PRIMA RISPOSTA
CITAZIONE (Hannah1 @ 7/6/2008, 20:08)
Sul discorso di "finché" ci sarebbe molto da dire; manco a farlo apposta nella formula del matrimonio cattolico c'è proprio la fatidica frase "finchè morte non vi separi" .
Ho capito che tu parti dall'ebraico o dall'aramaico. In questo caso, però dovremmo mettere in discussione quasi tutti i vangeli.
Ecco, il "finché" del rito matrimoniale è proprio quel tipo di affermazione che non ha a che vedere con il modo d'esprimersi "biblico" di cui stiamo parlando noi.
Non capisco invece cosa intendi dire quando affermi che, partendo dall'ebraico o dall'aramaico (o, semplicemente, limitandosi ad analizzare le varie occorrenze neotestamentarie del "non...finchè" - Gnilka, Luz e Davies-Allison non fanno infatti cenni a "semitismi") si metterebbero in discussione i vangeli. Voglio dire, per quel pochissimo che posso capirne, non è possibile fare esegesi senza considerare il significato che un espressione ha nella sua lingua e nel suo contesto originale (anzichè limitarci a sentire come suona al nostro orecchio moderno e occidentale), e, dal momento che non è più possibile fare teologia senza esegesi, considerazioni di questo tipo sono semplicemente il modo corretto e necessario di affrontare il problema.
Mt 1,25 è una frase che a noi suona ambigua: al nostro orecchio abituato, tra l'altro, a infinite controversie teologiche, sembra suggerire che Giuseppe si limitò a non conoscere Maria solo finché il grembo era occupato da un ospite (e soprattutto un ospite del genere non è carino importunarlo!), ma poi, appena liberatosi il posto...non ha esitato oltre.
Ma il testo non dice ciò. Perciò come si fa a risolvere il problema? Si cerca di capire che significato potesse avere l'espressione "non...finché" nel contesto letterario in cui si trova (casi analoghi nel vangelo di Matteo) e nella lingua stessa in cui l'espressione era impiegata (che sia il greco, oppure una soggiacente lingua semitica resa in greco).
SECONDA RISPOSTA (scusa la lunghezza)
CITAZIONE (Hannah1 @ 7/6/2008, 20:08)
[Per quel che riguarda il dogma della verginita di Maria , la virginitas in partu nel senso di un parto miracoloso, ritengo sia parte integrante del dogma. Per cui, qualunque posizione teologica in contrasto con questo, non sarebbe considerata del tutto ortodossa.
Allora, voglio specificare che io non intendo affatto sostenere la causa dell’ “imene lacerato”. Per me il punto non è affatto che Dio non possa, qualora lo voglia, preservare l’integrità dell’imene nonostante l’avvenuto passaggio di un bambino. Se la mia fede è capace di contemplare la risurrezione di un morto, non è certo un imene a poter fare difficoltà.
Ciò che mi preme invece far capire è anzitutto che l’integrità fisiologica delle vie genitali di Maria non costituisce affatto il senso autentico e principale della verginità di Maria (ammesso che possa esserne parte). Io mi guardo bene dal banalizzare la verginità a semplice “atteggiamento morale”. Se le parole devono avere un senso, la verginità, pur contrassegnata in modo essenziale da un atteggiamento anzitutto morale-spirituale di donazione e accoglienza, deve però necessariamente implicare anche la dimensione corporea. Tuttavia questa dimensione corporea non va intesa in modo meramente “fisiologico”, bensì personalistico, cioè deve coinvolgere l’intenzionalità e la volontà della persona. La verginità corporea (in senso personalistico, e non meramente fisiologico) viene meno allorché l’imene viene lacerato perché una persona ha deciso di donare sé stessa nella modalità di una relazione sessuale, ma non se viene lacerato per cause indipendenti dalla volontà della persona (ad es. un operazione chirurgica o anche una violenza). Chi insiste ad oltranza sulla necessità dell’integrità fisiologica dell’imene di Maria, sta forse perdendo di vista il senso autentico del dogma della sua verginità.
In ogni caso, riconosco che è possibile addurre dei motivi di “convenienza” per sostenere un’interpretazione anche fisiologica del parto verginale (sebbene esistano anche motivi di “convenienza” per sostenere il contrario!). Ma ciò che veramente mi preme è che questa interpretazione del parto verginale con implicazioni fisiologiche rimanga un’opinione teologica, e non venga proposta come interpretazione vincolante per tutti, quasi che non accettandola si rifiutasse ipso facto il dogma stesso della verginità di Maria.
