CITAZIONE (-Waylander- @ 22/3/2011, 15:21)
Risponde alla nostra esigenza di senso esattamente come la teologia, che è l'inculturazione dell'esperienza religiosa. L'uomo non può non porsi domande e non può non cercare risposte. Ovviamente c'è la possibilità di bypassare il tutto nella fede, ma questo mi sembra denoti una dicotomia insanabile tra fede e ragione, l'orrendo fossato di Lessing rimane insuperato, la fede si svuota di ogni pretesa non dogmatica e il mondo diviene un alieno. Eppure se noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e Dio è logos, ragione prima e senso della ragione, allora la teologia può superare il fossato della fede e aprirsi al mondo, che non è più alieno ma campo dell'agire di Dio a noi almeno parzialmente comprensibile in quanto anch'esso creazione (omne agens agit sibi simile). E il male, sia quello morale, ovvero volontario, sia quello cieco, chiamiamolo naturale, trovano il loro posto non nella volontà punitiva di Dio ma in quella liberatrice, come precondizioni della libertà umana. Concordo invece che un uso meramente apologetico della teodicea è del tutto privo di senso, soprattutto se si tratta di teodicea malandate come quella di cui sopra. Ma è il limite di ogni apologetica. E, direi, della teologia stessa.
Ma io sono ben d'accordo che l'uomo non può non interrogarsi, e che la questione della teodicea manifesti una pertinente domanda di senso (così come sono d'accordo su una possibilità d'incontro tra fede e ragione, e sull'inculturabilità della stessa).
Quello che ritengo teologicamente inappropriato non è la domanda, ma la risposta.
Non è detto che ogni nostra domanda intellettuale debba per forza trovare una risposta nella rivelazione di Dio. A me sembra che la rivelazione ci dia materia per rispondere alla domanda sul male morale e la sua compatibilità con la volontà di bene di Dio (personalmente infatti non riesco ad immaginare una reale libertà creaturale che non presupponga una reale possibilità di opporsi o sottrarsi alla volontà divina - anche se Tommaso la pensava diversamente).
Ma quando si tratta della domanda sul perché del male naturale, io non trovo che la rivelazione ci offra alcun lume. Tutto quello che sappiamo è che:
A) la creazione, seppur buona, è intaccata da un male che non è riducibile alla naturale limitazione della finitudine creaturale, ma è oggettivo disordine, presenza di qualcosa che noi intuiamo che non-dovrebbe-essere
B) questa creazione geme come nelle doglie del parto in attesa della liberazione
C) Dio è infinito amore e infinita volontà di bene e
solo di bene.
E io ritengo che ci si debba attenere alla ricognizione di questi dati. Ogni tentativo di sistematizzarli in modo coerente, è solo una nostra hybris intellettuale, con cui cerchiamo di metterci al posto di Dio per carpire quelle ragioni che egli non ci ha rivelato.