Studi sul Cristianesimo Primitivo

Votes taken by Teodoro Studita

view post Posted: 28/11/2017, 15:29     +1“Chi mi ha toccato il mantello?” - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
Non ho capito cosa sia successo a questa discussione in cui evidentemente sono caduti dei pezzi, probabilmente cancellati dagli stessi autori.

In ogni modo ho iniziato a leggere il blog (la sintesi, ragazzi, la sintesi) e mi sono imbattuto subito in una difficoltà che mi ha scoraggiato ad andare avanti: ma come si fa a credere che il gruppo statuario descritto da Eusebio sia opera di cristiani quando sappiamo benissimo da una moltitudine di fonti che il cristianesimo precostantiniano non solo era quasi aniconico ma aveva un'avversione totale verso le statue? Avversione più che comprensibile visto che gli "idoli" più di ogni altra cosa rappresentavano la forma tipica di pietà pagana.
A me sembra chiaro che, semmai occorra credere ad Eusebio, si trattasse di un gruppo statuario pagano "risemantizzato" dai cristiani.
view post Posted: 16/11/2017, 18:20     +1Il buco storico del I secolo, anni '20 e '30 - Gesù storico, giudeo-cristianesimo, giudaismo del secondo Tempio
CITAZIONE (Nahyl @ 23/8/2015, 21:05) 
Chiunque si sia addentrato nella storia della Palestina del I secolo ha potuto vedere che c'è un buco evidente negli avvenimenti degli anni '20 e '30, e non perchè lo abbia letto o sentito dire, o ne parli giustamente Emilio Salsi, ma l'ho voluto verificare io stesso.

Questo perché evidentemente hai cercato solo in quegli anni, come se invece gli altri fossero coperti da chissà quanti storici. Non è così, naturalmente, e questo è del tutto normale dato che la Palestina del I secolo non era certo il centro del mondo e gli storici avevano mediamente altro da fare che di occuparsi di cosa accedesse lì.

CITAZIONE
Sembra che una mano sia passata su vari autori per cancellare dati e fare confusione fra date e nomi, lasciando però delle incongruenze con altri che permettono di capire che è stato tagliato o spostato qualcosa.

La confusione dopo duemila anni esiste in tutti i luoghi, specialmente quelli periferici rispetto ai grandi centri culturali dell'epoca (Alessandria, Roma, etc.). Vedere nella confusione delle fonti il solito complotto dei cristiani cattivi è, come minimo, un'ingenuità.

Di Flavio Giuseppe (greco) esistono varie edizioni, dalla classica edizione critica:
http://archive.org/search.php?query=josephus%20niese

...alla versione latina:
https://sites.google.com/site/latinjosephus/

...quella slavonica:
https://books.google.it/books?id=gu5HI-4gy...epage&q&f=false

E un recente progetto di mega-commentario:
http://www.brill.com/publications/flavius-...-and-commentary

Sul resto, mi pare che altri hanno già detto.
view post Posted: 26/3/2017, 19:23     +1Shalom - Regolamento, Presentazioni, Dialogo con lo Staff
Considerato che non sappiamo praticamente niente degli ebioniti è... interessante.

Per il simbolo battesimale apri un thread dedicato.

Benvenuto :)
view post Posted: 3/1/2017, 14:22     +1Rapporto tra Apocalisse ed i sinottici - Letteratura cristiana antica
Io partirei con qualche commentario di Ap.
In italiano c'è quello della Fondazione Valla che è ben fatto sotto il profilo filologico.

link: www.librimondadori.it/libri/l-apocalisse-di-giovanni-na
view post Posted: 20/10/2016, 11:21     +1Rivista ufficiale del forum - Regolamento, Presentazioni, Dialogo con lo Staff
Uhm, il taglio sarà decisamente accademico, quindi assolutamente niente attualizzazioni in stile "civiltà cattolica".
Sicuramente il tema di fondo saranno gli studi storici.
view post Posted: 7/10/2016, 08:53     +1Rivista ufficiale del forum - Regolamento, Presentazioni, Dialogo con lo Staff
La fondazione ISSRAQ, che fa capo all'omonimo ISSR Fides et Ratio de l'Aquila (Pontificia Università Lateranense) mi ha dato mandato di fondare una rivista scientifica. Visto il già ampiamente saturo panorama delle riviste del settore, ho pensato di coniugare questo progetto all'idea che nutrivamo da anni di avere una rivista del forum. Sto parlando di una rivista cartacea, non una digitale, sebbene nulla impedisca di sviluppare un progetto parallelo anche per il formato digitale.

