CITAZIONE
Credo che tu postuli una chiarezza che non era tale neppure nei cristiani. Chi crede che ci fosse un culto di Cristo non per questo sostiene che chi lo praticava smettesse di considerarsi giudeo. Anzi, i cristiani di origine giudaica sostenitori di questo culto ritenevano di essere il compimento della loro religione. Sicché, se loro non smisero di considerarsi Ebrei, come Paolo del resto, eppure adoravano Cristo, chi era Tiberio per potersi districare meglio in questa situazione e dire a questa gente che non era ebrea? Al massimo Tiberio avrebbe potuto prender atto dal fatto che c’erano dei Giudei che si comportavano diversamente dai loro correligionari, ma non è proprio questo che fa qualsiasi setta? E poi la designazione di ebreo come ripeto è etnica, e dunque, se c’erano degli ebrei che s’erano messi ad adorare Cristo, non è certo questa loro stramberia che poteva renderli meno Ebrei.
Va bene, non ho molto tempo per continuare la discussione, quindi lascio cadere questo punto della individuabilità socio-religiosa dei cristiani agli occhi di Tiberio (che pure resta di per sé rilevante se, come fanno abitualmente gli studiosi, si considera la notizia di Svetonio come la prova che a Roma i cristiani non erano ancora percepiti distintamente rispetto ai giudei: e se ciò valeva al tempo di Claudio, non poteva essere diversamente al tempo di Tiberio).
Ammettiamo quindi pure che Tiberio avesse semplicemente saputo da Pilato dell’esistenza di gruppi ebraici messianisti che consideravano il loro messia alla stregua di un Dio ed erano per questo perseguitati dall’autorità giudaica, e che egli abbia ritenuto di dover pacificare la situazione, magari individuando nella situazione un’occasione per valorizzare un messianismo ebraico puramente religioso e non-antiromano e, di converso, inibire quello politico e antiromano. Questo non sembra essere il modo in cui la Ramelli interpreta la cosa (dal momento che parla esplicitamente del riconoscimento di una nuova religione), ma va bene, proseguiamo con la tesi in versione-Sordi.
CITAZIONE
Ovviamente il discorso si sposta su altro piano se si vuole negare che ci fosse in date così alte una coscienza delle divinità di Cristo. Ma per Marta Sordi, che è abituata a prendere sul serio il Nuovo Testamento, questo problema ovviamente non si pone, né si dovrebbe porre per chi prenda sul serio l’inno cristologico in Fil 2,6.
Il discorso sullo sviluppo della venerazione cultuale di Cristo è molto complesso e sfumato. Hurtado (che va per la maggiore in materia, ma le cui posizioni dovrebbero comunque essere confrontate con quelle rivali di Maurice Casey e James Dunn) chiarisce molto bene che la venerazione cultuale di Gesù nel cristianesimo paolino si configura come un’associazione di Gesù al (o un’estensione a Gesù del) culto rivolto all’unico Dio, che conserva chiaramente una posizione di supremazia.
Ma possiamo qui esimerci dall’addentrarci nei dibattiti sull’esegesi dell’inno di Filippesi, come pure delle altre testimonianze congruenti paoline e pre-paoline. Il punto non è infatti se nel NT siano individuabili delle concezioni cristologiche all’insegna della divinità di Gesù, e nemmeno è in discussione che vi sia stata una precoce cristologia alta o della pre-esistenza (o meglio, lo è per Dunn, che vede nell’inno di Filippesi un esempio di cristologia adamitica – ma non addentriamoci) – preesistenza che comunque non equivale ipso facto a divinità, dato che anche la Sapienza e il Messia in certi settori giudaici potevano essere visti come preesistenti, senza per questo smettere di essere creature.
Il punto invece è questo: su quali basi possiamo affermare che l’Inno ai Filippesi o altre espressioni di cristologia in qualche modo “divina”, si fossero sviluppate
non presto (perché questo lo concediamo quasi tutti)
ma così presto da poter avere come effetto la proposta di deificazione di Gesù al senato romano nel 35?
