Studi sul Cristianesimo Primitivo

Esaltazione senza preesistenza: la cristologia originaria

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Sant'Atanasio
view post Posted on 16/3/2016, 09:44 by: Sant'Atanasio     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 15/3/2016, 18:52) 
All'utente Sant'Atanasio, che ha già toccato un argomento chiave, ricordo che è buona norma presentarsi prima di intervenire in una discussione. Grazie.

Mi sono presentato, chiedo scusa per non averlo fatto ieri.

CITAZIONE (Talità kum @ 15/3/2016, 18:52) 
Per ciò che riguarda Paolo, ad esempio, B. Ehrman ha illustrato bene (a parer mio) la sua proposta di "incarnation christology" nel Capitolo 7 del suo recente libro "How Jesus become God".

A dire il vero Paolo rimase sempre rigidamente monoteista, perciò la descrizione che da Erham della Sua cristologia, come se intendesse Cristo come un arcangelo celeste incarnato, mi pare quantomeno inadeguata, e fondata, a mio avviso, sul pregiudizio che la divinitá di Cristo sia stata una convinzione sedimentata nel tempo, come un mito che si sovrappone ad un altro.

Molto francamente gli studi di Lardy Hurtado li trovo molto più completi ed equilibrati nel loro specificare che già nel cristianesimo primitivo Cristo era considerato come Dio.
Naturalmente da lì ad avere chiara la Trinità come l'abbiamo noi oggi ce ne passa, anche perché non avevamo nemmeno modo di descriverLa nel modo corretto (infatti bisognerà introdurre categorie ellenistiche), nondimeno ritengo che pensare che dall'insegnamento degli apostoli e di Paolo sia nato qualcosa che contraddicesse il monoteismo sia sbagliato, e su questo Hurtado ha fatto un gran lavoro.

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 15/3/2016, 18:07) 
CITAZIONE (Sant'Atanasio @ 15/3/2016, 14:32) 
Direi che quest'inno antichissimo e prepaolino basti a fugare i dubbi

"Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."

(Fil 2,6-11)

È un inno che evidentemente professa una Fede nella preesistenza del Verbo, pertanto non c'è affatto bisogno di aspettare i tempi del Vangelo di Giovanni per arrivare alla cristologia della preesistenza, che per quanto mi riguarda è sempre stata parte della comunità primitiva fin dalle esperienze subito posteriori al ritrovamento del sepolcro vuoto.

Ciao Sant'Antanasio, certamente Fil 2,6-11 è un passo estremamente rilevante per la nostra discussione. Prima di proseguire però dovrei invitarti, per regolamento, a presentarti nell'apposita sezione "Presentazione, regolamento, dialogo con lo staff".

Venendo invece all'inno di Filippesi, anzitutto mi sembra doveroso evitare di parlare di "incarnazione del Verbo". Nel nostro testo non si parla affatto di Verbo/Logos (e nemmeno di Sophia) ed è ovviamente sbagliato leggere un inno pre-paolino (o anche paolino) importandovi la cristologia del prologo giovanneo. Per cui direi di limitarci a parlare di preesistenza o di Cristo come essere preesistente, salvo naturalmente che uno voglia offrire argomenti per una più precisa identificazione, ad es., tra le varie proposte dagli studiosi in passato e in anni recenti:
- una figura redentrice di tipo gnostico (R. Bultmann),
- la Sapienza (D. Georgi, E. Schweizer, K.J. Kuschel),
- l'angelo di YHWH (C. Gieschen, B. Ehrman),
- nuovo/anti-Adamo preesistente (M. Casey, R.E. Brown [?]),
- nuovo Adamo senza preesistenza (J. Murphy O'Connor, J.D.G. Dunn, M. Hooker).

Detto questo, vorrei porre due importanti questioni che impediscono di chiudere precocemente la nostra discussione con il semplice ricorso a Fil 2,6-11.

