Studi sul Cristianesimo Primitivo

Epittèto e i Galilei (Cristiani?), Arr.EpictD. 4,7,6

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chimofafà
view post Posted on 18/6/2010, 18:23     +1   -1




CITAZIONE
Vedi anche Atti (XXIV, 5) i Giudei che accusano Paolo davanti a Felice.

Abbiamo scoperto che quest'uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra tutti i Giudei che sono nel mondo ed è capo della setta dei Nazorei.

Però su Paolo c'é anche questo: Rm 13, 1-7; 12,14-21, che senso avrebbe un capo appartenente ad una setta che crea disordini in tutto il mondo che invita ad essere sottomessi alle autorità? (Qui abbiamo le parole dell'autore piuttosto che del biografo) Ma non solo anche 1 pt 2, 18-25; negli stessi Vangeli (Mc 12,17;Mt 22, 20-22; Lc 20,25; 3,14; Gv 19,11 c'è un'espresso invito a rispettare l'autorità, i testi sono addirittura filoromani.

Che poi tra i protocristiani e finanche in qualche apostolo ci siano tracce di "zelotismo" questo é possibile, pescavano da ogni estrazione sociale, ed anzi penso che i movimenti "rivoluzionari" volessero in qualche modo "strumentalizzare" un movimento che aveva un seguito, se questi opposero dei rifiuti (magari qualcuno ha anche raccolto l'invito), mi sembra ragionevole che li osteggiassero.

Ciao.

Edited by chimofafà - 18/6/2010, 20:43
 
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Hard-Rain
view post Posted on 18/6/2010, 19:06     +1   -1




QUOTE
Però su Paolo c'é anche questo: Rm 13, 1-7; 12,14-21, che senso avrebbe un capo appartenente ad una setta che crea disordini in tutto il mondo che invita ad essere sottomessi alle autorità? (Qui abbiamo le parole dell'autore piuttosto che del biografo) Ma non solo anche 1 pt 2, 18-25; negli stessi Vangeli (Mc 12,17;Mt 22, 20-22; Lc 20,25; 3,14; Gv 19,11 c?è un'espresso invito a rispettare l'autorità, i testi sono addirittura filoromani.

Che poi tra i protocristiani e finanche in qualche apostolo ci siano tracce di "zelotismo" questo é possibile, pescavano da ogni estrazione sociale, ed anzi penso che i movimenti "rivoluzionari" volessero in qualche modo "strumentalizzare" un movimento che aveva un seguito, se questi opposero dei rifiuti (magari qualcuno ha anche raccolto l'invito), mi sembra ragionevole che li osteggiassero.

Sono perfettamente d'accordo. Qui bisogna intendersi perchè il cristianesimo di stampo paolino sembra piuttosto conciliante con l'autorità romana (e con l'autorità in generale), come del resto lo era, per certi versi, anche il neostoicismo. A meno di non postulare quella frattura che dicevo: Galilei mezzi cristiani e mezzi Giudei, pericolosi e irriducibili in Palestina; Cristiani di stampo paolino in altre aree dell'impero, piuttosto concilianti col potere imperiale a meno che questo non li obbligasse a cose contrarie alla loro religione. Mancano tuttavia solide attestazioni a una simile bipartizione, Giustino ed Egesippo infatti non parlano di Galilei cristiani ma di Galilei come setta ebraica che presumibilmente non accettava Gesù Cristo.

Nel frattempo, vi posto alcune considerazioni linguistiche su το εθος in Epittèto:

in greco il sostantivo neutro το εθος denota sostanzialmente: (1) abitudine, (2) usanza, (3) costume, (4) tradizione, con riferimento sia a una persona che a un gruppo di persone (come un popolo, una città, ecc…).

In Epittèto abbiamo quasi sempre il significato di "usanza", "abitudine a fare una stessa cosa (sia positiva che negativa)", essenzialmente un'abitudine psicologica, un abito mentale (non necessariamente corretto), cfr. 1,27; 3;12; 3,16; 3,25 e 4,12 dove l'uso avviene di preferenza al singolare, ma vi sono attestazioni anche al plurale.

Il passaggio di cui in 4,7 è quello sui Galilei oggetto di discussione (quindi lo accantoniamo per il momento) mentre in 2,13 abbiamo un riferimento ai "costumi di una città" (uso al plurale, τα εθη) non si tratta delle "leggi della città" che Epittèto indica con il plurale di νομος nello stesso passaggio, e neppure delle cose legali/lecite (in città) che sono indicate, sempre qui, con τι εξεστιν, lett. "ciò che è lecito/possibile/ammissibile".