La domanda che vi pongo è:

- Quale tema (1° millennio, tutto il Cristianesimo, solo alcuni settori)
- Quale titolo

Sotto con le idee.
view post Posted: 9/9/2016, 16:26     +1Storia dei Vangeli sinottici (Bultmann) - Recensioni, News, Links e Bibliografie
CITAZIONE (Nicholas87 @ 9/9/2016, 16:35) 
si che sono interessato, volevo chiedere se il contenuto è affidabile storicamente

È ampiamente superato dagli studi più recenti. Oltre a non essere proprio immune da una certa dose di precomprensione teologica
view post Posted: 19/7/2016, 21:03     +2Ancora sulle fonti del Gesù storico - Storia del Cristianesimo
Apro questo thread per fornire un esempio minimale di come si debbano considerare le fonti sul Gesù storico. Lo spunto nasce ancora una volta dal dilagare – soprattutto in rete – di vecchie minestre riscaldate di stampo miticista, cose che erano sepolte o comunque ampiamente marginalizzate da decenni ma che trovano rigurgiti di consenso nel popolo internettiano dei non-specialisti.

Mi perdoneranno i lettori assidui o gli addetti ai lavori se questa sembrerà la dimostrazione che con l’acqua calda si possano bollire le patate: in effetti lo è.

Il tema è dunque quello dell’esistenza di un Gesù storico. Non il Figlio di Dio, o il Cristo della fede, ma solo un tal Gesù che visse nel I secolo e fu crocifisso da Ponzio Pilato.

Come esempio, prendiamo la celebre Ep. X,96 di Plinio a Traiano.

Qui i testi (per il latino: Ed. M. Schuster – R. Hanslik, Leipzig, 1958; per l’italiano è la versione del nostro amico Nicolotti)


Sollemne est mihi, domine, omnia de quibus dubito ad te referre. Quis enim potest melius vel cunctationem meam regere vel ignorantiam instruere? Cognitionibus de Christianis interfui numquam: ideo nescio quid et quatenus aut puniri soleat aut quaeri. Nec mediocriter haesitavi, sitne aliquod discrimen aetatum, an quamlibet teneri nihil a robustioribus differant; detur paenitentiae venia, an ei, qui omnino Christianus fuit, desisse non prosit; nomen ipsum, si flagitiis careat, an flagitia cohaerentia nomini puniantur. Interim, iis qui ad me tamquam Christiani deferebantur, hunc sum secutus modum. Interrogavi ipsos an essent Christiani. Confitentes iterum ac tertio interrogavi supplicium minatus: perseverantes duci iussi. Neque enim dubitabam, qualecumque esset quod faterentur, pertinaciam certe et inflexibilem obstinationem debere puniri. Fuerunt alii similis amentiae, quos, quia cives Romani erant, adnotavi in urbem remittendos. Mox ipso tractatu, ut fieri solet, diffundente se crimine plures species inciderunt. Propositus est libellus sine auctore multorum nomina continens. Qui negabant esse se Christianos aut fuisse, cum praeeunte me deos adpellarent et imagini tuae, quam propter hoc iusseram cum simulacris numinum adferri, ture ac vino supplicarent, praeterea male dicerent Christo, quorum nihil cogi posse dicuntur qui sunt re vera Christiani, dimittendos putavi. Alii ab indice nominati esse se Christianos dixerunt et mox negaverunt; fuisse quidem sed desisse, quidam ante triennium, quidam ante plures annos, non nemo etiam ante viginti. quoque omnes et imaginem tuam deorumque simulacra venerati sunt et Christo male dixerunt. Adfirmabant autem hanc fuisse summam vel culpae suae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem seque sacramento non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta ne latrocinia ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum adpellati abnegarent. Quibus peractis morem sibi discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen et innoxium; quod ipsum facere desisse post edictum meum, quo secundum mandata tua hetaerias esse vetueram. Quo magis necessarium credidi ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri, et per tormenta quaerere. Nihil aliud inveni quam superstitionem pravam et immodicam. Ideo dilata cognitione ad consulendum te decucurri. Visa est enim mihi res digna consultatione, maxime propter periclitantium numerum. Multi enim omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus etiam vocantur in periculum et vocabuntur. Neque civitates tantum, sed vicos etiam atque agros superstitionis istius contagio pervagata est; quae videtur sisti et corrigi posse.