1. Abbiamo davvero le idee di preesistenza e incarnazione?
Fil 2,6-11 è un inno di difficile interpretazione, e la traduzione della CEI 1978 sopra riportata può apparire discutibile in vari punti. Per farcene una primissima idea basta già confrontare il diverso modo con cui viene reso il v. 6 nella nuova traduzione CEI 2008: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio".
In particolare, essere nella condizione di Dio non è la stessa cosa che essere di natura divina, così come essere come Dio non è la stessa cosa che essere uguale con/a Dio, specialmente se tale "tesoro geloso / privilegio" (harpagmos) viene inteso non come qualcosa che Cristo possedeva già ma che non volle trattenere gelosamente per sé, bensì come qualcosa che Cristo non possedeva ma che non volle comunque considerare un bene da estorcere o rapinare - un senso questo (οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εῖναι ἴσα θεῷ = non considerò l'essere come Dio un bottino da rapinare) non adottato da nessuna delle due versioni CEI, ma comunque perfettamente accettabile sul piano grammaticale.
Per farla breve, nel solo v. 6 abbiamo due o tre espressioni altamente controverse tra gli esegeti quanto alla corretta interpretazione:
1. μορφὴ θεοῦ: natura divina? condizione/sfera/modo di essere di Dio? forma esteriore percepibile di Dio? gloria di Dio? immagine di Dio?;
2. οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο: non considerò "X non-posseduto" qualcosa da rubare? non considerò "X posseduto" alla stregua di un furto o comunque qualcosa da tenere gelosamente per sé?;
3. τὸ εῖναι ἴσα θεῷ: l'essere uguale a Dio? l'essere come Dio?

E a seconda di come si interpreta il v. 6 anche il modo d'intendere il v. 7 può variare significativamente: prendere la forma/condizione di servo, ovvero divenire simile agli uomini ed essere "trovato" in tale aspetto, implica necessariamente un'incarnazione umana a partire da un precedente stato celeste? O può invece essere inteso come assumere la condizione caduca e schiava della morte dell'umanità post-adamica, a partire da una condizione terrena di innocenza adamica?


Per fare un esempio più chiaro, nell'inestricabile coacervo di letture contrastanti dell'inno offerte dagli studiosi, una delle più note (e controverse) è l'interpretazione adamica (senza preesistenza) che da oltre 35 anni va sostenendo uno dei maggiori specialisti recenti sia di Paolo che di cristologia NT.ria, l'inglese James Dunn, di cui mi accingo a fare una sintesi (cfr. J.D.G. Dunn, Christology in the Making, London, SCM Press, 1980, 114-121; Id., The Theology of Paul the Apostle, Grand Rapids, Eerdmans, 1998, 281-288):

Come Adamo nella sua innocenza era stato creato ad immagine (εἰκών) di Dio (con il riflesso di gloria e l’incorruttibilità proprie di tale condizione), così Gesù era nella forma (μορφή) di Dio [NB: Dunn insiste che εἰκών e μορφή sono pressoché sinonimi - giudizio su cui gli esegeti sono abbastanza divisi -, e l’autore dell’inno può aver optato per μορφή in quanto meglio si prestava al contrasto con la μορφὴ δούλου del v. 7].
Mentre però Adamo si lasciò sedurre dalla prospettiva di incrementare ulteriormente il proprio status fino a “diventare come Dio” (Gn 3,5: ἔσεσθε ὡς θεοὶ), Gesù si rifiutò di considerare tale “essere-come-Dio” (Fil 2,6: τὸ εἶναι ἴσα θεῷ) qualcosa di cui impossessarsi fraudolentemente o da rapinare (ἁρπαγμός); al contrario, egli scelse di spogliarsi dell’incorruttibilità a cui aveva diritto in virtù del suo essere nella condizione innocente di immagine di Dio, accettando volontariamente quello stato di schiavitù nei confronti della morte nella quale Adamo decadde a causa della sua disobbedienza.
Anziché puntare all’essere-come-Dio, egli volle cioè essere a somiglianza dell’umanità decaduta (ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων) e, in tale forma-simile-all’umanità-decaduta (σχήματι ὡς ἄνθρωπος), umiliare se stesso facendosi obbediente fino alla morte.
E proprio a causa di questo suo atteggiamento antitetico alla condotta di Adamo – e tuttavia solidale con le sue conseguenze – Dio lo ha super-esaltato (ὑπερύψωσεν) dandogli il nome che è al di sopra di ogni altro nome, ovvero insediandolo in una posizione di signoria universale superiore anche alla sua condizione iniziale “nella forma di Dio”, e di fatto ora coincidente proprio con quell’essere-come-Dio che Adamo aveva cercato di rapinare.