Ne consegue, a mio avviso, che la traduzione dovrebbe essere intesa: "Ebbene, uno può essere così disposto (inf.to pass.vo di διατασσω) riguardo a queste (cose) da pazzia (μανια) e i Galilei (οι Γαλιλαιοι) da abitudine (εθος)" (Arr.EpictD. 4,7,6).

A mio parere si tratta di una abitudine mentale di uno che nasce in quelle condizioni o che ha assunto quel modo di operare quasi inconsapevolmente. Mi viene da dire che non alluda a una setta nella quale un adulto entra, ne apprende le regole, le leggi, e poi le applica, cambiando il suo atteggiamento. Sembra quasi una abitudine dovuta al fatto che il Galileo ha sempre fatto così, senza chiedersi troppo il perchè, magari è nato in quelle condizioni, come chi è nato Giudeo è abituato a certi cibi ma non ad altri, ad avere come capitale Gerusalemme e non un'altra città, ma senza che queste scelte siano dettate da motivazioni razionali, sono usanze, costumi (Epittèto non ammetterebbe certo una giustificazione legale su base biblica). Ricordiamo che si tratta comunque di una "abitudine" non giustificata dalla ragione, da quel λογος che, dice Epittèto, dovrebbe portare alle stesse cose ottenute da μανια e da εθος, dunque questa "abitudine" non ha basi filosofiche, non è dettata da un ragionamento o da una dimostrazione logica (αποδειξις). Per questo si potrebbe pensare a una specie di caratteristica propria del popolo della Galilea. In effetti Flavio Giuseppe parla molto bene dei Galilei intesi come popolo, dice in pratica:

Bell. 3,41-42 – [41] Pur avendo questa modesta estensione ed essendo circondate da tanti popoli stranieri, le due Galilee si sono sempre difese da ogni invasione nemica. [42] Infatti i Galilei (Γαλιλαιοι) sono bellicosi (μαχιμοι) fin da piccoli e sono stati sempre numerosi, e come gli abitanti non hanno mai conosciuto la viltà (δειλια) così la regione non ha mai conosciuto lo spopolamento (λιπανδρια), poiché essa è tutta ubertosa e ricca di pascoli e di alberi di ogni specie, sì che per tale feracità alletta anche chi è meno propenso al lavoro dei campi.

Comunque, è forse poco dire che non conoscevano la viltà/codardia (δειλια) e che in pratica erano molto forti e coraggiosi (tanto da non essere mai invasi da popoli stranieri) per far dire quelle cose ad Epittèto.

Concludo dicendo che non mi sembrano molto appropriate alcune traduzioni circolanti in internet che rendono il passaggio di Epitèto: "anche per follia uno può resistere a quelle cose, o per ostinazione, come i Galilei", qui la parola εθος usata da Epittèto è diventata addirittura "ostinazione", che mi sembra un concetto ben diverso da "abitudine" o anche soltanto da "costume","usanza".

Edited by Hard-Rain - 24/6/2010, 08:11
 
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Saulnier
view post Posted on 18/6/2010, 22:50     +1   -1




La traduzione di Yadin della lettera di Bar Kokhba è la seguente:

From Shimeon ben Kosiba to Yeshua
Ben Galgoula and to the men of the fort,
peace. I take heaven to witness against me
that unless you mobilise [destroy?] the Galileans who
are with you
every man, I will put fetters
on your feet as I did
to ben Aphlul


Yadin è del parere che qui Galilei è da intendersi in senso geografico, dice infatti:

Alcuni studiosi interpretano ‘Galilei’ come ‘Cristiani’, ma ciò non ha senso in quanto il termine Galileo, senza un ulteriore qualifica, era generalmente usato per denotare la gente di Galilea e io credo che in questo caso si debba intendere in tale maniera.

Ma la traduzione della lettera parallelamente alla sua interpretazione è molto controversa. Harold Louis Ginsberg, professore di letteratura rabbinica, traduce in maniera nettamente differente con un importante apparato di note:

From Simeon ben Kosbah to Jeshua ben Galgolah and to the men of the fort, Greeting. I call Heaven to witness against me that if a single one of the Galileans whom I rescued is harmed (?) (that) I will put the fetters on your feet as I did to Ben Aflul- Simeon ben Kosbah, Prince of Israel

Questa traduzione lascerebbe pensare piuttosto che i Galilei siano dei ribelli associati a Bar Kokhba.