E si badi bene a ciò che questo scenario implica, perché i tasselli del domino che devono precedere la proposta di Tiberio nel 35 sono i seguenti:
A) si deve dare a Tiberio il tempo di ricevere l’informazione da Pilato e di meditare il provvedimento;
B) si deve dare a Pilato il tempo di raccogliere bene le sue informazioni (dato che buona parte dell’anno se ne stava a Cesarea Marittima), valutarle e comunicarle a Tiberio;
C) si deve assegnare alle persecuzioni una durata congrua con l’estensione che vi si attribuisce, necessaria al fine di poter risultare politicamente significative agli occhi dei romani;
D) si deve concedere un certo tempo di dibattito e conflitto pre-persecutorio tra autorità e fazioni giudaiche (sinedrio e giudei ellenisti, poiché è da questi ultimi che parte la disputa contro Stefano) e giudeo-cristiani.
Solo a questo punto si arriva al tassello “proclamazione pubblica della divinità di Cristo” che innesca la serie, ma che suppone a sua volta il tempo di sviluppo che lo divide da quella che è la cristologia più antica in assoluto: la cristologia dell’esaltazione di Gesù e della sua costituzione a Messia da parte di Dio sulla base della risurrezione.
Considerato tutto questo (e ricordando anche che è tutto fuor che certo che Gesù sia stato crocifisso nel 30: senza arrivare al 36 di Kokkinos, c’è chi propende per il 31 o il 33, e francamente non sembra esserci modo di dirimere la questione con certezza) ritengo la tesi Sordi-Ramelli improponibile.
CITAZIONE
Non vedo come si possa presumere di saperne di più degli Atti degli Apostoli sul clima che si respirava. Indipendentemente dal valore numerico della persecuzione, la situazione era tesa, come mostrano arresti ed esecuzioni abusive come quella di Stefano, e a dire il vero ciò che conta non è che fosse davvero tesa ma che venisse percepita come tale da Pilato. Non vedo cosa ci sia di problematico nel versetto, che parla così chiaro: “In quel giorno, scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria” (At 8,1-2)
Non capisco perché mai il fatto che si dica che gli apostoli restarono dovrebbe inficiare l’attendibilità della notizia. Questo particolare può avere diecimila spiegazioni e non c’è alcun motivo per dire che rifletta solo la percezione degli ellenisti. Forse il versetto vuole semplicemente dire che tutti si defilarono per paura mentre gli apostoli, in considerazione dell’incarico e della responsabilità che pensavano di avere verso la comunità, se ne andarono per ultimi. E’ lo stesso motivo per cui il capitano di una nave è l’ultimo che la abbandona quando sta affondando. Se si hanno delle responsabilità di governo infatti, se si è i punti di riferimento di una comunità, si deve restare per dare l’esempio, e resistere alle avversità testimoniando. Quindi, stando agli Atti degli Apostoli, cioè la fonte migliore che abbiamo, non ritengo che ci siano abbastanza elementi per screditare l’idea di una grande persecuzione.
La presunzione di “saperne più di Atti” è semplicemente la presunzione – se vogliamo chiamarla così – della critica storica. Ti sarà certamente noto che l’utilizzabilità di Atti come fonte storica è molto dibattuta (è una fonte tarda, variamente datata tra fine anni 80 e primo quarto del II secolo [così Pervo], e soprattutto è un’opera con la sua propria “agenda” teologica, bla bla bla).
Diciamo che, avendoti citato James Dunn con il suo recente
Beginning from Jerusalem, io mi sono rifatto alla posizione più conservatrice all’interno dello spettro delle valutazioni accademiche.
Soprattutto la questione specifica – ovvero che la grande persecuzione generale di cui parla At 8,1b debba essere interpretata come un’iperbole, e che in realtà, sul piano storico, la persecuzione toccò solamente la fazione degli “ellenisti”, e nient’affatto quella degli “ebrei” – è oggetto di un consenso davvero molto vasto tra gli studiosi.
