con particolare riferimento non a generiche profezie
ma alle profezie sul Messia (come mi pare che sostenga Alessandro) rintracciate nell'AT, allora l'affermazione
di Pietro assume un significato nuovo e cioè che è solo grazie allo Spirito Santo che possiamo interpretare
correttamente le profezie in senso cristiano ovvero trovando in esse riferimenti a Gesù: diversamente
questa possibilità è preclusa. Pietro probabilmente con la sua lettera offriva a questa comunità cristiana...

Consentitemi un attimo di indicare il dito e non la luna, con due brevi note a margine:
- Con ogni probabilità Pietro era stra-morto da un pezzo ai tempi della 2Pt.
- Tutti questi "San xxx" possiamo risparmiarceli qui, siamo aconfessionali. Vi passo Dio con la D maiuscola in quanto nome proprio, nulla più ;)
Bella discussione, comunque, andiamo avanti.
 
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CITAZIONE (Tranego @ 12/2/2018, 21:56) 
ed è difficile che qualcuno, sia pure ispirato come un agiografo, riesca ad esprime due concetti molto diversi con sole 4 parole (ἰδίας ἐπιλύσεως οὐ γίνεται). Se da queste parole, due schieramenti contrapposti di esegeti estraggono cose diverse, ritengo che la cosa più probabile sia che uno degli schieramenti è andato fuori strada.

Io ritengo essenziale leggere tutta la frase senza fermarsi alle 4 parole per capire cosa intende dire un testo, quindi quantomeno il verso 1:20 e 21 in questo caso. Dopo la frase, leggere l'intero contesto, avere conoscenze storiche etc.
Altrimenti si rischia di prendere un abbaglio.

Io ho espresso quello che penso l'agiografo intendesse, sul genere di traduzione più idonea da adottare lascio il compito ad altri non avendo dimestichezza con il greco.

A mio avviso qui si capisce che nessuna Scrittura profetica viene dall'uomo ma da qualcosa di fermo e stabile (Dio).Essendo implicito che l'agiografo ritenesse di non andare dietro a favole ma di comprendere le Scritture, è necessario essere guidati dallo stesso spirito che le ha sospinte per comprenderle.

Per me i due discorsi sono legati, se invece si vuole fare di un versetto "una massima" dobbiamo ricordarci che questa è un esigenza contemporanea che potrebbe allontanarsi dal senso generale o più completo del testo in questione.

Edited by ^Alessandro^ - 13/2/2018, 10:38
 
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CITAZIONE (Teodoro Studita @ 12/2/2018, 23:53) 
Consentitemi un attimo di indicare il dito e non la luna, con due brevi note a margine:
- Con ogni probabilità Pietro era stra-morto da un pezzo ai tempi della 2Pt.
- Tutti questi "San xxx" possiamo risparmiarceli qui, siamo aconfessionali. Vi passo Dio con la D maiuscola in quanto nome proprio, nulla più ;)
Bella discussione, comunque, andiamo avanti.

Quando ho detto "Pietro dice, etc..." mi riferivo al soggetto scrivente della lettera che, almeno nella finzione letteraria, è Simon Pietro:

1,1 Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e salvatore Gesù Cristo:
2 grazia e pace sia concessa a voi in abbondanza nella conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro.

(C.E.I. 2 Pietro 1,1-2)

Poi sul fatto che possa essere pseudoepigrafica questo è risaputo dai tempi antichi.
Ci sono tuttavia numerosi elementi che fanno supporre che sia stata scritta prima del 70 d.c.
(come penso gran parte del NT) e su indicazione di Pietro.

Per quanto riguarda i "San xxx" hai ragione... non siamo sul forum Cattolici Romani.

Trovo che sia necessario, come dice Alessandro, inquadrare la lettera dal punto di vista storico e teologico
cercando di capire da chi potrebbe essere stata scritta, perchè, i destinatari, etc...
Concentrandosi troppo su alcuni dettagli si rischia di perdere la visione d'insieme.
 
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CITAZIONE (feanor74 @ 12/2/2018, 21:40) 
A me sembra invece che proprio in virtù dell'origine divina della profezia (v. 21) essa debba essere interpretata secondo un'ermeneutica nuova dettata dallo Spirito.

Non contesto questo, che condivido (anche se la tua è più un affermazione teologica che credo qui non trovi adeguata collocazione); contesto che ciò sia quanto volesse esprimere anche l'autore nel passo in questione. Per come la vedo io, gli elementi a sostegno dell'interpretazione "origine della profezia", sono più numerosi e più convincenti. Viceversa, gli argomenti a sostegno dell'altra interpretazione mi sembrano piuttosto ipotetici e speculativi. Continuo a pensare che il legame fra il v. 20 e il v. 21, sia tale da dedurre che l'autore sarebbe stato schizofrenico se avesse voluto collegare due concetti completamente diversi (ma, volendo, conciliabili con un minimo di speculazione) in due frasi conseguenziali che, essendo tali, hanno lo stesso argomento (e al v.21 è incotestabile che l'accento è posto sull'origine divina della Scrittura). Va bene tenere a mente le coordinate storiche, geografiche, teologiche, etc., ma una frase di senso compiuto conserva un ben preciso significato che talvolta (e questo mi pare il caso) può essere colto separandolo dal contorno.