A proposito dei Galilei volevo anche citare anche un passaggio della Mishnah (Yadam IV. 8) in cui secondo alcuni studiosi (ad esempio Hengel, Graetz e Derenbourg) l’eretico in questione, un Galileo, sarebbe da intendersi come un partigiano di Giuda di Gamala (di questo brano esistono diverse varianti):

Disse un eretico Galileo: “Mi lamento con voi, o Farisei, poiché scrivete nei documenti il nome del governatore con il Nome [divino].”
Dissero i Farisei: “Ci lamentiamo con te, o eretico Galileo, poiché tu scrivi il nome del governatore su una pagina della Torah con il Nome [divino]”


Molto importante anche questo passaggio del Contra Apionem (I,47-48) di Giuseppe Flavio:

Ora, io feci pure un resoconto veritiero dell’intera guerra e delle cose che accaddero in ciascuna parte, poiché mi capitò di essere presente in tutte le vicende. Giacché io ero il comandante di coloro che noi chiamiamo ‘Galilei’ fino a che fu possibile resistere e, dopo essere stato catturato, vissi tra i Romani come prigioniero.

In questo caso mi pare che si possa escludere che Galilei sia da intendersi in senso geografico.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 19/6/2010, 01:04     +1   -1




CITAZIONE
In questo caso mi pare che si possa escludere che Galilei sia da intendersi in senso geografico.

Eh, parliamone perchè anche io ho trovato delle anomalie. Infatti in Bell. 2,622 I Galilei comandati da Flavio Giuseppe sono nemici di Giovanni di Giscala, figlio di Levi, acerrimo nemico di Flavio Giuseppe durante la prima fase della rivolta giudaica. Poi però in Bell. 4,558-559 Flavio Giuseppe scrive: "Così per il popolo Simone era, fuori le mura, un nemico più terribile dei romani, mentre all'interno più feroci degli altri due erano gli Zeloti, fra i quali si distingueva per i disegni delittuosi e per la temerità il gruppo dei Galilei [559] erano stati infatti costoro a portare al potere Giovanni (di Giscala), ed egli li ricompensava del predominio che gli avevano procurato concedendo a ciascuno di fare ciò che voleva." Allora questi Galilei erano amici o nemici di Giovanni di Giscala? Oppure nel primo passo che ho citato si intende che Flavio Giuseppe comandava dei Galilei, il popolo della Galilea, mentre invece nel secondo passaggio si intendono dei Galilei che andavano d'accordo con Giovanni? Che Flavio Giuseppe comandasse i Galilei è ovvio da tutta la prima parte del Bellum, infatti fu incaricato di comandare e proteggere quell'area geografica, fino a quando fu poi catturato dai Romani.
 
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Saulnier
view post Posted on 19/6/2010, 08:51     +1   -1




CITAZIONE
Eh, parliamone perchè anche io ho trovato delle anomalie.

Questione non risolvibile in maniera semplice. Importanti studiosi che hanno affrontato l’argomento sono giunti a conclusioni opposte.
Ad esempio Solomon Zeitlin (“Who were the Galileans? New Light on Josephus’ Activities in Galilea”, Jewish Quarterly Review, 64) conclude, basandosi soprattutto sull’analisi del termine in Vita, che ‘Galilei’ in molti casi non ha una connotazione geografica ma è un appellativo dato ai rivoluzionari contro i Romani.
Louis Feldman al contrario (“The term ‘Galileans’ in Josephus”, Jewish Quarterly Review, New Series, vol.72, n.1) conclude affermando che il termine in Flavio Giuseppe non ha una connotazione politica e non è da intendersi quindi come un partito.

cit. chimofafà
CITAZIONE
CITAZIONE
Vedi anche Atti (XXIV, 5) i Giudei che accusano Paolo davanti a Felice.

Abbiamo scoperto che quest'uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra tutti i Giudei che sono nel mondo ed è capo della setta dei Nazorei.

Però su Paolo c'é anche questo: Rm 13, 1-7; 12,14-21, che senso avrebbe un capo appartenente ad una setta che crea disordini in tutto il mondo che invita ad essere sottomessi alle autorità? (Qui abbiamo le parole dell'autore piuttosto che del biografo) Ma non solo anche 1 pt 2, 18-25; negli stessi Vangeli (Mc 12,17;Mt 22, 20-22; Lc 20,25; 3,14; Gv 19,11 c'è un'espresso invito a rispettare l'autorità, i testi sono addirittura filoromani.

Certo. Io non credo che Paolo fosse il capo della setta giudeo-cristiana dei Nazorei.
Ho citato il passo perché dal menzionato passaggio di Epifanio (vedi anche Philastrius), che come Giustino ed Egesippo nomina le sette eresie giudaiche, sembrerebbe che l’eresia dei Nazareni sia da identificarsi con quella dei Galilei che troviamo in Egesippo e Giustino.
Giovanni Malalas ci dice che questi nomi (Nazareni e Galilei) erano quelli dei Cristiani prima di Claudio.
Il passaggio degli Atti inoltre, (“fomenta continue rivolte tra tutti i Giudei che sono nel mondo ed è capo della setta dei Nazorei”) pare individuare forti analogie tra questa setta è quella zelota.
D’altra parte lo scopo dei Giudei negli Atti è quello di far sì che Felice prenda dei provvedimenti nei confronti di Paolo e l’unica possibilità affinché ciò possa accadere è che vi sia un movente politico, ergo la setta Nazareno-Cristiana aveva come quella Galileo-Zelota un movente politico.
Infine lo stesso Paolo è portato a difendersi dicendo: “Essi non mi hanno mai trovato nel tempio a discutere con qualcuno o a incitare il popolo alla sommossa”.

