Studi sul Cristianesimo Primitivo

Esaltazione senza preesistenza: la cristologia originaria

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Sant'Atanasio
view post Posted on 16/3/2016, 17:47 by: Sant'Atanasio     +1   -1




CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 17:40) 
Rispondo a Sant'Atanasio con i due libri da leggere.

Grazie mille, quei due lavori non li ho letti, li compro subito.

CITAZIONE (Talità kum @ 16/3/2016, 17:40) 
OT e imprecisioni

Potresti indicarmi almeno quali sono gli ot e le imprecisioni?

CITAZIONE (astroclipper @ 16/3/2016, 17:27) 
Al momento non ho riferimenti a portata di mano, ma vorrei comunque portare alla vostra attenzione questa mia considerazione. Secondo me il concetto di pre–esistenza è strettamente legato al riconoscimento della natura divina di Gesù. Nel momento in cui è stata chiara questa visione automaticamente è stato chiaro anche il concetto di pre–esistenza. Diversamente avremmo avuto una pericolosa deriva politeista, con una divinità padre e una figlia. Quindi dal punto di vista storico il riconoscimento di un chiaro accenno alla divinità di Gesù è, secondo me, evidente sintomo di una cristologia della pre–esistenza. Mi riprometto di fare un post più esaustivo sulla questione.

Saluti Astro

Concordo assolutamente. Il riconoscimento della natura divina di Cristo presuppone la Sua preesistenza, tuttavia, per evitare la deriva politeistica di cui hai parlato, è necessario assumere anche l'eternità di Cristo.
Il riconoscimento della natura divina di Cristo presuppone sia la Sua preesistenza all'incarnazione sia la Sua eternità, perché anche qualora fosse la prima tra tutte le creature sempre una creatura sarebbe, e ricadremmo nel politeismo, assolutamente inaccettabile per i giudeo-cristiani dell'epoca. Anche i Tdg ammettono, anzi difendono, la preesistenza di Cristo, ma il discrimine è la Sua eternità, senza la quale non vi è divinitá.

E il fatto che a soli pochi anni dalla morte del maestro, degli Ebrei si siano potuti sognare di innalzare un umano all'altezza di YHVH, sarebbe secondo molti la prova del fatto che fu Gesù stesso ad accreditare questa possibilità durante la sua predicazione, pre o post-pasquale. Vale a dire che coloro che Lo conoscevano, e non una tarda e confusa comunità primitiva creatrice di mito, Lo indicavano pari a Dio. Questa è un'esplosione di cui è difficile trovare la miccia qualora si voglia dipingere l'immagine di un Gesù senza pretese che si mette al pari degli altri rabbini, come è andato di moda per molto tempo negli studi storici, addirittura arrivando, dopo 2000 anni, a dire (mi riferisco ad uno storico italiano) che il cristianesimo avrebbe tradito Gesù. L'impossibile miracolo di un ebreo divinizzato da altri ebrei a 20 anni dalla sua dipartita rimanda sia alla straordinarietà di quello che aveva fatto, sia delle sue pretese, con buona pace di Bultmann.

Ritornando a Weiss

CITAZIONE (JohannesWeiss @ 15/3/2016, 18:07) 
1. Abbiamo davvero le idee di preesistenza e incarnazione?
Fil 2,6-11 è un inno di difficile interpretazione, e la traduzione della CEI 1978 sopra riportata può apparire discutibile in vari punti. Per farcene una primissima idea basta già confrontare il diverso modo con cui viene reso il v. 6 nella nuova traduzione CEI 2008: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio".
In particolare, essere nella condizione di Dio non è la stessa cosa che essere di natura divina, così come essere come Dio non è la stessa cosa che essere uguale con/a Dio, specialmente se tale "tesoro geloso / privilegio" (harpagmos) viene inteso non come qualcosa che Cristo possedeva già ma che non volle trattenere gelosamente per sé, bensì come qualcosa che Cristo non possedeva ma che non volle comunque considerare un bene da estorcere o rapinare - un senso questo (οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εῖναι ἴσα θεῷ = non considerò l'essere come Dio un bottino da rapinare) non adottato da nessuna delle due versioni CEI, ma comunque perfettamente accettabile sul piano grammaticale.
Per farla breve, nel solo v. 6 abbiamo due o tre espressioni altamente controverse tra gli esegeti quanto alla corretta interpretazione:
1. μορφὴ θεοῦ: natura divina? condizione/sfera/modo di essere di Dio? forma esteriore percepibile di Dio? gloria di Dio? immagine di Dio?;
2. οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο: non considerò "X non-posseduto" qualcosa da rubare? non considerò "X posseduto" alla stregua di un furto o comunque qualcosa da tenere gelosamente per sé?;
3. τὸ εῖναι ἴσα θεῷ: l'essere uguale a Dio? l'essere come Dio?

E a seconda di come si interpreta il v. 6 anche il modo d'intendere il v. 7 può variare significativamente: prendere la forma/condizione di servo, ovvero divenire simile agli uomini ed essere "trovato" in tale aspetto, implica necessariamente un'incarnazione umana a partire da un precedente stato celeste? O può invece essere inteso come assumere la condizione caduca e schiava della morte dell'umanità post-adamica, a partire da una condizione terrena di innocenza adamica?

Quella lettura dell'inno di Filippesi, se non erro, è ampiamente minoritaria e meno armonica. Non spiega decentemente infatti perché Gesù dovrebbe afferrare qualcosa che non avrebbe, visto che appena prima s'è detto che l'aveva (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων). Il brano ha senso solo se prima l'autore dice che Gesù era di condizione divina, e, ciononostante, non decise di aggrapparsi a tale stato.

Edited by Sant'Atanasio - 16/3/2016, 21:39
 
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