Rimane comunque spinosa la questione del senso di ἐπίλυσις e qui ci dovremmo interrogare se sono documentati altri significati oltre quello di interpretazione, spiegazione, risoluzione di una difficoltà. Ieri l'altro leggevo un commento di Giovanni Calvino, in cui commentando le parole Sapendo prima di tutto egli afferma :

CITAZIONE
There may at the same time be two interpretations given, if you read ἐπηλύσεως as some do, which means occurrence, impulse; or, as I have rendered it, interpretation, ἐπιλύσεως.

da Commentaries on the Catholic Epistles by John Calvin, translated and edited by the Rev. John Owen (www.ccel.org/ccel/calvin/calcom45.i.html)

Pare quindi che, per lo meno all'epoca di Calvino, ἐπίλυσις era reso anche col significato di occurrence (episodio?) o impulso [profetico]. Magari, per aggiungere carne al fuoco, si potrebbe cominciare ad indagare anche questo aspetto se lo ritenete opportuno. Lascio a chi ha mastica di filologia e ha le competenze per consultare correttamente un lessico.

Edited by Akrio - 13/2/2018, 14:48
 
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Secondo me non c'è niente di schizofrenico, si tratta solo di un discorso implicito. Sopra i versi si parla di chi "segue favole" e al verso immediatamente successivo (1:22), non a caso, di "falsi dottori e falsi profeti". Cioè di coloro che facevano interpretazioni personali basandosi sulle Scritture.

Su Calvino penso che occurrence sia meglio traducibile con "occorrenza" o "circostanza".
 
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CITAZIONE (^Alessandro^ @ 13/2/2018, 10:17) 
CITAZIONE (Tranego @ 12/2/2018, 21:56) 
ed è difficile che qualcuno, sia pure ispirato come un agiografo, riesca ad esprime due concetti molto diversi con sole 4 parole (ἰδίας ἐπιλύσεως οὐ γίνεται). Se da queste parole, due schieramenti contrapposti di esegeti estraggono cose diverse, ritengo che la cosa più probabile sia che uno degli schieramenti è andato fuori strada.

Io ritengo essenziale leggere tutta la frase senza fermarsi alle 4 parole per capire cosa intende dire un testo, quindi quantomeno il verso 1:20 e 21 in questo caso. Dopo la frase, leggere l'intero contesto, avere conoscenze storiche etc.
Altrimenti si rischia di prendere un abbaglio.

Io ho espresso quello che penso l'agiografo intendesse, sul genere di traduzione più idonea da adottare lascio il compito ad altri non avendo dimestichezza con il greco.

A mio avviso qui si capisce che nessuna Scrittura profetica viene dall'uomo ma da qualcosa di fermo e stabile (Dio).Essendo implicito che l'agiografo ritenesse di non andare dietro a favole ma di comprendere le Scritture, è necessario essere guidati dallo stesso spirito che le ha sospinte per comprenderle.

Per me i due discorsi sono legati, se invece si vuole fare di un versetto "una massima" dobbiamo ricordarci che questa è un esigenza contemporanea che potrebbe allontanarsi dal senso generale o più completo del testo in questione.

Col post 10/2/2018, 17:26 ho cominciato con qualche appunto sul termine ἐπίλυσις, che interessava ad Akrio; poi ho accennato all’importanza di un altro termine (γίνεται); infine, ho timidamente auspicato che si potesse arrivare ad una “discussione sul lessico, sul contesto e sulle strutture retoriche della lettera”.
Quindi, pienamente d’accordo con te: ma non si può dire tutto in un solo post.
D’accordo anche sul fatto che “nessuna Scrittura profetica viene dall'uomo”.
Comunque, ogni discussione sul fatto che ci sia un problema di interpretazione (non sappiamo se da parte del profeta, rispetto al messaggio che viene da Dio, o di chi legge la profezia) deriva unicamente dalle note 4 parole. Se togliamo quelle quattro parole (e, per il vero, anche il loro soggetto: in tutto 7 parole), i versetti 19-20 suonerebbero così (uso la NR):
20 Sappiate prima di tutto questo: .....21... nessuna profezia venne mai dalla volontà dell'uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo.
Tolte quelle parole, nell’intera 2Pt non si trova più alcun accenno che riguardi problemi di interpretazione, che stiano nella testa del profeta o in quella del suo lettore.

Più che una “massima”, il v. 20 è stato trasformato in una clava da sbattere in testa ai protestanti, andando molto al di là del tenore letterale del testo. Rivedi Beda in post 11/2/2018, 19:34: il senso letterale di 1:20 è chiarissimo: il resto (che anche il lettore non deve affidarsi alla sola sua personale interpretazione) è solo deduzione logica. Deduzione del tutto legittima, ma al di là del testo.
 
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