 
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Hard-Rain
view post Posted on 19/6/2010, 10:47     +1   -1




CITAZIONE
Giovanni Malalas ci dice che questi nomi (Nazareni e Galilei) erano quelli dei Cristiani prima di Claudio.

Ma quanto è affidabile questa tarda testimonianza (Malalas visse tra il 491 e il 578 dopo Cristo)? A me il passaggio in questione sembra dipendere da At. 11,26 dove si afferma che ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani e da At. 24,5 dove è invece scritto che i primi discepoli guidati da Paolo dopo la morte di Gesù erano chiamati Nazareni. L'unica novità è il riferimento ai Galilei, di cui però non abbiamo tracce in connessione con i gruppi cristiani del I-II secolo.

A. Harnack cita come possibili riferimenti neotestamentari al fatto che i discepoli di Gesù, dopo la sua morte, erano chiamati Galilei due passi degli Atti. Trattasi di At. 1,11 dove Pietro si rivolge ai suoi compagni, seguaci di Gesù, chiamandoli “Uomini Galilei” (ανδρες Γαλιλαιοι), e At. 2,7 la folla chiama i discepoli “Galilei” (Γαλιλαιοι). Sinceramente, a me sembrano due ipotesi molto remote, soprattutto la seconda mi sembra più che altro motivata dalla provenienza geografica che non dalla appartenenza a un gruppo religioso. Non dimentichiamo poi che se si considera storicamente attendibile Lc. 13,1-2 comunque Gesù la pensasse nei confronti di quei Galilei bisogna ammettere che egli non faceva parte di quel gruppo (ma qui appunto continua a rimanere aperta la questione se Luca/Gesù si riferisse a dei Galilei come provenienza geografica, dei semplici pellegrini provenienti dalla Galilea che avrebbero subito violenza, o come setta particolare come ad esempio quella di Giuda il Galileo). Resta poi inteso che mancano prove definitive e inoppugnabili che i seguaci di Giuda il Galileo si siano mai fatti chiamare Galilei.

Se dunque il Nuovo Testamento, alla fine dei conti, non "teme" (ammesso che si debba mai "temere" chissà che cosa) di citare zeloti persino tra il primitivo gruppo che seguiva Gesù, di nominare i Nazareni, di parlare di un "Iscariota" (che potrebbe lasciar intuire la parola sicario, anche se io sono convinto che non volesse significare questo), perchè mai tanta reticenza nel parlare di Galilei, oltretutto ben sapendo che comunque, qualora ci fosse qualche riferimento, nulla vieterebbe di intenderlo come un puro e semplice riferimento geografico?

CITAZIONE
sembrerebbe che l’eresia dei Nazareni sia da identificarsi con quella dei Galilei che troviamo in Egesippo e Giustino.

Se prestiamo fede a Giustino non possiamo considerarle sette cristiane in senso stretto, infatti le annovera chiaramente tra le sette ebraiche. Inoltre da dove si evince che i Nazareni sono da identificare con i Galilei, piuttosto che con i Genisti o i Meristi? A me pare invece che i Nazareni siano un gruppo Cristiano o con forte relazione con i Cristiani e che dunque in questo passaggio e in Egesippo/Eusebio non siano riportati in quanto non pertinenti.

Edited by Hard-Rain - 19/6/2010, 12:08
 
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chimofafà
view post Posted on 19/6/2010, 13:43     +1   -1




CITAZIONE
Se dunque il Nuovo Testamento, alla fine dei conti, non "teme" (ammesso che si debba mai "temere" chissà che cosa) di citare zeloti persino tra il primitivo gruppo che seguiva Gesù, di nominare i Nazareni, di parlare di un "Iscariota" (che potrebbe lasciar intuire la parola sicario, anche se io sono convinto che non volesse significare questo), perchè mai tanta reticenza nel parlare di Galilei, oltretutto ben sapendo che comunque, qualora ci fosse qualche riferimento, nulla vieterebbe di intenderlo come un puro e semplice riferimento geografico?

Ma io direi che si può andare oltre, per esempio a tempo zero.

Nei Vangeli abbiamo queste testimonianze:

"Anche tu eri con Gesù, il Galileo!" (Mt 26, 69);

"E' vero, tu [Pietro] certo sei uno di loro; infatti sei Galileo". (Mc 14, 70);

In verità, anche questi [Pietro] era con lui; infatti é Galileo (Lc 22, 59).