Riguardo ai nomi, posso farti i seguenti:
Barrett (Acts of the Apostles vol. 1, p. 390), Dunn (Beginning from Jerusalem, 274-277), Gnilka (I primi cristiani, pp. 320-321), Jossa (Giudei o cristiani?, p. 114), Lupieri (“Fra Gerusalemme e Roma” nella Storia del cristianesimo di Laterza, pp. 91-92) Marguerat “Ebrei e cristiani: la separazione” nella Storia del Cristianesimo di Borla, p. 195), Penna (Le prime comunità cristiane, p. 70), Pesch (Atti degli Apostoli, p. 352), Wedderburn (A History of the First Christians, pp. 56-58).
Ma, al di là dei nomi (che pure sono tanti e autorevoli) a me bastano le seguenti osservazioni: A) nelle persecuzioni di comunità e movimenti, si prendono solitamente di mira anzitutto i leader; il fatto che Atti, nel riferire di una grande persecuzione non menzioni la benché minima vessazione nei confronti degli apostoli (dei quali cii si era in precedenza premurati di riferire gli incarceramenti) significa che non ci fu alcuna persecuzione diretta contro costoro e la loro fazione (gli “ebrei”); B) di fatto, dopo aver riferito dei perseguitati dispersi che vanno per il paese ad annunciare la Parola, l’autore segue le vicende dell’ellenista Filippo; C) da Atti 9,26 risulta chiaro che in Gerusalemme non erano rimasti solo gli apostoli, ma anche dei “discepoli”.
Queste considerazioni inducono, a mio avviso giustamente, la maggioranza degli studiosi a concludere che solo la fazione ellenista della comunità gerosolimitana sperimentò conflitto e persecuzione da parte ebraica.
CITAZIONE
A me invece sembra che tu ragioni al rovescio. Il ragionamento da fare è invece che siccome non sappiamo di che cosa parli questo versetto di Svetonio, cioè non sappiamo chi siano questi ebrei (se “ebrei ebrei” o “ebrei cristiani”) e non sappiamo neppure chi sia Chresto (se Cristo o un altro), allora questo versetto non può essere portato come prova di alcunché. Esso non smuove la tesi della Sordi o per la spiegazione della Sordi (e cioè: non erano cristiani), o per il motivo da me detto (parlare di Ebrei istigati da Cristo non implica una mancata distinzione, perché forse non c’era niente da distinguere, erano davvero ebrei (etnicamente) e cristiani al medesimo tempo). La tua tesi, cioè che questa citazione dimostri una confusione tra ebrei come religione e cristiani come religione richiede che si possa provare che questo versetto abbia un’interpretazione univoca, quella che dai tu, mentre alla Sordi non serve provare che la sua lettura è giusta, le basta provare che non c’è alcuna lettura sicura, al fine di poter dire che questa citazione, poiché equivoca, non la può ostacolare.
Non ho mai detto che il passo di Svetonio sia passibile di un’interpretazione univoca, anzi, al contrario, ho evidenziato subito la sua oscurità. Ho semplicemente detto che mi sembra ci siano buone basi per ritenere probabile che esso si riferisca ad un editto di espulsione che colpì “ebrei ebrei” insieme ad “ebrei cristiani”, e che perciò attesti una percezione ancora confusa dei cristiani da parte dei romani, riportando l’affermazione di Jossa secondo cui questa è l’interpretazione maggioritaria.
Se poi si vuole dire che la discutibilità del passo di Svetonio fa sì che esso non possa essere usato come argomento contro la tesi della Sordi, allora direi che nemmeno la Sordi può invocare la grande persecuzione di Atti 8,1 (non so se lo faccia, ma devo presumere di sì) nella propria argomentazione, dal momento che l’interpretazione “generalista” del passo di Atti è non solo controversa ma anche ampiamente rifiutata.
Voglio dire che non si può pretendere che le obiezioni siano valide solo se fondate su evidenze irrefutabili, perché le evidenze irrefutabili in questo campo sono estremamente rare. L’argomento dal passo di Svetonio non sarà un’obiezione irrefutabile, ma è un’obiezione ragionevole, dal momento che l’interpretazione del passo maggioritaria tra gli studiosi è che esso attesti un’indiscernibilità dei cristiani dagli ebrei agli occhi dei romani.