Una posizione affine, ma che potrebbe fare la differenza per la nostra discussione, è quella espressa da un altro illustre esegeta britannico di Paolo, Charles Kingsley Barrett, secondo il quale un’originale inno adamico (senza preesistenza) è stato modificato in ottica incarnatoria da Paolo aggiungendo il v. 1 e altro (cfr. C.K. Barrett, La teologia di San Paolo. Introduzione al pensiero dell'apostolo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996, pp. 156-162).
Mentre altri studiosi ancora optano per tenere insieme sia la tipologia adamica sia l'idea di preesistenza: così ad es. M. Casey, From Jewish Prophet to Gentile God, Cambridge, James Clarke, 1991, 112-115 ("Philippians 2.6-11 should be understood in the light of the story of Adam... 'being on a level with God' [isa theo] indicates high status but not full deity... isa overlaps in meaning with k, 'like', used At Genesis 3.5,22 where Adam became 'like' God... Jesus is portrayed as pre-existent... In order to have been in the form of God so that he could choose not to grasp equality with God before he emptied himself and was born in the likeness of men, Jesus must have existed before his birth"); vedi anche l'opzione interpretativa riportata in R.E. Brown, Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1995, 133 ("L'inno può implicare che in origine vi fossero due figure, Cristo Gesù e Adamo, coesistenti e parallele nell'immagine di Dio...").

2. E se anche si tratta di preesistenza e incarnazione, ciò è davvero sufficiente per considerare tale tipo di cristologia originario?
La seconda questione per ora l'accenno e basta, ed eventualmente ci ritorniamo sopra in seguito: anche se vogliamo attenerci all'interpretazione più comune secondo cui l'inno pre-paolino rappresenta effettivamente Gesù come un essere preesistente e incarnato, questo autorizza forse a considerare la cristologia della preesistenza (lasciamo da parte se come nuovo Adamo, angelo o Sapienza) come sostanzialmente co-originaria alla cristologia dell'esaltazione (e della parusia)?
La Lettera alla comunità di Filippi, fondata dallo stesso Paolo circa nel 49-50, viene variamente datata tra il 54 e il 60, ma supponendo – alla luce del contesto parenetico in cui l’inno è inserito – che Paolo stia citando qualcosa che i cristiani di Filippi già conoscono (o in cui comunque possono riconoscersi facilmente) e che presumibilmente avevano appreso da Paolo stesso, è lecito pensare che tale inno possa essere sorto da qualche parte negli anni 40.
Ma sarebbe ragionevole retrodatarla addirittura agli anni 30, parallelamente alle cristologie dell'esaltazione e della parusia?
Il fatto stesso che una cristologia della preesistenza non è sia poi così ampiamente presente e sviluppata (ammesso che vi sia! e anche di questo ne discuteremo...) nelle lettere che Paolo scrive negli anni 50, non consiglia forse di non collocare Fil 2,6-11 troppo indietro?
Meglio ancora: di cosa tratta veramente l'inno? Quale la sua prospettiva centrale? Su cosa si focalizza davvero? Sulla preesistenza o piuttosto sull'abbassamento-esaltazione?
Se guardiamo con attenzione, la preesistenza al v. 6 e l'incarnazione al v. 7 non danno forse l'idea di essere poco più che accennate come un presupposto dell'abbassamento-esaltazione? In altre parole, l'inno non dà forse l'impressione d'essere un'espansione all'indietro di una cristologia dell'esaltazione altrimenti del tutto simile a quella che troviamo nei discorsi degli Atti? E come tale non rivela quindi di essere uno sviluppo secondario, senz'altro significativo eppure ancora solo embrionale, di questa?