In questi passi sia Gesù che Pietro sono Galilei!

Il punto é: si tratta di un semplice riferimento geografico, direi dispreggiativo, un pò come anche adesso si usa fare per distinguere l'appartenenza ad una determinata etnia o era un sottogruppo conosciuto come "Galilei"? Magari utilizzato con connotazioni e sfumature diverse da qualche altro gruppo di "Galilei" ed in Matteo sembra essere Gesù che espande questa definizione al gruppo. Cioé quanti gruppi di "Galilei" c'erano nella Galilea e come si differenziavano?

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 19/6/2010, 14:31     +1   -1




CITAZIONE
Il punto é: si tratta di un semplice riferimento geografico

In questi tre casi, che provengono tutti dallo stesso episodio raccontato dai sinottici, vale a dire le cosiddette negazioni di Pietro, mi pare sia da preferire la soluzione geografica. L'episodio si svolge a Gerusalemme, relativamente lontano dalla Galilea, e difatti Pietro è ricnosciuto come Galileo sostanzialmente per la sua parlata, "certo anche tu sei di quelli, la tua parlata di tradisce" (Mt. 26,73). In Mc. 14,70 e Lc. 22,59 non c'è un esplicito riferimento alla "parlata", ma l'identificazione avviene indubbiamente su basi esteriori, basta guardare o sentire parlare Pietro per dire che è un Galileo, non occorrono complesse indagini o delatori o spie (come per chi appartiene a una setta), tanto che dei popolani lo riconoscono facilmente. In questi casi, come del resto anche nel citato passo di At. 2,7, mi sembra da preferire la spiegazione geografica. E poi bisogna pesare con molta circospezione le argomentazioni, altrimenti concluderemmo, che so, che anche la donna sirofenicia apparteneva a un qualche tipo di strana setta del tempo: non è che per ogni parola che denota appartenenza a qualcosa per forza debba celarsi chissà quale setta o che la si possa sempre interpretare come una anfibologia.
 
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chimofafà
view post Posted on 19/6/2010, 14:53     +1   -1




Su Epitteto mi sentirei di dire che tuttosommato, personalmente non vedo nessun riferimento ai "cristiani", piuttosto ad un gruppo etnico che si distingue per delle sue peculiarità, però in Mt 26,69 perché chiamano Gesù "il Galileo"? [tr Gesù, il Galileo (Merk-Bargablio e il "nazoreo" Nestle-Aland) e non un Galileo qualsiasi] come sembra essere identificato Pietro. "Il (articolo determinativo) Galileo" può essere un qualunque Galileo?

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 19/6/2010, 15:22     +1   -1




La presenza dell'articolo lascia indubbiamente supporre una peculiarità, "il" Galileo (per qualunque motivo fosse chiamato così). Anche Giuda il Galileo è chiamato con l'articolo in At. 5,37 (Ιουδας ο Γαλιλαιος). Ma per quale motivo Giuda il Galileo è chiamato "il" Galileo? E' un'altra bella questione. Sappiamo che Giuda che operò in Galilea, Flavio Giuseppe non dice che la setta di Giuda il Galileo si chiamasse "setta dei Galilei", anche in questo caso pare una connotazione più che altro motivata dal campo d'azione di questi personaggi. Comunque, per risponderti, l'articolo particolarizza indubbiamente il personaggio.
 
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chimofafà
view post Posted on 19/6/2010, 16:49     +1   -1




Ci sono dei dati che sarebbe utile approfondire, alcuni punti fermi, soprattutto in Luca:

Luca ogni volta che fa affrontare a Paolo un processo lo fa presentare dagli accusatori sempre come qualcuno che fomenta rivolte (At 17, 5-7; 21,38; 24,5). Sempre Luca in Lc 23,5 fa rappresentare dagli accusatori Gesù come un "sedizioso" di fronte a Pilato e inserisce sia Gesù che Paolo all'interno di una "setta" (At 24, 14-15), anche a Roma Luca fa dire all'uditorio di parlare di questa "setta" che "trova ovunque opposizione", però in antitesi già al capitolo secondo di Atti troviamo un certo seguito "internazionale" di questa setta.

Inoltre in Atti 5,17 i sadducei sono qualificati pure come "setta", Flavio non parla espressamente di una "setta di cristiani" nelle sue classificazioni, eppure in Atti sembra che le cose stiano diversamente (la setta sembra essere conosciuta ovunque).

Sembra come se ci fosse una diversa prospettiva di "vedute" tra chi vedeva il movimento dall'esterno e chi lo viveva dall'interno.

Forse, Luca dando queste rappresentazioni vuole lanciare il messaggio (considerando che ogni volta precisa delle posizioni) ai romani che i "cristiani" non hanno nulla da condividere con le "sette" ebraiche che di volta in volta hanno fomentato disordini.