CITAZIONE
Il discorso di Stefano contiene un po’ di tutto, dunque è un po’ difficile stabilire cosa rese furibondi i Giudei. Comunque, se fosse stata solo l’osservanza della legge, non si spiegano gli arresti degli apostoli, come Pietro, che precedono il martirio di Stefano.
Perché sarebbe difficile? Atti è molto chiaro su questo: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge” (At 6,12). E tutti gli studiosi che ho letto non hanno difficoltà ad accettare che sia stato appunto un atteggiamento in qualche modo critico verso la legge e il tempio da parte degli “ellenisti” a causare il conflitto. In ogni caso, se l’autore di Atti avesse pensato che la causa del martirio di Stefano e della seguente persecuzione fosse la proclamazione cristologica, non si sarebbe certo fatto pregare due volte per metterlo in evidenza.
Che poi la proclamazione cristologica petrina – ma, attenzione!, di una cristologia ancora incentrata sulla risurrezione e la messianità, e non certo sulla divinità - sia stata all’origine di alcuni blandi arresti subiti dagli apostoli, è chiaro tanto quanto è chiaro che questa proclamazione cristologica non costituì di fatto per il sinedrio una ragione valida per passare a provvedimenti più drastici (vedi At 4,21 “…non trovando motivi per punirli”) e difatti fino ad Agrippa le “colonne” non saranno oggetto di alcuna vessazione significativa.
Quindi, gli arresti degli apostoli (sempre a voler concedere la loro storicità, dato il modo angelico in cui si risolvono) si spiegano perfettamente in ragione di una loro proclamazione messianica comprensibilmente fastidiosa agli occhi delle autorità; un fastidio che però non condusse ad alcuna vessazione degna di nota.
Riepilogando, ritengo la tesi Sordi-Ramelli storicamente inverosimile (se non impossibile) per le seguenti ragioni:
A) Attribuisce a Tiberio un progetto assurdo quale divinizzare un criminale pubblicamente condannato come sedizioso l’altro ieri (e se anche volessimo pensare, contro ogni verosimiglianza storica, che Pilato sia stato un povero burattino nelle mani dei sanguinari sinedriti, che poi va a piagnucolare da babbo Tiberio, bisognerebbe comunque presumere che babbo Tiberio gli dicesse “Caro Ponzio, quel che hai scritto, hai scritto. La minchiata ormai l’hai fatta: se io ora mi metto a divinizzare il buon Gesù che condannasti l’altro ieri, con quale credibilità e autorevolezza potremo mai governare i riottosi giudei?)
B) Presuppone, anzi esige, un processo cristologico che raggiunge lo stadio del culto divino a Gesù in modo talmente veloce e precoce che praticamente non è nemmeno un processo, ma una produzione istantanea all’indomani della risurrezione.
C) Attribuisce ai romani la percezione di un’instabilità politica palestinese causata da presunte massicce persecuzioni contro i cristiani, delle quali non vi è in realtà la benché minima traccia, dal momento che negli anni 30 l’unico conflitto serio che si registra è quello che coinvolse esclusivamente la fazione “ellenista” di Stefano & Co.
Mi fa piacere che tu riconosca la solidità della A), ma sinceramente ritengo che anche la solidità della B) e della C) non sia affatto inferiore. Ho lasciato invece cadere l’obiezione della non-individuabilità socio-religiosa dei cristiani agli occhi dei romani nel 35 (che pur ritengo valida), in quanto da come presenti la tesi della Sordi non appare rilevante (mentre mi sembra che lo sia rispetto al modo in cui la Ramelli presenta la tesi nell’articolo in inglese linkato).
Con ciò penso di terminare qui la discussione, o meglio devo promettermi di farlo, perché in questi giorni ho delle incombenze e la discussione si è fatta un po’ onerosa. Naturalmente però rispondi pure.