Ci ritorneremo.

Ho letto con attenzione tutto il tuo post, caro Johannes, e francamente non sono d'accordo con molte cose.
La cristologia di Paolo è tutta incentrata sulla natura salvifica del sacrificio di Cristo, e dubito serissimamente che Paolo considerasse una creatura, non importa quanto sovraeminente e pura rispetto alle altre, in grado di lavare i peccati del mondo e salvare l'umanità.
Pertanto mi sento di non sottoscrivere per nulla la tesi di Dunn.

Ribadisco che secondo me il problema delle varie cristologie fu un problema di sistematizzazione e descrizione, nel senso che pur ritenendo Cristo Dio, dovevano trovare il modo di descriverLo senza tradire il loro monoteismo, e francamente dubito che un inno come quello di Filippesi, dei primi anni 40, sia potuto sorgere dal nulla a partire da una cristologia del tutto umana o, al più, angelica, in soltanto 10 anni a partire dalla morte di Cristo il 7 Aprile del 30 D.C con il successivo ritrovamento del sepolcro vuoto e le esperienze di Resurrezione.

Troppo, davvero troppo poco tempo, per quanto mi concerne.

Faccio inoltre presente che negli Atti degli Apostoli abbiamo un discorso di Pietro (ragguagliatemi, per piacere, sulla storicità di tale discorso, se potete :) ) che sembra un modello perfetto di Cristologia dell'esaltazione.

Atti 2,32-36

"Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli stesso dice: «Il Signore ha detto al mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi"». Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso".

Questo passo sembra un modello perfetto per una cristologia "umana, troppo umana", eppure, in Atti 3:15, Pietro dice che "avete ucciso l'autore della vita", che è forse l'attestazione più importante e "chiara" della considerazione della divinità di Cristo, ancora più dell'inno di Filippesi, Colossesi, e persino del Prologo Giovanneo, visto che Dio e solo Dio è l'autore della vita, e non ci sono ambiguità in questo.

Non fraintendermi, so che Atti è tardivo quasi quanto il Vangelo di Giovanni, era per dire che anche di fronte a cristologie che sembrano tutto meno che divine in realtà vi troviamo sorprese come quella di Atti 3:15.

Ribadisco che per me la questione era meramente descrittiva e dovuta alla mancanza di categorie adatte per spiegare il mistero col quale erano venuti a contatto, ma le "basi" c'erano tutte.
Detto prosaicamente: non credo che coll'andare del tempo ci si sia "inventati" qualcosa, ma che si sia sviscerato sempre più e meglio il mistero col quale si era venuti a contatto.

E il problema descrittivo, come vediamo in Atti, c'era ed era pressante. Se, infatti, come dice anche Plinio il Giovane nella sua lettera all'imperatore Traiano, i cristiani cantavano lodi a Cristo "come a un Dio", è altrettanto vero che per loro Cristo non era il Padre. Allo stesso tempo, però, non era un "deuteros theos", un secondo Dio, perché si sarebbe ricaduti nel politeismo.

Penso che fosse questo il vero problema, come poter descrivere tutto ciò, e all'epoca erano sprovvisti di categorie adeguate.

Anche perché riflettiamo: nel I sec D.C il monoteismo era radicatissimo, e per un giudeo-cristiano medio dell'epoca era semplicemente impensabile pensare ad altri esseri divini oltre a Dio, con buona pace di Erham.

Edited by Sant'Atanasio - 16/3/2016, 11:37
 
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