Se così fosse, Atti sarebbe solo "apologia" priva di fondamento storico, dove l'unica cosa che importava era il messaggio.

Ciao.

Edited by chimofafà - 19/6/2010, 18:15
 
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chimofafà
view post Posted on 19/6/2010, 20:42     +1   -1




Per Hard

En passant, leggendo qualche riferimento ad Atti sulle cose postate, se possibile, vorrei avere una spiegazione a questo mio dubbio:

In Atti 5, 36 (lasciando perdere la "sfasata" cronologia tra Giuda il Galileo e Teuda) Gamaliele parla di Teuda come di uno già ucciso [a quei tempi], secondo Flavio tutto si sarebbe svolto sotto Cuspio Fado (44-46 d.C.), ma ancora di Paolo in queste narrazioni non c'é traccia. Invece al capitolo 9, 25 i discepoli di Saulo lo fanno scendere [a Saulo] lungo le mura, calandolo da una cesta. In 2 Cor 11, 32-33 Paolo parla direttamente di questo fatto avvenuto al tempo di Areta (re dei Nabatei), quando aveva esteso la sua influenza anche a Damasco (37-39 d.C. circa).

Come é possibile che Gamaliele in Atti prima narri di un fatto avvenuto tra il 44-46 d.C. e successivamente si parla di Paolo che arriva a Damasco nel 37-39 d.C.?

C'é qualche spiegazione?

Ciao.

 
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Saulnier
view post Posted on 21/6/2010, 14:48     +1   -1




Il padre ‘de la Rue’ della Compagnia di Gesù, nel 1703 fu mandato in Linguadoca a seguito delle rivolte che si erano scatenate nella provincia e ivi predicò il seguente sermone (riprodotto anche in Migne e da me parzialmente tradotto). Un brano, trasudante antisemitismo, che ritengo particolarmente significativo per la comprensione non solo della problematica Galilei-Cristiani-Zeloti, ma anche delle cause che hanno portato alla nascita della religione cristiana.
A patto, naturalmente, di leggere con gli occhi dello storico e non con quelli della fede, le parole del padre gesuita.

Si era diffusa allora, in tutto l’Oriente, un’idea senza dubbio inspirata dal Cielo, che fosse giunto il tempo in cui il Messia doveva comparire. I Giudei se lo figuravano come un Liberatore, i Pagani come un Conquistatore che doveva sottomettere tutto il mondo.
Erode stesso aveva trovato degli adulatori così impudenti da incensare la sua vanità con i fumi di questo onore. Si osò persino prodigare lo stesso titolo all’imperatore Vespasiano, benché fosse un idolatra. Chiunque fosse così ardito da erigersi a Messia, a Profeta, a Fattore di Miracoli, a uomo inviato da Dio, trovò dei popoli interi disposti a crederlo e a seguirlo.

Strano avvenimento! Perché quello era il secolo in cui la verità doveva manifestarsi, in cui Dio aveva scelto di dare al mondo un Salvatore, per questo si videro in movimento tutte le Potenze delle tenebre e i popoli, infatuati dall’amore di libertà, si abbandonarono perdutamente a tutti quelli che la promettevano senza neppure osare dubitare della verità delle promesse.

Nello stesso periodo in cui Gesù veniva nel mondo per portarvi la salvezza, si elevò tra il popolo giudaico colui che doveva causarne la rovina intera: un Giuda, non colui che tradì il Figlio di Dio, ma un altro con lo stesso nome, che, a causa dello zelo forsennato per la libertà della sua Patria, la gettò nella schiavitù e ne fu lo sterminatore. Egli era di Galilea e il nome di Galilei, che fu dato a quelli della sua Setta, avrebbe dato luogo da allora di confondere i suoi discepoli con quelli di Gesù Cristo, che passava per Galileo; l’orrore che si ebbe per questo nome, fu il primo ostacolo allo stabilirsi della religione cristiana.

Un sentimento fanatico aveva afferrato lo spirito di questo maledetto Galileo, su queste parole della Legge : Tu temerai il Signore Dio tuo e non servirai che Lui. Queste parole così solenni che fino ad allora non avevano impedito al Popolo dei Giudei di obbedire ai Giudici e ai Re, fornirono a questo impostore un pretesto pubblico di rivolta e di indipendenza. Egli fece a tutti gli insensati che vollero ascoltarlo, un punto capitale della Religione di non rendere alle Potenze della terra alcun genere di sottomissione, di non pagare alcun tributo, di non dare a nessun mortale il nome di Maestro o di Signore, ancor meno i Cesari e ai Governatori Romani, poiché essi erano idolatri. Vi lascio immaginare quale progresso fece questa Setta sediziosa, armata di un’ordinanza della Legge, che pareva così esplicita, presso gli spiriti più focosi, che l’impazienza del giogo rendeva sempre disposti a scuoterli.