E’ per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono incerto. Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome. Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi. Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani. Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo. Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una superstizione balorda e smodata. Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma. »



Tralasciando le varie menzioni ai cristiani, la frase cruciale ai nostri fini sembra essere:

quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo dicere

Dunque Plinio racconta che i cristiani sono soliti cantare inni a Cristo come a un dio.

La cosa che ci interessa è che Plinio non sente il bisogno di spiegare chi sia questo Cristo. Non lo sente perché ovviamente Traiano sapeva benissimo di chi si trattasse. Per avere un’idea di cosa l’immaginario romano tra I e II secolo pensasse di Gesù Cristo, infatti, basta leggere le fonti contemporanee, in primo luogo Tacito, amico di Plinio e che, scrivendo una storia, deve spiegare ai lettori chi fosse questo Cristo.

Le sue famose parole (Annales, 15,44) sono:

«Cristo il quale durante il regno di Tiberio era stato giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato» (…auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat)

Si noti, peraltro che il verbo adfigere è un terminus technicus che denota (non sempre ma spesso) proprio la crocifissione.

Tacito era stato a sua volta governatore dell’Asia nel 112, e dunque aveva di certo conosciuto i cristiani nel corso di questa esperienza, mentre non è certo che avesse su questo consultato gli archivi cui comunque aveva accesso, dal momento che confonde la carica di Ponzio Pilato, chiamato erroneamente procuratore.

Dello stesso ambiente, e di poco posteriore, anche Luciano (De morte Peregrini, 13) riproduce la stessa storia parlando dei cristiani che “venerano l’uomo che fu crocifisso in palestina perché introdusse questo nuovo culto nel mondo”. Luciano non fa il nome di Gesù ma è ovvio che sta parlando di lui.


Andando verso le conclusioni, dobbiamo chiederci quale pondus attribuire alla testimonianza pliniana. Da sola non basterebbe per dire granché, sebbene l’osservazione che la prassi giuridica romana nei confronti dei cristiani nei 150 anni successivi sarà basata sulla risposta di Traiano confermi che il carteggio non è una fiction letteraria. Dobbiamo dunque guardare alla convergenza con le altre fonti. Non c’è ragione, infatti, per stabilire una dipendenza di Plinio da Tacito o viceversa, al massimo si può dire che essi attingano la loro conoscenza da un bacino comune di detti e dicerie che circolavano su Gesù nell’ambiente asiatico dell’inizio del II secolo.

Se così fosse, abbiamo comunque una terza fonte indipendente non cristiana, e cioè Flavio Giuseppe di cui molto abbiamo parlato qui negli ultimi… 10 anni!

Queste fonti, che corroborano quanto già sappiamo dalle fonti cristiane portano alla facile conclusione che esistette un Gesù che visse e fu crocifisso in Palestina ai tempi di Tiberio.

Mettendosi negli scomodi panni di un miticista del 2016, di fronte a tutte queste fonti, il nostro dovrebbe produrre una buona teoria che ne spieghi l’esistenza, la diffusione, la copia, la concordanza. E questa teoria dovrebbe essere più economica della semplice tesi dell’esistenza, pena la condanna del nostro amico Ockham.





ALTRI RIFERIMENTI

trasmissione del testo di Plinio:
https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=55546225


Questione dell’autenticità (lo posto perché è praticamente l’unico che la mette in dubbio) :
www.academia.edu/22012268/An_Appli..._the_Christians


Altra bibliografia in:
www.academia.edu/9811216/I_process...7_pp._1169-1186
view post Posted: 24/5/2016, 13:49     +1Giovanni 1,1 UN Dio era il Verbo? - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
Hai troppa fiducia dei copisti. La copia è in primo luogo un gesto meccanico. Se il copista legge πνευμα (in qualsiasi sua forma) nella stragrande maggioranza dei casi non sta seguendo il filo del discorso e quindi applica la regola generale. Senza contare quelli che non capivano affatto ciò che scrivevano.


PS. E comunque "la" nomina sacra non si può sentire eh
view post Posted: 14/5/2016, 09:29     +2Giovanni 1,1 UN Dio era il Verbo? - Filologia, Linguistica & Paleografia dei testi cristiani
Cito dal mio libro del 2013 (noto che nel cutpaste si raddoppiano alcuni caratteri greci, un po' ho corretto ma può essere rimasto qualcosa)

ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος.