Perciò ora ti propongo una piccola “antologia” che mostra come buona parte dell’attuale teologia cattolica ritiene
A) che non si possa proporre in modo vincolante alcuna affermazione sui concreti aspetti “fisiologici” del parto verginale (Rahner) ;
B) che lo stesso volersi addentrare in considerazioni “fisiologiche” sia un modo sbagliato di accostarsi al dato dottrinale, e un voler violare il “segreto” di Dio (Laurentin);
C) che la dottrina della “verginità nel parto” non intende affatto affermare dettagli fisiologici (Muller, Muller-Sattler);
D) che il concetto di verginità non implica necessariamente quello di integrità fisiologica, e che il parto di Maria fu pertanto caratterizzato dai comuni “risvolti fisiologici” di qualsiasi parto, senza che ciò ne diminuisca in alcun modo il carattere pienamente verginale (Galot, Colzani).
I teologi citati non costituiscono affatto esempi di “teologia liberale” o “progressista”. Rahner è semplicemente il più grande teologo cattolico del Novecento. Laurentin è un noto mariologo di tendenza decisamente conservatrice. Galot – il più deciso proponente della verginità non fisiologica - è un teologo “classico”, tendenzialmente conservatore, storico insegnante della Gregoriana e, attualmente, dell’Ateneo Regina Apostolorum (forse il più conservatore che esista) e il suo libro è stato pubblicato proprio dalla casa editrice della Gregoriana. Colzani e Ludwig Muller sono teologi di orientamento moderato, come attesta anche il fatto che i loro libri siano stati pubblicati dalla San Paolo. Di questo gruppo, forse i teologi un po’ più progressisti potrebbero essere Alois Muller e Dorothea Sattler, il cui saggio si trova in un corso di dogmatica tedesco pubblicato dalla Queriniana che, qui da noi in Italia, può essere considerato di tendenza moderatamente progressista (ma il saggio di mariologia in questione non lo è granchè).
RAHNER: Sulle particolarità concrete della virginitas in partu non si può dedurre nulla di certo e obbligante.Karl Rahner, “Virginitas in partu” in
Saggi di cristologia e mariologia, Paoline, Roma 1967, 411.
“La dottrina della Chiesa dice con il vero nocciolo della tradizione: il parto (attivo) di Maria – visto dalla parte del bambino e di sua madre – così come la sua accettazione, è, considerato alla luce di tutta la realtà (come atto integralmente umano di questa “Vergine”), anche in sé (e non soltanto in virtù del concepimento…) corrispondente a questa Madre e perciò unico, mirabile, “verginale”,
senza che da questa proposizione (che in sé però è comprensibile)
abbiamo la possibilità di dedurre, in maniera sicura e obbligante per tutti, delle asserzioni circa particolarità concrete di questo evento”.
LAURENTIN: Sulle particolarità concrete della virginitas in partu non si può e non si deve sapere nulla.Renè Laurentin,
Breve Mariologia, Queriniana, Brescia, 1988, p. 21.
“A dire il vero, questa tradizione del parto indolore di Natale non appartiene al concetto in sé stesso di verginità, ma ne è un segno.
Quanto al segno della integrità verginale nel quale si avventurano certi Padri nella prospettiva della loro teologia simbolica, rispettiamo il segreto di Dio che non ci ha dato una tavola anatomica su questo punto. Il Concilio ha tagliato corto alle discussioni ginecologiche sorte negli anni 1960, formulando la tradizione senza entrare in precisazioni indiscrete e incontrollabili: “Il Figlio suo primogenito non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò”.
[Laurentin vede il parto indolore come non implicato dal concetto di verginità, ma comunque teologicamente conveniente. Quanto invece alla questione dell’integrità delle vie genitali di Maria, invita chiaramente ad una posizione agnostica].
MULLER: La dottrina della virginitas in partu non intende affermare delle singolarità fisiologiche.Gerhard Ludwig Muller,
Dogmatica cattolica, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999, 604-605.
“
Tale dottrina non intende affermare che il parto di Gesù sia avvenuto in modo non naturale e abbia presentato delle singolarità fisiologiche (ad esempio, la non apertura delle vie genitali femminili, la non rottura dell’imene e l’assenza delle doglie) ….
Il contenuto della proposizione di fede non riguarda perciò dettagli somatici fisiologicamente ed empiricamente verificabili”.
MULLER – SATTLER: La dottrina della virginitas in partu non fa un’affermazione fisiologica, bensì tipologica.Alois Muller – Dorothea Sattler, “Mariologia” in
Nuovo corso di dogmatica vol. 2, Queriniana, Brescia, 1995, p. 212.
“Importante per un’odierna comprensione della
virginitas in partu è il riconoscimento che
neppure questa verità di fede vuole fare un’affermazione biologico-fisiologica, ma si serve piuttosto di questa per concretizzare la contrapposizione tipologica fra la vecchia umanità simboleggiata in Eva e soggetta al dominio del peccato e la nuova umanità manifestantesi in Maria e pienamente aperta allo Spirito di Dio”.