Qual confronto tra questi Galilei ribelli e i Galilei discepoli di Gesù Cristo! Umiltà, dolcezza, obbedienza ai Sovrani, fedeltà nel pagare i tributi, erano queste le lezioni e gli esempi del loro Maestro. Invano i Farisei, per esporlo all’indignazione delle Potenze gli chiesero se fosse permesso o meno pagare il tributo a Cesare. Egli disse loro che Dio e Cesare avevano diritti del tutto differenti, i quali, una giusta subordinazione, rendeva compatibili. Invano la popolazione, stupefatta per il miracolo della moltiplicazione dei pani e forse colpita da questo spirito di rivolta, allora così comune, volle proclamarlo Re; la sua fuga arrestò i loro tentativi e condannò la loro follia.

Ma malgrado le sue sagge risposte e gli esempi continui di sottomissione e di dipendenza che egli dava alla sua Nazione, il male aumentava tutti i giorni, gli incanti, le illusioni, i prestigi vi si mescolarono. Un nuovo visionario, raccogliendo presso di lui la popolazione intestardita, si fece credere Inviato da Dio, per ristabilire la gloria dei sacrifici. Egli pretendeva che Mosé aveva nascosto sul monte Garizim, un tesoro di vasi sacri e che occorreva andarvi a sacrificare a mano armata. Una grande moltitudine del popolo vi accorse, erano dei Samaritani secondo il resoconto di Giuseppe, dei Galilei, secondo San Luca: cioè a dire che essi erano Samaritani di Nazione e Galilei di Setta.
Essi andarono verso la montagna ma là, sorpresi dalle truppe di Pilato, furono per la maggior parte massacrati e secondo l’espressione di San Luca, questo Governatore mescolò il loro sangue a quello dei loro sacrifici: Quorum sanguinem Pilatus miscuit cum sacrificiis eorum.

Questa triste avventura fu anche raccontata a Gesù Cristo e quale fu, miei fratelli, la riflessione che egli ne trasse? Riflessione degna di un Dio che, vedendo il fondo dei cuori e gli avvenimenti futuri, serviva all’istruzione e alla conversione degli uomini. Credete che quei Galilei, che vennero e furono così trattati, siano i più grandi peccatori tra i Galilei? No, vi dico, ma se non fate penitenza, voi perirete tutti allo stesso modo. Nisi poenitentiam habueritis, omnes similiter peribitis.

Queste parole che sottolineavano la sua pietà nei confronti di questi disgraziati che si erano lasciati sedurre, scusavano forse i loro errori, la loro credulità, la loro sedizione ? No, ma esse dichiaravano ancora più colpevoli coloro che li avevano sedotti, esse portavano una sentenza terribile contro tutta la Nazione, che questo Fanatismo nascente andava ad inviluppare nella sua rovina; esse esponevano questo massacro agli occhi dei Dottori della legge, come un’immagine ed un presagio sicuro di disgrazia che, trent’anni dopo, doveva colpire tutti i Giudei, se essi non avessero fatto penitenza: Nisi poenitentiam habueritis, omnes similiter peribitis.

Lo fecero dunque? Si pentirono? Al contrario, essi non badarono che ad accontentare il loro odio e la loro gelosia e lasciando ai Romani la cura di reprimere i Galilei sediziosi, essi applicarono tutte le loro attenzioni ad opprimere il giusto Galileo che predicava loro la penitenza. Essi cercarono tutti i mezzi, uno dei più maligni, fu di accusarlo di avere impedito che si pagasse il tributo a Cesare. Questa accusa, benché fosse completamente falsa e calunniosa, ebbe il suo effetto: essa intimidì il Giudice e l’Uomo Dio protettore e vendicatore dei diritti del Re, fu messo in croce come un ribelle.

E cosa accadde dunque ai Fanatici sediziosi? Il loro tempo verrà. Intanto Gesù Cristo, cinque o sei giorni prima della sua morte, prevedendo gli eccessi in cui questi emissari di Satana dovevano portare il loro furore e la rovina di Gerusalemme che ne sarebbe stato il seguito, gridò:
Gerusalemme, Gerusalemme quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, riunirli e tu non hai voluto! Il tempo si avvicina in cui le vostre case e le vostre città saranno lasciate deserte!
...
Se mai il Fanatismo dovette essere funesto alla Chiesa, non fu in questa rivoluzione del Trono e del Popolo Giudaico ? Essa era allora confusa, quantomeno nell’idea dei Pagani, con la Sinagoga dei Giudei.