L’analisi di questo brano si svolge su due binari: la questione dell’articolo e quella relativa al significato di ἀρχή.
Circa l’articolo davanti a “Dio”, il traduttore geovista si rifà al principio generale del greco classico secondo cui la mancanza dell’articolo davanti ad un sostantivo viene generalmente resa con l’articolo indeterminativo. Τale principio, tuttavia, non è valido indifferentemente in ogni circostanza né nel greco classico né in quello biblico e neotestamentario. Già Zerwick233, infatti, faceva notare che spesso nel greco della LXX e del NT la mancanza di articolo è associata alla connotazione qualitativa del lessema privo di articolo. Per restare nell’ambito giovanneo si può citare Gv 7,46 «Mai uomo ha parlato cosi!»234, laddove “uomo” è da intendersi chiaramente come “un essere umano” e non "ʺun certo uomo"ʺ. Anche nella LXX i casi non mancano, come Sal 8,5: «Che cos’è l’uomo affinché ti ricordi di lui?» o Gen 1,26: «Faremo l’uomo a nostra immagine»235. Sulla scorta di questi esempi che riguardano il lessema ἄνθρωπος (uomo) si può capire benissimo Ez 28,2.9: «ma tu sei uomo e non Dio»236 da intendersi entrambi in senso qualitativo e non “un certo uomo / un certo Dio”, esempio perfetto che introduce alla frase del Prologo e che dunque deve intendersi analogamente “Il Verbo era Dio"ʺ non nel senso di "ʺun certo dio"ʺ ma "ʺdi natura divina”237.

Altre osservazioni sono possibili: ad esempio, se anche θεόός (Dio) avesse avuto l’articolo, si sarebbe persa la chiara identificazione del soggetto (indistinguibuile dal predicato nominale), che in questo tipo di costruzione è identificato esclusivamente dall’articolo. Così facendo, essendo l’ordine soggetto-‐‑complemento invertito, se entrambi avessero avuto l’articolo avremmo letto: “e Dio era la Parola”o – ancor peggio – avremmo identificato Dio Padre (indicato quasi sempre con theos preceduto da articolo)238 con la Parola.

A questi argomenti di carattere grammaticale va aggiunto che né gli esegeti antichi239 né i contemporanei240 intesero questo brano del Prologo come un'ʹaffermazione della semi-‐‑divinità di Cristo, al modo della WT, né appare sensata l'ʹespressione "ʺla Parola era un dio"ʺ in bocca a un monoteista241.
A queste osservazioni il geovismo ha sempre opposto il parere diverso di vari grecisti (si è già visto nel cap. 1 con quale metodo), invocando la virtuale possibilità di entrambe le traduzioni, sia quelle con l’articolo indeterminativo, sia quelle senza. In ultima istanza sembrano essere la logica e il contesto la chiave di lettura di questo brano. Nella fattispecie, già i Padri della Chiesa notavano che, pensando la Parola come creata ma altresì presente ἐν ἀρχῇ («in principio»), si configurerebbe la preesistenza di una creatura a Dio, il che è logicamente impossibile, o ancora di una Parola "ʺattraverso cui tutto è stato creato"ʺ (Gv 1,3) compresa se stessa. Per rispondere a questa istanza, il geovismo sostiene che ἀρχή in contesto giovanneo sia da intendere relativamente alla creazione del mondo, e non alla origine dei tempi, concetto, questo, di matrice greca ed estraneo alla mentalità semitica di Giovanni.
La diatriba circa il senso di ἀρχή è dunque tra il significato proposto dal geovismo, cioè “principio di una serie di cose create242”, e quello di “causa attiva di una cosa243”.
In Giovanni244 ἀρχήή significa perlopiù punto iniziale nel tempo245, come è possibile verificare in Gv 6,64; 8,44; 15,27; 16,4; 1Gv 1,1; 2,7.13-‐‑14.24; 3,8.11; 2Gv 5-‐‑6.
C'ʹè un solo caso in cui è presente l'ʹinterpretazione data dal geovismo: Gv 2,11246. Anche nell’inno cristologico di Colossesi ἀρχή applicato a Cristo è inteso, secondo il geovismo, come “principio di una serie di creature”; per la cristianità, invece, significa “padrone”, coerentemente con gli altri contesti neotestamentari in cui il lessema assume tale significato247. Ma su questo si tornerà in seguito.
Il geovismo, riesumando Ario, evoca Pr 8,22: «Il Signore mi ha creato all'ʹinizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'ʹallora.» per affermare che la Parola-‐‑Sapienza è stata creata ,קנה "ʺἐν ἀρχή"ʺ, cioè all'ʹinizio della storia, ma il TM qui distingue molto bene il verbo (propriamente "ʺfondare"ʺ248) da ברא ("ʺcreare"ʺ249) usato per la creazione in Gn 1,1 o in altri contesti simili.
Anche le revisioni giudaizzanti (e dunque non sospette) di Aquila, Simmaco, Teodozione e la Vulgata rendono con un senso di “primizia”, “principio”, “modello”, affermando l’utilizzo della Sapienza da parte di Dio prima della creazione, senza specificare precisamente l’eventuale creaturalità di quest’ultima250. Così pure ragiona, a mero titolo esemplificativo, Agostino:
«il Padre è dunque sapiente per la sua propria sapienza, che Egli stesso è, e il Figlio è la sapienza del Padre che procede dalla sapienza che è il Padre, dal quale il Figlio è stato generato».251
Del resto, mutuando un noto ragionamento dei padri preniceni, se Cristo-‐‑Logos-‐‑Sapienza fosse stato creato, dovremmo immaginare un Dio “senza Sapienza” (Aloghikos), o un Dio “senza Parola”, e financo un’altra Parola attraverso cui Dio avrebbe creato questa Sapienza:
«Se la Parola fosse stata creata, per mezzo di quale altra Parola sarebbe stata creata? L'ʹevangelista dice: "ʺIn principio era la Parola. Se era vuol dire che non è stata creata”».252
È chiaro che, considerando il significato di ἀρχή e il contesto grammaticale e logico nel quale si situa l’affermazione teologica di Gv 1,1, l’asserzione geovista secondo cui “il Gesù preumano era un essere spirituale creato, così come gli angeli erano essere spirituali creati da Dio. Né gli angeli, né Gesù esistevano prima di essere creati. Gesù nella sua esistenza preumana fu il principio della creazione di Dio” 253, appare completamente infondata e la manipolazione del testo con l'ʹintroduzione dell'ʹarticolo indeterminativo funzionale a tale asserzione.