COLZANI: Il parto verginale di Maria ha presentato i segni propri di un parto normale.Gianni Colzani,
Maria. Mistero di grazia e di fede, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, p. 211-212.
“La convinzione che un parto normale annullasse la verginità di Maria ha spinto la comunità cristiana a ribadire che Maria è e rimase vergine; mentre alcuni autori si sono accontentati di questo, invitando alla prudenza nelle determinazioni concrete, altri hanno parlato di un parto miracoloso e di una nascita che non avrebbe aperto il grembo materno né sarebbe stata caratterizzata dalle consuete dinamiche del parto.
Si deve guardare con molta prudenza a queste ipotesi; lo si deve fare perché siamo qui di fronte al tentativo di modificare la nozione di verginità, introducendovi quelle nozioni di integrità e di in corruzione di cui parlavamo sopra. Già Rahner ha mostrato la discutibilità di questi tentativi, evidenziando come il magistero sia in realtà più riservato e come a essi manchi quell’universalità di condivisione che, a volte, pretendono. Con ragione Galot osserverà che
la nozione di verginità qui in gioco è identica a quella del concepimento. “Non si può dunque adottare, per il momento della nascita un’altra nozione di verginità se non quella che si ammette per il resto della vita”.
La verginità del parto è, quindi, dedizione totale a Dio indicata nel segno della mancanza di rapporti sessuali: il contenuto della integritas e della incorruptibilitas va ricondotto a questo. E’ quindi legittimo ammettere in Maria i segni propri di un parto normale: essi indicano a fondo i caratteri propri di una maternità verginale. La sua straordinarietà sta nel portare a termine il concepimento dovuto allo Spirito: non vi è corruzione alcuna nei processi normali di un parto”.
GALOT: La verginità non è una realtà meramente fisiologica. Al contrario, il seno aperto di Maria è il culmine della verginità corporale.Jean Galot,
Maria. La donna nell’opera della salvezza, Pont. Univ. Gregoriana, Roma, 1991, p.170s.
“La verginità non consiste in una qualsiasi integrità fisica, ma in quella che deriva dalla preservazione nei riguardi degli atti sessuali. E’ così che una lesione dell’integrità fisica non significa necessariamente perdita della verginità. San Tommaso esamina il caso in cui il “sigillo del pudore verginale” è stato infranto senza alcuna colpa, come si può verificare a seguito di una violenza o di un intervento chirurgico (...) San Tommaso afferma che il danno alla verginità non è più grande di quello di una lesione alla mano o al piede (…).
Bisogna dunque riconoscere che, anche nel suo aspetto corporale, la verginità non è una realtà puramente né in primo luogo fisiologica; essa comporta sempre, ed essenzialmente, una qualifica morale, che concerne l’uso del corpo. Non si può definire dal semplice punto di vista anatomico; è una integrità corporale che viene lesa solo col consenso della volontà al piacere carnale.
Non ogni rottura dell’imene è segno di perdita della verginità. Se si pensasse che l’apertura del seno di Maria avrebbe offeso la sua perfezione, non si farebbe torto a Gesù? Nascendo in maniera normale, Cristo poteva degradare il senso materno che egli apriva? Non l’ha invece piuttosto santificato con il suo passaggio?
Conviene richiamare il senso profondo della verginità: essa è consacrazione del cuore e del corpo al Signore; chiude il cuore agli affetti puramente umani per aprirlo a Dio;
ha lo scopo di accogliere pienamente l’amore divino. In Maria, questa accoglienza si è fatta non solo nel cuore ma anche nel corpo al momento del concepimento miracoloso. Se lo scopo della verginità non è di chiudersi a tutto ma di aprirsi a Dio, l’apertura del seno materno per il passaggio di Dio stesso, non è il supremo coronamento della verginità corporale di Maria? Maria era vergine per aprirsi pienamente, nel suo cuore e nel suo corpo, a Dio”.
N.B. le frasi iniziali in "sottolineato" rappresentano mie sintesi di ciò che viene detto nelle citazioni degli autori, e non affermazioni degli stessi.
P.S. questa panoramica non pretende affatto di essere esaustiva...immagino che ci siano numerosi altri mariologi e teologi cattolici contemporanei che si sono pronunciati sull'argomento (penso soprattutto a Stefano DeFlores, o, immagino, anche Bruno Forte etc.). Mi sono limitato a riportare quel che ho "sotto mano".
P.P.S. scusa per la lunghezza del post, ma penso che la più onerosa lettura possa essere compensata da una maggiore chiarezza.