I Romani e i loro Imperatori, facevano poca differenza tra l’una e l’altra Legge: noi passavamo tutti, Giudei e Cristiani, per adoratori di un solo Dio, per nemici degli Dei dell’Impero, essi guardavano i nostri miracoli come dei prestigi da incantatori, il credo dei nostri Martiri come la ferocia degli Zeloti: il nome stesso di Galilei, che essi ci davano per disprezzo, ispirava loro, nei nostri confronti, lo stesso orrore che per i Galilei ribelli, essi ci perseguitavano, infine, per gli stesse pretesti e con medesimo rigore.

Ma anche con il medesimo successo ? Tutto l’universo ne è testimone. Il Trono ed il Tempio dei Giudei, sconvolti dal Fanatismo, sono stati colpiti sotto le loro rovine senza essersi potuti più risollevare. Tutte le volte che essi hanno tentato uno sforzo per uscirne, hanno trovato il braccio degli Imperatori, o piuttosto quello di Dio, pronto a farli rientrare nella loro polvere. Cinquanta anni dopo la loro distruzione da parte di Tito, avendo voluto ancora una volta risollevarsi, sotto la guida di Barcocheba, che per Fanatismo scelse il suo nome, proclamandosi la stella di Giacobbe, promessa da Balaam per la liberazione dei Giudei, allora la loro rovina fu decisa da Adriano; più di centomila uomini furono ammazzati, più di mille villaggi demoliti. Adriano, confondendo l’innocente con il colpevole, volle estendere fino ai Cristiani l’odio che egli portava verso i Giudei. Egli fece quando in suo potere per sradicare i resti di questa odiosa Nazione, di levare persino le fondamenta dei loro castelli e dei loro luoghi; ma non fu in suo potere di scuotere la Chiesa di Cristo, di impedirle di stabilirsi nel cuore stesso di Roma e questo Dio Onnipotente che si serviva della mano dei Cesari per abolire la Religione dei Giudei, corrotta dal fanatismo, allo stesso tempo elevava con la sua mano la religione di Gesù Cristo sul Trono stesso dei Cesari e della Capitale del mondo idolatro e ne fece, suo malgrado, la Sede Perpetua dell’Impero della Fede.

Concludiamo dunque, miei cari Ascoltatori. Come terminò questo grande sforzo dell’inferno, questo progetto pernicioso di contraffare i miracoli degli Apostoli di Gesù Cristo e di screditare con l’impostura l’opera di Verità? Tutto questo non servì ad altro se non a liberare la Chiesa di Gesù Cristo dal più grande ostacolo che si opponeva alla sua installazione: questo ostacolo non era lo stato dei Giudei? Cosa fece Dio per annientarlo? Egli fece nascere il Fanatismo e questo Fanatismo, eccitato dal Demone per la rovina della Chiesa ebbe, per effetto divino, un effetto completamente opposto. Tanto è vero che il Fanatismo fu fatale solo ai nemici della Chiesa.


Quello che non era stato possibile ottenere con la Forza, fu ottenuto infine con l’Inganno.
 
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chimofafà
view post Posted on 21/6/2010, 18:15     +1   -1




CITAZIONE
Essi andarono verso la montagna ma là, sorpresi dalle truppe di Pilato, furono per la maggior parte massacrati e secondo l’espressione di San Luca, questo Governatore mescolò il loro sangue a quello dei loro sacrifici: Quorum sanguinem Pilatus miscuit cum sacrificiis eorum.

Questa triste avventura fu anche raccontata a Gesù Cristo

Riusciresti a fornire più dettagli su questo episodio?

per esempio alcuni identificano questo episodio con l'episodio del furto dei soldi del tempio (da parte di Pilato) per costruire un acquedotto (Bell. 2, 175-177) con un massimo temporale nel 29 d.C. ma da Gv 6, 4 sappiamo che in quell'anno Gesù non venne a Gerusalemme per la Pasqua.

Se invece viene riferito all'episodio dei samaritani in riferimento dei sacri recipienti e Pilato , se non sbaglio si riferisce al 36 d.C. come é possibile conciliare i due episodi con la cronologia Gesuana? A questo punto Gesù sarebbe morto nel 36 d.C. o dopo (bordline con il mandato di Pilato).

Ciao.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 21/6/2010, 19:06     +1   -1




CITAZIONE
per esempio alcuni identificano questo episodio con l'episodio del furto dei soldi del tempio (da parte di Pilato) per costruire un acquedotto (Bell. 2, 175-177) con un massimo temporale nel 29 d.C. ma da Gv 6, 4 sappiamo che in quell'anno Gesù non venne a Gerusalemme per la Pasqua.

Anche io pensavo a questo episodio, ma non ho prove storiche, solo una vaga idea.
 
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74 replies since 17/6/2010, 08:32   1875 views
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