NOTE
233 M. ZERWICK, Graecitas biblica Novi Testamenti, Pontificio Istituto Biblico, Roma, 19665, § 171-‐‑172, 179-‐‑180. 234 NA27: Οὐδέποτε ἐλάλησεν οὕτως ἄνθρωπος
235 LXX: τί ἐστιν ἄνθρωπος ὅτι µιμνήσκῃ αὐτοῦ / ποιήσωµμεν ἄνθρωπον κατ’ εἰκόνα ἡµετέραν.
236 LXX: σὺ δὲ εἶ ἄνθρωπος καὶ οὐ θεός.
237 L. CIGNELLI, G.C. BOTTINI, L’articolo nel greco biblico, in Liber Annuus (Studium Biblicum Franciscanum) 41 (1991), 171. Ancor prima era stata formulata la cosiddetta “regola di Colwell”, che si può sintetizzare in: "ʺun predicato nominale determinato tende a perdere l'ʹarticolo quando precede il verbo essere, mentre tende a prendere l'ʹarticolo quando segue il verbo"ʺ, osservazione valida nove volte su dieci nell’ambito giovanneo, E.C. COLWELL, A Definite Rule for the Use of the Article in the Greek New Testament., in Journal of Biblical Literature 52 (1933), 12-‐‑21.
238 K. RAHNER, Theos nel Nuovo Testamento, in ID., Saggi Teologici, I, Ed.Paoline, Roma, 1965, 467-‐‑585. Giova tuttavia ricordare che esistono casi in cui θεός è riferito al Figlio e porta l'ʹarticolo (Gv 20,28; Rm 9,5; Tt 2,13; Eb 1,8; 1Gv 5,20) e
in cui invece è riferito al Padre e non ha l'ʹarticolo (Gv 1,12; Gv 1,18; Rm 8,33; 2Cor 1,3). I primi, come si vedrà nel corso della presente trattazione, sono sistematicamente manipolati dalla TNM.
239 Per quanto consta da ciò che rimane della produzione letteraria ariana, né Ario, né Eunomio utilizzarono questa frase del Prologo per le loro finalità, limitandosi al massimo a correlarla a Pr 8,22. Per quanto riguarda i Padri ortodossi, viceversa, Atanasio ne fa uso estensivo nei suoi Trattati contro gli Ariani, come pure i Padri cappadoci, cf. M.C. PACZKOWSKI, Esegesi, teologia e mistica. Il prologo di Giovanni nelle opere di S. Basilio Magno, Gerusalemme, 1995 (Studium Biblicum Franciscanum -‐‑ Analecta 39). Per una panoramica sull'ʹuso del quarto vangelo nella Chiesa delle origini, si veda il classico J.N. SANDERS, The fourth gospel in the early Chuch, Cambridge University Press, Cambridge, 1943, la cui ricerca è perfezionata e aggiornata da C.E. HILL, The Johannine Corpus in the Early Church, Oxford University Press, Oxford, 2004.
240 Una copiosa e aggiornata bibliografia di altissimo livello è selezionata in J.F. MCHUGH, A Critical and exegetical commentary on John 1-‐‑4, Graham N. Stanton Ed. (parte del progetto di G.I DAVIES, G.N. STANTON [edd.], The International critical commentary on the Holy Scriptures of the Old and New Testaments), T&T Clark International, New York, 2009, p. xxxi. Il medesimo commentario propone le nostre medesime conclusioni a p. 10.
241 Per rispondere a questa osservazione, la WT utilizza un argomento asai specioso: poiché elohim/theos è usato (una volta in Sal 82,6 e citato in Gv 10,34-‐‑35) non già per indicare Dio ma i giudici di Israele, allora ne consegue che il significato generico di "ʺessere potente"ʺ sia quello che intendeva l'ʹautore del Prologo, v. It-‐‑2, 490. Il motivo per cui un significato attestato in maniera a dir poco episodica sia da preferire a quello predominante nove casi su dieci rimane un mistero; inoltre il traduttore della Nuovo Mondo commette il medesimo errore metodologico che riguarda la resa di nefesh (di cui si parlerà in seguito), cioè quello di ignorare completamente la curva semantica di un termine. Il senso di elohim, nella fattispecie, in diversi secoli passa dall'ʹindicare un essere della corte divina di YHWH ancora nella fase pre-‐‑monoteista (e di qui il senso di "ʺessere potente"ʺ) a YHWH stesso. È chiaro che in epoca giovannea il primo significato era caduto in disuso da secoli, donde Gesù può farsi beffa dei Giudei che lo accusavano di "ʺfarsi Dio"ʺ proprio giocando su questa evoluzione semantica, cf. DENT, 1612-‐‑1619; cf. GLNT ad vocem θεόός.
242 Ti, 1989, 69.
243 Cf. AVETA, I Testimoni di Geova, un'ʹideologia, 119.
244 Più correttamente diciamo “di scuola giovannea”, citando anche 1Gv e 2Gv.
245 cf. DENT, 429 nel senso di pretemporalità, eternità. Ancor più chiaro MCHUGH: «ἦν ("ʺera"ʺ, ndr.) is then an affirmation that ἐν ἀρχῇ ("ʺin principio"ʺ), even before the raw material of the physical world was created, the Logos was already in existence.Thus far, the assertion is identical with those in Prov 8.22-‐‑23 and Sir 24.9, which state that Wisdom existed before the world was made; but, in contrast to these two texts, John gives no hint that the Logos was created.», op. cit., 6.
246 «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (CEI).
247 1Cor 15,24; Ef 1,21; Col 2,10.
248 Cf. TWAT, VII, coll.63-‐‑71; V. POLIDORI, Nella ktisis coloniale la chiave ermeneutica di Pr 8,22, Bibbia e Oriente 227 (2006), 3-‐‑ 9, cui ora posso aggiungere che l'ʹidea della fondazione della città come analogia per la generazione eterna del Logos è già presente almeno in ATANASIO, Trattati contro gli Ariani, II, 48.
249 Nel senso di "ʺplasmre"ʺ, BDB, 135.
250 Così il NGCB ad locum, rimandando a W. IRWIN, in JBL 80 (1961), 140 e G. Yee, in ZAW 94 (1982), 58-‐‑66. 251 AGOSTINO, De Trinitate, Città Nuova, Roma 1998, libro XV, 7.12.
252 Cf. AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni, I discorso, n. 11.12.
253 Ti, 1989, 14.
view post Posted: 23/4/2016, 19:38     +1Cristiani ortodossi e oikonomia - Teologia e Filosofia
Sul matrimonio ti consiglio di leggere i lavori del mio amico Gabriel Radle, che trovi anche su Academia

https://huji.academia.edu/GabrielRadle

Vedrai cadere un bel po' di luoghi comuni.
56 replies since 25/9/2007